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INDICE




Qui di seguito riportiamo la lettera inviata a tutta la comunità diocesana bolognese, per spiegare e specificare il vero significato della bandiera della pace.

“ (…) Gesti di pace nascono dalla vita di persone che coltivano nel proprio animo costanti atteggiamenti di pace. Sono frutto della mente e del cuore di “operatori di pace” (Mt 5, 9).”
                                   
       Giovanni Paolo II (1)

Alla Comunità Diocesana

La bandiera arcobaleno è un gesto di pace!

In questo periodo di forti tensioni internazionali, sentiamo il desiderio di scrivervi per spiegare il significato della bandiera della pace ed evitare possibili strumentalizzazioni di parte.

Per noi l’esposizione delle bandiere in molti luoghi della nostra Diocesi, compresi alcuni campanili, è appunto uno di quei "Gesti di pace che nascono dalla vita di persone che coltivano nel proprio animo costanti atteggiamenti di pace"

 

L'origine della bandiera arcobaleno come bandiera della pace si perde nel tempo: c’è chi dice che sia nata da alcuni gruppi inglesi, che intendevano così esprimere un forte messaggio: desiderare la pace, volere la pace, lavorare per la pace, senza per questo veicolare idee politiche di parte, se non appunto solo quella di essere contro la guerra.(2)

 

Le bandiere della pace sono diventate con il tempo il simbolo che gli appartenenti ai vari movimenti di “operatori di pace” portano con sé nelle zone di conflitto. Ad esempio, la guerra in ex Yugoslavia spinse tantissima gente ad andare in quelle terre, ad entrare in quel conflitto ed aiutare la popolazione. E l'unica bandiera credibile era appunto quella non schierata della pace (3). Forse fu anche per quello che da allora nelle varie manifestazioni(4) si vide un progressivo aumento delle bandiere arcobaleno.

 

L'idea di stendere fuori dai propri balconi la bandiera della pace é nata qui a Bologna, durante il Giubileo della Pace, nel settembre 2002, organizzato dai missionari Comboniani (5).

 

La gente espone la bandiera per esprimere che desidera una politica che lavori per la pace e che non scelga di risolvere le controversie internazionali con la guerra. Sarebbe un grave errore rinunciare ad esporla per il timore che la bandiera della pace esprima invece un’appartenenza a qualche parte politica. Dobbiamo evitare queste azzardate etichettature, perché si farebbe solo il gioco di chi vuole strumentalizzare (sia da una parte sia dall’altra) un bene che è e rimane di tutti.

 

L’intuizione di quei gruppi che scelsero la bandiera arcobaleno come la bandiera della pace fu ispirata dal brano biblico della Genesi, dove viene presentata l’alleanza che Dio fece con Noè dopo il diluvio universale.

I colori della bandiera della pace diventano, quindi, anche i colori dell’icona del patto tra Dio e noi.

Ogni volta che vediamo un arcobaleno é come se Dio ci ricordasse che Lui ha fatto un patto di Shalom con noi. E a noi piace pensare che, quando sventoliamo la bandiera della pace, siamo noi a rispondere a Dio, dicendogli che ci ricordiamo di quel patto e che la "pