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La bandiera
arcobaleno è un gesto di pace!
In
questo periodo di forti tensioni internazionali, sentiamo il desiderio
di scrivervi per spiegare il significato della bandiera della pace ed
evitare possibili strumentalizzazioni di parte. Per
noi l’esposizione delle bandiere in molti luoghi della nostra Diocesi,
compresi alcuni campanili, è appunto uno di quei "Gesti
di pace che nascono dalla vita di persone che coltivano nel proprio animo
costanti atteggiamenti di pace" L'origine
della bandiera arcobaleno come bandiera della pace si perde nel tempo:
c’è chi dice che sia nata da alcuni gruppi inglesi, che intendevano così
esprimere un forte messaggio: desiderare la pace, volere la pace, lavorare
per la pace, senza per questo veicolare idee politiche di parte, se non
appunto solo quella di essere contro la guerra.(2) Le
bandiere della pace sono diventate con il tempo il simbolo che gli
appartenenti ai vari movimenti di “operatori di pace” portano
con sé nelle zone di conflitto. Ad esempio, la guerra in ex Yugoslavia
spinse tantissima gente ad andare in quelle terre, ad entrare in quel
conflitto ed aiutare la popolazione. E l'unica bandiera credibile era
appunto quella non schierata della pace (3). Forse fu anche per
quello che da allora nelle varie manifestazioni(4) si vide un
progressivo aumento delle bandiere arcobaleno. L'idea
di stendere fuori dai propri balconi la bandiera della pace é nata qui a
Bologna, durante il Giubileo della Pace, nel settembre 2002, organizzato
dai missionari Comboniani (5). La
gente espone la bandiera per esprimere che desidera una politica che
lavori per la pace e che non scelga di risolvere le controversie
internazionali con la guerra. Sarebbe un grave errore rinunciare ad esporla per il timore che la
bandiera della pace esprima invece un’appartenenza a qualche parte
politica. Dobbiamo evitare queste azzardate etichettature, perché si
farebbe solo il gioco di chi vuole strumentalizzare (sia da una parte sia
dall’altra) un bene che è e rimane di tutti. L’intuizione
di quei gruppi che scelsero la bandiera arcobaleno come la bandiera della
pace fu ispirata dal brano biblico della Genesi, dove viene
presentata l’alleanza che Dio fece con Noè dopo il diluvio universale. I
colori della bandiera della pace diventano, quindi, anche i colori
dell’icona del patto tra Dio e noi. Ogni
volta che vediamo un arcobaleno é come se Dio ci ricordasse che Lui ha
fatto un patto di Shalom con noi. E a noi piace pensare che, quando
sventoliamo la bandiera della pace, siamo noi a rispondere a Dio,
dicendogli che ci ricordiamo di quel patto e che la "pacem in
terris" é un impegno permanente del nostro agire. Quindi,
con questo spirito, invitiamo i sacerdoti, le religiose ed i
religiosi, i membri di Istituti religiosi e secolari, e tutto il popolo
di Dio a esporre la bandiera. Ricordiamoci
che chi la espone non crede che con la guerra si risolvano le controversie
internazionali e crede invece che "se vuoi la pace prepara la
pace", contrariamente a quanto ultimamente alcuni sostengono:
"Si vis pacem para bellum".
Shalom
PS. Siamo altrettanto convinti che non sarà la prima, né l'ultima volta, che si cerca di definire gli operatori di pace come di parte, utopistici e poveri illusi. Già nel 1993, durante la guerra nei Balcani, don Tonino Bello, denunciava questi atteggiamenti. (6)
Note:
(1) "A voler guardare le cose a fondo,
si deve riconoscere che la pace non è tanto questione di strutture,
quanto di persone. Strutture e procedure di pace – giuridiche, politiche
ed economiche – sono certamente necessarie e fortunatamente sono spesso
presenti. Esse tuttavia non sono che il frutto della saggezza e
dell'esperienza accumulata lungo la storia mediante innumerevoli gesti di
pace, posti da uomini e donne che hanno saputo sperare senza cedere mai
allo scoraggiamento. Gesti di pace nascono dalla vita di persone che
coltivano nel proprio animo costanti atteggiamenti di pace. Sono frutto
della mente e del cuore di “operatori di pace” (Mt 5, 9)."
(Giovanni Paolo II dalla lettera del 1° gennaio 2003 “Pacem in Terris:
un impegno permanente”). (2)
In
Italia ad esempio, negli anni ’80, quei gruppi che partecipavano con i
propri "stendardi" a manifestazioni (ad esempio contro i
missili) sentivano che utilizzare la loro bandiera di parte era un fatto
positivo, da ricercarsi. (3) In quella terra, come in tutte le zone
di conflitto, se si voleva portare con sé una bandiera che non fosse di
parte, era necessario che fosse condivisa, accolta da tutte le parti in
causa, anche tra loro contrapposte, per cui era necessario che fosse un
simbolo universale di speranza. Questa bandiera potrebbe essere anche
quella bianca, ma esprime
solo un colore, che forse può dare un'impressione di passività. La
bandiera arcobaleno, invece, ha in sé tutti i colori e non ne vuole
escludere nessuno; inoltre, la simpatia che questi colori insieme
esprimono crediamo che renda più di qualsiasi altra bandiera la forza di
che cosa vi sia dentro alla parola "pace" e l’intensità di
chi la desidera. Di questo siamo personalmente testimoni, appunto, per i
territori dell’ex Yugoslavia, e se avete modo di parlare anche con altri
gruppi, come l’associazione “Beati Costruttori di Pace” o
l’Operazione Colomba dell’associazione Papa Giovanni XXIII, siamo
certi che ve lo confermeranno. (4) In questi ultimi 10 anni lo si è visto
molto bene, ad esempio per la marcia Perugia-Assisi, dove francescani,
laici, enti locali, e tutte le varie associazioni si ritrovano in modo
trasversale. (5)
Dalla rivista "Cem Mondialità" (mensile edito dai padri
Saveriani) (6)
QUANDO IL PETROLIO VALE PIÙ DELL'UOMO "Si sono seccate in me perfino le fontane
dell'indignazione. Di fronte a questa nuova "Tempesta del
deserto", mi viene solo una incontenibile voglia di piangere.
Qui di seguito riportiamo alcuni comunicati, appelli, e affermazioni contro la guerra, provenienti dal mondo cristiano. Comunicato Stampa di Pax Christi Italia
(04/10/2002) IL TERRORISMO NON SI VINCE CON LA GUERRA
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Tommaso Valentinetti Presidente di Pax Christi Italia COMUNICATO DEI VESCOVI DELLA TOSCANA PER LA PACE Nella
nostra precedente assemblea (1 ottobre 2002) prendemmo ferma posizione in
favore della pace in di fronte alla diffusione di conflitti e violenze in
varie parti del mondo. Adesso noi vescovi della Toscana per fedeltà al
Vangelo della pace, in comunione con il magistero del Papa e condividendo
il desiderio di pace del nostro
popolo,
constatando che gli organismi deputati all' esercizio del diritto
internazionale si trovano di fatto esautorati e in particolare come l'ONU
non sia posta in grado di intervenire con pari efficacia nei confronti di
tutte le violazioni dei diritti umani, della libertà, della sicurezza e
della democrazia, dovunque e da chiunque vengano perpetrate, La nostra
valutazione di questi problemi ci induce a raccomandarLe di perseguire
attivamente vie alternative alla guerra. Noi speriamo che Lei vorrà
insistere nella frustrante e difficile impresa di promuovere un vasto
sostegno internazionale per un nuovo, più costruttivo ed efficace
intervento al fine di ottenere dal Governo iracheno il rispetto dei suoi
impegni internazionali. Questo modo di affrontare il problema potrebbe
comprendere una costante azione diplomatica mirante, in parte, alla
ripresa di ispezioni rigorose ed efficaci; un effettivo rispetto
dell'embargo militare; il mantenimento di sanzioni politiche ed economiche
con obiettivi molto più precisi, che non minaccino la vita di civili
iracheni innocenti; un sostegno non militare a quanti possono costruire
autentiche alternative democratiche in Iraq; altre misure legittime per
contenere e scoraggiare iniziative aggressive da parte irachena.
I primati inglesi (cattolico e
anglicano) contro la guerra Per
questo chiediamo con forza al Governo iracheno
di dimostrare apertamente il suo adeguamento a quanto richiesto dalle
risoluzioni dell’ONU sulla necessità di eliminare le armi di
distruzione di massa di cui sia in possesso. Il
tempo della Quaresima si sta ormai avvicinando, un tempo durante il quale
la tradizione cristiana incoraggia i credenti ad affrontare un attento
esame di coscienza, ad analizzare i propri difetti e a cercare una
riconciliazione con Dio. Noi
dobbiamo quindi sperare e pregare affinché con l’Aiuto di Dio si
possa arrivare ad una soluzione positiva della crisi in Iraq. Following a recent private meeting, the Cardinal Archbishop of
Westminster, All'attenzione del Signor ANGELUS- Domenica, 23 febbraio
2003
In quest'ora di preoccupazione internazionale, tutti sentiamo il bisogno di rivolgerci al Signore per implorare il grande dono della pace." Noi pastori della Chiesa cristiana che è in Gerusalemme che è in Sarajevo, che è in Iraq facciamo nostre queste accorate parole del Papa, e insieme vogliamo unire la nostra voce alla sua per chiedere che la pace, dono di Dio, sia anche ricercata da tutti gli uomini e le donne sulla terra. La nostra è una voce debole, ma vogliamo essere voce della nostra gente che ha subìto e sta subendo la guerra, oppressioni e ingiustizie e che vive nelle nostre terre, diventate tragicamente simbolo di sofferenza, non solo negli anni scorsi ma anche oggi. Le nostre non sono tutte città sante come Gerusalemme, e nemmeno città cattoliche. Ma certamente sono città martiri. Noi che abbiamo vissuto o stiamo ancora vivendo la tragedia della guerra, vogliamo dire al mondo intero, in particolare ai potenti della terra: non imboccate la strada della guerra, perché è una strada senza uscita. La pace è l'unica strada da percorrere, è direzione obbligatoria. Non c'è violenza, non c'è terrorismo, non c'è guerra che non porti con sé altra violenza, odio, distruzione, sofferenza e morte. Cristo è la nostra pace. E' il Vangelo della pace che deve illuminare i nostri cuori e guidare le nostre scelte perché siano scelte di totale rifiuto della violenza e della guerra. Ci rivolgiamo a tutti, credenti e non credenti, uomini e donne di buona volontà, ma in particolare a chi ha la responsabilità e il potere di decidere sul futuro, perché possa far prevalere il buon senso e il dialogo ricordando che "la guerra è avventura senza ritorno". Con il Papa anche noi diciamo: "No alla guerra! La guerra è sempre una sconfitta dell'umanità". Se la guerra è distruzione e morte, non meno tragiche sono le conseguenze che una guerra porta inevitabilmente con sé: divisioni, odi e tanti profughi. Sono davanti agli occhi del mondo i milioni di profughi della Bosnia e di tutta la ex Jugoslavia; le condizioni invivibili dei Palestinesi, profughi nella loro terra o in terra straniera. E, in caso di guerra, quanti saranno i profughi dall'Iraq, che si andranno ad aggiungere a chi ha già cercato speranze di vita fuggendo da quella terra, da troppi anni segnata dalla guerra e dall'embargo? Sappiamo che in ogni parte del mondo stanno crescendo incontri di preghiera e momenti di confronto civile e pacifico per invocare la pace. Questo per noi è motivo di grande speranza, speranza nel Dio che ascolta sempre la preghiera dei piccoli, dei poveri e degli indifesi. Non lasciateci soli, perché il mondo oggi ha bisogno di costruire questa speranza. (23 febbraio 2003 - Michel Sabbah, Patriarca latino di Gerusalemme e Presidente Internazionale di Pax Christi; Vinko Card. Puljic, Arcivescovo di Sarajevo; Raphael Bidawid, Patriarca di Babilonia dei Caldei - Iraq)
Da www.vidimusdominum.org 1.
PACE: IMPEGNO PERMANENTE "La
guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell'umanità”.
Così il Santo Padre, parlando al Corpo Diplomatico (13 gennaio 2003),
ha ribadito con forza il NO ALLA GUERRA. ATTUALITA' DELLA PACEM IN TERRIS Mons. Pero Sudar Introduzione Ci sono
temi di perpetua attualità. Tra di essi senz'alcun dubbio vi è anche il
tema della pace, perché questo tesoro prezioso in parte dipende
dall'atteggiamento degli uomini. Certamente questo valore fondamentale non
dipende prima di tutto dagli uomini, perché non è opera dell'uomo. La
vera pace è un dono agli uomini. Di questo dono bisogna essere degni,
vale a dire essere disposti a riceverlo e a trattarlo degnamente. Allora,
si deve dire che senza l'impegno degli uomini non vi è la pace; eppure
quest'impegno non basta. La pace è opera di Dio. Ma, misteriosamente,
neppure Dio da solo è in grado di donare al mondo la vera pace. Questo è
uno dei difficili contenuti della fede. Dio è onnipotente ma non può,
perché non vuole, fare tutto da solo! D'altra parte, la guerra, intesa
come negazione diretta e totale della pace, nasce nel cuore umano. Da questa tensione, profondamente radicata nella natura umana, risulta la attualità dell'impegno della Chiesa e di tutti gli uomini di buona volontà per la pace, come condizione indispensabile per la vita dell'umanità. Per questo il Concilio ci insegna che la pace non è stata mai stabilmente raggiunta, ma è da costruirsi continuamente (GS, 78). Se l'obbligo morale dell'impegno per la pace cresce proporzionalmente con la capacità umana di metterla a rischio, siamo giunti al momento in cui dobbiamo rivolgerci tutti con animo rinnovato alla vera pace (GS, 77). E' fuori dubbio che questa capacità sia più grande oggi che negli anni in cui fu scritta la celebre enciclica Pacem in terris. Dato che solo l'uomo convinto si muove, cerco di accennare alcuni fatti che potrebbero convincerci che il dono della vera pace è a rischio e che questo tema ci tocca tutti da vicino. I punti che intendo mettere in evidenza vorrebbero suscitare, forse anche provocare, le vostre riflessioni e la discussione che ci porterà a concludere che il mondo in cui viviamo ha bisogno di ognuno di noi. Dio non ha creato nessuno per caso e nessuno esiste senza una propria importante missione. La missione comune è, senza dubbio, la pace tra gli uomini.
1. Odierni pilastri della guerra L'enciclica Pacem in terris è stata scritta per mettere in evidenza tutta l'assurdità della guerra e la possibilità e la indispensabilità della pace. Questa vera "magna carta" dei diritti umani contrappone il pieno rispetto dell'ordine stabilito da Dio alla pericolosa convinzione che ritiene di poter regolare i rapporti di convivenza tra gli esseri umani ... con le stessi leggi che sono proprie delle forze e degli elementi irrazionali (Introduzione). Visto che l'Enciclica parla, e il Messaggio di papa Giovanni Paolo II per la Giornata mondiale della pace fortemente sottolinea i pilastri della pace quali frutti dell'ordine divino, mi è sembrato opportuno mettere in evidenza alcuni pilastri della guerra, frutti del nuovo ordine mondiale, che tende - come mai prima nella storia umana - a reggersi sui princìpi della razionalità meramente naturale. I due grandi Papi hanno scelto una via positiva per farci capire in che senso bisogna muoverci per divenire gli operatori di pace a cui è stato promesso che saranno chiamati fgli di Dio (Mt 5,9). Per non offuscare la chiara e limpida dottrina di quei Pastori, io stasera propongo di prendere in considerazione la via negativa, per indicare quali atteggiamenti bisogna abbandonare per non dover ascoltare dalla bocca di Dio: ho avuto fame... ero nudo...malato e non mi avete... (Mt 25, 42-43). 1.1. Nuovo paganesimo Il
mondo in cui viviamo non è mai stato del tutto fedele a se stesso. Le sue
deviazioni si possono seguire con grande esattezza. Ciò nonostante, non
si può dire che la storia umana conosca periodi in cui l'uomo si è
presentato del tutto indifferente ad una realtà che lo oltrepassi. Per
quanto i suoi peccati erano grandi e le sue deviazioni pericolose,
l'umanità non è mai andata tanto lontana da Dio da non poter essere
trovata da Lui! Quando l'uomo in mille modi veniva sacrificato ad una
pagana idea di Dio, Dio inventava sempre il modo per salvarlo, perché le
tracce del sacro erano comunque rimaste, e la speranza in un mondo
migliore nel cuore umano non veniva data per persa.
1.2. Menzogrna e imbroglio La
tecnica e gli odierni mezzi di comunicazione sono in grado di accertare
con quasi assoluta esattezza le realtà come esse sono. Vale a dire che
non ci possono essere grandi cose nascoste. Ciò nonostante, si fa tanta
fatica a capire che cosa sta accadendo intorno a noi. Leggiamo tanti
libri, diversi giornali, seguiamo le cronache, le notizie, ma la verità
ci sfugge. Ogni tanto mi viene rivolta la domanda di quale sia il problema
più grande nel mio Paese. BeE, che non riesce ad uscire dal circolo
vizioso dei risentimenti. Mi accorgo sempre di più che la risposta chiave
è: la verità. Solo durante la guerra e dopo la guerra ho capito il peso
e la profondità delle parole di Colui che era pieno di grazia e di verità
(Gv 1,14), cioè di Gesù: La verità vi farà liberi! (Gv 8,32). Ogni
giorno sono costretto a leggere le notizie sugli avvenimenti a cui
partecipo. Nelle informazioni di solito non ci sono le idee-chiave. Anzi,
le bugie materiali sulle cose gravi vengono trasmesse e difese come grandi
verità. La verità viene additata. Chi sa farlo meglio, viene considerato
più capace. E non solo da noi!
1.3. Egoismo esasperato Ridotto
a pura materia, l'uomo e la società da lui fatta non ne hanno mai
abbastanza. Però si sente sempre insoddisfatto, perché lo spirito non può
essere soddisfatto dalla materia. Insoddisfatto, l'uomo è terrorizzato
nel cercare ed inventare sempre nuovi modi per raggiungere questo stato
d'animo. Questa caccia alla soddisfazione esasperata culmina nel fatto che
il luogo stesso in cui si è nati decide non soltanto della gioia o della
tristezza di un'esistenza, ma addirittura della vita e della morte di
milioni di uomini. Mentre l'anno scorso sono morte a causa della mancanza
di cibo e acqua trentuno milioni di persone, l'Occidente ha sprecato
ottocento miliardi di dollari per la sua difesa. E che cosa difende? Prima
di tutto quel 59% di tutte le ricchezze del mondo in possesso del 6% degli
abitanti del mondo. Tutti negli Stati Uniti d'America! Da chi si
difendono? Di nuovo, prima di tutto, sì due volte prima di tutto, anche
prima di Osama Bin Laden e i suoi terroristi, si sono difesi da coloro che
sono già morti di fame! Questa impostazione, a prima vista, può sembrare
troppo semplice ed ingenua. E' così se viene preso in considerazione solo
il culmine di questo problema, usato poi per nascondere le radici profonde
da cui spunta. Di quegli ottocento miliardi di dollari spesi per gli
armamenti, ne bastavano solo ventiquattro miliardi, che la FAO ha chiesto
e non ricevuto, per sfamare le persone poi morte. 1.4.
Intolleranza e diffidenza Un
amico tedesco con indignazione mi ha chiesto come sono stati possibili gli
orrori e le brutalità perpetrati durante la guerra nel mio Paese.
Cercando di aiutarmi a trovare la risposta, aggiungeva che si tratta dei
popoli balcanici, vale a dire selvaggi e disposti a tutto. Io gli ho dato
retta sottolineando, però, la mia profonda convinzione che il suo popolo,
a cui non si può negare né la cultura né l'amore per la democrazia, si
sarebbe comportato in maniera ancora più crudele, se, dopo secoli di
ingiustizie a cui sono stati esposti i popoli dei Balcani, avesse dovuto
ingoiare le stesse lavine della menzogna. Ma anche senza tutto questo.
Basta sentire certi giudizi dei Tedeschi della Germania occidentale su
quelli della Germania orientale, e viceversa. Per non parlare degli orrori
visti nei nostri giorni in Cecenia, in Palestina, in Ruanda. Troppi esempi
ci indicano a che cosa l'uomo è disposto se lo si riduce a strumento,
ingannandolo e convincendolo che l'altro, il diverso che voi chiamate
extracomunitario, è la sua minaccia. 2.
"Guerra giusta" Per giustificare le proprie azioni disumane ci si serve di tutto. Ma soprattutto di un termine che forse una volta poteva essere adoperato: la cosiddetta guerra giusta. Ci sono stati dei momenti e delle condizioni nella mia vita in cui sono stato tentato di credere che una guerra può anche essere giusta. Quando un popolo non ha altri modi per liberarsi da una tirannìa. Mi sembrava che nessun tipo di libertà venisse regalata. Essa ha sempre, e per tutti, il suo prezzo. Ed è davvero così. Però, rimane la domanda di fondo: in che modo umano si può e si deve pagare il prezzo? La guerra in BeE è durata troppo a lungo per non dare a ciascuno la possibilità di ragionare profondamente su che cosa fosse servita davvero. Questi ragionamenti mi hanno costretto a concludere che le guerre oggi non possono essere giuste e che, per dirla con quel soldato tedesco morto a Stalingrado, non possono essere giustificate al Cospetto di Dio. Perché? 2.1.
Uccide innocenti La
guerra oggi non è possibile senza la morte di un numero imprevedibile di
innocenti. Le vittime delle guerre di oggi sono coloro che non possono o
non sanno proteggersi, vale a dire i poveri e la gente comune. Essi non
sono le vittime dei regimi contro cui si fanno le guerre, ma sono le
vittime dei liberatori. Sembra assurdo, ma è letteralmente così. Le armi
con cui si fanno le guerre non sono affatto sotto il controllo di coloro
che le usano. Sono sotto il controllo solo prima di essere usate. Le bombe
di oggi, una volta lanciate, producono effetti che coloro che le lanciano
non possono controllare. Con le armi di oggi si distrugge tutto e tutti.
Anche coloro a causa dei quali si dice di farle. Proprio per questo il
Concilio le ha condannate senza riserva, dicendo: Ogni atto di guerra che
indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste
regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa
umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato. (GS,
80) 2.2.
Vincitori ingiusti Le cose
giuste possono essere realizzate solo da uomini giusti! Per fare una
guerra giusta, bisognerebbe avere i soldati cavalieri. Non quelli che
nella guerra si servono dei cavalli, ma quelli che dimenticano che gli
avversari sono gli uomini con la propria dignità. Però, purtroppo i
soldati di oggi non lo sono. Se qualcuno esiste, non viene considerato un
buon soldato. I buoni sono solo quelli che hanno vinto. Ecco perchè nella
guerra tutto deve essere permesso. Chi vince non ha colpa, perché i
vincitori decidono chi deve essere processato. Questo lo dimostrano tutte
le guerre. I Paesi che si ritengono dei modelli di democrazia (USA) si
servono delle minacce per avere la garanzia che i propri soldati non
saranno processati per eventuali crimini commessi in guerra. Questo
atteggiamento, in un certo modo, invita e stimola i soldati a non
osservare le convenzioni sulla guerra, che invece li obbligano. 2.3. La guerra non risolve ma aggrava iproblemi Le
conseguenze negative delle guerre non possono giustificare eventuali
effetti positivi, che comunque risultano essere molto dubbiosi. Se si
potessero misurare i danni spirituali che una guerra accumula nei cuori
umani, penso che tutti gli altri effetti perderebbero di significato. Non
si tratta solo delle terribili sofferenze della generazione che ha fatto o
subìto la guerra. Le loro angosce vengono tramandate alle generazioni
successive per secoli. Sicuramente non meno delle radiazioni dell'uranio
impoverito. In questi giorni in una cittadina della Bosnia orientale un
giovane padre di famiglia ha strangolato la moglie e due suoi bambini, di
quattro e otto anni, e poi si è suicidato. Molti si chiedono i motivi di
questo atto orribile. Nessuno osa costatare che anche lui e la sua
famiglia sono vittime della guerra in cui era soldato. Chi sa cosa ha
visto o fatto, e che in seguito non lo ha più lasciato in pace. Mi
ricordo di aver scritto durante la guerra, che sarà impossibile che le
mani di coloro che uccidono le mogli e i bambini degli altri potranno poi
un giorno accarezzare i propri. Dopo aver fatto certe cose, l'uomo non è
più uomo. Colui che comete i crimini contro la vita non può aver più
fiducia alla vita. Senza la fiducia non è possibile vivere. Ma in genere,
la gente che ha fatto o subìto la guerra, così come viene fatta oggi,
non può rimanere più la stessa. A causa di questo anche i problemi che
la guerra, come si dice, risolve, non sono mai risolti. La libertà
acquistata per mezzo della guerra, non ci fa liberi perché ci toglie la
capacità di goderla. La guerra non toglie solo la vita, ma molto di più:
il senso della vita. E questa morte, non di rado, è la più difficile da
accettare. Questo non l'ho imparato dai libri, ma dalla realtà amara e
dai sentimenti personalmente provati. Conclusione Ci sarebbero ancora mille argomenti per dimostrare l'assurdità della guerra e altrettanti per provare come la non violenza sia l'unica strada degna dell'uomo. La guerra non garantisce mai la maturazione dell'uomo per il Regno di Dio, perché con le guerre è come con tutti gli altri mali: una genera le altre. Rinunciando alla guerra con ogni uomo e con ogni generazione cresce la possibilità di edificare un mondo caratterizzato dall'ordine anziché dal disordine, dal dialogo anziché dalla forza, per dirla con il Papa Giovanni Paolo II. Per noi cristiani la dottrina, ma soprattutto l'esempio di Cristo, va oltre tutte le nostre argomentazioni più o meno ben formulate. Egli, che aveva a disposizione le schiere degli angeli, non ha rinunciato ad essere la vittima. E così è diventato l'unico vero Vincitore. A causa di Lui la violenza e le guerre, essendo contro la natura umana, non hanno più nessuna prospettiva. Egli ci chiama alla libertà e alla cooperazione per il bene di tutti (Messaggio del Papa) perché ha bisogno della nostra cooperazione per farci in dono la vera pace. Ha bisogno del cuore umano perché solo lì si svolge l'incontro tra Dio, donatore della pace, e l'uomo che la riceve. Nel cuore umano viene instaurato il vero ordine morale e mondiale. Non c'è nessuno che, tramite la preghiera e il pensar bene degli altri, non potrebbe diventare operatore di pace. Così ognuno di noi è in grado di diventare partecipe del grande sogno del grande Papa Giovanni XXIII nel ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell'amore, nella libertà (Pacem in terris, V). Qui si apre la vera via al futuro migliore, al futuro dove ognuno potrà avere la fiducia alla vita perché Dio è il garante del futuro e della vita. A
Giovanni Paolo II
Bepi De Marzi Comunicato Stampa In
tanti ci chiedono il significato della bandiera della pace: cittadini,
insegnanti, parroci.
Comunicato
stampa Pax
Christi: le Chiese invitino all’obiezione di coscienza 10
marzo 2003 – 11,05 “Speriamo
di non dover mai pervenire a quel momento che vedrebbe la coscienza e la
fede contrapporsi alle decisioni dei propri governanti.” È il passo
saliente che si ritrova nel documento diffuso questa mattina dalla sezione
italiana di Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace.
E’ un chiaro invito all’obiezione di coscienza. Ancora di più: nel
documento si chiede che l’invito venga rivolto dalle Chiese (nel senso
dei suoi rappresentanti) e che lo destinino ai
militari e ai lavoratori che possono essere implicati in ruolo di
supporto alle operazioni militari. Contatti:
Tonio Dell’Olio 055-2020375 Non
siamo né rassegnati, né pessimisti rispetto alla soluzione della crisi
irachena e vogliamo gridarlo con la fierezza che nasce in noi dalla forza
della speranza. P. Aquilino Bocos Merino, C.M.F. - Superiore Generale RITORNO DELLE TRIBÙ, FETICISMO DELLE ETNIE: NON CURIOSITÀ
FOLKLORISTICHE MA MINACCE PER IL FUTURO IRAQ 14/3/2003 14:20 La mia parrocchia e' tappezzata di bandiere della pace sui
lati esterni che la circondano, ma l'altra sera, primo venerdì di
quaresima (per noi ambrosiani), il mio parroco mi ha chiesto di tenere il
primo quaresimale sulla Pacem in Terris.
Conferenza Episcopale Italiana Papa domenica 16 angelus Il Papa s'appella a Saddam
e all'Onu I CATTOLICI: DOPO LE PAROLE, LE AZIONI "DISOBBEDIENTI" PER FERMARE IL LINGUAGGIO DI GUERRA 31763. ROMA-ADISTA. Contro
la militarizzazione del territorio, contro i treni della morte, sono scesi
in campo, fianco a fianco con i disobbedienti, anche i cattolici, a
cominciare da quelli aderenti alla Rete di Lilliput. In un comunicato
datato 25 febbraio, la Rete (che riunisce associazioni cattoliche e
laiche) afferma di condividere ed appoggiare "gli attuali tentativi
in corso da parte del movimento per la pace tesi ad ostacolare e bloccare
il transito di treni armati sul territorio italiano e invita tutti i
lillipuziani disponibili ad attivarsi e a partecipare, secondo le modalità
integralmente nonviolente utilizzate dalla Rete". La nonviolenza,
bandiera lillipuziana per eccellenza, "include da sempre - afferma il
referente del gruppo "nonviolenza e conflitti" Massimiliano
Pilati - la disobbedienza civile tra le sue pratiche legittime",
per quanto applicabile , secondo la legge di progressione gandhiana,
"soltanto laddove altre tipologie d'azione si siano rivelate
inadeguate e senza successo e l'avversario continui quindi a perseguire i
suoi scopi illegittimi e violenti". È appunto il caso dei treni
della morte: "nonostante le proteste e le straordinarie
manifestazioni di dissenso, la macchina bellica procede ed il nostro
governo continua a collaborare alla predisposizione e all'attuazione della
guerra contro l'Iraq". Ben vengano, dunque, i blocchi, purché
"obiettivi del boicottaggio siano chiaramente soltanto i convogli
militari e non si vada a colpire i cittadini viaggiatori con azioni
confuse ed inutili, totalmente nocive in vista dell'acquisizione di
ulteriore consenso". NO OIL, NO WAR: BOICOTTARE IL PETROLIO. LE CAMPAGNE IN ATTO31764. ROMA-ADISTA. Non è
fatta solo di blocchi dei treni armati l'opposizione alla guerra contro
l'Iraq. Tra le innumerevoli azioni in corso (v. notizia successiva),
grande risalto sta assumendo la campagna contro la Esso, promossa da
Greenpeace, Rete di Lilliput, Bilanci di Giustizia, Centro Nuovo Modello
di Sviluppo e Botteghe del commercio equo e solidale. Sarà infatti
proprio la Exxon, la più grande multinazionale petrolifera del mondo,
proprietaria in Europa del marchio Esso, a fornire il carburante
all'esercito Usa e a tutte le basi Nato (comprese quelle italiane) e a
trarre i profitti più alti dall'eventuale occupazione dell'Iraq (sulle
cui riserve petrolifere, di cui possedeva prima della Guerra del Golfo il
25%, non ha avuto più modo di mettere le mani dal 1991). Proprio la Exxon,
del resto, in occasione delle elezioni presidenziali statunitensi del
2000, aveva contribuito alla campagna elettorale dell'ex petroliere George
W. Bush con oltre un milione di dollari. Ricevendone un'immediata
ricompensa: tra le prime decisioni del nuovo presidente, si erano subito
distinte quelle della mancata ratifica del Protocollo di Kyoto, dell'avvio
dell'estrazione petrolifera anche in aree protette e della rimozione del
presidente del-l'International Panel on Climate Change, che
indicava nell'uso dei combustibili fossili la principale causa dei
cambiamenti climatici. Per tutto questo, la campagna "StopEssowar"
invita i consumatori a non rifornirsi più alla Esso (già sotto
boicottaggio in Gran Bretagna, Usa, Francia, Austria, Germania e
Australia), e a comunicarlo tramite l'invio di una cartolina, che può
essere spedita anche direttamente dal sito www.stopessowar.org.
E intanto in Gran Bretagna 300 attivisti di Greenpeace hanno bloccato la
sede principale della multinazionale a Leatherhead e 112 stazioni di
servizio, rimuovendo il pulsante che permette di effettuare il
rifornimento e spedendolo per posta ai membri del consiglio
d'amministrazione in Texas. CONTRO LA GUERRA, UNA COSTELLAZIONE DI INIZIATIVE31765. ROMA-ADISTA. Mentre
prosegue con enorme successo in tutta Italia la campagna "Pace da
tutti i balconi (www.bandieredipace.org),
volando verso quota 1.500.000 (tante le bandiere arcobaleno acquistate ed
esposte dagli italiani), prende avvio anche la raccolta di firme a
sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare per una rigorosa
attuazione dell'art. 11 della Costituzione e del suo solenne ripudio della
guerra (proposta che è possibile firmare recandosi negli uffici comunali
competenti con un proprio documento; v. numero verde allegato). Ma è
un'offensiva a tutto campo quella condotta contro la guerra in Iraq dal
movimento per la pace: un'offensiva fatta di esposti, come quello
presentato da Giuseppe Sini, direttore del Centro di ricerca per la
pace di Viterbo, alle Procure di Pisa, Vicenza e Roma, contro i
responsabili di detenzione e trasporto nel territorio italiano di
materiale bellico di una potenza straniera "al fine di una
utilizzazione terroristica e stragistica" nella "guerra illegale
e criminale che si va preparando". PACE DA TUTTI GLI AMBONI. MOBILITATE IN TUTTA ITALIA DIOCESI E PARROCCHIE CONTRO LA GUERRA31766. ROMA-ADISTA. La
bandiera della pace "se richiama al valore cristiano della
riconciliazione non dovrebbe essere di parte ma una cosa che riconcilia e
che unisce". Dice così il segretario del Pontificio Consiglio della
Giustizia e della Pace, mons. Giampaolo Crepaldi, che a Bologna, il
22/2, nel corso di un incontro promosso dalla delegazione Ceer (Conferenza
episcopale dell'Emilia-Romagna) sull'attualità della Pacem in terris,
stava parlando dell'attuale crisi internazionale. A quell'incontro era
presente anche mons. Vecchi, vescovo ausiliare di Bologna. E
forse proprio a lui si riferivano le parole di Crepaldi, visto che, solo
qualche giorno prima, Vecchi aveva definito le bandiere arcobaleno
"simboli di una pace di sinistra" (v. Adista n. 17/02),
ribadendo poi in altre successive occasioni la sua convinzione. LA PACE E IL 15 FEBBRAIO: "UNA FORTE DOMANDA DI POLITICA". RASSEGNA DAI SETTIMANALI DIOCESANI31767. ROMA-ADISTA. Un
senso di gioia e insieme di sconfitta quello che pervade gli editoriali
dei numeri più recenti dei settimanali diocesani italiani. La gioia è
quella per l'enorme successo della manifestazione per la pace svoltasi a
Roma il 15 febbraio, e, più in generale, per quello di tutte le
iniziative organizzate a livello locale per scongiurare l'attacco
all'Iraq. La sconfitta invece è determinata dalla consapevolezza che
questo enorme sforzo e la grande adesione popolare non basteranno
probabilmente a fermare la guerra. Chiamati ad essere "sentinelle della pace" "Signore conviviale che sei pace, perdonaci la pace" Signore conviviale, uno e trino, donaci la pace. Convegno
della Arcidiocesi di Milano 16 marzo 2003 Relazione
dell’Arcivescovo Renato R. Martino PREMESSA Sarebbe certamente banale e riduttivo evocare l’enciclica
«Pacem in terris», nel
quarantesimo anniversario della sua promulgazione, solo per trovarvi
un’analogia tra la drammaticità della situazione dei primi anni
Sessanta e quella attuale. Si tratta di un’enciclica che certamente può
fornire importanti indicazioni per un discernimento delle problematiche
sociali, in particolare per valutare la qualità attuale delle relazioni
tra i popoli, che il Santo Padre considera nello stesso «profondo stato
di disordine»[1]
in cui erano ai tempi del Suo Beato Predecessore, del quale egli vuole
usare persino le stesse parole[2],
ma il cui valore, ricchezza e profondità, immutati e riscontrabili ancora
oggi, sono da cercare altrove. Possiamo invitare alla lettura della PT proponendola con
Mons. Franco Biffi come: «Una sinfonia della pace in quattro valori e
quattro movimenti». È questa la descrizione più sintetica ed efficace
sia della struttura del testo (sostanzialmente quattro grandi capitoli),
sia dell’«anima» della dottrina sociale della Chiesa (DSC) che sta nei
quattro grandi valori sui quali essa si fonda e si costruisce: la verità,
la giustizia, l’amore e la libertà. Proprio in virtù di questa
articolazione ed elaborazione la PT può parlare della pace da una
prospettiva e con una ragionevolezza che colgono nel segno la vera natura
non solo della pace, ma anche delle questioni aperte in tema di conflitti
e in relazione alle loro cause. Prima di affermare che è un inno alla pace, è opportuno presentare questa enciclica come un inno
alla persona umana, ai suoi diritti e doveri, alla sua dignità. «La
dignità della persona umana è il fondamento della pace»: è questa
l’affermazione più ricorrente nella PT. Ed è appunto da questa
prospettiva e valenza culturale-antropologica che si sviluppa e si precisa
il valore dell’enciclica e tutta la successiva DSC, della quale la PT
costituisce un momento evolutivo fondamentale ed imprescindibile. Anche di fronte alla situazione internazionale di
quell’apparentemente lontano 1963, che domandava pace (la possiamo
ricordare solo per cenni: la costruzione del muro di Berlino, la guerra
fredda, la crisi cubana…), la risposta dell’enciclica non fu certo
limitata ad un vago appello o ad una sentimentale esortazione alla pace.
Seppe cogliere invece la radice della questione e proporne la soluzione
indicandola nel rispetto della dignità della persona umana. Questo
rispetto consiste nell’attuare, vivere, vivificare nella società i
grandi valori della verità, della giustizia, dell’amore - o carità - e
della libertà. Solo nella ricerca, nell’attuazione e nella condivisione
di questi valori è possibile offrire un futuro dignitoso a tutto l’uomo
e a tutti gli uomini. Solo così è possibile affrontare tutte le
questioni sociali aperte - a partire dal bene comune universale sino alle
tematiche della partecipazione, della democrazia, della divisione dei
poteri - e trovare indicazioni ed elementi di soluzione. Anticipando le conclusioni del Concilio Vaticano II e
operando così la svolta decisiva che imprimerà nuovi dinamismi e
fecondità teologica e culturale (di ciò beneficerà enormemente la DSC),
la PT, nella fedeltà alla Tradizione e alla dottrina cattolica, traduce
quello che fino ad allora era insegnato e difeso come «primato della
Verità», nel primato della persona umana. È la prospettiva che Giovanni Paolo II rilancerà
nella sua enciclica programmatica Redemptor
hominis mediante la felice
espressione: «L’uomo via della Chiesa» (n.14). La Verità di Dio ora
viene proposta ed insegnata soprattutto indicando l’uomo - la persona
umana - la sua centralità, e la sua storicità come luogo e ambito della
salvezza che Dio vuole operare. La portata di questa nuova prospettiva
cristologica ed antropologica produrrà - per offrire soltanto un esempio
- la sostituzione del metodo deduttivo con quello che definisco metodo
del discernimento[3]:
ci si concentra non tanto nell’applicazione dei principi, dai quali
l’agire si ricava per via deduttiva, quanto piuttosto sulla ricerca di
cogliere la presenza efficace di Dio nella storia per comprendere la Sua
volontà ed impegnarsi per la realizzazione del Regno. Si passa appunto
dal dedurre al discernere, significativamente sostenuto dalla prospettiva
teologica, secondo il metodo del «vedere, giudicare, agire» (Lett. enc. ,
217). Non pretendo, con questa mia riflessione, di esaurire
l’ampia gamma di intuizioni, contenuti, riflessioni, giudizi e
valutazioni che la PT offre copiosamente. Cercherò soltanto di effettuare
alcune sottolineature nel testo dell’enciclica per ricavarne preziose
indicazioni, oggi quanto mai attuali ed importanti, per delineare la
posizione della Chiesa sulla pace. Pace
e rispetto dell’ordine voluto da Dio Già le prime parole dell’Introduzione della PT ci
aiutano a scoprire la specificità e la portata del messaggio che
caratterizza tutto il documento: «La Pace in terra… può venire
instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito
da Dio»[4]. La pace è la
realizzazione di questo stesso ordine che corrisponde al disegno di Dio
sul mondo. Immediatamente dopo, esaltando il valore dell’uomo e delle
sue capacità, espresse anche attraverso i progressi della scienza e della
tecnica, il testo ci offre una importante prospettiva affermando: «la
grandezza dell’uomo, che scopre tale ordine e crea gli strumenti idonei
per impadronirsi di quelle forze [quelle che compongono l’universo] e
volgerle al suo servizio»[5].Abbiamo qui due
direttrici di riflessione di grande importanza per comprendere la
posizione della Chiesa sulla pace. La prima prende avvio dal riferimento veritativo al quale
si àncora la riflessione teologica sulla Creazione: c’è un ordine,
c’è un ordine voluto da Dio, c’è un progetto divino che si rivela
nella natura del mondo. Pace significa allora comprendere questo progetto,
questo disegno, rispettarlo e realizzarlo. Non meno importante la seconda direttrice: il concetto di
pace, ossia di ordine desiderato e proposto da Dio, è connotato dalla
dinamicità. L’uomo, dotato di intelligenza, capace di gestire il creato
e le sue risorse, è chiamato a scoprire, a cercare e a comprendere questo
progetto. Potremmo dire che è questa la vocazione dell’uomo, in quanto
essere razionale, chiamato, quando si esprime a livello sociale, a
realizzare se stesso mentre riconosce progressivamente questo ordine e
progetta in vari modi di perfezionarlo, rispettandolo nella sua natura
intima e ultima. Tra pace e compimento umano c’è dunque un legame
intrinseco sia per quanto riguarda l’obiettivo essenziale dello sforzo
umano, che è produrre la pace ossia sviluppo autentico, sia per quanto
riguarda la dimensione esistenziale umana, nella quale produrre la pace
ossia sviluppo autentico significa rispondere all’autentica vocazione
della persona umana. In questa prospettiva risulta chiaro il significato della
posizione della Chiesa, che non è pacifista, ma pacificatrice. È questo
il senso e il valore delle parole che Giovanni Paolo II ha pronunciato in
questo frangente storico, parole che si elevano ben al di sopra degli
slogan di un certo pacifismo o a quelli del movimento contrario, entrambi
seriamente a rischio di deriva ideologica e di unilateralismi. Pace non è assenza di guerra; non è nemmeno essere contro
qualcuno che vuole la guerra; non è in nessun caso difesa preventiva,
perché mai si devono colpire presunti o veri nemici prima di essere
colpiti. La pace è il risultato di una ricerca, di un darsi da fare, di
un mettersi all’opera per comprendere chi siamo realmente, qual è il
nostro vero bene, nella consapevolezza, che da sempre proviene dal
Magistero della Chiesa, del fatto che l’uomo è capace di bene ed è
stato messo in grado di giungere alla Verità, seppure nella contingenza
della storia. Questa consapevolezza ha un grande valore se pensiamo
all’attuale dibattito tra mondo cattolico e mondo laico a proposito di
etica. Come spesso è accaduto, anche oggi si chiede ai cattolici
impegnati nella cultura e in ambito politico di deporre i propri
convincimenti religiosi per impegnarsi più efficacemente - secondo una
presunta laicità - nel dibattito sociale. Anche oggi i cattolici sono
accusati di voler imporre i propri principi etici alla società, di una
sorta di fondamentalismo religioso (questo peccato di ingerenza è stato
spesso attribuito anche al Santo Padre, come se al Papa non fosse
concesso, come a tutti, di esprimere il proprio pensiero) e di non
condividere con gli altri un luogo in cui la verità deve rimanere
assente, perché affermarla significherebbe minare alla radice il
pluralismo e il diritto di cittadinanza delle singole opzioni: la condicio
sine qua non affinché tutti possano portare la loro verità è che nulla
sia vero[6]. La Verità che la
Chiesa porta, invece, è la Verità di Cristo. È una Verità che non
chiede di essere imposta, ma che si offre, ricca di duemila anni di
storia, di sofferenza, di carità… e di studio. La Chiesa desidera
testimoniare Cristo offrendo un aiuto, un contributo, un servizio e la
propria ragionevolezza nel proporre, senza alcuna imposizione, valori e
criteri per il bene dell’uomo. Lo spirito di servizio con cui la Chiesa
realizza tali interventi è stato presentato da Paolo VI nel Discorso che
fece all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1965: la Chiesa
“non ha alcuna potenza temporale, né alcuna ambizione di competere con
voi; non abbiamo infatti alcuna cosa da chiedere, nessuna questione da
sollevare; se mai un desiderio da esprimere e un permesso da chiedere,
quello di potervi servire,…con disinteresse, con umiltà e amore”[7]. Il dinamismo, la progressività della ricerca della pace,
che ho sottolineato poc’anzi, sono i tratti essenziali del contributo,
prezioso, che la Chiesa può offrire all’umanità: si tratta di cercare
insieme e costruire insieme la pace, nel qui ed ora della contingenza, una
pace che risponda pienamente alle esigenze richieste dal rispetto della
dignità di tutto l’uomo e di ogni uomo. Solo da un tale rispetto, reso
efficace, pratico e praticabile possono derivare esiti benefici per
l’uomo e per i popoli. Tutto ciò è ribadito e ulteriormente chiarito
nella PT. Da questa enciclica proviene l’insegnamento che la «convivenza
umana deve essere considerata anzitutto come un fatto spirituale»[8]
perché l’ordine tra gli esseri umani nella convivenza «è di natura
morale»[9]. Ciò
significa che le soluzioni ai problemi relativi alla convivenza non si
possono trovare negli accorgimenti di tecnica politica e non. Solo se
l’uomo cerca il progetto divino di pace – anzi, proprio nel
riconoscere che c’è in lui questa vocazione alla pace, e che è
necessario comprenderla - può realizzare se stesso. Tutto ciò richiede,
oltre all’intelligenza, la sensibilità personale, la parte migliore di
ciascuna persona, ossia la capacità di dono, di amore, di buona volontà. La
pace e i valori della convivenza umana Un ulteriore arricchimento alla posizione della Chiesa
sulla pace ci viene dall’indicazione della PT dei quattro valori che
stanno a fondamento della convivenza umana: verità, giustizia, carità (o
amore) e libertà. Il Santo Padre Giovanni Paolo II li ha riproposti nel
Suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno,
fornendo per ciascuno di essi una puntuale definizione che risulta
utilissima per comprendere il significato della proposta cristiana sul
tema della pace: "La verità sarà fondamento della pace, se ogni
individuo con onestà prenderà coscienza, oltre che dei propri diritti,
anche dei propri doveri verso gli altri. La giustizia edificherà la pace,
se ciascuno concretamente rispetterà i diritti altrui e si sforzerà di
adempiere pienamente i propri doveri verso gli altri. L'amore sarà
fermento di pace, se la gente sentirà i bisogni degli altri come propri e
condividerà con gli altri ciò che possiede, a cominciare dai valori
dello spirito. La libertà infine alimenterà la pace e la farà
fruttificare se, nella scelta dei mezzi per raggiungerla, gli individui
seguiranno la ragione e si assumeranno con coraggio la responsabilità
delle proprie azioni" (n. 3). Tali valori non devono essere disgiunti e non possono
essere compresi e tanto meno vissuti separatamente, ossia non può esserci
verità senza giustizia, carità e libertà. Ritengo sia opportuno
soffermarmi brevemente sul significato di questi valori, di queste quattro
parole: «verità», «giustizia», «carità», «libertà», che al
giorno d’oggi, in qualche modo, non hanno più un significato pienamente
condiviso per l’uso e più spesso l’abuso così frequente da far
perdere ad essi rilevanza e forza comunicativa. Oltre la verità, , che ho appena considerato, abbiamo
dunque la giustizia. Con il termine giustizia non si intende
l’obbedienza ad una norma o il semplice rispetto di un diritto: si vuole
altresì indicare che ogni azione è eticamente rilevante in positivo
quando è volta alla realizzazione della persona ossia all’attuazione
della sua verità. Giustizia è allora un insieme di condizioni che
permettono di realizzare appieno l’umanità personale in ogni dimensione[10].
Alla giustizia, così intesa, si accompagna la carità, che
non è l’occasionale beneficenza quanto il porsi responsabilmente di
fronte all’altro per aiutarlo a realizzare la sua umanità. Essa è
definita dalla PT come «operante solidarietà» (n. 54). Non tanto
allora, come dirà più tardi Giovanni Paolo II, «un sentimento di vaga
compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone,
vicine o lontane»[11], quanto piuttosto
l’esito a livello comportamentale di una mentalità formata, temprata e
voluta. La carità cristiana è la solidarietà che sa rivestire le
dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e
della riconciliazione[12].
L’ultimo valore proposto è la libertà. Anche in questo
caso occorre superare la definizione corrente o più usata, quella che
riduce questo valore al semplice libero arbitrio. Senza porre certamente
in discussione la capacità e possibilità di scelta individuali, alla
parola libertà si dovrà altresì collegare il dovere di perseguire il
bene, ossia la capacità che l’uomo ha di comprendere la verità, di
perseguirla, di sceglierla: questa è la risposta che la persona umana è
chiamata a dare alla vita e agli altri uomini. Sotto questo profilo si può ben cogliere l’attualità e
l’enorme valenza educativa che da questa concezione di libertà si
ricava in tema di corrispondenza e di reciprocità tra diritti e doveri.
La nostra cultura, impregnata di individualismo, nella quale la giusta
emancipazione di tanti soggetti e la stessa partecipazione alla vita
sociale e alle risorse hanno alla fine ottenuto riconoscimento e
diffusione, ha finito per dare luogo e spazio ad una forma di arroganza,
capace di chiedere solo diritti senza riconoscere i propri doveri. La
consapevolezza della loro corrispondenza e reciprocità induce, invece, a
riaffermare con fermezza la necessità, da parte di ciascuno, di assumersi
le proprie responsabilità, senza cercare scusanti nelle fin troppo facili
giustificazioni che derivano dalla ormai consolidata mentalità. Avere un
diritto significa avere un corrispondente dovere, ovvero una responsabilità.
Se ho il diritto al lavoro ho anche il dovere di lavorare. Se ho il
diritto all’assistenza ho anche il dovere di contribuire ad essa,
secondo il mio ruolo e la mia posizione nella società. Reciprocità e
corrispondenza dei diritti e dei doveri allargano gli orizzonti, ci fanno
sentire partecipi e collaboratori, co-protagonisti della continua
costruzione del mondo. Il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace
2003 sottolinea questa fondamentale necessità di collegamento tra diritti
e doveri: i doveri – spiega il Santo Padre - sono l’ambito entro il
quale i diritti non scadono nel libero arbitrio: «Un’osservazione deve
ancora essere fatta: la comunità internazionale, che dal 1948 possiede
una carta dei diritti della persona umana, ha per lo più trascurato
d’insistere adeguatamente sui doveri che ne derivano. In realtà, è il
dovere che stabilisce l’ambito entro il quale i diritti devono
contenersi per non trasformarsi nell’esercizio dell’arbitrio. Una più
grande consapevolezza dei doveri umani universali sarebbe di grande
beneficio alla causa della pace, perché le fornirebbe la base morale del
riconoscimento condiviso di un ordine delle cose che non dipende dalla
volontà di un individuo o di un gruppo»[13]. Pace
e bene comune internazionale Tenendo come obiettivi di fondo la centralità della
persona umana e la necessità di provvedere al suo autentico sviluppo,
Giovanni XXIII si rese conto, con lungimiranza e concretezza, che di
fronte a problemi internazionali occorre elaborare proposte di soluzione
di eguale ampiezza e dimensioni. L’ideale della pace, infatti, è
trattato nell’enciclica «Pacem in terris» in tutta l’accezione
positiva che gli proviene dagli approcci biblici e teologici, ma ciò non
significa che la riflessione del beato Giovanni XXIII faccia astrazione
dal problema delle mediazioni istituzionali e delle trasformazioni
politiche e giuridiche che si impongono affinché quell’ideale possa
trovare un’efficace trascrizione storica. L’enciclica, infatti,
argomenta razionalmente e politicamente sulla necessità della pace, con
analisi e riflessioni sullo spreco delle risorse impiegate nella corsa
agli armamenti; sulla giustizia sociale in una prospettiva mondiale;
sull’interdipendenza dei popoli; sui rapporti di sfruttamento tra Nord e
Sud del mondo; sulla necessità di rafforzare le Nazioni Unite; sul
diritto dei popoli all’indipendenza. Da questa enciclica proviene anche
un incoraggiamento alla responsabilità politica di ampio respiro,
sostenuta dalla consapevolezza che la pace non è un sogno irrealizzabile,
ma una possibilità oggettiva iscritta nel processo storico. In questa
prospettiva desidero richiamare la vostra attenzione su due aspetti
qualificanti la posizione della Chiesa sulla pace: il disarmo e la
necessità di adeguati poteri pubblici mondiali. a) Disarmo. La «Pacem in terris» lancia un monito,
drammaticamente attuale anche nello scenario internazionale contemporaneo,
circa la priorità che deve essere assegnata al disarmo integrale, non
solo sul piano delle politiche relative agli armamenti, ma anzitutto a
livello culturale: si tratta di smontare «anche gli spiriti, adoprandosi
sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a
sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli
armamenti si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire
soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un
obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla
retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità»[14]. Di fronte al rischio di una guerra nucleare, della
distruzione assoluta, l’enciclica sostiene che nella nostra epoca, che
si vanta di essere l’era atomica, è alieno dalla ragione considerare
ancora la guerra come mezzo idoneo a restaurare i diritti violati[15]. L’enciclica segna,
in tal modo, una discontinuità forte e innovativa rispetto alle
riflessioni precedenti, dovuta ad una lucida e compiuta consapevolezza
della novità della «rivoluzione nucleare». Giovanni XXIII si rende
conto del fatto che l’equilibrio del terrore non può corrispondere
all’ “insegnamento plurisecolare della Chiesa sulla pace intesa come
«tranquillitas ordinis» - «tranquillità dell’ordine», secondo la
definizione di Sant’Agostino” [16]
e prende posizione a favore del disarmo integrale: è proprio il carattere
qualitativamente nuovo della guerra nucleare, con le sue prospettive di
sterminio globale, di autodistruzione del genere umano, a rendere
inaccettabili il ricorso alla guerra e la stessa possibilità di
continuare a considerarla nei termini di extrema ratio. b) Poteri pubblici mondiali. Già quarant’anni fa, con
lucidità e chiara preveggenza, la PT, a fronte dell’inadeguatezza degli
Stati nazionali a realizzare il bene comune universale, propose la
costituzione di poteri pubblici mondiali mediante un processo democratico,
sulla base dei principi di solidarietà e di sussidiarietà. Tale urgenza
si è fatta più pressante nell’odierno contesto di globalizzazione, in
cui l’autorità degli Stati nazionali appare ancora più fragile, mentre
le esigenze del bene comune universale diventano più impellenti. Pur riconoscendo il notevole progresso compiuto, nei
quarant’anni trascorsi dalla pubblicazione della PT, verso la
realizzazione della nobile visione di Giovanni XXIII, non sembra meno
critico, nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1°
gennaio 2003), Giovanni Paolo II. Egli scrive: «Non solo la visione
precorritrice di Papa Giovanni XXIII, la prospettiva cioè di un’autorità
pubblica internazionale a servizio dei diritti umani, della libertà e
della pace, non si è ancora interamente realizzata, ma si deve
registrare, purtroppo, la non infrequente esitazione della comunità
internazionale nel dovere di rispettare e applicare i diritti umani».
Poco più avanti aggiunge: “Allo stesso tempo, siamo testimoni
dell’affermarsi di una preoccupante forbice tra una serie di nuovi «diritti»
promossi nelle società tecnologicamente avanzate e diritti umani
elementari che tuttora non vengono soddisfatti soprattutto in situazioni
di sottosviluppo: penso, ad esempio, al diritto al cibo, all’acqua
potabile, alla casa, all’auto-determinazione e all’indipendenza”[17]. Nell’enucleazione di una figura dei poteri pubblici
mondiali sarà quanto mai indispensabile seguire le preziosissime
indicazioni offerte dalla PT. Tra queste è di particolare importanza la
correlazione tra i contenuti storici del bene comune universale e la
configurazione e il funzionamento dei poteri pubblici mondiali. Tale
questione è morale prima che strutturale. E al centro devono essere posti
la famiglia umana e il bene comune universale a cui essa tende, entrambi
considerati in concreto. Il valore del bene comune universale, nella prospettiva
indicata da Giovanni XXIII, deve essere il criterio ispiratore della
creatività progettuale e della configurazione più pertinente dei poteri
pubblici mondiali: criterio non platonico, ma unico e complesso insieme,
come unica, complessa e storicamente connotata è la famiglia umana. «L’ordine
morale… - recita la PT - come esige l’autorità pubblica nella
convivenza per l’attuazione del bene comune, di conseguenza esige pure
che l’autorità a tale scopo sia efficiente. Ciò postula che gli organi
nei quali l’autorità prende corpo, diviene operante e persegue il suo
fine, siano strutturali e agiscano in maniera da essere idonei a tradurre
nella realtà i contenuti nuovi che il bene comune viene assumendo
nell’evolversi storico della convivenza» (n. 71). Diventa urgente, allora, determinare i contenuti del bene
comune universale odierno. Guardando ad essi, è possibile intravedere
quale possa essere la rete di poteri e di funzioni di cui ha bisogno il
mondo. A questo riguardo vi propongo una pagina drammatica del documento
del Santo Padre Giovanni Paolo II per il dopo Giubileo : «È possibile
che, nel nostro tempo, ci sia ancora chi muore di fame? chi resta
condannato all’analfabetismo? chi manca delle cure mediche più
elementari? chi non ha una casa in cui ripararsi? Lo scenario della povertà
può allargarsi indefinitamente, se aggiungiamo alle vecchie le nuove
povertà, che investono spesso anche gli ambienti e le categorie non prive
di risorse economiche, ma esposte alla disperazione del non senso,
all’insidia della droga, all’abbandono nell’età avanzata o nella
malattia, all’emarginazione o alla discriminazione sociale. [...] E come
poi tenerci in disparte di fronte alle prospettive di un dissesto
ecologico, che rende inospitali e nemiche dell’uomo vaste aree del
pianeta? O rispetto ai problemi della pace, spesso minacciata con
l’incubo di guerre catastrofiche? O di fronte al vilipendio dei diritti
umani fondamentali di tante persone, specialmente dei bambini?»[18].
Considerando l’obbligatorietà etica e la dimensione storica di tali
contenuti, si dovrebbe coerentemente operare la scelta di mezzi adeguati,
ossia istituzioni e risorse finanziarie, ma soprattutto l’impegno morale
ed educativo, comunitario ed universale. La realizzazione della pace non
può prescindere, inoltre, dalla questione della tutela e della promozione
della dignità e dei diritti di ogni uomo, connotate storicamente. Nel contesto internazionale, gli Stati sono chiamati a
ripensare e a ridefinire l’autorità da esercitare. A livello locale
essa non viene assolutamente meno, specie rispetto ad alcune funzioni,
perché i cittadini del mondo, pur godendo oggi di maggiore mobilità,
sono esseri corporei, solidali con l’ambiente e con il territorio[19]. In questa
prospettiva, tuttavia, riconoscendo la dipendenza dell’autorità
dall’ordine morale, che si esprime concretamente mediante le esigenze
storiche del bene comune universale, sarà possibile rinunciare ad una
concezione ideologica della sovranità. È da considerare, piuttosto, come
una realtà al servizio del bene comune universale e indispensabile per la
sua realizzazione, a livello locale e mondiale. La sovranità, rispetto
all’attuale assetto, può essere ridistribuita tra Stati nazionali ed
eventuali entità politiche regionali o mondiali, a seconda delle necessità
storiche e secondo procedure democratiche. Le Nazioni possono rinunciare
liberamente all’esercizio di alcune prerogative e affidarlo ad una
sovranità superiore, in vista del bene umano universale. In considerazione di tutto questo e in ragione della difesa
e della promozione del bene comune, che è universale e particolare
insieme, una sovranità superiore può intervenire – secondo i principi
della giustizia, della solidarietà e della sussidiarietà – nell’area
di una sovranità che si esplica su un piano inferiore. Quando una
sovranità nazionale, con gravi atti, come nel caso dell’eliminazione di
interi gruppi etnici, religiosi o linguistici, va contro il bene fisico,
morale, culturale e religioso delle popolazioni sottoposte alla propria
giurisdizione, compie dei crimini contro l’umanità e contro Dio. Ciò
autorizza altre autorità, specie quelle superiori, qualora esistano,
all’intervento in favore dei gruppi oppressi, sulla base di regole
internazionali comuni e certe. Gli argomenti della sovranità nazionale e
della non ingerenza non possono essere addotti come pretesto per impedire
l’intervento in difesa delle parti aggredite[20]. Pace
e impegno sociale dei cattolici Dalla PT viene un forte e pressante richiamo pastorale: la
pace ha bisogno di un convinto e generoso impegno dei cristiani nella
società, soprattutto dei fedeli laici. Tale richiamo è stato per certi
aspetti recentemente ribadito dalla Nota dottrinale «Circa alcune
questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella
vita politica», rivolta agli stessi cattolici dalla Congregazione per la
Dottrina della Fede, promulgata lo scorso 16 gennaio (con data del 24
novembre 2002, Solennità di Cristo Re). Nella PT troviamo soprattutto l’invito a partecipare alla
vita politica, il richiamo alla prudenza e alla gradualità e la
sollecitazione a coltivare la spiritualità. a) Per quanto riguarda il tema della partecipazione, la PT
valorizza la fondazione teologica dell’impegno politico: i cattolici
sono chiamati all’impegno nella vita pubblica per collaborare alla
realizzazione del bene comune ossia ad impegnarsi nelle istituzioni
affinché esse provvedano alla realizzazione (o perfezionamento) integrale
delle persone. Non si tratta dunque di un impegno soltanto gestionale, ma
prima ancora di un impegno culturale, da svolgere con un preciso
riferimento all’«ordine soprannaturale» (PT n. 76). L’impegno politico è per i laici un impegno che non va
mai disgiunto dalla loro esperienza e vita di fede. Il richiamo della
Chiesa non è, infatti, un generico invito ad elargire la propria
generosità di tempo ed energie in una sorta di estemporaneo volontariato.
La Chiesa, attraverso questo impegno dei laici, svolge anche la sua
missione; essa, con l’assistenza dello Spirito Santo, sa discernere il
giusto rapporto e dare concretezza alla reciprocità tra evangelizzazione
e promozione umana. Di conseguenza, questo impegno, come sostiene la PT e
la stessa Nota dottrinale sopra citata, chiede non solo buona volontà, ma
anche competenze tecniche e professionali, unitamente a cospicue risorse
spirituali. In questa prospettiva, la PT indica la necessità di una
formazione integrale, completa (n. 77-80), affinché l’azione sia
vissuta dai cristiani nella loro interiorità come «sintesi di elementi
scientifico-tecnico-professionali e di valori spirituali» (n. 78). E non
è forse questo il rimedio proposto alla frattura tra la fede professata e
la vita quotidiana che soltanto tre anni più tardi i Padri Conciliari
stigmatizzarono come uno «tra i più gravi errori del nostro tempo»[21]?
Non è questo il seme che germoglierà successivamente, in sede
conciliare, quando si affermerà (anche la menzionata Nota torna a
ribadirlo) che l’esperienza cristiana - e segnatamente la fede, la
speranza e la carità - per chi è impegnato nel sociale, cresce
nell’impegno civile? L’appello ad una formazione integrale, ad una
formazione che sostenga i credenti ad alimentare la propria fede da vivere
nel concreto del lavoro quotidiano e delle problematiche e vicissitudini
dell’esistenza, purtroppo cade spesso nel vuoto o comunque non sa sempre
trovare adeguate forme di realizzazione. b) L’impegno sociale e politico dei cattolici deve tener
conto inoltre dell’appello alla prudenza e alla gradualità (PT 85-86),
così come si evince anche dalla Nota della Congregazione per la Dottrina
della Fede (per richiamare solo il documento più recente). Tale appello
non invita certo ad assumere un atteggiamento ozioso e lassista sia sotto
il profilo operativo, sia sotto quello etico-dottrinale. Si tratta di
operare secondo una legge di gradualità, ma non operando una gradualità
della legge. La fermezza che accompagna la difesa e la promozione dei
valori cristiani si deve unire alla pazienza, al sacrificio,
all’instancabilità del procedere in un lavoro culturale, di dialogo e
di confronto, lento ma che, non per questo, si lascia raffreddare nella
speranza, anzi sa gioire anche di piccoli ma significativi successi. Si
tratta infatti di imparare uno stile dinamico, di costante e aggiornato
discernimento, per poter realizzare, nel qui e ora, il miglior bene
possibile. c) L’impegno sociale e politico, l’impegno per la pace
ha bisogno di uomini e di donne rinnovati dall’azione dello Spirito. Non
si deve credere che la vita spirituale, alimentata soprattutto dalla fede
religiosa, sia lontana o addirittura contraria all’impegno concreto per
la pace. Essa, in realtà, alimenta i gesti di pace, proprio perché si
alimenta dell’amore di Dio. Le situazioni cosiddette concrete non sono
mai solo concrete. Esse sono il teatro di un impegno personale che ha
bisogno di essere alimentato da una vita spirituale incentrata su Dio. La
spiritualità cristiana è così forza primaria di conoscenza del concreto
ed elemento di primo piano per la stessa soluzione di molti problemi
complessi. Il papa Giovanni XXIII, nell’enciclica Mater et magistra
ricordava infatti che “Qualora si garantisca nelle attività e nelle
istituzioni temporali l’apertura ai valori spirituali e ai fini
soprannaturali, si rafforza in esse l’efficienza rispetto ai loro fini
specifici ed immediati”. Questa osservazione vale anche per la pace.
Ecco perché nella visione del Santo Padre Giovanni Paolo II le religioni
hanno una importanza fondamentale e, possiamo dire, un ruolo pubblico di
primaria importanza nella costruzione della pace. Esse lo possono tanto più
adeguatamente svolgere, quanto più si concentrano su quanto è loro
proprio: lo sguardo rivolto a Dio e la costruzione di una spiritualità di
pace. L’incontro di preghiera per tutte le religioni che il Santo Padre
ha promosso il 24 gennaio 2002 ad Assisi aveva questo significato. Lo
stesso significato hanno avuto la Giornata di digiuno celebrata il primo
giorno di Quaresima il 5 marzo scorso e lo stesso l’insistente invito
del papa alla preghiera del Rosario nell’anno dedicato al Rosarium
Virginis Mariae. Conclusione
Il «compito immenso» affidato agli uomini di buona volontà
dalla PT, nel capitolo conclusivo, è quello di «ricomporre i rapporti
della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella
libertà» (n. 87). Ricomporre: ossia «ancora una volta mettere insieme».
Il richiamo etimologico è quanto mai suggestivo. «sun ballon», ossia
simbolo, termine che rimanda a sacramento, e dolorosamente, al suo
opposto, «dia-ballon», diavolo, colui che divide. Questo sforzo di
ricomposizione attraverso la mediazione culturale, il dialogo e il
confronto aperto, è da vivere come un modo di essere e fare sacramento,
ossia incarnare qui e ora Cristo, vivente ed operante nella Chiesa, è
cercare di esprimere il Suo amore e la Sua Carità. Vogliamo allora celebrare il quarantennale di questa
importante Enciclica desiderando rinnovare la nostra coscienza del dovere
che ci compete in quanto cristiani di fare della nostra vita un
sacramento: la nostra vita deve diventare strumento e segno efficace della
grazia di Dio. Il nostro impegno per la pace, ossia per la realizzazione
di tutto l’uomo e di tutti gli uomini - «pace», l’ebraico «shalom»,
significa «completezza» - il nostro impegno per il rispetto della dignità
umana che si esprime nel rispetto dei diritti e dei doveri, hanno una
fondazione teologica e spirituale che deve essere riscoperta e
valorizzata, così da diventare alimento spirituale capace di rinnovare le
nostre persone nel segno evangelico della giustizia e della pace.
[1] Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, n. 2. [2] Cfr. PT 3 [3] Cfr. Congregazione per l’Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 30 dicembre 1988, n. 8. [4] PT, 1 [5] Id. [6] G. Rusconi, Come se Dio non ci fosse, Einaudi, Torino 2001. [7] Paolo VI, Discorso all’ONU, 4 ottobre 1965, introd. [8] PT 19 (edizioni EP) [9] PT 20 (edizioni EP) [10] Cfr. sul tema della giustizia: GIOVANNI PAOLO II, Dives in misericordia, nn. 4-5,7-9,12,14. [11] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Sollicitudo rei socialis, n. 38. [12] Cfr. Ivi,n. 40. [13] Pacem in terris: un impegno permanente. Messaggio di Sua Santità Giovanni Paolo II per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace – 1° gennaio 2003, n. 5, Supplemento a “L’Osservatore Romano” del 18 dicembre 2002, p. III. [14] Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, n. 61. [15] Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, nn. 59-63. [16] Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2003, n. 6. [17] Giovanni Paolo II, Pacem in terris: un impegno permanente, n. 5. [18] Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 50-51: AAS 93 (2001) 303-304. [19] «I poteri pubblici della comunità mondiale – scrive Giovanni XXIII nella PT – non hanno lo scopo di limitare la sfera di azione ai poteri pubblici nelle singole comunità politiche e tanto meno di sostituirsi ad essi; hanno invece lo scopo di contribuire alla creazione, su un piano mondiale, di un ambiente nel quale i poteri pubblici delle singole comunità politiche, i rispettivi cittadini e i corpi intermedi possano svolgere i loro compiti, adempiere i loro doveri, esercitare i loro diritti con maggiore sicurezza» (n. 74). [20] Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (16 gennaio 1993) n. 13, in Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Giovanni Paolo II e la famiglia dei popoli. Il Santo Padre al Corpo Diplomatico (1978-2002). Introduzione di S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi, Città del Vaticano 2002, pp. 232-233. [21] Cfr. Cost. past. Gaudium et spes, 43. Chiamati
ad essere sentinelle della pace Intervento del
Cardinale Dionigi Tettamanzi
Arcivescovo di Milano 1.
Siamo alle conclusioni: conclusioni che in realtà sono un appello a ricominciare un
cammino di
pace. È un cammino già certamente in atto nelle nostre comunità
cristiane, ma che esige di essere reso più ampio e capillare, più
condiviso e deciso. Questo
cammino può essere rilanciato oggi nella nostra Chiesa ambrosiana da
alcune parole, semplici e significative. I
– La parola della gratitudine 2.
La prima parola è quella della
gratitudine. La
rivolgiamo, anzitutto, a Dio. Sì,
è lui, il Signore, che ha ispirato e guidato questo nostro Convegno! La
parola della gratitudine è per
tutti e per ciascuno di voi, che siete venuti a questo Convegno e che
ora ritornate alle vostre comunità e realtà ecclesiali per essere,
ancora più responsabilmente, araldi e testimoni operosi del “Vangelo
della pace” e intelligenti protagonisti di una continua educazione
personale e comunitaria alla pace. 3.
In modo del tutto particolare, il nostro grazie è per il papa Giovanni Paolo
II. Lo ringraziamo per la costanza, la creatività e la tenacia con
cui – lungo tutto il suo pontificato e, soprattutto, nei momenti di più
forte apprensione come gli attuali – ha fatto sentire la sua voce,
innalzato la sua preghiera, messo in atto iniziative concrete e coraggiose
a favore della pace. Se oggi siamo qui lo dobbiamo al suo invito di fare
del quarantesimo anniversario della Pacem
in terris «un’occasione quanto mai opportuna per fare tesoro
dell’insegnamento profetico di Papa Giovanni XXIII», come ha scritto
nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno (n.
10). In
realtà, è tutto qui il senso del nostro Convegno, che abbiamo voluto per
essere aiutati «a conoscere, in modo corretto e senza smagliature o
unilateralismi, la posizione della Chiesa sulla pace» e, dunque, come «un
momento serio di riflessione e di conoscenza della dottrina della Chiesa e
delle sue concrete implicazioni» (Messaggio
alla Diocesi, 11 febbraio 2003). II
– La parola della responsabilità 4.
Dopo la gratitudine, la seconda parola
è quella della responsabilità,
ossia dell’invito rinnovato e fortificato ad assumere i nostri compiti
personali e comunitari, nella Chiesa e nella società. Ed
è ancora il Papa a rivolgerci in modo sintetico, semplice, stimolante ed
entusiasmante la parola della responsabilità. È una parola che ha
rivolto al mondo intero lo scorso 23 febbraio, prima dell’Angelus domenicale. Dopo aver richiamato l’attenzione di tutti sul
periodo di «grande apprensione» che stiamo vivendo «per il pericolo di una guerra, che potrebbe turbare l’intera regione del
Medio Oriente e aggravare le tensioni purtroppo già presenti in
quest’inizio del terzo millennio»; dopo aver affermato con forza che
«è doveroso per i credenti, a qualunque religione appartengano,
proclamare che mai potremo essere felici gli
uni contro gli altri; mai il futuro dell'umanità potrà essere
assicurato dal terrorismo e dalla logica della guerra»; e prima di indire
per il 5 marzo una giornata di preghiera e di digiuno per la causa della
pace, il Papa ha così dichiarato: «Noi cristiani,
in particolare, siamo chiamati ad essere come delle sentinelle
della pace, nei luoghi in cui viviamo e lavoriamo. Ci è chiesto, cioè,
di vigilare, affinché le
coscienze non cedano alla tentazione dell'egoismo, della menzogna e della
violenza» (n. 1). 5.
“Sentinelle della pace”! Sì,
carissimi, è questo il “distintivo”
che ci deve caratterizzare; è questo l’impegno
che ci è chiesto di assumere; è questa la responsabilità
che ci viene affidata e di cui dobbiamo rendere conto; è questo il contributo
che ciascuno di noi può offrire alla causa della pace, animato dalla
speranza che la pace dipende anche da noi, da ciascuno di noi, e non solo
dai responsabili dei popoli e delle nazioni. Siamo,
dunque, tutti chiamati ad essere “sentinelle della pace”. Come tale,
la sentinella rimane sempre desta, vigile, attenta a scrutare
l’orizzonte e a cogliere immediatamente ogni segnale per mettere in
guardia di fronte ai pericoli e per prendere, in tempo reale, le decisioni
necessarie. In ordine alla salvaguardia del grande bene della pace, il suo
compito – come dice il Papa – consiste appunto nel «vigilare,
affinché le coscienze non cedano alla tentazione dell’egoismo, della
menzogna e della violenza». Un
rinnovato decisivo rimando alla coscienza 6.
Siamo così rimandati, ancora una volta, alla grande realtà della
coscienza. Sì, la parola
della responsabilità passa attraverso la coscienza, non può passare
che attraverso la coscienza! E per la verità non c’è un rimando
superiore a quello della coscienza, perché è quanto di più decisivo e
di più fondamentale possa esistere. Con tale rimando raggiungiamo il
cuore di ogni persona, ciò che essa ha di più sacro e che, nello stesso
tempo, determina ogni sua scelta e ogni sua azione e, in tal modo,
concorre a configurare nella concretezza la convivenza sociale.
Quest’ultima, infatti, quand’anche fosse pesantemente condizionata da
alcune strutture e situazioni, non è mai il frutto di determinismi
intoccabili, ma dipende sempre, e in larga parte, dalla libertà delle
persone che quelle stesse strutture e condizioni hanno contribuito a
realizzare. Sento
di dover insistere, come ho già fatto in diverse occasioni in questi
mesi, sulla coscienza. Questa è una realtà “universale”, che
riguarda tutti e tutti interpella. Nello stesso tempo, è una realtà
“personale”, personalissima, perché chiama in causa ciascuno
singolarmente e nella sua unicità e irripetibilità. Essa è pure, e
inscindibilmente, una realtà “etica”, in quanto attiene ai valori e
li indica; è anzi una realtà “religiosa”, perché ultimamente
rimanda al disegno di Dio, da lui stesso iscritto nella “natura”
dell’uomo e nella realtà del mondo. 7.
È molto interessante rilevare come a questa stessa realtà della
coscienza rimandi proprio l’enciclica Pacem
in terris, fin dalle sue prime battute. Secondo Giovanni XXIII,
infatti, «la pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti
i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto
dell’ordine stabilito da Dio» (n. 1). Ora di questo “ordine stabilito
da Dio”, ossia dell’ordine morale, ogni uomo è capace di trovare le
tracce dentro di sé e, quindi, di riconoscerle e di seguirle. In quanto
tale – scrive ancora Papa Giovanni –, l’uomo porta scolpito in sé,
quale riflesso dell’infinita sapienza di Dio, un «ordine che la
coscienza rivela e ingiunge perentoriamente di seguire» (n. 3). La
conclusione si fa obbligatoria: l’ascolto
della voce della coscienza è la premessa e la garanzia per edificare una
pace giusta e duratura, precisamente perché la pace non può fondarsi
che su quell’ordine voluto da Dio che la coscienza stessa, appunto, sa
riconoscere e proporre come “imperativo categorico”. Di conseguenza,
se vogliamo essere autentiche “sentinelle delle pace”, dobbiamo ascoltare e seguire la voce della coscienza. Ciò può e deve
avvenire secondo i due compiti, peraltro indisgiungibili, della coscienza:
quello del discernimento e
quello della decisione operosa. Una
coscienza chiamata a discernere 8.
Primo irrinunciabile compito della
coscienza è quello del discernimento: essa è chiamata a riconoscere,
secondo verità, i valori e le esigenze che sono iscritti in ogni persona
umana, come pure nell’ordine sociale. In
questo senso, il giudizio di coscienza comporta di esprimere con estrema
chiarezza e decisione un “sì” convinto e pieno alla pace e alle sue
necessarie condizioni e, nello stesso tempo, un “no” altrettanto
consapevole e determinato a tutto ciò che può turbare o distruggere la
pace. Ora
il “sì” alla pace da parte di una coscienza rettamente formata ed
educata è, più precisamente, il “sì”
alla pace “vera”. È la stessa coscienza a dirci che la pace non
è solo assenza di guerra; non è pacifismo; non è prepotenza passata in
giudicato e non è un ordine esteriore fondato sulla violenza e sulla
paura; non è neppure repressione e ignavia o equilibrio superficiale tra
interessi materiali ed economici divergenti… Essa è, piuttosto,
desiderio universale di tutti i popoli ed esigenza fondamentale radicata
nel cuore di ogni uomo; è proclamazione e realizzazione dei valori più
alti e universali della vita, quali la verità, la giustizia, l’amore e
la libertà; è dono di Dio, affidato come compito all’uomo; è un
ordine sociale fondato sulla giustizia, rispettoso dei diritti delle
persone e dei popoli, progressivamente teso all’instaurazione di
un’autentica solidarietà operante tra tutti. 9.
Ma se vogliamo essere autentiche “sentinelle della pace”, è
necessario che questo fondamentale “sì alla pace” si concretizzi in
un “sì alle condizioni della pace”, che sono molteplici e non
possono essere disgiunte tra di loro. Da questo punto di vista, la voce
della coscienza ci ripete con insistenza che la realizzazione della pace
comporta di: ·
rispettare la
verità, che porta al riconoscimento, alla tutela e alla promozione
dell’innata e intangibile dignità di ogni persona; ·
garantire la
giustizia, che esige il rispetto dei diritti fondamentali degli uomini
e dei popoli, a partire da quelli più deboli e più poveri,
l’adoperarsi per sconfiggere la povertà, la realizzazione di una
globalizzazione senza emarginazioni; ·
vivere l’amore,
mediante la costruzione di un mondo più solidale, che elimini le disparità
e operi in concreto per ridistribuire equamente non solo beni e risorse
economiche, ma anche conoscenze e democrazia; ·
assicurare la
libertà, favorendo in tutti l’assunzione di responsabilità e lo
spirito di iniziativa, garantendo a ciascuno di non essere sottoposto a
costrizioni, coercizioni e ricatti, salvaguardando il rispetto e la
promozione della libertà religiosa; ·
essere
disponibili al perdono e alla riconciliazione;
·
coltivare
il dialogo, quale strumento e
forza per affrontare e comporre i conflitti; ·
realizzare un
disarmo comune e generale; ·
sostenere gli organismi
internazionali, a iniziare dall’Onu,
rafforzandone l’autorevolezza, la rappresentatività e la democraticità.
10.
Sempre assolvendo al compito del discernimento che le è proprio, ogni
coscienza che obbedisce alla verità indica con certezza assoluta il grave
dovere morale di dire dei “no
categorici” a tutto ciò che nega la pace, o la incrina, o la rende
impossibile. Essere “sentinelle della pace” significa, dunque,
dire: ·
“no” ad
ogni attentato all’incomparabile dignità di ogni essere umano, a
cominciare dal fondamentale diritto alla vita dal concepimento alla morte
naturale; ·
“no” all’egoismo
personale o di gruppo; ·
“no” all’ingiustizia
che non permette a ogni uomo e popolo di avere parte di quei beni
culturali, economici, sociali e politici che sono destinati a tutti; ·
“no” alla
accumulazione di rancori, frustrazioni e disperazione tra le persone e
i popoli; ·
“no” al
terrorismo, che è segno di vigliaccheria e costituisce sempre un
autentico crimine contro l’umanità; ·
“no” ai
regimi e alle dittature, di qualunque colore essi siano, che portano
inevitabilmente alla sopraffazione e alla distruzione, anche fisica,
dell’uomo; ·
“no” alla
violenza, che è cosa ben diversa dal doveroso legittimo uso della
forza quando questa si presenta come l’unica strada realisticamente
possibile per neutralizzare l’ingiusto aggressore; ·
“no” alla
guerra, «se non come estrema possibilità» per ristabilire il bene
comune «e nel rispetto di ben rigorose condizioni», tra cui non «vanno
trascurate le conseguenze che [la guerra] comporta per le popolazioni
civili durante e dopo le operazioni militari» (Giovanni Paolo ii, Al
Corpo diplomatico, 13 gennaio 2003); ·
“no” al
drammatico ampliamento dei tradizionali limiti morali e legali della causa
giusta per includervi l’uso
preventivo della forza militare per abbattere regimi pericolosi o per
affrontare il problema delle armi di distruzione di massa. Una
coscienza da educare 11.
Ancora circa il compito di discernimento proprio della coscienza occorre
rilevare con forza la necessità di una vera e propria “educazione della coscienza”. La coscienza, infatti, è sì
qualcosa di innato e di naturale nell’uomo, ma è anche una realtà che
può ingannarsi e ingannare, se non è fatta oggetto di costante vigilanza
e di continua premura mediante una permanente
conversione alla verità e al bene. Ecco
perché a livello personale e comunitario diventa urgente conoscere –
studiandola e approfondendola nei suoi contenuti e nelle sue motivazioni
– la dottrina della Chiesa sulla
pace e sulla guerra, così come essa è presentata nel “Catechismo
della Chiesa Cattolica” ed è contenuta nei diversi documenti della
Dottrina sociale della Chiesa, in particolare nei Messaggi per la Giornata
Mondiale della Pace. È
quanto abbiamo voluto fare con questo Convegno ed è quanto deve diventare
parte integrante degli itinerari educativi, della catechesi e della stessa
predicazione nelle nostre parrocchie e nelle diverse aggregazioni
ecclesiali. 12.
Non solo. È pure urgente evitare
ogni emotività e, peggio ancora, ogni
irrazionalità nell’affrontare i diversi problemi che, di volta in
volta, si presentano all’orizzonte della storia. È piuttosto con la
“freddezza” propria di chi vuole rigorosamente comprendere e
razionalmente giudicare che questi stessi problemi vanno affrontati ad
ogni livello, in ogni ambiente e in ogni pubblico confronto. Né ci può
influenzare il giudizio degli altri: occorre essere e rimanere
sovranamente liberi di fronte a chiunque, a qualunque posizione di parte,
ad ogni alleanza più o meno doverosa o presunta tale, a qualsiasi accusa
di parteggiare per l’una o per l’altra parte o di venire meno ad
amicizie o ad appartenenze culturali. Sì,
in questa linea, essere “sentinelle della pace” comporta anche di non
lasciarsi ingabbiare da discussioni culturali, più o meno pretestuose,
sulla fedeltà all’Occidente e sul rapporto tra quest’ultimo, il
cristianesimo e la Chiesa. Ciò che davvero deve essere determinante è il
riconoscimento e il rispetto della verità e l’ascolto della voce di una
coscienza che si è immunizzata da ogni forma di soggettivismo
individualista o di collateralismo culturale o politico. 13.
Sempre in questa stessa direzione, c’è bisogno anche di non essere passivamente acritici nei confronti dei mass media, ma di
essere lucidamente attenti a individuare ogni manipolazione o
strumentalizzazione della verità, che si può incontrare, per denunciarla
e prenderne le distanze in modo concreto, convinto e capace di argomentare
le proprie posizioni. È questo un compito che ci chiama direttamente in
causa, come Chiesa e come cristiani (cfr. Messaggio
per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2003, n. 3). Una
coscienza che spinge ad agire 14.
Insieme con quello del discernimento, c’è un altro compito che è
proprio della coscienza: è il
compito di decidersi e di scegliere in ordine all’agire concreto. La
voce della coscienza, infatti, si presenta come un “appello”, un
“imperativo”, un “dettame” obbligante che spinge ad agire, a
compiere atti concreti coerenti con quanto indicato dalla coscienza
stessa. Essere
“sentinelle della pace” comporta, dunque, che non ci si limiti a
“parlare” di pace, ma che ci si impegni a “fare”
opere di pace. Il “sì” alla pace e il “no” a tutto ciò che
la inquina o la rende impossibile investe la vita concreta di tutti e di
ciascuno in ogni atteggiamento e in ogni comportamento. La pace non può
essere solo proclamata o gridata; la
pace va fatta! Va fatta in casa, nella scuola, sul lavoro, in ogni
ambiente della vita sociale, a livello politico, in ambito nazionale e in
quello internazionale. Va fatta da tutti, nessuno escluso. Essa
è, certamente, opera e dovere dei
responsabili delle sorti dei popoli e della nazioni: in una convivenza
democratica questi devono essere costantemente sollecitati e spinti, con
ogni legittima iniziativa anche di pressione da parte dell’opinione
pubblica, a volere davvero la pace e a cercare tutte le strade possibili
per risolvere i conflitti e per superare le ingiustizie con la “forza
della ragione” e non con le “ragioni della forza”, ossia con le
armi. 15.
Ma la pace è anche opera di
ciascuno di noi! È dunque la coscienza personale, personalissima di
ciascuno di noi che ci deve “inquietare” – sì, il termine è da
prendersi con la massima serietà – nella nostra insopprimibile
individualità. Lo ricordava con toni appassionati Paolo VI nel suo
Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1974: «Il destino della
Pace dipende anche da ciascuno di noi. Perché ciascuno di noi fa parte
del corpo civile operante con sistema democratico… La Pace è possibile,
se ciascuno di noi la vuole; se ciascuno di noi ama la Pace, educa e forma
la propria mentalità alla Pace, difende la Pace, lavora per la Pace.
Ciascuno di noi deve ascoltare nella propria coscienza il doveroso
appello: La Pace dipende anche da te». Essere
“sentinelle della pace” significa, allora, farsi instancabili
“operatori di pace”, essere generosi, costanti, audaci e fiduciosi “seminatori di gesti quotidiani di pace”. Nessuno dica: “Tocca
ai grandi della terra! Noi non possiamo fare niente! Il nostro apporto è
del tutto insignificante e ininfluente!”. No, tocca
anche a noi! La pace dipende anche da ciascuno di noi, è anche opera
nostra, perché non c’è persona – piccola o grande, ricca o povera,
semplice o dotta – che non sia in grado di porre nella storia, giorno
dopo giorno, innumerevoli “gesti di pace” fatti di sincerità, di
attenzione, di accoglienza, di amicizia, di cura, di impegno, di generosità,
di stima per l’altro, di apertura, di sopportazione, di perdono, di
amore (cfr. Colossesi 3,12-15). La
forza “politico-giuridica” del dialogo e del perdono 16.
La pace va, dunque, costruita concretamente. Per fare ciò vanno messe in atto adeguate opere di pace, anche a livello sociale,
istituzionale, dentro i singoli Stati e a livello internazionale. Sì,
pure a questo livello è coinvolta la nostra responsabilità, certamente
una responsabilità differenziata, in rapporto cioè alle varie possibilità
e ai diversi compiti che abbiamo nell’ambito della vita sociale e
politica. Secondo
quest’ultima direzione, mi limito a ricordare che su tutti noi grava il
compito di una “conversione”
culturale e, dunque, di un nuovo modo di considerare gli obiettivi,
gli strumenti e i metodi dell’intervento sociale e politico a favore
della pace vera, giusta e duratura. Gli
obiettivi sono la realizzazione
del “bene comune universale”, un’esigenza questa che appare
particolarmente urgente e indilazionabile oggi, in un contesto di
crescente globalizzazione come è il nostro. Gli
strumenti per tale obiettivo
sono una nuova organizzazione dell’intera famiglia umana con una reale
ed effettiva “autorità pubblica internazionale”, da intendere appunto
come struttura democratica al servizio del bene comune universale. 17.
I metodi poi sono quelli che
puntano sul dialogo e che sono
capaci di coniugare tra di loro giustizia e perdono.
È quest’ultimo un punto culturale, e insieme spirituale, di grande
valore. Non si deve, infatti, credere che il dialogo e il perdono siano
atteggiamenti validi solo nei rapporti diretti e quotidiani tra le singole
persone, mentre a livello sociale, politico e internazionale non hanno
alcuna rilevanza, né possono averla di fatto. Occorre piuttosto rimarcare
che essi, oltre ad una indubbia valenza
etica, ne hanno anche una giuridica
e politica. Dialogo e perdono, in altri termini, sono – e devono
essere sempre di più, anche mediante l’individuazione di corrispondenti
dispositivi istituzionali – strumenti da utilizzare per l’edificazione
della pace nel mondo. Il dialogo, in particolare, va inteso e
messo in atto come ricerca di ciò che è e resta comune agli uomini,
anche in mezzo alle tensioni, alle opposizioni e ai conflitti; come
strumento per la realizzazione del bene con mezzi pacifici; come volontà
costante di ricorrere a tutte le possibili formule di negoziati, di
mediazioni, di arbitrato, per far sì che i fattori di avvicinamento
prevalgano sui fattori di divisione e di odio tra gli uomini, i popoli, le
nazioni, gli Stati. Anche
il perdono, poi, va visto come
premessa indispensabile per camminare verso una pace autentica e stabile.
Come, infatti, ha sottolineato il Papa nel suo Messaggio per la Giornata
Mondiale della Pace del 1997, senza un atteggiamento di sincero perdono «le
ferite continuano a sanguinare, alimentando nelle generazioni che si
succedono un astio interminabile, che è fonte di vendetta e causa di
sempre nuove rovine» (n. 1). 18.
Mi piace confermare queste considerazioni sulla rilevanza del perdono
anche con la parola del carissimo cardinale Carlo Maria Martini. A lui che
a Gerusalemme, nella santa e martoriata terra di Gesù, continua la sua
quotidiana preghiera di intercessione, mandiamo da questo Convegno un
caloroso e affettuoso saluto, sentendoci uniti da una profonda comunione. Egli,
rompendo nei giorni scorsi il “silenzio sabbatico” tenuto in questo
periodo, così ha scritto su “L’Osservatore Romano” di mercoledì 12
marzo: «La pace ha un costo… Ciò significa che bisogna essere disposti
a pagare un prezzo e a rinunciare anche a qualcosa a cui si avrebbe pure
diritto. Non basta dunque invocare la pace: bisogna essere disposti a
sacrificare anche qualcosa di proprio per questo grande bene, e non solo a
livello personale ma pure a livello di gruppo, di popolo, di nazione». E
più avanti aggiungeva: «Sì, la pace non può che essere frutto della
giustizia, ma la pace di questo mondo non sarà soltanto il risultato di
una giustizia mondana perfetta, che non si avrebbe mai nelle attuali
aggrovigliate condizioni storiche, ma frutto di quella giustizia che è al
momento ottenibile anche a prezzo di sacrifici e rinunce di singoli e di
gruppi in vista di un bene comune più alto e condiviso. La pace perciò
alla fine è opera di una giustizia che partecipa della giustizia divina,
di una giustizia cioè che è anche perdonante, misericordiosa,
riabilitante, capace di dimenticare i torti subiti». III
– La parola del dono 19.
Dopo aver parlato della coscienza come discernimento e decisione operosa,
non possiamo concludere senza un riferimento alla coscienza cristiana, illuminata dalla fede e animata dalla carità.
Due sono le parole che, a questo riguardo, vorrei far risuonare. La prima
è la parola del dono; la seconda è quella della missione. È,
anzitutto, quella del dono la
parola che anche adesso fa ascoltare il suo messaggio in mezzo a noi. Sì,
perché la pace non è un puro risultato dell’ingegno umano, dello
sforzo dei politici, dei trattati internazionali e dell’impegno di tutti
gli uomini di buona volontà. Tutte queste opere umane sono necessarie, ma
da sole non sono in grado di assicurare una pace vera e duratura. La pace è “dono di
Dio”! È una realtà che discende
da Dio, creatore della pace. Essa si realizza in pienezza in Gesù e viene
comunicata agli uomini attraverso la sua croce e il suo sangue. Sì, la
pace trova in Gesù la sua origine, il suo fondamento, il suo contenuto: Gesù stesso, infatti, è la
nostra pace perché, con la sua morte e risurrezione, ha riconciliato
gli uomini con Dio e tra di loro, inchiodando sul legno della croce il
documento della nostra condanna che ci teneva lontani da Dio (cfr. Colossesi 2,14) e abbattendo il muro di separazione e di inimicizia
che divideva tra loro gli uomini (cfr. Efesini
2,14-18). 20.
Quanto è avvenuto una volta per sempre sulla croce, noi oggi lo ritroviamo e lo incontriamo nella storia viva e
quotidiana della Chiesa e, in
particolare, nell’Eucaristia,
che è il sacrificio della nuova ed eterna alleanza, il memoriale della
Pasqua del Signore. La
Chiesa costituisce, quindi, sulla terra il luogo, il segno e la fonte
della pace tra i popoli e dell’unità di tutto il genere umano. Ed è
nell’Eucaristia che ogni cristiano trova la sorgente più vera della
pace, l’invito più forte ad essere operatore di pace, il luogo
privilegiato di invocazione della pace, la forza più autentica per
operare nell’amore, che della pace è uno dei pilastri fondamentali. Essere
“sentinelle della pace” significa allora attingere continuamente
dall’Eucaristia la grazia che ci rende persone veramente pacificate e
capaci di diffondere pace. IV
– La parola della missione 21.
Inscindibilmente unita con la parola
del dono c’è quella della missione.
Sì, perché la pace è un “dono
affidato agli uomini”. Scesa
come grazia e benedizione sulla comunità di coloro che hanno accolto il
messaggio della Pasqua del Signore, la pace si presenta come un “compito”,
come un “imperativo etico” per la Chiesa e per i cristiani. Essa va
vissuta non solo dentro la Chiesa, ma anche come rapporto di amore con
tutti. Accolta come uno dei frutti della vita nuova prodotta dallo Spirito
Santo, deve accompagnarsi inseparabilmente con la giustizia, la verità,
la libertà. 22.
Questo compito va, dunque, realizzato secondo la triplice direzione che
caratterizza la missione della Chiesa. Si
tratta, allora, di “annunciare”
il Vangelo della pace, di annunciarlo in ogni occasione e in ogni
modo, senza mai stancarsi di far risuonare il nome della pace anche quando
le speranze di vederla realizzata sembrano molto ridotte o scomparse del
tutto. Lo stesso Vangelo della
pace chiede di essere “celebrato”,
anzitutto nel momento sorgivo e culminante dell’Eucaristia e poi, quasi
come preparazione e prolungamento della stessa Eucaristia, nella
preghiera, umile, insistente e fiduciosa. Sì, i
cristiani non possono non credere nella “forza debole e disarmata”
della preghiera: essi si distinguono e si riconoscono proprio perché
sanno sempre aprire con fiducia le labbra e il cuore a invocare un
intervento dall’Alto, che solo può far sperare, contro ogni speranza,
in un futuro migliore e meno oscuro. Siamo,
infine, chiamati a “testimoniare”
il Vangelo della pace, operando assiduamente per un’edificazione
della pace nella carità che perdona e riconcilia e nella comunione
vissuta nei rapporti interpersonali, in famiglia, negli ambienti di vita e
nella stessa comunità cristiana. A noi, come Chiesa e come cristiani, è
chiesto così di risplendere in mezzo agli uomini come segno di unità e
strumento della pace. La novità evangelica anima
della nostra speranza 23.
Sì, possiamo e dobbiamo essere “sentinelle della pace”! È un compito
certamente impegnativo e non privo di tante difficoltà. Abbiamo però una
certezza che ci accompagna e ci sostiene: non
siamo soli! Non siamo soli, perché con
noi c’è lo Spirito di Dio! Ed è proprio lo Spirito Santo, artefice
di comunione nell’amore, il vero e principale protagonista
dell’edificazione della pace. Donatoci dal Signore Gesù, lo Spirito è
sempre con noi, sa vincere ogni nostra resistenza e sa renderci autentici
operatori di pace. Questa
è la novità evangelica di cui
siamo depositari. Di questa novità dobbiamo essere gli araldi
convinti e appassionati, in dialogo sincero con tutti gli uomini di buona
volontà, animati dalla certezza che questa stessa novità evangelica non
è mai “contro” l’uomo, ma è sempre “per” il bene di ogni uomo
e del mondo intero. Non possiamo tenerla per noi questa novità, dobbiamo
comunicarla e proporla a tutti, perché tutti possano godere di quella
pienezza della pace che ci è data in dono. 24.
Ed è questa stessa novità evangelica, con la forza che contiene e sa
sprigionare, ad animare la nostra speranza.
Di questa speranza abbiamo tutti bisogno; ne ha bisogno il mondo; ne hanno
particolare bisogno tutti quegli angoli della terra dove c’è
ingiustizia e dove sempre più imminente sembra lo scoppio della guerra. Con la fiducia di chi ripone tutta la sua speranza nel Signore, ci auguriamo che anche questo nostro Convegno – con le ricadute che senz’altro avrà in ciascuno di noi, nelle nostre comunità cristiane e nei nostri ambienti di vita – possa essere un “seme di pace” gettato nella nostra terra perché possa portare “frutti di pace”.
Messaggio alla Chiesa e ai nostri fratelli di
Bagdad dalla Caritas diocesana di Bologna Vostra
Beatitudine Patriarca Raphael, in queste
ore in cui voi e tutti i vostri concittadini, a partire dai più piccoli e
dai più deboli, siete esposti alla violenza di coloro che (come in queste
ore ha affermato il Santo Padre) "hanno deciso per la guerra
assumendosi una grave responsabilità di fronte a Dio", vogliamo
esprimervi la nostra preoccupazione per il pericolo che state correndo e
assicurarvi alla nostra preghiera. da "Il Resto del Carlino" 20 marzo 2003 p.III Don Nicolini: 'Vi aiuteremo I volontari sono già pronti'La
Caritas di Bologna ha inviato un messaggio alla Chiesa di Bagdad,
guidata dal patriarca Raphael. Don Giovanni Nicolini (foto), il
direttore della Caritas diocesana, ribadisce nella lettera la
condanna della guerra attraverso le parole del Papa, offre
solidarietà e aiuto concreto al popolo iracheno. Ma, intervistato,
fa di più. Parla di «obiezione di coscienza» per i giovani
americani di fede cristiana. |
COMUNICATO PAX CHRISTI BOLOGNA
Pax Christi Bologna si riconosce
pienamente nella lettera che la
Caritas Diocesana ha inviato al patriarca di Bagdad e ringrazia il suo
direttore don Giovanni Nicolini per aver preso posizione a favore
dell’obbiezione di coscienza.
Questa guerra, dice Giovanni Paolo II, non può essere la soluzione di un
problema e, come tutte le guerre, le vittime sono sempre i più deboli e
questo la fa essere più insensata; ricordiamo anche che nelle
Il 12 marzo scorso è stato festeggiato S. Massimiliano, martire perché si
rifiutò di prestare servizio militare per l’impero romano per servire il
dio dell’amore. Proprio per questo bisogna proporre con forza
l’obiezione di coscienza; perché è un atto di amore e di servizio verso
i più deboli.
In questo contesto si inserisce anche il valore della nonviolenza intesa
Come cristiani non possiamo non pensare alla preghiera individuale e
comunitaria, per questo invitiamo tutte le persone di buona volontà
Come Pax Christi raccogliamo l’invito di Mons. Valentinetti di
Comunità
monastica di Bose 20 marzo 2003
Carissimi fratelli e sorelle di Pax Christi,
la notizia dell’attacco all’Irak mi ha raggiunto mentre ero in
viaggio per raggiungere questo luogo di silenzio e di preghiera con un
gruppo di laici. Come tanti, anch’io ho cominciato ad essere testimone,
quasi dal vivo, attraverso le notizie che si susseguivano trasmesse dalla
radio, di tutti gli eventi bellici.
So che un sentimento di delusione per gli sforzi compiuti negli
ultimi mesi al fine di scongiurare la guerra e lo sconcerto per un conflitto
trasmesso ‘in diretta’ ci accomunano e perciò sento il bisogno di
scrivervi per condividere con voi questo momento.
Da agosto a oggi, fin dal primo comunicato stampa in cui Pax Christi
prendeva posizione contro la guerra minacciata dagli Stati Uniti
d’America, voi tutti avete lavorato con coraggio e con chiarezza per
denunciare quanto fosse folle, contrario alla Costituzione dello Stato
italiano, alla Carta dell’Onu e soprattutto contrario al Vangelo di pace
di noi credenti in Cristo, questo “nuovo” tipo di conflitto, chiamato
preventivo, invece che aggressione come si usava un tempo. Nonostante cambi
la terminologia, ancora una volta la logica della morte intende prevalere su
quella della vita, la logica delle armi e della forza prevale su quella
della debolezza e della nonviolenza, la logica dell’ingiustizia prevale,
in nome di una effimera legalità, sulla logica della giustizia e della
verità, la logica dell’odio prevale su quella della pace.
Alla nostra piccola voce contro le ragioni della guerra ha dato
slancio la voce di tanti altri fratelli, di altri gruppi e organizzazioni e
insieme è cresciuta la nostra volontà di dire a tutti le ragioni della
pace. Il Papa con grande forza e, come mai prima d’ora, ci ha spronato
alla profezia e alla denuncia di questa avventura senza ritorno. La sua
azione e quella diplomatica della Santa Sede sono state decise e incessanti
mentre da tante chiese diocesane si è levata alta la preghiera, per
invocare dal principe della Pace il dono dello Spirito Santo capace di
illuminare il cuore dei potenti di questo mondo affinché recedessero dai
progetti di guerra.
Desidero ringraziare insieme con voi il Signore per questa voce
profetica che è nata dal cuore stesso della chiesa e che negli ultimi mesi
ha stretto ancora di più i legami di fraternità con tanti credenti delle
altre confessioni cristiane, uniti per chiedere dal Signore il dono della
pace e spronare gli uomini di buona volontà e percorrere i sentieri della
verità, della giustizia, della libertà e dell’amore. Adesso ci sentiamo
forse un po’ scoraggiati, così come è capitato ai discepoli di Emmaus,
quando tutte le speranze sembravano deluse. Non è, però, il momento di
abbattersi: dobbiamo continuare a lavorare avendo bene in mente tre
obiettivi importanti.
1)
Intensificare la nostra preghiera nelle modalità con cui ciascuno di noi sa
e può fare, così come indicato nel comunicato stampa del 20 marzo.
2)
Avere il coraggio di ignorare e far ignorare tutte quelle trasmissioni
televisive e radiofoniche che in questi giorni ci presenteranno la guerra
come un macabro spettacolo di morte con dettagli minuti
su tutte le operazioni di guerra. Questo semplice gesto di resistenza
civile contribuisce al rifiuto di una cultura della morte necrofila e
disperante: non dobbiamo dimenticare che noi cristiani siamo gli uomini e le
donne della speranza.
3)
Non disperdere ma, al contrario, raccogliere e valorizzare tutto il
patrimonio di riflessione e di approfondimento sui temi della pace e
soprattutto sul disarmo che negli ultimi mesi ci ha visti protagonisti,
perché proprio questo è il momento in cui diventa più che mai importante
educare le giovani generazioni al valore irrinunciabile della pace e
approfondire la richiesta che da esse proviene per la costruzione di una
società fondata sulla solidarietà e sull’amore.
Al Signore Gesù, che nel tempo di quaresima contempliamo crocifisso,
giusto morente in un mondo ingiusto, affidiamo tutte le vittime di queste
ore e di questi giorni, poveri indifesi che ancora una volta muoiono in un
mondo ingiusto. La nostra certezza è che Cristo vittorioso su tutte le
morti presto tornerà a instaurare il suo regno di Amore, di Giustizia e di
Pace.
+ Tommaso Valentinetti
Presidente di Pax Christi Italia
Dal punto pace di Milano.
Mi gridano da Seir: "Sentinella quanto resta nella notte? Sentinella,
quanto resta nella notte?". La sentinella risponde: "Viene il
mattino,
poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi,
venite!". (Is 21, 11-12)
Milano 20.03.2003
A tutti i movimenti e associazioni cristiani, istituti religiosi e
missionari, ONG e gruppi della nostra città.
Carissimi SHALOM
Questa notte la guerra è iniziata. I sentimenti che viviamo sono molti.
Ci sentiamo impotenti: l'inizio delle azioni militari avviene nonostante
tutti i ragionamenti, gli sforzi e le mobilitazioni di questi mesi e
nonostante gli appelli delle Chiese, del Papa e di tutti gli uomini che
hanno gridato con lui "Mai più la guerra". Ci rendiamo conto
della nostra povertà e piccolezza di fronte alla violenza e al male che
colpiranno ancora tante persone. Continuiamo a credere che ognuno di noi
sia chiamato a costruire la Pace e un mondo che corrisponda sempre più al
disegno di Dio. Ma siamo consapevoli che la Pace è soprattutto un dono da
implorare. Ora più che mai sentiamo l'urgenza di metterci in ginocchio di
fronte al Dio della Pace per accogliere questo dono. Sentiamo il bisogno
di chiedere insistentemente e senza fermarci, come ci sollecitava il
nostro arcivescovo, la capacità di disarmare i cuori, di imparare a
percorrere le strade del dialogo e della riconciliazione; lo chiediamo per
noi e per l'umanità intera. Sentiamo il bisogno e l'urgenza di metterci
in ascolto della Sua voce per "discernere" quali saranno, da
oggi in poi, i cammini a cui la fede ci chiama; quali sentieri di
conversione
personale, e di rinnovato impegno individuale, sociale e politico.
Nelle nostre Chiese, in questi giorni, si pregherà; riteniamo, però,
importante che la preghiera sia continua, ininterrotta. Per questo
chiediamo a voi, movimenti e associazioni cristiani, istituti religiosi e
missionari, ONG e gruppi della nostra città di organizzare
"insieme" uno spazio che rimanga aperto 24 ore al giorno dal
quale salga a Dio una preghiera incessante. Una preghiera accompagnata
dalla pratica del digiuno il cui senso e valore il Papa ha richiamato
all'inizio della Quaresima. Una preghiera che duri tutto il tempo della
guerra. E' uno spazio da costruire nelle forme, nelle modalità, nei
turni; sicuramente sarebbe bello pensare ad un digiuno a catena tra tutti
noi che vi parteciperemo.
Come luogo pensavamo alla Chiesetta di S. Vito al Pasquirolo accanto a
corso Vittorio Emanuele. I tempi sono strettissimi; proponiamo di
incontrarci in via S.Antonio 5, aula Olgiati, venerdì 21 alle h 18.00 per
iniziare a organizzare il tutto.
Massimo Ferè e Tomaso Zanda per Pax Christi Milano
Appello per la pace
di Alex Zanotelli, Luigi Ciotti, Alessandro Santoro
Per mesi i signori della guerra hanno spinto per il conflitto, cercando di
trovare consenso e alleanze. Ma la moltitudine delle coscienze si è
risvegliata, la gente comune ha ritrovato il senso di responsabilità, è
uscita allo scoperto, ha tenuto alta la testa, si è schierata dalla parte
della pace.
Questi mesi hanno rivelato che i signori della guerra sono sempre più
soli.
In questo momento, il più difficile dalla seconda guerra mondiale,
dobbiamo ancor più di prima osare la pace. Non ci possiamo arrendere, né
rassegnare.
Per questo chiediamo alle Chiese:
- di suonare a morto le campane della propria chiesa dall'inizio del
conflitto per tutti i giorni del conflitto a mezzogiorno, ricollegandoci
alle forti e chiare parole del papa: Mai mai mai alla guerra;
- di tenere le porte delle chiese aperte anche di notte (almeno una chiesa
per ogni diocesi) perché si continui permanentemente a vegliare e
si innalzi al Signore una continua preghiera per la pace.
A tutti i costruttori di pace chiediamo:
- di accendere in ogni famiglia, in ogni casa, un lume e/o una candela,
con un momento di silenzio e di riflessione sulla pace, e di esporlo alla
finestra per tutta la notte;
- di continuare a esporre le bandiere della pace e invitare tanti
altri ancora a farlo;
- di boicottare la compagnia petrolifera che ha vinto l'appalto per le
forniture all'esercito statunitense, non facendo rifornimento a nessuno
dei distributori ESSO.
Chiediamo infine:
- a tutte le persone di inviare una lettera di protesta e di dissenso ai
propri parlamentari, dichiarando di non poter più votare la
preferenza per loro, se hanno votato sì alla guerra;
- a tutti i Consigli comunali di riunirsi in seduta straordinaria nel
giorno dell'attacco contro l'Iraq per deliberare il proprio no alla guerra
e inviarlo al Governo.
Questi sono alcuni segni possibili per tutti, lasciamoci coinvolgere e
contagiamo con i nostri gesti di resistenza anche chi ci vive accanto e
chi incontriamo tutti i giorni, perché nelle nostre case, nei luoghi di
lavoro, nelle nostre strade e nelle nostre chiese la voce della pace sia
più forte della follia di questa guerra e di ogni guerra.
Padre Alex Zanotelli
Don Luigi Ciotti
Alessandro Santoro, prete
Pax Christi - movimento cattolico internazionale per la
pace
La preghiera per dar voce alle vittime della violenza
Nell'ora triste e drammatica della guerra non vorremmo che a parlare
fossero ancora una volta soltanto le armi col loro fragore di morte.
Rinnoviamo pertanto l'invito a coloro che si riconoscono nel cammino di
Pax Christi ad unirsi in queste ore ad ogni forma di protesta e di
dissenso nonviolenti e vorremmo tanto che l'appello all'obiezione di
coscienza raggiungesse quanti sono impegnati nelle operazioni militari o
si trovano nella condizione di offrire un qualunque contributo alla
guerra. Il rifiuto di obbedire agli ordini che contraddicono
l'insegnamento del Vangelo e la propria coscienza (voce di Dio in noi) è
radicata nell'insegnamento e nella prassi cristiana. Protestiamo vivamente
per il sostegno che Parlamento e Governo del nostro paese hanno deciso di
offrire alla guerra concedendo l'uso delle basi e del sorvolo. Secondo la
dottrina morale "tanto è ladro chi ruba che chi para il
sacco!".
Anche se le immagini che ci provengono dall'Iraq sembrano asettiche e non
rendono conto della sofferenza che gli attacchi armati infliggono a tanta
gente inerme e innocente, noi vogliamo schierarci con decisione dalla
parte delle vittime. In nome del Vangelo della pace abbiamo sempre cercato
di interpretare il dolore delle vittime e di farcene voce. Il sangue delle
vite violate dalla cecità del terrorismo, come quelle annientate dalla
follia della guerra ha il medesimo colore. Dal profondo di questa
debolezza noi continuiamo a nutrire la speranza che i cuori dei
responsabili di tanto dolore
possano convertirsi alla pace rinunciando a proseguire la guerra. Sul
Golgota Cristo ha scelto con chiarezza da che parte stare e da
quell'altare ha lanciato la sfida della nonviolenza. Ora quella proposta
non può che divenire preghiera, supplica, impetrazione. Invitiamo
pertanto i credenti a raccogliersi in preghiera individualmente o
comunitariamente. Ciascuno lasci spazio alle sole parole che in questo
momento di follia hanno un senso e preghi attingendo alla ricchezza
dei Salmi e della Parola di vita o secondo le forme tradizionali o
frugando nella semplicità che il cuore gli detta. Ciascuno faccia salire
verso Dio la propria voce sapendo che si unisce a quella di chi è
sottoposto a prove indicibili e vive ore di paura. Strumento dei poveri,
la preghiera dia alito alle speranze di pace.
Pax Christi Italia
Una volta tanto l'Osservatore Romano fa centro.
Vorrei sottolineare la stretta unione tra preghiera ed impegno.
Richiama quello che scrive Arturo Paoli, dei Piccoli Fratelli di Gesù:
"Pregare prima di mettersi a tavola per delegare a Dio la
responsabilità di mandare il pane a chi non ce l'ha più che una
preghiera si può definire bestemmia".
Buona lotta per la pace a tutti!
Luca Paseri - Saluzzo (CN)
---- dall'Osservatore Romano del 19 marzo 2003
Disarmare i cuori
ALBERTO MIGONE
Il Mercoledì delle Ceneri è stato certamente il momento più alto e più
intenso per implorare da Dio il dono della pace.
L'invito del Papa alla preghiera e al digiuno è stato apprezzato, accolto
e vissuto con una partecipazione che è andata molto al di là dei confini
cattolici. Ora però è giusto chiederci come è possibile viverne lo
spirito nel susseguirsi dei giorni.
L'anelito alla pace, questo desiderio ardente e appassionato che ha
accomunato i tanti che non vogliono "arrendersi all'odio, alla
violenza, alle minacce di guerra" e che vogliono anzi essere
protagonisti e non spettatori dei giochi dei potenti non deve attenuarsi.
Questa passione però necessita di un'anima, di quelle motivazioni forti
che fanno pensare e agire, che convincono e impegnano. Il Papa, in una
continuità ammirabile di Magistero, le ha offerte, ricordando che
l'impegno per la pace non nasce in primo luogo dall'emotività o dal
timore di una guerra le cui conseguenze ricadrebbero anche su di noi: la
pace è un bene in sé e come tale va perseguito sempre, ad ogni costo,
con decisione, ancorandolo però, a quelli che sono i suoi fondamenti: la
libertà, la verità, la giustizia, l'amore. E postula anche il perdono,
senza il quale non ci sarà mai vera pace. Si persegue faticosamente con
il dialogo, la saggia mediazione, la ricerca costante e intelligente delle
soluzioni possibili, soprattutto rimuovendo con decisione le cause che
costantemente la minacciano e la rendono precaria.
La pace si costruisce sulla fatica di uomini e donne che in questi valori
credono, li fanno propri, sanno trasformarli, in sé e intorno a sé, in
cultura, in modo di pensare e di agire ad ogni livello. Sono i
pacificatori del Vangelo. Non se ne vedono molti sulla scena della
politica, ma non se ne incontrano molti neppure nei rapporti quotidiani. E
qui l'invito del Papa ci costringe a guardarci dentro, a chiederci senza
finzioni se sappiamo essere - meglio se siamo - operatori di pace. Non lo
si diventa a buon mercato. È un disarmare il nostro cuore, un
armonizzarsi dentro per vedere gli altri con occhi rinnovati dalla
benevolenza. È un'opera di smeriglio interiore che costa e
realisticamente impegna tutta la vita. Senza una vera continua conversione
- ce lo ricorda ancora il Papa - non saremo mai autentici costruttori di
pace, pur parlandone e agitandosi per essa, anche con sincerità.
Ma raggiungere la pace è difficile: lo sperimentiamo drammaticamente in
questi giorni. A tratti sembra davvero che "una forza feroce il mondo
possiede", che il diritto sia sempre del più forte e che gli sforzi
umani non abbiano senso né prospettive. Impegnarsi allora non serve: le
decisioni ultime si prendono altrove, lontano, in base a calcoli che ben
poco si preoccupano dei drammi dei popoli.
Il Papa sembra cogliere questo stato d'animo e ci ricorda che per il
credente la pace si costruisce ma anche si implora e propone con la forza
della fede a tutti, ma particolarmente ai semplici, la preghiera e il
digiuno che - se si accentuano nei tempi difficili - devono diventare
atteggiamento costante, che si interiorizzano e si rinnovano continuamente
per non diventare riti, soprattutto il digiuno che certo esige sobrietà
nel cibo, ma che investe le parole, i pensieri, i giudizi. E che è
soprattutto digiuno dal peccato.
Alcuni di fronte ad una guerra che sembra ormai inevitabile si chiedono,
delusi, cosa resti della "grande mobilitazione spirituale e
penitenziale" del Mercoledì delle Ceneri. Resta tanto, resta il più.
Il Messaggio forte di Giovanni Paolo II, avvalorato da uno spendersi senza
riserve; il convincimento di tanti cristiani ad essere sentinelle che
conoscono il valore della pace e s'impegnano a costruirla e a camminare
con i tanti che la amano. Resta soprattutto la certezza che, al di là
delle momentanee possibili sconfitte, la solidarietà nel bene si estende
e il mondo può essere cambiato. Certo alla luce della fede e con un
impegno che non può limitarsi ad una sola giornata.
(©L'Osservatore Romano - 19 Marzo 2003)
HA TELEFONATO AL PARROCO DI CESARA: «IL
MIO DIO NON E´ QUELLO DI BUSH»
La voce senza speranza del vescovo di Baghdad
LA STAMPA 20/3/2003
OMEGNA
E´ la voce di un uomo stanco quella che si sente. Don Renato Sacco alza il
volume del registratore quasi a dare più forza a quelle parole che si
intuisce, ancor prima di capirle, sono di una persona affranta, che ha perso
ogni speranza. E´ la voce di monsignor Slamon Warduni, vescovo caldeo,
ausiliare del Patriarca di Baghdad. «Se domani saremo in Paradiso
pregheremo per voi - dice il prelato - se invece saremo ancora vivi
pregheremo per ringraziare quanti ci sono stati vicino ed hanno manifestato
contro una guerra che Dio certo non vuole». La voce di monsignor Warduni
scende nel silenzio tra la gente che l´altra sera ha accolto l´invito del
parroco di Bagnella, don Domenico Piatti, alla riflessione sulla Pace nei
giorni della Quaresima. «Cosa farete?» chiede don Sacco al vescovo. «Staremo
qui, in mezzo alla nostra gente - risponde l´ausiliario di Baghdad - se la
volontà del Signore e che noi siamo vittime, accettiamo la Sua volontà».
Cita poi, in latino, la frase «nelle tue mani Signore affido il mio spirito».
Poi prosegue: «Qui ci sono bambini, anziani, persone innocenti che non c´entrano
nulla. Il nostro compito sarà quello di restare accanto a loro, di
aiutarli. La porta della nostra casa sarà sempre aperta. Ci prepariamo a
morire o a sopravvivere». Non a vivere. Don Sacco ricorda come nel 1991
monsignor Warduni fosse il rettore del seminario ed anche allora dovette
affrontare le conseguenze della guerra e dei bombardamenti. Aprendo il
seminario alla gente che chiedeva aiuto. Il monsignor Slamon Warduni
ascoltato l´altra sera a Bagnella appariva ben diverso dal combattivo
vescovo visto e sentito sulle televisioni nazioni poco più di un mese fa
quando venne a Roma per la nomina di un nuovo vescovo iracheno. «Si sentono
abbandonati - dice con amarezza don Sacco - lo si capisce dalla voce, dalle
parole. E´ stato lui a telefonarmi lunedì sera. Pensate un po´, mi ha
chiesto come stavamo noi! Ho ancora il ricordo dell´accoglienza ricevuta
quando, a dicembre, andammo in Iraq. Non ci eravamo mai visti prima, ma
senza problemi ci diede le chiavi di casa sua come fosse casa nostra».
Queste cose ieri pomeriggio il parroco di Cesara, consigliere nazionale di
Pax Christi le ha raccontate agli studenti universitari della Statale di
Milano che lo hanno invitato nella loro Università a testimoniare il suo
viaggio in Iraq. Questa mattina le stesse cose le dirà ai ragazzi delle
scuole medie di Domodossola. «Faccio mie le parole disperate di monsignor
Warduni - dice don Sacco - il Dio che prega Bush non è il mio Dio. Il mio
Dio è quel Gesù che invitò Pietro a rimettere la spada nel fodero».
Venerdì sera a Verbania si terrà una fiaccolata per la pace e don Sacco
sarà presente nuovamente con la testimonianza del vescovo di Baghdad.
Vincenzo Amato
COMUNICATO STAMPA
S.A.E. Segretariato Attività Ecumeniche
Un forte grido di pace
Il grido di chi chiede pace si è alzato forte in questi
giorni. Sono in tanti a rifiutare una guerra le cui motivazioni appaiono del
tutto insostenibili – se mai per qualche guerra di sostenibili ve ne
fossero. Il grido si alza dalle piazze, dove tanti hanno manifestato, e si
intreccia con le invocazioni che dai luoghi di preghiera vengono rivolte al
Dio della pace. Forse mai come in quest’occasione abbiamo potuto
sperimentare un consenso così ampio ed intenso.
È un segno di speranza che ci interessa in modo particolare come
associazione per la promozione del dialogo ecumenico. Ascoltando le diverse
voci delle Chiese Cristiane siamo rimasti profondamente colpiti dalla forza
che dà loro la sintonia su un tema così centrale per l’annuncio
evangelico. Davvero in quest’occasione i credenti in Cristo hanno cercato
di dirigere assieme i loro passi sulle vie della pace (cf.Lc.2, 79).
E di luci di speranza c’è davvero bisogno, per far fronte alle
prospettive oscure che ormai si delineano dinanzi a noi. La guerra, infatti,
è sempre lacerazione: di vite, di relazioni, di tutti i beni che permettono
l’esistenza; è sempre violenza, che uccide – donne, uomini e bambini,
militari e civili; è sempre distruzione - delle case, della terra,
dell’economia. Ma questa guerra – se davvero, come sembra, sarà
combattuta - sarebbe anche percepita da molti come un vero scontro di civiltà;
come un tentativo di imporre con la forza la legge dell’Occidente; come la
violenta affermazione di superiorità di un paese, di una cultura (forse
anche di una religione) rispetto alle altre.
Le sue vittime, insomma, non sarebbero solo le tante – troppe – che
segnaleranno i bollettini, o che saranno coperte da un calcolato silenzio.
Ad essere drammaticamente compromesse, infatti, sarebbero anche le
possibilità di convivenza su questo fragile pianeta. Ad essere strozzati
sarebbero tutti quei laboratori di dialogo che, in tante parti del globo,
cercano di elaborare ipotesi di pace, al di là dei conflitti.
Come associazione che proprio nel dialogo – tra le chiese, tra le
religioni, tra le culture – ha il centro del suo impegno, vogliamo dunque
unire anche le nostre parole al grido di pace. Vogliamo riaffermare che
questa guerra è inaccettabile, nelle sue motivazioni – quelle ideali
dichiarate e
Milano, 19 marzo 2003
Vi comunico che è stato lanciato un appello al Papa in favore dell’obiezione di coscienza ad una guerra all’Iraq. La petizione, che ha raggiunto oltre 2100 firme, è on line all’indirizzo www.peacelink.it/appellopapa .
Qui è possibile firmare e stampare un volantino col testo dell’appello, per poterlo spedire direttamente al Papa. Se condividete l’iniziativa, firmate e invitate la gente a farlo. Fotocopiate il testo dell’appello, ditribuitelo, nelle parrocchie, alle manifestazioni, nelle piazze, tra gli amici, dove volete voi .. ma distribuitelo a quanti più potete.
Mandate il testo ai giornali locali, fatelo girare nelle liste in rete, chi lo può tradurre in altre lingue lo mandi anche fuori d’Italia .. insomma inondate la terra di pace.
Coloro che hanno un sito possono pubblicare il testo dell’appello e mettere il link alla pagina dell’appello.
Sotto, potete leggere il testo dell’appello e l’elenco dei primi firmatari.
Grazie.
sr Evelina
Al
Papa Giovanni Paolo II
siamo
la voce di un popolo: tra noi vi sono
cattolici che La riconoscono pastore e autorità della Chiesa; vi sono
cristiani di diverse confessioni, fedeli di altre religioni e non credenti,
che L’ascoltano e La rispettano come autorevole capo spirituale e morale.
Siamo
in tanti: uomini e donne diversi per credo religioso e politico, per
provenienza e cultura, per condizioni e scelte di vita. Ci lega un filo: non
vogliamo guerre, non vogliamo questa guerra.
Temiamo
che gli organi istituzionali e le diplomazie, molti Capi di Stato e politici,
non abbiano la volontà o la forza per evitare un altro massacro.
Ci
rivolgiamo a Lei perché chieda solennemente, ancora una volta, a governanti e
governati di non fare questa guerra. Vorremmo che si levasse la Sua voce
autorevole per invitare ogni uomo e donna di buona volontà a porre ad essa
obiezione di coscienza. Che i parlamentari non la deliberino, che i militari
non la combattano, che ogni persona, secondo le sue possibilità, percorra
attivamente la strada dell’obiezione e della non collaborazione.
Le
chiediamo un’affermazione semplice e univoca, che non lasci scappatoie per
gli incisi e i distinguo.
Ci
sentiamo accanto al popolo iracheno, che da una guerra vedrebbe solo
accresciute le proprie sofferenze. Ci sentiamo accanto alle vittime di ogni
guerra, di ogni terrorismo e a tutti i crocefissi della storia.
Santità, confidiamo in Lei perché si faccia voce di questo popolo. Grazie per quanto ha fatto e farà.
Quarant’anni fa Lanza
del Vasto fece un digiuno per tutta la durata della Quaresima per sostenere la
richiesta di una parola forte, chiara, decisa, sulla Pace e la nonviolenza
durante il Concilio Vaticano II. Scrisse una lettera a Giovanni XXIII per
spiegare le motivazioni che lo inducevano a quel gesto. La risposta arrivò il
giovedì santo: la Pacem in terris rispondeva a quasi tutte le richieste soprattutto
a quella della messa al bando delle armi nucleari.
In questi 40 anni sono successe tante
cose positive per merito della nonviolenza, la caduta del muro di Berlino, i
movimenti popolari che nel 1989 hanno dissolto parecchi regimi autoritari, la
fine della contrapposizione est-ovest. In questi ultimi tempi questa
forza morale si è espressa con un popolo di pace, che, sia pure senza
capi, è arrivato a decine di milioni in tutto il mondo, con le dichiarazioni
nette e concordi delle confessioni religiose, senza timori per il potere
costituito.
Ma la Pace è tuttora calpestata in
tante parti del mondo
Abbiamo pregato, abbiamo digiunato, abbiamo marciato, ma la guerra è
scoppiata in Iraq.
Non ci fermeremo! Continueremo a pregare, digiunare, marciare.
Proponiamo un digiuno a staffetta
per tutta la durata di questa sciagurata guerra.
Un digiuno gandhiano, a sola
acqua, per almeno un giorno alla settimana a rotazione. Chiediamo di
diffondere e sostenere per quanto possibile questa azione affinché sia segno
e testimonianza della verità della nonviolenza come forza della Giustizia,
leva della conversione per la soluzione dei conflitti. Una nonviolenza che è
stile di vita e metodo di lotta.
Proponiamo la resistenza spirituale, la preghiera incessante, il boicottaggio
dei marchi coinvolti in questa guerra, l'obiezione
di coscienza e la disobbedienza civile per ogni atto che, anche nei paesi non
belligeranti, contribuisce alla prosecuzione di questo ingiusto e illegittimo
conflitto, cominciando a vivere in
maniera più sobria e tessendo relazioni di pace e nonviolenza nel quotidiano.
PACE FORZA GIOIA
Movimento italiano dell’Arca di Lanza del Vasto
Comunicato Stampa
Grido di pace
Milano, 21 marzo 2003
Questa guerra sbagliata è cominciata. Gli appelli del Papa ai contendenti non
sono stati ascoltati. La responsabilità di chi ha giudicato esaurite le vie
di confronto stabilite dal diritto internazionale è grande. Ora all'America,
la cui storia è per noi punto di riferimento della libertà, chiediamo il
coraggio e la lungimiranza della moderazione.
Più che mai vale oggi l¹invito alla preghiera del Rosario, alla penitenza e
al digiuno per invocare da Dio la pace mediante la conversione del cuore. Il
desiderio di pace, più che su velleitarie proteste che alimentano ulteriore
odio, può essere salvato e dare frutti dentro un cammino di educazione basato
sull'annuncio decisivo riecheggiato in piazza San Pietro: "Solo Cristo può
rinnovare i cuori e ridare speranza ai popoli" (Giovanni Paolo II, Angelus
del 16 marzo 2003). Per questo siamo col Papa e col suo giudizio.
l¹ufficio stampa di Cl
Pax
Christi Internazionale: Assistenza alle popolazioni che hanno bisogno
d’aiuto e impegno per una pace giusta in Iraq e in Medio Oriente La
guerra in Iraq è la dimostrazione del tragico fallimento della diplomazia
internazionale. Gli Stati Uniti guidano un intervento militare che ha avuto
inizio senza il consenso del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e ignorando i
richiami preoccupati di gran parte della diplomazia mondiale, della società
civile, della Chiesa e dei rappresentanti di tante comunità religiose in
tutto il mondo. In modo ecumenico è stata infatti ripetutamente condannato
la politica della guerra preventiva. Non-violenza significa piuttosto
risolvere il conflitto prima di arrivare ad una sua degenerazione. Il
disarmo dell’Iraq avrebbe potuto essere raggiunto senza una guerra. Agli
ispettori dell’ONU non è stato dato il tempo sufficiente per terminare il
loro lavoro. Questa guerra è politicamente pericolosa, culturalmente
insensata ed inoltre disconosce l’importanza crescente che la cultura e la
religione hanno per l’identificazione politica di molte persone. A tal
proposito, altre urgenti considerazioni sono necessarie. Risorse
sufficienti dovrebbero poi essere destinate ad affrontare le inevitabili
conseguenze umanitarie di questa guerra. Tali risorse dovrebbero arrivare
non solo dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti, ma anche da quegli
stati che si oppongono ad una azione militare. Organizzazione
inter-governative o non governative devono avere le risorse necessarie per
raggiungere le popolazioni bisognose di aiuto e la possibilità di
affrontare le esigenze umanitarie in Iraq e nei paesi vicini. Un postulato fondamentale di una pace giusta ed onorevole
è assicurare il diritto alla vita e all'indipendenza di tutte le nazioni
grandi e piccole, potenti e deboli. La volontà di vivere di una nazione
non deve mai equivalere alla sentenza di morte per un'altra. Quando questa
uguaglianza di diritti sia stata distrutta o lesa o posta in pericolo,
l'ordine giuridico DOCUMENTAZIONE VITA O MORTE e non GUERRA E PACE! "O Signore, non abbandonarmi; Dio mio, non
allontanarti da me; affrettati in mio aiuto, o Signore, mia salvezza!"
(Salmo 32, 21-22) Gesù dice: "Io pregherò il padre, ed Egli
vi darà un altro consolatore perché stia con voi per sempre, lo
Spirito della verità" (Giovanni 14, 16-17) Care sorelle e cari fratelli, Con viva fraternità e affetto, Sull'attuale conflitto in Iraq, il Sinodo
straordinario si è espresso con il seguente atto: Art. 19 - Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste,
riunito in sessione straordinaria a Torre Pellice il 22-23 marzo 2003,
approva il seguente documento: Mai si era verificata una così vasta opposizione ad
una guerra in ogni parte del mondo. Mai rifiuto della guerra aveva
raccolto un consenso così unanime in chiese di ogni confessione e di
ogni paese. Eppure la guerra è stata scatenata da chi ha voluto imporre
una soluzione di forza umiliando le Nazioni Unite e calpestando il
diritto internazionale. Di fronte a questa decisione, foriera di
ulteriore isolamento per chi, avendola presa, per primo la subisce, noi
riaffermiamo la nostra solidarietà con il popolo degli Stati Uniti
d'America. Pensiero di Etty Hillesum Mio Dio sono tempi tanto angosciosi… Cercherò di
aiutarti affinchè tu non venga distrutto dentro di me. L'unica cosa che
possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti,
è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche
contribuire a disseppellirti dai cuori devastati degli uomini. Sì, mio
Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze
attuali, ma anch'esse fanno parte della vita. Io non chiamo in causa la
tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare noi responsabili.
E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non
puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difender fino all'ultimo la
tua casa in noi. "L'AMERICA DELLA
PACE "
Riportiamo la lettera che ci ha inviato il past.
Duncan Hanson dall'America
Cari amici, Duncan Hanson "LE RAGIONI DI
DIO" Dio dev'essere imbarazzato, dicono alcuni, tirato in
ballo da islamici e cristiani, apostoli della guerra santa, della nuova
crociata (Bush l'aveva detto, dopo l'11 settembre, che si sarebbe
trattato di una crociata) e pacifisti più o meno radicali. DICHIARAZIONE
DELL'ALLEANZA RIFORMATA MONDIALE
Esprimiamo oggi la nostra profonda tristezza e il
nostro rammarico: rammarico che la forza dell'opinione pubblica
internazionale non abbia, alla fine, dissuaso il governo degli Stati
Uniti e i pochi suoi alleati dall'imbarcarsi in una guerra che recherà
sofferenza, miseria e morte a migliaia di persone in Iraq e, forse,
altrove. PREGHIERA DEL CONSIGLIO
DELLE CHIESE CRISTIANE DI MILANO
Signore Dio e nostro Padre!
Noi cerchiamo la pace pur piegati dal peso di colpe nascoste in fondo
alla coscienza di ciascuno. Quante sicurezze hanno diffuso disperazione e morte! Lontano da noi, come le stelle dalla terra, ci appaiono i luoghi di
pace. Vogliamo, Signore, scoprire esperienze di pace come la donna trova la
moneta smarrita. Ti preghiamo, Padre, aiutaci a raccogliere nel vasto campo
dell'umanità, come fiori fra l'erba, le decisioni di pace. Soltanto così saremo figli tuoi beati, operatori per lo shalom di
ogni popolo. La pace e le piccole "guerre" quotidiane. Riflessione
del Consiglio Pastorale Diocesano Mentre il Papa lancia accorati appelli per la pace e lavora
instancabilmente per fermare la guerra contro l'Iraq, i Vescovi della
Conferenza episcopale triveneta si rivolgono ai cristiani e alle comunità
cristiane affinché ognuno si impegni per la causa della pace nei luoghi e
negli ambienti nei quali vive e opera. Il Consiglio pastorale diocesano
intende unirsi a queste voci e invita a dire no alla guerra e sì alla pace
come un dono di Dio da accogliere e condividere nello spirito di Cristo:
"Egli infatti è la nostra pace" (Ef. 2,14). 1. Osserviamo anzitutto che il no alla guerra ha già prodotto
nel mondo cattolico un piccolo miracolo. Infatti sotto lo stesso vessillo del
rifiuto di un nuovo conflitto in Medio Oriente si ritrovano oggi movimenti,
gruppi e associazioni che proprio in riferimento alla guerra, in tempi
passati, avevano posizioni diversificate. Segno che sta maturando nei
cattolici una nuova coscienza che dice no alla guerra e sì alla ricerca di
strumenti alternativi per risolvere problemi e
conflitti internazionali, condividendo questo impegno con tutte le
persone di buona volontà, credenti e non credenti. Per costruire la pace non basta dire no alla guerra, è
urgente progettare un nuovo ordine economico, politico e giuridico
internazionale più giusto ed equo. La pace non è soltanto assenza di guerra.
E' anche giustizia, rispetto dei diritti umani, banco di prova quotidiano dei
principi e dei valori nei quali crediamo. Va bene, quindi,
parlare e magari gridare con forza in nome della pace, sventolare
bandiere di pace, manifestare e digiunare per la pace. Guai però se
dimentichiamo che la pace svetta sì in alto, nei cieli dell'utopia, ma
affonda in basso, nella terra del nostro cuore, il suo tronco e le sue radici. 2. Il cuore umano è spesso
una sorgente di acqua inquinata, non per una originaria natura malvagia, ma
perché la libertà si è consegnata al peccato e il peccato, coagulandosi da
gesto in abitudine, è diventato storicamente un torrente e un fiume che tutto
travolge. Ma Dio, con un'impensabile iniziativa di amore, ha trasformato
il cuore degli uomini. In Cristo ha ha
riconciliato a sé i peccatori e ristabilito la comunione infranta. Il cuore
è stato riportato alla sua vocazione e potenza originaria, a ritrovare quella
libertà che si era, per così dire, perduta. Non è forse questo il messaggio
del vangelo? Gesù siede a tavola con i peccatori: è l'annuncio del Regno. A
partire da questo annuncio, con la forza dello Spirito Santo, le persone
possono ritrovare la libertà e diventare nuovamente soggetti liberi e
responsabili di sé, degli altri e del mondo. 3. Alla sequela di Gesù come
cristiani siamo chiamati a sedere ogni giorno a tavola con le persone che
sbagliano, ci logorano, ci pestano i piedi, ci tagliano la strada, ci tolgono
il respiro, a volte ci feriscono. E' in queste persone che Dio ha rivelato e
nascosto la sua gloria (Gv 1,14). Non è dunque con persone ideali, perfette,
immaginarie, che siamo chiamati a vivere, ma con persone reali, in carne ed
ossa, che abitano la stessa casa, lavorano nello stesso ufficio, fanno parte
della stessa comunità. A volte è più facile sognare o scendere in piazza a
manifestare per la pace che vivere accanto a persone sicure di sé,
"senza se e senza ma", o vicino ad altre che al contrario sono
sempre piene di dubbi, di "se" e di "ma". Diciamo allora che la pace, più che un’utopia e una realtà
è un simbolo reale. In quanto reale chiama in causa la nostra vita, la nostra
libertà. In quanto simbolo riproduce e anticipa, in miniatura, le strutture
esistenziali che presiedono a ogni rapporto interpersonale, dalla
conversazione familiare, all'impegno sociale e politico, alle relazioni
internazionali. La paura della guerra che minaccia oggi il mondo non è di
qualità diversa dalla paura che ci rende spesso aggressivi in famiglia o per
la strada. E il peso delle tensioni che gravano sul rapporto Nord-Sud è già
rappresentato e aggravato dall'intolleranza con cui difendiamo le nostre idee
o il nostro piccolo superfluo. 4. E' dunque a partire dal
quotidiano, dalle piccole "guerre" e "vittorie" di ogni
giorno, che siamo chiamati a dire: - no ad ogni pensiero,
desiderio o progetto di violenza; - no ad ogni parola violenta,
volgare od offensiva; - no ad ogni atto o forma di
aggressività e illegalità; - no ad ogni omissione di
soccorso e di aiuto agli altri; - sì ad ogni pensiero,
desiderio e progetto di cooperazione; - sì ad ogni parola di scusa,
di incoraggiamento, di perdono; - sì ad ogni iniziativa in
difesa della giustizia e dei diritti umani; - sì ad ogni manifestazione
di solidarietà, di fraternità, di pace. 5. Questo è il messaggio
evangelico della pace, alla luce del quale è costante l’insegnamento e
l’invito della Chiesa all’impegno ad essere costruttori di pace. Con
queste premesse ci sentiamo di dire con chiarezza: -
no alla guerra come mezzo di confronto e di soluzione dei conflitti,
sia all’interno che tra gli Stati, come indica la Costituzione italiana per
la quale “L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali”; in particolare no alla guerra contro l’Iraq,
che non trova giustificazione etica, cercando invece soluzioni internazionali
al problema del popolo iracheno; -
no alle tante guerre attualmente in atto e troppo facilmente
dimenticate, lasciando intere popolazioni in balia di soprusi e ingiustizie, a
volte solo per consentire ricchi mercati al commercio delle armi; in
particolare no alla guerra che sta martoriando i luoghi santi della cristianità
in una spirale di ritorsioni senza uscite; -
no a qualsiasi forma di violenza e di terrorismo, che offende in modo
irreparabile la dignità umana; no ai tanti messaggi di violenza trasmessi con
incessante insistenza da televisioni e dagli altri mezzi di comunicazione; -
si al ruolo dell’ONU come organismo di composizione dei conflitti
internazionali, di garante delle libertà fondamentali, del diritto
internazionale e della democrazia e costruttore di pace in grado di prevenire
e di bloccare i conflitti armati; -
si ad un ruolo di pacificazione dell’Italia che contribuisca a
determinare una posizione più unitaria dell’Europa nell’impegno per la
pace; -
si ad una politica di riconversione delle industrie del nostro Paese
che producono armi, per non essere più tra i principali esportatori di armi; -
si ad un ruolo di pacificazione della Chiesa, attraverso l’educazione
alla legalità perché la pace sia fondata sulla giustizia. Ai governati, ai parlamentari, agli amministratori locali
chiediamo un impegno deciso per evitare qualsiasi coinvolgimento dell’Italia
in questo nuovo conflitto e per contribuire a definire un ruolo positivo
dell’Italia nella costruzione della pace fondata sulla giustizia. Ai
cristiani chiediamo di diventare, anche attraverso la preghiera ed il digiuno,
operatori di pace, a partire dalle piccole controversie quotidiane, per creare
un clima ed una cultura di dialogo e di solidarietà. E’ questo il contributo che la nostra comunità diocesana si
impegna a dare per la pace. Lavorare
il "cuore" delle persone affinché ne sgorghi una nuova prassi, un
nuovo stile di vita, che aiuti ad essere e sentirsi liberi dalla violenza e
dalla paura, attenti e impegnati nella costruzione di un nuovo ordine
economico e politico mondiale più giusto ed equo, disponibili e pronti a
vivere, a educare e magari inventare nuove forme nonviolente di risoluzione
dei conflitti Appello dei capi delle Chiese Cristiane in Iraq 1.
IRAQ: LA CARITAS SI MOBILITA IN TUTTA ITALIA Per
questa nuova emergenza la rete internazionale della Caritas, da tempo in
allerta, si è subito mobilitata e continua ad operare in modo coordinato in
Iraq e nei Paesi limitrofi. Caritas Italiana ha già stanziato 150mila euro
mentre Caritas Bologna continua a promuovere la raccolta di fondi anche
attraverso i propri conti correnti. Riportiamo di seguito le notizie (spesso
molto dettagliate ma, ci sembra, interessanti) che quasi giornalmente arrivano
in Caritas Italiana dalle zone del conflitto. Aggiornamento
del 28 marzo IRAQ A
causa del bombardamento del centro di telecomunicazioni avvenuto la notte
scorsa a Baghdad, l’ufficio di collegamento Caritas Iraq ad Amman, questa
mattina, non ha potuto contattare i centri Caritas in Iraq. A
Baghdad si sono succeduti pesanti bombardamenti che hanno causato molti morti
di civili. Lo stato di coprifuoco limita drasticamente i movimenti nella città.
Le informazioni che giungono da Bassora indicano che la situazione è
relativamente calma anche se sono in corso combattimenti alla periferia. I
bombardamenti hanno danneggiato la chiesa caldea di Ma-akel. Iraq
del Nord Un
assistente sociale e un paramedico dello staff di Dutch Consortium hanno
visitato i rifugiati interni a New Halabja e Bazyan. A
New Halabja ci sono attualmente tra i 2.000 e i 3.000 sfollati per lo più
famiglie sistemate in case, scuole e moschee. Fa molto freddo e il prezzo del
kerosene è salito fino a 100 dinari per 20 litri. Si registrano problemi di
salute come diarrea, ipertensione, asma, ma ad oggi non è stata ancora
garantita alcuna assistenza sanitaria. TURCHIA Un
operatore cercherà di raggiungere, la prossima settimana, la zona di Silopi
per fornire a Caritas Turchia aggiornamenti sulla situazione dell’area. Il
18 marzo scorso Caritas Turchia ha accolto 11 famiglie irachene caldee che
erano passate attraverso la Siria, e si sta occupando di loro come di tutte le
altre famiglie irachene assistite dal programma rifugiati. Aggiornamento
del 27 marzo SIRIA Oggi
nel deposito di Caritas Siria è stato stoccato tutto il materiale che era
stato ordinato (coperte, materassi e latte in polvere). Anche l’ufficio
Caritas è definitivamente operativo ora. Sono state già registrate presso
l’ufficio le prime cinque famiglie. Gli operatori di Caritas Siria li
visiteranno regolarmente presso le loro sistemazioni temporanee. Il problema
più grosso che questi nuclei familiari devono affrontare è il pagamento
dell’affitto: i costi sono abbastanza alti - tra 100 e 150 dollari - e
queste famiglie hanno non hanno abbastanza soldi per pagare l’affitto per
molto tempo. È stato rilevato che il duro lavoro svolto negli ultimi 3 giorni
per cercare gli “invisibili” rifugiati ha avuto un enorme successo, e
dimostra ancora una volta che avvicinare le famiglie irachene in maniera
individuale è stato molto fruttuoso. NORD
IRAQ Duch
Consortium, di cui fa parte anche Caritas Olanda, ha visitato gli sfollati (internally
displaced people) nella zona di Diana (Governatorato di Erbil). Ci sono 270
famiglie sistemate in 11 scuole. Queste famiglie ricevono kerosene dalle
Nazioni Unite in quantità sufficiente per 6-7 ore al giorno; superato questo
numero di ore non hanno né elettricità, né riscaldamento. Hanno ancora
delle piccole riserve di cibo e un po’ di soldi per acquistare al mercato
beni di prima necessità, ma, tra un paio di giorni, avranno esaurito quanto
gli resta. 1645
famiglie (15.000) persone sono senza acqua potabile, latte e assistenza
sanitaria . IRAN Il
confine tra Iran e Iraq continua ad essere ufficialmente chiuso. 22.000 curdi
iracheni sono ammassati al confine con l’Iran (zona di Penjwin) ma non hanno
fatto alcun tentativo di attraversarlo. Queste persone sono accolte da parenti
o sono sistemati in edifici pubblici. Circa 1.000 nelle tende. Aggiornamento
del 26 marzo La
Federazione Internazionale delle società Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (IFRC)
prevede un flusso di 250.000 profughi verso Giordania, Siria, Kuwait, Turchia
e Iran. IRAQ Lo
staff e i volontari di Caritas Iraq sono salvi, e stanno verificando i danni
ad abitazioni e chiese. I telefoni funzionano ma con difficoltà. La Caritas
opera presso i suoi centri medici sparsi in tutto il paese e con le ambulanze.
Subito dopo i primi bombardamenti, la popolazione si è rifugiata nelle scuole
e, anche qui Caritas Iraq distribuisce kit di primo soccorso. La chiesa
patriarcale caldea a Baghdad è stata danneggiata. NORD
IRAQ La
rete Caritas sta predisponendo, insieme alla Chiesa locale, un piano di
emergenza per l’accoglienza di eventuali profughi. Wim Piels, di Caritas
Olanda, ha già effettuato una prima missione sul posto ed è stato lanciato
un appello per aiuti di emergenza. Un contributo è stato dato anche da
Caritas Italiana. SUD
IRAQ A
Bassora, secondo Al Jazeera, i pesanti bombardamenti hanno danneggiato le
infrastrutture, manca acqua e luce. Si sono avuti 75 morti e circa 300 feriti;
il centro della Mezzaluna Rossa ha potuto prestare cure mediche, con medicine
fornite da Caritas Iraq. GIORDANIA Dal
16 marzo, il numero dei rifugiati di paesi terzi che dall’Iraq sono arrivati
in Giordania è salito a 5.284. I rifugiati sono soprattutto somali e
sudanesi, ma ci sono anche egiziani, sudafricani, eritrei, gibutini e
libanesi. A partire da domenica 23 marzo, più di 560 iracheni hanno lasciato
la Giordania per ritornare in Iraq. Il 23 marzo il direttore di Caritas
Giordania ha visitato i due campi profughi di Ruweished: SIRIA Il
confine con l'Iraq è attualmente chiuso, i profughi arrivati in precedenza
sono ospitati da conoscenti, altri profughi si ammassano vicino alla
frontiera. La Caritas Siria, con cui sta collaborando anche la Caritas Libano,
ne sta valutando il numero. La capacità dei campi profughi allestiti al
confine è di 10-12.000 persone,
estensibile a 20.000. IRAN Le
frontiere sono chiuse, non sono passati profughi. La rete Caritas sta
monitorando la situazione insieme a Caritas Iran. È stato lanciato un appello
di emergenza per rafforzare la Caritas locale. Caritas Italiana ha contribuito
a questo appello. Si sta organizzando, d’accordo con la Caritas locale,
l’invio di un team di supporto in loco (ERST). TURCHIA Confine
chiuso e situazione confusa. 10.000 rifugiati premono alla frontiera e si
prevede arriveranno a 60-80.000. Nessuno, neppure l'UNHCR, ha avuto il
permesso di visitare la zona dei campi; la Mezza Luna Rossa non dà
informazioni; l'UNICEF potrebbe giocare un ruolo dato che i campi sono aperti
solo a donne e bambini, per ragioni di sicurezza. KUWAIT Sono
scarsissime le comunicazioni con questo Paese, mancando anche precedenti
esperienze di comunicazione con la rete delle ONG internazionale; le
operazioni per qualsiasi permesso sono complesse. Pare che il sistema dei
telefoni mobili sia stato escluso, l'aeroporto chiuso al traffico commerciale.
ONG
presenti: Mercy Corps, MSF, IMC, Save the Children, PHR (Phisicians for Human
Rights), JNEPI. Due
rappresentanti di Cafod (Caritas Inghilterra) sono arrivati ieri a Kuwait City
e intendono spostarsi, non appena possibile, a Bassora.
Aggiornamento
del 25 marzo Stamane
abbiamo ricevuto notizie dai Centri Caritas a Baghdad e Bassora, mentre non è
stato possibile contattare Kirkuk A Bassora, con le linee elettriche e gli
impianti idrici distrutti già da tre giorni, la maggior parte del milione e
mezzo di abitanti è costretta ad usare l’acqua del fiume per cucinare e
bere, con il pericolo crescente di infezioni ed epidemie. Cei, i distinguo dei vescovi. Con il Papa ma... 1.
IRAQ: LE NOTIZIE
DELL’ULTIMA SETTIMANA PROVENIENTI DALLA RETE CARITAS Aggiornamento
del 7 aprile In
Iraq si registra un consistente numero di sfollati all'interno del paese e
lungo le zone di confine ma, al momento, non si registrano flussi di rifugiati
nei paesi limitrofi. L'Ufficio
di Collegamento Caritas in Amman è riuscito a contattare i vescovi Shlemon e
Dalli di Baghdad. Questi hanno confermato che per quanto riguarda le chiese e
i centri Caritas, la situazione è buona. La sede centrale Caritas a Baghdad
è riuscita a contattare i centri Caritas a Bassora attraverso i tassisti.
Oltre a quelle già arrivate nella prima spedizione, Mons. Shlemon ha detto
che a Bassora c'è ancora grande bisogno di tavolette per la depurazione
dell'acqua. Anche a Baghdad l'ufficio Caritas ha organizzando un ulteriore
invio di tavolette di clorochina, dopo quello arrivato tre giorni fa da Amman. L'Ufficio
Caritas di Amman sta organizzando l'invio a Baghdad di due carichi di
antidolorifici, antibiotici, ecc. I vescovi hanno informato che ci sono molti
sfollati nelle chiese di Baghdad. I centri Caritas forniscono, a queste
persone, tutto ciò di cui hanno bisogno, soprattutto cibo e medicine. Gli
alimenti vengono acquistati in loco dai mercati locali. Molte persone
preferiscono rifugiarsi nelle chiese durante la notte ritornando poi a casa di
giorno. I contributi Caritas finora raccolti a seguito dell'appello lanciato
da Caritas Iraq hanno permesso l'acquisto e lo stoccaggio in Amman e gli invii
in Iraq - che si stanno svolgendo con grosse difficoltà data la situazione -
di medicine e generi di prima necessità. Ad
Amman, sono stati finora acquistati e immagazzinati kit alimentari per 22.740
famiglie (113.700 persone) che verranno trasportati in Iraq nei prossimi
giorni, verificata l’esistenza di condizioni di sicurezza e garanzie più
stabili. In ogni caso l'Ufficio di Collegamento Caritas Iraq in Amman, sta
organizzando un grosso convoglio di aiuti umanitari per la prossima settimana. L'Ufficio
di Collegamento Caritas Iraq di Amman fa sapere che gli aiuti di beni
(alimentari, medicine, altro) non sono accettati poiché, alla frontiere,
tutto viene rimandato indietro. Caritas
Iraq, ha firmato un accordo con il Governo iracheno (che le ha permesso, tra
l'altro, di distribuire aiuti umanitari in tutto il paese sin dall'inizio
dell'embargo) secondo il quale Caritas Iraq - ed è la sola Ong autorizzata -
distribuisce attraverso i suoi centri dislocati su tutto il paese, aiuti
umanitari secondo una lista prestabilita e ben definita. La lista è stata
elaborata secondo quella approvata dalle Nazioni Unite per il Programma
Oil-for-food. La
popolazione irachena cerca sicurezza per poter ricostruire il futuro. La
Caritas resta accanto ai più bisognosi, senza mai dimenticare le altre aree
di sofferenza nel mondo. Una delegazione di Caritas Italiana parte per
Gerusalemme. “Questa
mattina abbiamo contattato l'Ufficio centrale Caritas di Baghdad. Tutto lo
staff Caritas a Baghdad sta bene. Le chiese, i centri Caritas e gli uffici non
sono stati colpiti. Ci sono molti sfollati nelle chiese e nei locali
adiacenti, nei centri Caritas e nei centri comunitari. Molti restano chiusi in
casa perché c’è ancora tanta paura, anche a causa dei saccheggi nelle sedi
istituzionali e nei quartieri residenziali”. Queste parole di Hanno
Schaefer, dell’Ufficio di collegamento della rete Caritas ad Amman,
forniscono un sintetico quadro della situazione in un Iraq
ancora confuso. Occorre
adesso ridare fiducia ad un popolo schiacciato per troppo tempo dalla
dittatura e dall’embargo. Sicurezza dentro l’Iraq e ai confini. Questa la
priorità per poter consentire l’afflusso regolare degli aiuti umanitari. La
Caritas infatti finora ha continuato ad operare all’interno dell’Iraq con
14 Centri sparsi tra Mosul, Kirkuk, Baghdad, Bassora - strutture già attive
prima della guerra e allertate per questa emergenza –, il collegamento con
le 87 chiese presenti nel Paese e la mobilitazione di 134 operatori e 120
volontari. Sono anche arrivati dalla Giordania dei convogli a Baghdad e a
Bassora, ma in modo sporadico, tra pericoli e incertezze. La
Caritas Italiana, come ha sempre sottolineato dall’inizio della guerra e
facendo eco alle parole del Papa, continua a lavorare per costruire una
cultura di pace nel quotidiano e dare voce al dialogo perché trovi spazio in
tutte le situazioni di conflitto: dall’Africa - in special modo dai Grandi
Laghi, da dove purtroppo sono giunte ancora notizie di massacri - alla
martoriata Terra Santa. Proprio
per Gerusalemme parte oggi una delegazione della Caritas guidata dal
direttore mons. Vittorio Nozza. Un segno di vicinanza alla Caritas di
Gerusalemme, che coordina la distribuzione degli aiuti e la realizzazione
degli interventi in favore della popolazione locale, con il sostegno della
Caritas Italiana, che tra l’altro ha messo a disposizione un suo operatore,
presente a Gerusalemme dallo scorso febbraio. È
prevista la visita al Santo Sepolcro, l’incontro con Sua Beatitudine Michel
Sabbah, Patriarca Latino di Gerusalemme, la partecipazione alla processione
della domenica delle Palme. Ci sarà anche un incontro con S.E. Mons. Pietro
Sambi, delegato apostolico a Gerusalemme e in Palestina, nonché nunzio
apostolico in Israele e Cipro, e un colloquio con il console generale
d’Italia Gianni Ghisi presso la sede della Cooperazione italiana allo
sviluppo. Un programma fitto di appuntamenti per sviluppare ulteriormente i
progetti di solidarietà in corso. Ma anche un’occasione per unire le voci
nella preghiera e chiedere a Dio il dono della pace. Quella pace di cui
esattamente quarant’anni fa il beato Giovanni XXIII, nell’enciclica
“Pacem in Terris”, ribadiva i pilastri fondativi: verità, giustizia,
amore e libertà. Aggiornamento
del 14 aprile Distruzione
sistematica di tutte le strutture e infrastrutture del governo iracheno.
L'Ufficio di Collegamento Caritas Iraq in Amman ha allestito convogli di aiuti
umanitari in Iraq ma la mancanza di sicurezza impedisce ancora l'invio. I
rischi di saccheggio o di incendio ai camion è altissimo. L'Ufficio Caritas
Iraq in Amman è riuscito a contattare il Nunzio a Baghdad il quale ha
confermato i saccheggi e il caos per le strade di Baghdad; molta gente è
praticamente chiusa dentro casa in attesa che migliori la situazione dal punto
di vista della sicurezza. Il
centro Caritas a Dohuk (Nord Iraq) sta cercando di fare il punto sul numero
degli sfollati dell'area. Dutch Consortium (di cui fa parte anche la Caritas)
continua le sue attività a sostegno delle famiglie sfollate. Lo staff di
Dutch Consortium, insieme al Vescovo caldeo, Mons. Petrus, della Diocesi di
Duhok/Zakho, hanno visitato l'area intorno Alqosh, circa 12 km da Mosul (45 km
da Duhok). Circa 2.000 famiglie di sfollati (più di 10.000 persone) si
trovano nel sotto distretto di Alqosh: 100 famiglie sono sistemate nella
chiesa di Alqosh e 1.900 famiglie sono ospitate presso altre famiglie. In
collaborazione con il Vescovo caldeo di Alqosh, si sta organizzando un piano
per la distribuzione degli aiuti a queste famiglie. La
situazione dei rifugiati va invece stabilizzandosi. Secondo Caritas Siria, non
dovrebbero più arrivare rifugiati iracheni in Siria. Tutte le famiglie
attualmente a Damasco e dintorni vogliono aspettare qualche settimana prima di
rientrare in Iraq, specialmente le famiglie cristiane che temono i futuri
assetti politici dell'Iraq. _______________________________________________________ -
c/c postale n. 347013 -
c/c bancario n. 5000X34
- ABI 05696 - CAB 03202 BANCA
POPOLARE DI SONDRIO, AG. ROMA 2 -
Cartasì e Diners telefonando a
Caritas Italiana 06/541921 (dal lunedì al venerdì 9.00-18.00) 17
aprile 2003 Secondo
le informazioni dell’Ufficio Caritas Iraq ad Amman, la situazione a Bagdad
è, dal punto di vista della sicurezza, drammatica. Questo non dà garanzie
all’accesso degli aiuti umanitari dall’estero. L’ufficio di Caritas Iraq
ad Amman informa che sono state acquistate le medicine e che il convoglio di
medicine e aiuti alimentari è pronto ma in attesa di partire per Baghdad a
causa degli altissimi rischi sulla sicurezza. A Bagdad un imprecisato numero
di sfollati è ancora sistemato nelle chiese. La
situazione nel sud del paese (Bassora e dintorni) è un po’ più calma. I
mercati e le scuole sono aperte. Il Centro Caritas a Bassora sta intervenendo
esclusivamente in collaborazione con la Mezza Luna Rossa alla quale sono già
state messe a disposizione il 70% delle medicine immagazzinate sin
dall’inizio della guerra. Negli
ultimi tre giorni sono stati distribuiti dai centri Caritas stock di medicine,
articoli sanitari, coperte, materassi e lenzuola a tre ospedali statali e uno
privato di Bagdad. In uno di questi ospedali, quello pediatrico, la Caritas ha
distribuito anche cibo altamente proteico per i bambini sottonutriti. Sono però
urgenti ulteriori forniture di medicinali e articoli sanitari. L’Ufficio di
collegamento Caritas in Amman, a causa degli altissimi rischi per mancanza di
sicurezza, sta optando per l’invio di piccole partite invece di grossi
convogli. Caritas
Iraq suggerisce alla rete Caritas di fare ulteriori sforzi presso i propri
governi per introdurre forze di polizia come deterrente contro il saccheggio.
A tutt’oggi solo il Canada, l’Italia e la Danimarca si stanno attivando. 29
aprile 2003 Una
delegazione Caritas è partita da Amman per Bagdad lo scorso venerdì 25
aprile e si ferma fino ad oggi. La delegazione si è incontrata con i
responsabili dei centri Caritas di Bagdad, Mosul, Kirkuk, Karakosh e Alkosh.
Tutti i Centri Caritas di queste città hanno potuto operare durante il
periodo della guerra e hanno soccorso molti feriti e curato molti casi di
emergenza. Nel
Nord dell'Iraq, i 4 Centri Caritas presenti a Mosul, Kirkuk, Karakosh e Alkosh
hanno garantito a più di 800 famiglie (4.500 persone) ospitate nei locali
delle chiese e presso altre famiglie, cibo, alimenti supplementari per i
bambini denutriti, coperte, materassi e altri beni di prima necessità.
Durante l'incontro con la delegazione, è stato deciso che i Centri Caritas Situazione
Profughi in Siria Da
alcuni giorni, dozzine di autobus di rifugiati iracheni stanno lasciando
Damasco durante la notte per oltrepassare il confine ed entrare in Iraq. Gli
autobus raccolgono la gente dei quartieri vicini; sembra che il trasporto
collettivo di intere famiglie da Damasco per l'Iraq sia efficiente ma, al
momento, è impossibile conoscere chi gestisce queste operazioni. Sempre più
persone si recano presso il centro Caritas a Damasco chiedendo denaro per
pagarsi il viaggio di rientro in Iraq. La situazione delle famiglie che si
recano presso gli uffici della Caritas diventa ogni giorno più critica:
stanno finendo il denaro e non sono più in grado di pagare l'affitto, non
riescono a trovare un lavoro, hanno problemi di salute. La gente è stanca,
depressa e non sa come andare avanti nelle prossime settimane. Iraq: l'invasione americana un grande crimine storico
verso il popolo iracheno Pace: superiora generale invita Figlie San Paolo ad
assumere concreti impegni Pace: 26 religiosi/e firmano l'appello per rilanciare
ruolo dell'ONU 01/07/2003
Alleanza Nazionale invita gli
italiani a esporre il vessillo della Nazione. I pacifisti della Rete Lilliput,
quello della pace ROMA
- Una bandiera per i ricordare i caduti in Iraq. Una bandiera da esporre sui
balconi. Come fu prima dell'entrata in guerra. Come fu dopo l'11 settembre. Ma
oggi come allora l'Italia si divide. La Rete Lilliput, il movimento pacifista
che riunisce associazioni laiche e cattoliche, invita tutte le famiglie e i
cittadini italiani a esporre le bandiere della pace, le bandiere arcobaleno
che molti italiani appesero alle inferriate dei balconi prima e durante il
conflitto in Iraq. Alcune, a distanza di mesi sono ancora lì, hanno resistito
anche alle intemperie.
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Prima di tutto è fondamentale ribadire che l’attacco militare deve essere
portato avanti in modo tale da ridurre al minimo i danni per i civili e che
la popolazione oppressa dell’Iraq dovrà tornare ad essere padrona del
proprio Paese a conflitto terminato, cosa che ci auguriamo avvenga il prima
possibile.
Tutte le parti in conflitto devono attenersi agli standard previsti dalla
legge internazionale per il rispetto dei diritti umani.
Il comportamento delle forze alleate dovrebbe quindi attenersi
a quegli standard internazionali che Stati Uniti e Gran Bretagna
dicono di voler far rispettare. Questo richiede che venga usata la massima
attenzione nell’applicazione di un’azione militare aggressiva. Ad
esempio, l’uso di bombe di distruzione di massa dovrebbe essere vietato
così come il fare oggetto di bombardamenti siti o beni di pubblica utilità.
Armi già vietate dalla legge internazionale, come le armi chimiche o
biologiche, dovrebbero essere allo stesso modo proibite. Un uso
indiscriminato di simili armamenti minerebbe seriamente sia il valore della
Convenzione sulle armi chimiche che quello delle leggi internazionali.
Naturalmente, il divieto di usare armi chimiche o biologiche vale anche per
l’esercito iracheno già più volte avvertito che il loro impiego sarebbe
giudicato come un crimine di guerra.
Qualsiasi cornice politica che scaturirà dal confronto tra l’Iraq
e la comunità internazionale dovrà essere giusta e ridurre al minimo i
rischi di una guerra civile. Tale processo richiederà inoltre un impegno
effettivo nei confronti dei paesi confinanti con l’Iraq per assicurare e
difendere anche la loro sicurezza. L’azione politica nei confronti
dell’Iraq andrà poi portata avanti in tandem con un impegno
internazionale che porti finalmente al raggiungimento della pace in Medio
Oriente. La politica per il Medio Oriente è stata fino ad ora
inconsistente, mentre un piano per arrivare ad una pace giusta e sostenibile
tra Israele e Palestina diventa adesso una priorità assoluta.
Pax Christi Internazionale richiede con urgenza a tutti i governi la
disponibilità ad aiutare la popolazione irachena e l’impegno per creare
le condizioni per una pace giusta e duratura in Iraq e in Medio Oriente.
Richiamiamo inoltre tutte le parti in conflitto affinché esse rispettino le
norme internazionali sui diritti umani. Pax Christi Internazionale e le
sezioni nazionali continueranno nei loro sforzi per fermare la guerra, per
dare assistenza a coloro che ne hanno bisogno e nella cooperazione con
persone di fedi diverse, in particolar modo Musulmane, per ristabilire la
fiducia e l’amicizia tra i popoli e le nazioni.
26 Marzo 2003
esige una riparazione la cui misura e estensione non è determinata dalla
spada o dall'arbitrio egoistico ma dalle norme di giustizia e di reciproca
equità. Affinché l'ordine, in tal modo stabilito possa avere tranquillità
e durata cardini di una vera pace, le nazioni devono venire liberate dalla
pesante schiavitù della corsa agli armamenti e dal pericolo che la forza
materiale, invece di servire a tutelare il diritto ne divenga tirannica
violentatrice. Conclusioni di pace, che non attribuissero fondamentale
importanza ad un disarmo mutuamente consentito, organico, progressivo, sia
nell'ordine pratico che in quello spirituale, e non curassero di attuarlo
lealmente, rivelerebbero presto o tardi, la loro inconsistenza e mancanza
di
vitalità. In ogni riordinamento della convivenza internazionale, sarebbe
conforme alle massime dell'umana saggezza che da tutte le parti in causa
si deducessero le conseguenze dalle lacune o dalle deficienze del passato;
e nel creare o ricostituire le istituzioni internazionali, che hanno una
missione tanto alta, ma in pari tempo così difficile e piena di
gravissime responsabilità, si dovrebbero tener presenti le esperienze che
sgorgassero dall'inefficacia o dal difettoso funzionamento di simili
anteriori iniziative. Da Quel senso di intima e acuta responsabilità che
misura e pondera gli statuti umani secondo le sante e incrollabili norme
del diritto da quella fame e sete di giustizia che è proclamata come
beatitudine nel sermone della montana e che ha come naturale presupposto
la giustizia, da quell'amore universale che è il compendio e il termine
più proteso dell'ideale cristiano e che perciò getta un ponte anche
verso coloro, i quali non hanno il bene di partecipare alla stessa nostra
fede (Papa Pacelli, allocuzione natalizia: punti per una giusta pace
internazionale, 1939)".
Non credo sia necessario fare commenti particolari al discorso di Papa
Pacelli pronunciato allo scoppio della seconda guerra mondiale (1939).
Vorrei solo fare un appello a quanti vogliono ritenersi autenticamente
cristiani di riflettere e di agire di conseguenza stimolati
dall'invito di un grande Papa oggi da tanti vituperato, che proclamava
linee di fede e di autentica umanità.
(don Ulisse)
Fondazione Nuovo Villaggio del Fanciullo
via 56 Martiri , 79
48100 Ravenna
tel. 0544-601111
fax 0544-61379
GUERRA E PACE
Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste, riunito in sessione
straordinaria a Torre Pellice (Torino) il 22-23 marzo 2003, ha approvato
il seguente documento:
Mai si era verificata una così vasta opposizione ad una guerra in ogni
parte del mondo. Mai rifiuto della guerra aveva raccolto un consenso così
unanime in chiese di ogni confessione e di ogni paese. Eppure la guerra è
stata scatenata da chi ha voluto imporre una soluzione di forza umiliando
le Nazioni Unite e calpestando il diritto internazionale. Di fronte a
questa decisione, foriera di ulteriore isolamento per chi, avendola presa
per primo, la subisce, noi riaffermiamo la nostra solidarietà con il
popolo degli Stati Uniti d'America.
Non abbiamo dimenticato l'11 settembre 2001, il giorno della profonda
ferita inferta a tutto l'Occidente. Così come non abbiamo dimenticato il
6 giugno 1944, il giorno di migliaia di giovani venuti a morire sulle
spiagge del nostro continente per la comune libertà. E non abbiamo
dimenticato le radici culturali, religiose, politiche che legano
indissolubilmente i nostri due continenti. Ma proprio in base a questa
solidarietà che riaffermiamo nel momento della lacerazione, vogliamo
rivolgere un appello al popolo statunitense e ai suoi governanti,
anzitutto a quanti fra loro accostano troppo facilmente il nome di Dio
alla guerra.
Molti di voi hanno imparato dalla Bibbia, come noi, che Gesù chiama beati
i mansueti, gli affamati e assetati di giustizia e coloro che si adoperano
per la pace (Mt. 5,5-6.9); insegna ad anteporre al culto la
riconciliazione con l'avversario (5,23-26); indica nell'amore per i nemici
lo straordinario del comportamento cristiano (5,43-47). Guardatevi dunque,
nel passare dall'etica individuale ad un programma politico, dal
contraddire e stravolgere del tutto questo insegnamento, inventando una
missione di repressione del male con l'uso della violenza preventiva,
catturando dalla vostra parte un "Dio
che non è neutrale", accorciando indebitamente la distanza
incommensurabile che esiste tra le nostre vie e le vie di Dio (Is. 55,9).
E al di là di ogni riferimento esplicito a Dio, vi scongiuriamo di
abbandonare la strada su cui vi siete avviati. Avete dissipato il capitale
di solidarietà accumulato dopo l'11 settembre infilandovi in un vicolo
cieco: avete preteso di sostituire alla concertazione dei popoli
l'egemonia di una potenza che decide ciò che è bene e ciò che è male,
in un pericoloso
miscuglio di ideali religiosi e di interessi politici, e impone le sue
decisioni con la forza.
È una via profondamente sbagliata e funesta. Essa non può che produrre
una crescente instabilità e non può non avvitarsi in una spirale di
guerre continue. Il dittatore iracheno è certo uno dei più sanguinari e
odiosi tra quanti incatenano il loro popolo al giogo della tirannia. Ma ce
ne sono altri ugualmente odiosi e forse più pericolosi. Andrete avanti
per questa
strada? Fraternamente vi supplichiamo di ravvedervi, di dare ascolto alla
voce delle vostre chiese che con tanta forza si oppongono a questo
indirizzo, di cambiare strada, di tornare al consesso delle nazioni
ripartendo dal punto in cui l'avete abbandonato, per contribuire a
rifondarlo e rinnovarlo, per farne la base multilaterale e globale di una
governabilità nella giustizia e perciò nella stabilità.
Nel rivolgervi questo appello siamo dolorosamente consapevoli della nostra
non minore incoerenza: tutti infatti abbiamo fallito nel perseguire la
pace e tutti, da questa parte dell'Atlantico come dall'altra, abbiamo
contribuito a seminare nei due terzi del mondo semi di risentimento e di
odio con politiche coloniali vecchie e nuove di rapina e di sfruttamento.
Possa questo senso di inadeguatezza, portato responsabilmente davanti a
Dio nella preghiera, tradursi ora, per i nostri paesi e per le nostre
chiese, in un serio impegno per l'Iraq: per la cessazione dei
combattimenti, per l'accoglienza delle vittime, per la ricostruzione
futura quando poi le armi taceranno.
Da Don Danilo D'Alessandro (articolo della rubrica Confusi e Felici del
Domani della Calabria)
Ognuno è chiamato a dire la sua in questo contesto di popoli della pace e
popoli della guerra. Certo è che la rappresentanza politica si è andata
a far benedire: la ragion di stato sembra prevalere su quella di un popolo
che grida un no deciso verso la guerra. Non ci si poteva aspettare altro:
il movimento politico di "Forza Italia" ha scardinato un
meccanismo collaudato che prevedeva la presenza capillare su un territorio
dove la rappresentanza era reale e dove il parlamentare, per quanto
erudito e colto, comunque aveva grandi frequentazioni con la base. La
gente era invitata a riappropriarsi dello spazio politico con la
partecipazione attiva alla vita sociale. Oggi le scelte vengono subite e
non partecipate. In effetti porre sullo stesso piano governo e popolo
italiano è giocare d'azzardo. Così è possibile studiare a tavolino la
nascita di un movimento che s'impone dall'alto attraverso i meccanismi
collaudati e conosciuti della comunicazione sociale.
Lo studio dei colori, del look, la figura del leader, il contorno di inni
e bandiere, la convivenza pacifica e tollerante di varie
"liberta" per altro parziali e riduzioniste. Una sorta di
paradiso beato che vale la pena scegliere, anche perché il colore che più
ti viene in mente è sempre e solamente l'azzurro. Oggi scopriamo che
questo colore genera un'illusione
ottica e siamo invece avvolti in una nebbia grigia. Tutti parlano, gli
specialisti in tv sembrano brandire le poltrone, un martellamento continuo
che fa venire il mal di testa. Invece si muore e di questo argomento, che
fa paura a tutti, sono pochi gli specialisti. Chi vede la gente morire
preferisce stare dietro le quinte e non solcare i prosceni dei bontemponi
della comunicazione che combattono le loro guerre sui dati auditel. Chi
vede la morte in faccia sa che l'uomo è un essere atipico, perché tutti
gli esseri finiscono, mentre l'uomo muore; la morte è il finire dell'uomo
accompagnato dall'angoscia: possiede la coscienza che sta per finire e
prova il brivido della non esistenza. Così tutte le chiacchiere alla fine
si riducono a due sentimenti fondamentali: l'angoscia di dover morire
(l'essere per al morte di Heidegger), e la brama di essere sempre di più
come durata ed intensità. La morte si può visualizzare in tre modi: come
fatto, come dimensione, come evento. Come fatto è' qualcosa che accade,
che capita, che conclude una vicenda di vita; è vissuta come qualcosa di
incombente, di ineluttabile, irreversibile e sradicante. Come dimensione
non è un fatto che mi aspetta alla fine, ma è un modo d'essere che porto
con me; è il modo d'essere dell'essere corruttibile, è la
"possibilità che non" intrinseca all'uomo (secondo il pensiero
di S. Kierkegaard).Come evento diventa tale perché vissuto con
libertà e accettato dalla volontà (accettare di essere per la morte).
L'esperienza dell'angoscia coscientizza la natura dell'uomo che vive alla
luce di questa sua natura costitutiva; la morte così non è più un
qualcosa che lo sorprende, ma un motivo di scelta durante la vita che la
rende autentica e non banale. E' chiaro allora che c'è chi la morte la
porta dentro, come stile di vita, come cultura, nonostante i sorrisi
traslucidi e curati. Non è più un problema di guerra o di pace, ma di
vita o morte.
Qualcuno traduce l'assioma con un termine leggermente diverso: "pane
e bombe". Che assurdità! Basta cambiare i termini? Noi
pensiamo che non basta, lasciate che vi spieghi perché citando un esempio
di casa nostra.
Avrete letto ieri sui giornali che Franca Rame e Dario Fo hanno
organizzato uno spettacolo comico sarcastico su 25 emittenti regionali per
andare al di là della tv di regime e monopolizzata (che comunque hanno
usato quando gli faceva comodo: vi ricordate Dove stanno i Pirenei
condotto da Rosanna Cancellieri su Rai Tre qualche anno fa? Loro erano
ospiti fissi). L'uomo del Mistero buffo, che consigliava l'aborto come
pane e mortadella oggi viene a parlare di pace, lui che il capodanno se lo
passa con principi e marchesi e poi durante l'anno fa la critica ai
borghesi, lui che diceva che è meglio togliere il crocefisso dalle aule
perché a noi basta lo stoccafisso. Questi liberatori della cultura
imprigionata, questi salvatori della tv irreggimentata vengono a cavalcare
da cavalieri grigi i cavalli bianchi della pace, a strumentalizzare il
movimento della pace per creare una televisione "alternativa"
cercando consensi e convincendo a consorziare gli acquisti per essere più
potenti e avere più mezzi (per creare una TV che certamente dovranno
dirigere loro). Un po' come fanno alcuni politici oggi, che trovandosi
sguarniti vanno a raccogliere consensi fra il popolo della pace. Guai a
farsi strumentalizzare. Meglio morire.
INTRODUZIONE
sta avvenendo ciò che temevamo e che avremmo voluto - in tutti i modi -
evitare. La guerra in Iraq si sta trasformando in una carneficina e
nessuno, oggi, si azzarda più a definire i tempi entro i quali questo
massacro potrà aver fine.
Abbiamo perciò pensato di inviarvi immediatamente alcuni, brevi,
documenti che ci hanno aiutato - e potranno aiutare le nostre chiese - a
nutrire la propria riflessione.
Anzitutto il documento del Sinodo straordinario votato ieri, che è
stato al centro di un ampio dibattito.
In secondo luogo un testo che veniva riportato sul nostro lezionario
venerdì 21 marzo. Si tratta di un passo tratto dal Diario di Etty
Hillesum, giovane ebrea credente morta ad Auschwitz. Etty, a 27 anni,
scelse - mentre personalmente poteva salvarsi - di seguire la sorte
della sua famiglia e del suo popolo votati allo sterminio. Da Amsterdam,
città in cui viveva, venne trasferita a Westerbrok (campo di
smistamento che costituiva per gli ebrei olandesi l'ultima stazione di
transito prima di proseguire per Auschwitz-Birkenau). La sua è una
testimonianza di altissimo valore spirituale che, chi volesse, può
leggere nel suo diario edito in Italia da Adelphi.
Ancora vogliamo condividere con voi la lettera di un carissimo amico
delle nostre chiese, il pastore Duncan Hanson, responsabile dei rapporti
internazionali della Chiesa Riformata degli Stati Uniti. Duncan, che ha
ricoperto negli scorsi anni lo stesso incarico per la Chiesa
Presbiteriana negli USA, ci ha fatto trovare questa e-mail venerdì
mattina. Per noi (membri della Tavola, dipendenti degli Uffici,
Commissioni d'esame, Comitato CIOV) riuniti a inizio giornata per
l'ascolto di una parola biblica, è stato un segno di comunione
importante. Le parole del Salmo e di Giovanni, riportate all'inizio di
questa circolare, erano anch'esse poste alla nostra riflessione quella
mattina del 21 marzo, primo giorno di primavera e inizio di questo
conflitto.
Riportiamo, poi, l'editoriale dell'ultimo numero del NEV Le
"ragioni di Dio" a cura del prof. Fulvio Ferrario e il testo
della dichiarazione, appena giuntaci, dell'Alleanza Riformata Mondiale,
la quale conta al suo interno 218 Chiese Riformate, Presbiteriane e
Congregazionaliste in 107 diversi Paesi del mondo.
Infine, vi proponiamo il testo della preghiera del Consiglio delle
chiese Cristiane di Milano (anglicana, cattolica, copte, ortodosse,
protestanti, veterocattolica).
Crediamo e speriamo che questi modesti contributi possano essere motivo
di stimolo per tutti voi.
La prossima settimana contiamo di inviarvi una nuova circolare con le
risultanze del Sinodo straordinario sugli ospedali CIOV e con gli atti
delle sedute Tavola ormai imminenti.
Gianni Genre
"VI SCONGIURIAMO DI
ABBANDONARE QUESTA STRADA"
Non abbiamo dimenticato l'11 settembre 2001, il giorno della profonda
ferita inferta a tutto l'Occidente. Così come non abbiamo dimenticato
il 6 giugno 1944, il giorno di migliaia di giovani venuti a morire sulle
spiagge del nostro continente per la comune libertà. E non abbiamo
dimenticato le radici culturali, religiose, politiche che legano
indissolubilmente i nostri due continenti. Ma proprio in base a questa
solidarietà che riaffermiamo nel momento della lacerazione, vogliamo
rivolgere un appello al popolo statunitense e ai suoi governanti,
anzitutto a quanti fra loro accostano troppo facilmente il nome di Dio
alla guerra.
Molti di voi hanno imparato dalla Bibbia, come noi, che Gesù chiama
beati i mansueti, gli affamati e assetati di giustizia e coloro che si
adoperano per la pace (Mt 5,5-6.9); insegna ad anteporre al culto la
riconciliazione con l'avversario (5,23-26); indica nell'amore per i
nemici lo straordinario del comportamento cristiano (5,43-47).
Guardatevi dunque, nel passare dall'etica individuale ad un programma
politico, dal contraddire e stravolgere del tutto questo insegnamento,
inventando una missione di repressione del male con l'uso della violenza
preventiva, catturando dalla vostra parte un "Dio che non è
neutrale", accorciando indebitamente la distanza incommensurabile
che esiste tra le nostre vie e le vie di Dio (Is 55,9).
E al di là di ogni riferimento esplicito a Dio, vi scongiuriamo di
abbandonare la strada su cui vi siete avviati. Avete dissipato il
capitale di solidarietà accumulato dopo l'11 settembre infilandovi in
un vicolo cieco: avete preteso di sostituire alla concertazione dei
popoli l'egemonia di una potenza che decide ciò che è bene e ciò che
è male, in un pericoloso miscuglio di ideali religiosi e di interessi
politici, e impone le sue decisioni con la forza.
È una via profondamente sbagliata e funesta. Essa non può che produrre
una crescente instabilità e non può non avvitarsi in una spirale di
guerre continue. Il dittatore iracheno è certo uno dei più sanguinari
e odiosi tra quanti incatenano il loro popolo al giogo della tirannia.
Ma ce ne sono altri ugualmente odiosi e forse più pericolosi. Andrete
avanti per questa strada? Fraternamente vi supplichiamo di ravvedervi,
di dare ascolto alla voce delle vostre chiese che con tanta forza si
oppongono a questo indirizzo, di cambiare strada, di tornare al consesso
delle nazioni ripartendo dal punto in cui l'avete abbandonato, per
contribuire a rifondarlo e rinnovarlo, per farne la base multilaterale e
globale di una governabilità nella giustizia e perciò nella stabilità.
Nel rivolgervi questo appello siamo dolorosamente consapevoli della
nostra non minore incoerenza: tutti infatti abbiamo fallito nel
perseguire la pace e tutti, da questa parte dell'Atlantico come
dall'altra, abbiamo contribuito a seminare nei due terzi del mondo semi
di risentimento e di odio con politiche coloniali vecchie e nuove di
rapina e di sfruttamento.
Possa questo senso di inadeguatezza, portato responsabilmente davanti a
Dio nella preghiera, tradursi ora, per i nostri paesi e per le nostre
chiese, in un serio impegno per l'Iraq: per la cessazione dei
combattimenti, per l'accoglienza delle vittime, per la ricostruzione
futura quando poi le armi taceranno.
"LA STORIA,
PURTROPPO, SI RIPETE"
provo una profonda tristezza mentre vi scrivo di prima mattina dopo
l'inizio dei conflitti nel Golfo Persico. Chiaramente il mio Paese ha
fallito miseramente in ogni tentativo di trattare con l'Iraq e con i
partner internazionali. Il risultato è che persone innocenti verranno
uccise, le relazioni internazionali si sono polarizzate e l'ONU è stato
fortemente indebolito, forse in maniera irreparabile.
Alcuni di voi mi hanno scritto via e-mail per chiedere cosa stiamo
facendo nel nostro Paese. Negli Stati Uniti, penso che quasi tutti siano
turbati nel vedere il loro Paese di nuovo in guerra. Anche coloro i
quali ritengono di poter giustificare questa guerra provano almeno un
senso di disagio. Quelli che, come noi, si oppongono alla guerra stanno
pensando, ora, come meglio spiegare le loro preoccupazioni ai loro
concittadini. Siamo incoraggiati dal fatto che quasi ogni Chiesa in
questo Paese, inclusa la Chiesa Riformata e quella Presbiteriana, così
come quasi ogni associazione religiosa ebraica e musulmana, si sono
espresse contro questa guerra. Le Chiese lavoreranno insieme per recare
aiuti medici e rifornimenti a coloro che soffriranno a causa di essa.
Più vicino a casa, a New York City, proprio mentre stiamo assistendo
all'insorgere della violenza nel Golfo Persico, ci si sta preoccupando
per la crescente possibilità di un nuovo attacco terroristico.
Ognuno qui a New York si sta organizzando personalmente per evitare di
diventare una vittima del terrore. Ci sono polizia e soldati, i più
muniti di armi automatiche, alcuni con rivelatori batteriologici e
chimici, ad ogni entrata della metropolitana e nei punti più importanti
di collegamento, così come alla Penn Station e alla Grand Central
Station e fuori dai principali edifici.
Stamani la mia metropolitana, che viaggia dal Sud al Nord di Manhattan,
era piena solo per metà, a testimoniare il fatto, ritengo, che una
parte dei miei concittadini non considera più sicuro viaggiare in
metropolitana.
Ovunque viviamo, sono sicuro che si sta tutti pregando per un ritorno
veloce alla pace e per un nuovo impegno da parte degli Stati Uniti e
delle altre nazioni a vivere all'interno delle regole della legge
internazionale.
Sappiate che faccio tesoro della vostra amicizia e che per voi pregherò
durante questi giorni difficili.
di Fulvio Ferrario
Che la fede cristiana sia un messaggio di pace è affermazione che
rischia di essere banale: non lo è, purtroppo, perché c'è chi
sostiene il contrario: e allora bisogna ribadirlo. Lo hanno fatto tutti,
il papa, il Consiglio ecumenico, le chiese americane e quelle di tutto
il mondo. Se però si vuole che l'appello non sia ideologico e non
nomini invano il Nome di Dio, esso dev'essere formulato in termini
cristianamente maturi, il che significa anche politicamente
responsabili.
Quanti si oppongono al pacifismo radicale hanno ragione di dire che
l'uso della forza fa parte degli strumenti che possono essere necessari
per tutelare la sicurezza dei più. Non si tratta di contrapporre
schematicamente il richiamo alla pace e la possibilità dell'uso delle
armi: in tal modo le ragioni della Realpolitik oltrepassano
inesorabilmente gli appelli che vorrebbero essere etici, condannandoli
alla sterilità. Lutero ha insegnato (a chi ha voluto ascoltarlo, certo)
che la politica ha la sua autonomia, voluta da Dio per tenere sotto
controllo il male nel mondo. Questo significa anche che nessuna guerra
è "santa": nel migliore dei casi si tratta di una scelta
profana per ottenere pace e sicurezza in futuro. La fede cristiana si
esprime in questi casi come appello alla ragione politica.
La guerra di Bush è la morte della politica, dell'ONU, della
concertazione internazionale. Non è barbara solo perché ucciderà i
bambini (anche la guerra di liberazione contro il nazifascismo lo ha
fatto ed era necessaria), ma perché distrugge le basi della ragionevole
(precaria, violenta, contraddittoria, ma necessaria) convivenza
internazionale. Lo fa citando la Bibbia, in quell'atteggiamento che
Lutero chiamava "fanatismo" e che consiste appunto nel
condurre al corto circuito la laicità della politica confondendo cielo
e terra. Mai come ora, le "ragioni di Dio" si proclamano
difendendo la laicità della politica.
Ribadiamo il nostro punto di vista, espresso il 21 Febbraio e condiviso
da numerosi Riformati e da altre Chiese nel mondo, che questa guerra,
intrapresa addirittura senza l'autorizzazione dell'ONU, è immorale e
illegale. Per usare un termine tradizionale, è peccato.
Condanniamo senza riserve questa guerra di aggressione e condanniamo la
mentalità unilaterale e imperiale che soggiace ad essa. Nessuna
nazione, per quanto potente, può agire sulla piattaforma mondiale come
più le piace. Né può trattare con disprezzo le opinioni dei suoi
cittadini.
Un mondo unipolare in cui una superpotenza ci offre di scegliere di
essere con essa o contro di essa è moralmente e politicamente
inaccettabile. Ricordiamo al Presidente George W Bush e al suo governo
che la voce del Vangelo è quella di essere per o contro Gesù Cristo.
Ci congratuliamo con la maggioranza dei governi rappresentati nel
Consiglio di sicurezza dell'ONU per il loro rifiuto a farsi largo con la
forza, a farsi corrompere o intimorire nel supportare la guerra e ci
appelliamo all'Assemblea generale dell'ONU per discutere quanto prima
questo aperto e sfrontato dileggio della legalità internazionale.
La sfida che oggi il mondo e i governi si trovano a dover fronteggiare
è quella di riaffermare l'autorità dell'ONU e i vincoli della Carta
delle Nazioni Unite. Chiediamo che gli Stati aggressori cessino i loro
attacchi immediatamente.
Il compito che le nostre Chiese debbono affrontare, ora più che mai, è
quello di pregare e far sentire le loro voci di protesta. Possa Dio
avere misericordia di noi tutti.
Noi cerchiamo la pace pur incalzati da avversari creati da antiche
paure.
Noi cerchiamo la pace pur contraddetti dalla storia che ci raggiunge con
l'eco di conflitti distruttivi.
Quanti progetti hanno ostacolato il cammino delle creature!
Quanti inganni hanno trafitto la coscienza umana!
Lontano da noi, come il sogno dalla realtà, ci sembra il futuro di
pace.
Lontano da noi, come la bontà dall'ira, sentiamo la realizzazione dello
shalom.
Vogliamo intravedere il giorno in cui il lupo e l'agnello dimoreranno
insieme come nella visione del profeta.
Vogliamo l'umanità liberata da ogni inganno per intraprendere un
cammino nuovo.
Ti preghiamo, donaci l'ingenua sapienza della fede, che crede possibile
spostare i monti dell'odio.
Ti preghiamo, donaci il tuo Spirito perché in noi si sprigioni la forza
che diffonde la tua pace.
Per l'amore di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore. Amen
26/3/2003
"Noi, responsabili delle chiese cristiane in Iraq, in questi giorni
difficili e terribili che attraversa la nostra patria, l'Iraq, lanciamo
dal profondo dei nostri cuori, in unione con tutti gli uomini di buona
volontà e con quelli che amano la pace, un appello ai responsabili,
affinché ascoltino la voce di Dio, che comanda ai suoi figli l'amore, la
fratellanza e il perdono, affinché non siano la causa di distruzione, di
versamento di sangue, dell'aumento degli orfani, degli handicappati e
delle vedove, per arrivare soltanto al loro proprio interesse personale ed
egoista.
Che i responsabili di quest'aggressione al popolo iracheno ascoltino il
pianto dei bambini, il grido delle madri e dei padri sofferenti e la
disperazione delle ragazze e delle donne, che sentano la sofferenza di
tutti gli iracheni a causa della mancanza di medicine e di tutto il
necessario per la vita e che cessino di mandare missili e bombe, sedendo
intorno al tavolo per il dialogo; possano chiedere al Signore
l'illuminazione per seguire i principi celesti, i diritti dell'uomo e i
valori morali e umani, sapendo giudicare ragionevolmente, per trovare le
vie che garantiscano la cessazione immediata della guerra, affinché si
realizzi la pace desiderata e duratura.
Ci sono ancora tante vie e molti mezzi per arrivare alla soluzione dei
problemi mondiali, attraverso il dialogo e la comprensione, affinché
tutti vivano una vita tranquilla e pacifica.
Noi responsabili delle Chiese cristiane, insieme con i nostri
fratelli musulmani in Iraq, dove viviamo insieme con amore e carità
fraterna da centinaia di anni in questo paese pacifico, ringraziamo tutti
quelli che lavorano per fermare l'aggressione contro di noi, e chiediamo
di continuare la preghiera e l'opera assidua per influenzare quelli nelle
cui mani sta la decisione della cessazione di quest'aggressione ingiusta
sul nostro martoriato popolo, causa della morte di bambini, vecchi, donne,
malati, mentre i nostri giovani al fronte devono difendere con lealtà la
loro patria".
Agenzia MISNA
Per sostenere
gli interventi in atto (causale: “Emergenza Iraq 2003”) si possono
inviare offerte:
alla Caritas Italiana tramite:
- c/c
postale n. 347013
- c/c bancario n. 5000X34
- ABI 05696 - CAB 03202 Banca Popolare Di Sondrio, Ag. Roma 2.
- Cartasì e Diners telefonando a Caritas Italiana 06/541921 (dal
lunedì al venerdì 9-18)
alla
Caritas
Bologna
(intestazione: Arcidiocesi di Bologna – Caritas diocesana) tramite:
- c/c postale n. 838409
- c/c bancario
n. 923578 -
ABI 05387 - CAB 02400 Banca Popolare Emilia Romagna, sede Bologna
Anche a Mosul si sono registrati pesanti bombardamenti che hanno causato molte
vittime tra i civili. Il vescovo caldeo di Mosul, Mons. Raho Faraj, ha fatto
sapere che molte persone stanno scappando verso il vicino villaggio di Tilkef.
Nell’area di Mosul sono pertanto stati allestiti due campi per accogliere i
rifugiati cristiani: a Karakosh per i siriaci e a Tilkef per i caldei.
I vescovi iracheni, che si sono riuniti ieri, hanno concordato di collaborare
in maniera molto stretta con Caritas Iraq per organizzare gli sforzi delle
chiese cristiane nella distribuzione degli aiuti.
A Bazyan ci sono invece circa 2.000 famiglie fuggite a causa dei
bombardamenti. Queste famiglie sono state sistemate in scuole e moschee. Hanno
bisogno di coperte e cibo (specialmente pane). Fa freddo e non hanno di che
riscaldarsi. Le scuole e le moschee non hanno servizi igienici.
Un team di
operatori si è recato in un villaggio vicino la città di Kamshli, 80 km a
nord di Hassake. In questo villaggio, chiamato Tartan, 46 rifugiati iracheni
sono stati ospitati nella Chiesa sirio-ortodossa. La maggior parte di loro
erano arrivati poco prima della guerra. Queste famiglie hanno bisogno di
materassi, coperte e medicine. Caritas Siria ne sta organizzando l’invio da
Hassake. Oggi è stata aperta la scuola provvisoria per garantire le lezioni
ai ragazzi che non possono essere regolarmente ammessi alle scuole siriane.
Sono arrivati 21 ragazzi tra i 4 e i 12 anni per seguire le lezioni.
Nella città di Soran (vicino Diana), il campo Delizyan sta per essere
ultimato ed è destinato ad accogliere gli sfollati provenienti dal centro
dell’Iraq. Il campo è allestito dalle Nazioni Unite. Sarà in grado di
ospitare 7.000 persone; non appena sarà ultimato, le famiglie attualmente
sistemate nelle scuole vi si trasferiranno. È operativo, a Sulaimaniya, un
team sanitario mobile di Duch Consortium. La linea che divide l’Iraq
centrale dal Nord Iraq rimane chiusa.
L'UNHCR ha visitato l'Iraq inoltrandosi fino a qualche centinaio di Km dal
confine con la Giordania, e riferisce di non aver trovato alcun segno di
profughi; nel contempo sta allestendo 2 campi a Ruweished (in Giordania, a
circa 80 km dal confine iracheno) destinati ad ospitare 25.000 rifugiati
ciascuno.
La rete
Caritas per l'emergenza Iraq è coordinata dalla Caritas Iraq in Amman
(Giordania) ed è in continuo contatto con i centri Caritas di Bagdad, Mosul,
Bassora, Kirkuk. Non appena la frontiera verrà aperta, un team di emergenza
(attualmente operativo in Amman) si trasferirà in Iraq.
I centri Caritas a Bassora hanno lanciato un appello per medicine e tavolette
per la purificazione dell’acqua. L’Ufficio di collegamento Caritas di
Amman ha predisposto l’invio di 20 containers contenente quanto richiesto:
il carico è partito da Amman questa mattina ed il suo arrivo a Bassora è
previsto, salvo complicazioni della situazione, per domani. Una tavoletta può
purificare 1.250 litri di acqua, è stata spedita una quantità capace di
purificare 1.500.000 litri di acqua, l’equivalente dei bisogni di 100.000
persone in un giorno.
Se la
situazione lo permette, è in programma nei prossimi giorni l’invio, da
Amman per Baghdad, di 80 containers di tavolette per la purificazione
dell’acqua. Lo staff di Caritas Iraq non ha registrato la presunta rivolta
di sciiti nella città.
Caritas Baghdad ha riportato che 300 famiglie cristiane hanno lasciato la
capitale e sono dirette a Karakosh, circa 50 km
a est di Mosul. Queste famiglie, originarie del nord Iraq, si erano
trasferite a Baghdad a causa della guerra tra l’esercito iracheno e i curdi.
I due centri Caritas di Karakosh stanno distribuendo ai rifugiati ogni sorta
di aiuto di prima necessità. Caritas Baghdad, per evitare carenza di beni di
prima necessità, ha inviato 5.000 dollari ai centri Caritas di Karakosh per
l’acquisto di cibo nella zona di Mosul.
Lo staff Caritas a Baghdad ha continuato “regolarmente” il suo
lavoro dopo il bombardamento della città, distribuendo kit di pronto soccorso
nelle aree colpite.
I contatti tra
l’ufficio Caritas di Baghdad e Caritas di Mosul sono interrotti. La scorsa
notte la città ha subito pesanti bombardamenti. Il centro Caritas di Kirkuk
ha riportato che la situazione è relativamente calma al momento. Il capo
della Chiesa Cattolica Romana a Baghdad, Mons. Jean Benjamin Abi Sulaiman, ha
promesso che le chiese della città rimarranno aperte per permettere a
cristiani e musulmani di rifugiarvisi durante la guerra.. Ha anche detto che
resterà in città nel caso i cristiani dovessero essere attaccati a seguito
della guerra ma, al momento, non ci sono segnali di questo tipo.
L’Ufficio
delle Nazioni Unite del Coordinatore Umanitario per l’Iraq ha stimato che ci
sono attualmente tra 300.000 e 450.000 nuovi rifugiati interni (internally
displaced people) nella regione. Si registra, inoltre, che circa 5.000 sono
stati registrati provenienti dall’Iraq centrale. Tutti gli altri sono
residenti nell’Iraq del nord.
Il 90% di
queste persone sono state accolte da parenti. Circa 10.000 provenienti dalla
zona di Erbil vivono nelle tende e nelle loro macchine. Per il momento non
viene loro permesso di accedere ai campi preparati per accogliere un afflusso
di rifugiati provenienti dall’Iraq centrale.
- il campo A,
per rifugiati di Paesi terzi, ospita circa 700 persone, 200 sono stati
rinviati in patria nel pomeriggio dello stesso giorno; questi dovrebbero
lasciare la Giordania entro 72 ore; 90% sono sudanesi, ma ci sono anche
egiziani, yemeniti, somali, chadiani ed eritrei; molti sudanesi e somali pare
non vogliano rientrare in patria, avendo trovato condizioni di vita migliori
in Iraq. 24 palestinesi sono fermi al confine in attesa di ammissione;
- il campo B,
per iracheni, sta per essere terminato. Per ora è vuoto, anche perché nessun
profugo iracheno è arrivato in Giordania. Non ne è chiaro il motivo:
permessi negati, blocchi stradali, costi: il confine iracheno è a 600 Km da
Baghdad e il viaggio è caro e pericoloso.
I campi sono equipaggiati con tende, ambulatorio medico, servizi e cucina; un
terzo campo potrà essere allestito al bisogno. Autobus della Organizzazione
Internazionale Migranti portano i rifugiati dal confine ai campi. I vescovi
giordani hanno approvato l’apertura delle chiese, proposta da Caritas
Giordania, per alloggiare 2000 profughi iracheni. SI stanno studiando i
dettagli.
Il Ministro degli Esteri della Giordania ha ufficialmente dichiarato che il
confine con l’Iraq è aperto. I convogli umanitari possono passare se
accettano di assumersi i rischi.
L’ufficio si sta sempre meglio organizzando di giorno in giorno. Sono
arrivati i 4 operatori di Caritas Siria che hanno svolto un breve periodo di
formazione presso il Centre of Migration di Caritas Libano. Gli operatori di
Caritas Siria visitano ogni giorno le nuove famiglie che arrivano fornendo gli
aiuti necessari. In Siria ci sono degli iracheni che erano arrivati qualche
mese prima della guerra per organizzare l’arrivo dei membri della propria
famiglia che avrebbe lasciato l’Iraq non appena sarebbe scoppiata la guerra.
Poiché le frontiere sono chiuse, queste famiglie sono rimaste in Iraq e
finora non c’è stata la possibilità di mettersi in contatto. Nell’area
di Kamishli, a 80 km a nord di Hassake, sono arrivate molte famiglie
dell’Iraq nel corso di quest’ultima settimana. Caritas Siria conta di
andarle a visitare entro la fine della settimana.
Caritas Siria ha ordinato 500 coperte, 200 materassi, e 100 kg. di latte in
polvere per 50 famiglie. Inoltre si sta organizzando delle classi scolastiche
per ragazzi che non possono essere regolarmente integrati nella scuola
siriana. Due donne irachene insegneranno le diverse materie. Per i più
piccoli, sono stati acquistati giocattoli e materiale per disegnare. Agli
scolari vengono distribuiti giornalmente, anche latte, biscotti e frutta.
La zona di Mosul questa mattina era ancora sotto i bombardamenti; 4.000
persone, circa 700 famiglie (il 20% della popolazione della regione), hanno
abbandonato le loro case e si stanno dirigendo verso Karakosh, 45 km ad est di
Mosul. Per far fronte ai bisogni di queste persone, i Centri Caritas a Baghdad
hanno già inviato cibo e medicinali a Karakosh.
“A Baghdad – dice Hanno
Schaefer, portavoce della rete Caritas – nei pesanti bombardamenti di
stanotte è stato colpito un quartiere residenziale (A’Adhamiya) ed è stata
uccisa una famiglia, genitori e tre figli. I nostri operatori stanno portando
medicine e generi di prima necessità nelle aree colpite. Ieri abbiamo
rifornito di kit di pronto soccorso e medicinali l’ospedale delle Suore
Domenicane. Dall’inizio degli attacchi abbiamo distribuito 2000 kit di
pronto soccorso in tutto il Paese”. Per ora non si registrano grossi
afflussi di profughi nei Paesi confinanti.
In Giordania
non si segnalano arrivi, tranne i 25 cittadini somali, studenti universitari a
Mosul e a Baghdad, che sabato scorso hanno varcato il confine. Altre 24
persone sono in attesa di definire il loro status. Ci sono 45 volontari
Caritas pronti a lavorare nei campi della Mezza Luna Rossa, in un programma
idrico-igienico e di distribuzione di generi non alimentari.
La Mezza Luna giordana ha allestito 10 tende al confine e altre 10 ne ha
portate l’UNHCR, che, insieme alla Jordanian Hashemite Charity Organisation,
ha anche allestito un campo a Ruwaished, a circa 60 km ad ovest
dell’Iraq.
Wojtyla: «Faticare per la pace»
Fulvio Fania
Città del Vaticano
Le bandiere arcobaleno? Fuori dalle chiese
vanno senz'altro bene, invece dentro sono «un simbolo sovrabbondante»,
«inutile» visto che lì c'è già la Croce «che da duemila anni vuol
dire pace». Il Consiglio permanente della Cei, che si è riunito la
settimana scorsa, non ha affrontato l'argomento, però questa è
l'opinione del segretario
dell'organismo, monsignor Giuseppe Betori, a dispetto di alcuni vescovi
che hanno fatto sventolare i drappi iridati sui campanili.
E come giudica, la Cei, la petizione di
Azione cattolica, Acli, Pax Christi ed altre associazioni cattoliche in
cui si chiede al governo di adoperarsi per il cessate il fuoco e per la
convocazione dell'assemblea generale Onu? «Apprendo l'iniziativa in
questo momento», risponde Betori. Logicamente lo stato maggiore dei
vescovi non ne ha parlato. Strano, perché il quotidiano Avvenire è stato
il primo giornale a darne notizia il 29 marzo.
Ci sono opinioni divergenti tra i vescovi
sulla guerra? «No, solo diversi modi in cui la volontà di pace viene a
manifestarsi».
Le risposte "a caldo" che
monsignor Betori fornisce ai giornalisti con la consueta pacatezza e
cortesia rendono il clima dello stato maggiore Cei meglio di qualsiasi
nota ufficiale. Il cardinale Camillo Ruini frena gli entusiasmi pacifisti
e soprattutto non esprime giudizi sul comportamento del governo italiano.
Se si aggiunge l'immancabile esortazione «ad abbassare i toni del
dibattito politico», risulta evidente che la Cei rinuncia a qualsiasi
critica in materia né contro Bush né contro Berlusconi. Insiste
piuttosto sulla «pedagogia della pace» come «antidoto più efficace
contro il terrorismo e il ricorso alla guerra» nonché sulla «pace come
dono diDio».
Naturalmente tutti concordano con
l'eccezionale impegno del Papa, per «evitare il conflitto» e per «porvi
fine al più presto». L'adesione è «totale», precisa il comunicato
finale del Consiglio permanente. Trincerata dietro le parole di Giovanni
Paolo II, la Cei aggiunge di suo qualche distinguo sul movimento pacifista
e un'importante sottolineatura sulla necessità di «ripristinare»
l'ordine internazionale rilanciando e riformando le Nazioni Unite. E'
quest'ultima, in effetti, la parte più forte della posizione
ecclesiastica italiana, in linea con il Vaticano, perché tocca un punto
decisivo nei rapporti tra il mondo e il suo gendarme a stelle e strisce.
Dieci vescovi hanno parlato della guerra
durante la riunione del loro "parlamentino". Sui cortei
arcobaleno, alla fine, hanno dato un colpo al cerchio e uno alla botte. I
vescovi «riconoscono il valore del forte e diffuso anelito alla pace che
si esprime nella mobilitazione in tutto il mondo» ma raccomandano «discernimento»,
attenzione particolare alle «catture ideologiche», alla confusione «con
finalità e interessi diversi», ad «inquinamenti con logiche che in
realtà sono di scontro». Esprimono inoltre preoccupazione per il
conflitto in Palestina dove monsignor Betori si recherà alla testa di una
delegazione di vescovi.
Nel frattempo il Papa non si stanca di
ripetere pace. Lo ha fatto anche ieri mandando la sua benedizione alla
prima "marcia della penitenza" che i frati dell'ordine dei
minimi hanno organizzato per oggi a Paola, in Calabria, terra di quel S.
Francesco che porta il nome della cittadina. Ecco di nuovo il Wojtyla
angosciato dalle «sofferenze» della guerra, a ricordare «l'urgente
necessità di costruire la pace anche a costo di sacrifici personali».
Giovanni Paolo II rievoca il santo che nel 1494, «mentre si addensavano
fosche nubi sull'Italia, confidava: io mi affatico a pregare per la pace,
una santa mercanzia che merita di essere acquistata a caro prezzo». Forse
anche per l'anziano pontefice sono giorni di autentica fatica. Ne sa
qualcosa anche il suo potente segretario Stanislao Dziwisz che da sabato
è ricoverato al Gemelli per controlli cardiaci, pare per ischemia.
Per comprendere gli umori della parte più
"pacifista" della gerarchia vaticana bisogna ascoltare
Radiovaticana che si è trasformata in un inesauribile contenitore di
interviste e commenti al vetriolo contro le scelte della Casa Bianca. Per
esempio l'ampio servizio dedicato alla rivista dei gesuiti Usa America. I
religiosi affermano che questa è una «guerra arrogante, inutile, stupida»
e che i cristiani non devono temere di tradire il paese se si oppongono al
conflitto. Il dilemma "O con Dio o con il Paese" non si pone.
(da "Liberazione")
Secondo stime dell'ONU, ci sono circa 30.000 sfollati interni provenienti
dalla zona di Amarah a nord di Bassora, a circa 5 km dal confine iraniano),
attualmente ospitati presso parenti. Gli iracheni che hanno chiesto assistenza
in Giordania hanno riferito che molti altri iracheni vorrebbero lasciare
l'Iraq ma viene loro impedito.
I vescovi hanno anche detto che c'è grande bisogno di medicinali di base.
Aggiornamento dell’11 aprile
Per sostenere gli interventi in atto (causale: “Emergenza Iraq 2003”)
si possono inviare offerte alla Caritas Italiana, viale F.Baldelli 41 -
00146 Roma, tramite:
in Iraq si concentreranno, durante le prossime settimane, sulle cure sanitarie
primarie perché gli ospedali del paese non sono in condizione di garantire
tutti i servizi. La delegazione si è incontrata anche con i Vescovi dell'Iraq
e con il Nunzio a Bagdad, Mons. Filoni. La delegazione ha fatto sapere che il
convoglio di aiuti umanitari organizzato dalla rete Caritas per i Centri
Caritas in Iraq, già pronto ad Amman partirà per Bagdad entro il 2 maggio.
Lo scrive suor Hanna, OP, alle sue consorelle americane, rilevando il
forte impegno che attende cristiani e musulmani per un futuro di fraternità
Baghdad (Iraq), 29 aprile (VID) - Far "fiorire" nei cuori
"l'amore per la vita" è l'obiettivo della presenza cristiana a
Baghdad, nella nuova fase che si apre per il paese con la fine della
guerra.
Lo scrive suor Marie Therese Hanna, OP, nella prima lettera inviata da
Baghdad alla Priora delle Domenicane di Springfield. Due religiose di
questa Congregazione sono impegnate nel paese arabo insieme alle
Domenicane di S. Caterina da Siena. E la lettera è uno dei primi contatti
diretti di queste settimane segnate dal conflitto.
"Non posso nascondere - scrive la religiosa - il terrore, la paura,
il panico durante i pesanti e continui bombardamenti soprattutto a
Baghdad.
Le bombe hanno causato tremendi danni e distruzioni alle
infrastrutture". Ma soprattutto "l'invasione americana è un
grande crimine storico nei riguardi del popolo iracheno!" e "la
parte peggiore" è stata "la distruzione di Baghdad".
Per quanto riguarda invece le religiose, non si lamentano vittime sia
nella capitale sia a Mossul e nei villaggi a nord di questa città.
"Le novizie sono state trasferite in uno dei nostri conventi a
Karakoosh" mentre "giovani, aspiranti e postulanti sono state
distribuite nelle diverse comunità nei villaggi".
L'ultima parte della lettera sottolinea, pensando al futuro, che adesso
"musulmani e cristiani, a livello di responsabili religiosi, hanno un
ruolo cruciale nel chiedere agli iracheni un impegno per fraternizzare,
vivere in solidarietà, cooperare e vivere in pace in tutti i settori,
riportando la vita alla normalità nelle città e nei villaggi e lavorando
ad una soluzione per i problemi cominciati con l'invasione".
Diventare costruttori di pace a partire dal ricordo attivo della "Pacem
in terris"
Roma (Italia), 29 aprile (VID) - Un invito ad essere costruttori di pace
in questo tempo di conflitti aspri e crudeli in tante parti del mondo, è
stato rivolto a tutte le Figlie di san Paolo dalla loro superiora
generale, suor Maria Antonieta Bruscato.
"Iraq, Afghanistan, Israele, Palestina, Colombia, Congo, Costa
d'Avorio.- scrive suor Bruscato nel suo invito alle religiose - sono
soltanto alcuni dei luoghi del martirio umano e sociale del ventunesimo
secolo.
Le manifestazioni per la pace avvenute in ogni angolo della terra, il
forte e drammatico appello del Papa, il digiuno dei cristiani e di molte
persone di buona volontà, i negoziati diplomatici e il diritto
universale, non sono riusciti a sconfiggere la guerra. I Capi di Stato
sono andati avanti per la loro strada e la guerra è oggi la realtà dura,
spaventosa, crudele che i mezzi di comunicazione ci presentano quasi senza
interruzione.
Davanti a questo scenario di violenza, ingiustizia, povertà, anche noi
Figlie dell'apostolo Paolo, apostole e comunicatrici, ci schieriamo in
favore della pace, per costruire il mondo nuovo, sognato da Dio e
annunziato dai profeti. Un mondo in cui dai cannoni si ricavano aratri e
dalle bombe strumenti di lavoro; un mondo in cui i bambini giocano
liberamente nei cortili e i leoni, i leopardi, gli orsi convivono con gli
animali domestici; un mondo in cui cristiani, musulmani, ebrei, indù,
buddisti pregano insieme e insieme costruiscono la città per tutti".
"Come costruire questo mondo senza imperi e genocidi, senza profitti
frutto di sangue, ed esclusioni che provocano disperazione?" si
chiede la superiora generale che ricorda l'anniversario della Pacem in
terris.
E proprio alla luce di questa enciclica suor Bruscato invita a unire alla
preghiera alcuni impegni.
Anzitutto "coltivare atteggiamenti di ripudio, di sdegno di fronte
agli orrori della guerra. Immedesimarsi nell'atteggiamento di Gesù, nella
sua ira, quando con coraggio e fermezza ha cacciato i venditori dal
tempio, sottraendo il suo santuario dalla perversione e dall'abuso di
gente insensata ed empia. Non permettere che il nostro essere, la mente,
la sensibilità si abituino alle scene che la televisione moltiplica ogni
giorno davanti ai nostri occhi. Non si tratta di un film o di un
videogame, ma di persone che soffrono e come noi hanno diritto alla vita e
alla pace".
In secondo luogo "accedere a una informazione oggettiva per conoscere
le tendenze attuali, le cause, le motivazioni, gli interessi che sono alla
base del conflitto, delle decisioni, dello schieramento a favore o contro
la guerra. "La verità vi fa liberi", dice il nostro Maestro.
Per un'informazione seria non basta la televisione; occorre leggere le
analisi degli esperti, ascoltare più voci, verificare le affermazioni.
In un mondo così complesso e tendenzioso, il nostro apostolato esige che
siamo persone bene informate per non lasciarci manipolare e per dire anche
noi una parola sapiente e libera al momento opportuno".
Infine "essere persone e comunità che promuovono la pace. La pace è
un dono di Dio che nasce nel cuore. Ma è un dono fragile che ha bisogno
di tenerezza e di cura per crescere, espandersi ed esprimersi nei rapporti
interpersonali, sociali, internazionali. La nostra stessa persona e le
relazioni con chi ci vive accanto costituiscono il campo di battaglia
quotidiano. I nostri pensieri, sentimenti, parole, azioni sono il primo
laboratorio di pace o di guerra"
.
Suor Chittister e i presidenti delle conferenze superiori maggiori degli
USA presenti al Millennium Peace Summit di Oslo
Oslo (Norvegia), 23 giugno (VID) - Suor Joan Chittister, OSB, teologa
statunitense, assai conosciuta per le sue analisi sulla situazione e sul
futuro della Chiesa, ha partecipato all'incontro di Oslo del
"Millennium Peace Summit", una iniziativa per portare la pace in
Medio Oriente e rilanciare l'azione delle Nazioni Unite.
La conferenza fa parte del "The Global Peace Iniziative of Women
Religious and Spiritual Leader", iniziata nell'anno 2000. Il Comitato
che si è riunito ad Oslo ha deciso di preparare un incontro allargato
dell'iniziativa pacifista delle donne, in collaborazione con le donne
palestinesi ed israeliane, a Gerusalemme nel novembre prossimo e a
Washington nel 2004.
Nel corso dei lavori, dal 12 al 14 giugno, suor Chittister ha tenuto una
relazione dal titolo "Reframing the Dialogue on Peace". Altri
relatori sono stati il vice presidente della Bethlehem University dei
Fratelli delle Scuole Cristiane, un leader spirituale buddista e un
esponente della Orthodox Jewish Feminist Alliance.
"Il mandato di Gesù di amare i nostri nemici - ha spiegato suor
Chittister - significa che l'impegno per la pace è assai più difficile e
complesso della guerra, richiede molti sforzi per far entrare nelle menti
la convinzione che la vendetta non è giustizia".
"The Millennium Peace Summit" ha pubblicato nelle settimane
scorse un appello per tutta una pagina del "The New York Times"
per sostenere il ruolo "più rilevante che mai" delle Nazioni
Unite nella risoluzione dei conflitti nel mondo.
Delle 150 firme di esponenti delle diverse religioni mondiali, 26 erano di
religiosi e religiose tra cui, oltre suor Chittister, anche Canice
Connors, OFMConv, Presidente della Conferenza dei Superiori Maggiori
(CMSM) e Carol Shinnick, SSND, Presidente della Conferenza delle Superiore
(LCWR).
«Niente è come ci aspettavamo Gli iracheni
vogliono certezze»
Nella piccola chiesa parrocchiale di Cesara,
alta sul lago d'Orta, Shlamon Warduni, vescovo ausiliario cattolico di
Baghdad, si congeda in caldeo antico dai fedeli che ricordano i dieci anni
dalla morte del presidente di Pax Christi don Tonino Bello: «Shloma an on».
«La pace sia con voi». «Noi purtroppo non l'abbiamo ancora. Stiamo vivendo
il nostro Calvario. Speriamo che arrivi la Resurrezione», sussurra nel
microfono.
Come si vive ora a Bagdad?
«Niente è come ci aspettavamo. Prima della
guerra ci hanno promesso libertà e ricostruzione. Finora abbiamo vissuto
senza legge e senza governo. Milioni di persone da cinque mesi non ricevono il
salario. Non dico che non sia stato fatto nulla. Non ci sono più le file
interminabili ai distributori di benzina. Ma noi vogliamo soprattutto
sicurezza. Senza, è difficile lavorare, studiare, pregare.
Chiediamo al Signore di illuminare i responsabili politici su questo punto. E'
l'ora di cominciare».
Si rischia una sollevazione generalizzata?
«No, non direi. Ma la gente vuole risultati.
Se una persona è affamata, non ha lavoro e neppure salario che cosa fa? Noi
chiediamo che la legge sia ripristinata e che sia designato un governo, anche
provvisorio. L'insoddisfazione della popolazione è un grave motivo di
instabilità».
Ma sono stati reclutati ex poliziotti fin dai
primi giorni della presenza statunitense nella capitale. «Non si sono
presentati in molti, all'epoca. Successivamente sono aumentati. Prima che
partissi sono riapparsi alcuni vigili urbani. All'inizio erano disarmati.
Temevano per la loro vita. Adesso qualcuno ha la pistola, ma fanno una gran
fatica a farsi obbedire. Molti non li prendono in considerazione.
Pesa negativamente l'atteggiamento degli statunitensi. I cittadini si
rivolgono a loro e rappresentano problemi reali. Si sentono rispondere che non
riguardano le forze militari presenti in Iraq. Chi deve occuparsene? Hanno
tolto le foto di un dittatore solo per sostituirle con altre istantanee?».
Si stanno esaurendo le scorte del programma «petrolio
in cambio di cibo»?
«Il governo precedente aveva distribuito in
anticipo razioni per sei mesi. Gli americani debbono riempire il vuoto. Chi ha
fame è certamente contro».
Mancano ancora elettricità e acqua?
«L'acqua no, ma è contaminata. L'elettricità
va e viene. Arriva per due ore, poi sparisce. La temperatura tocca i cinquanta
gradi, a volte arriva a 55. Vivere senza corrente è difficile».
Da quando Rumsfeld ha dichiarato chiuse le
ostilità c'è stato, in media, un morto americano al giorno.
«Se mancano la fiducia e le cose essenziali
per la vita, le gente va a rubare o si rivolta».
Non pensa che dietro questo tragico stillicidio
ci siano residui del vecchio regime?
«E' un'ipotesi. C'è un'interpretazione
criminale, ma anche una chiave di lettura politica. Noi siamo contro questi
attacchi. creano solo rancore e divisioni».
La preoccupano gli sciiti, che hanno riempito
in parte il vuoto di potere dopo il crollo del regime.
«Sono il sessantatre per cento della
popolazione. Ma sono divisi fra loro. Anche nella comunità sciita ci sono
esponenti democratici, aperti, persone che vogliono custodire i diritti di
tutti gli iracheni e tenere la religione separata dallo stato».
Per esempio?
«Ayad Jamal Al Din di Nassiriya, l'ayatollah
Systani e altri ancora. Naturalmente esistono anche frange intransigenti
aiutate da potenze straniere, come l'Iran e l'Arabia Saudita. Se non si
interrompe questa assistenza, possiamo correre rischi».
Si è detto che passeranno cinque anni prima
che gli statunitensi consegnino il potere agli iracheni e che vorranno
conservare quattro grandi basi militari. Che ne pensa?
«Sarebbe un errore. Il loro ruolo era liberare
l'Iraq e insediare un governo stabile, punto e basta. Potrebbero restare solo
se ci fosse un consenso esplicito da parte del popolo iracheno. In caso
contrario è molto meglio che se ne vadano».
Saddam è il regista di questa sanguinosa
resistenza contro le forze statunitensi?
«Se dispone ancora di mezzi economici, sì.
Potrebbe aver riattivato vecchi pezzi dei suoi servizi segreti».
di Lorenzo Bianchi
Una bandiera su ogni balcone
Tricolore o arcobaleno?
Da Alleanza Nazionale arriva invece un'altra proposta. Si chiama "Un
Tricolore a ogni finestra". Un'iniziativa che invita gli italiani, come
ha spiegato Ignazio La Russa, coordinatore nazionale di via della Scrofa,
"a stringersi intorno ai colori della bandiera nazionale, esponendo il
Tricolore ai balconi e alle finestre".
Due bandiere, due modi diversi di intendere e di testimoniare il dolore per la
strage di Nassiriya..
(14 novembre 2003)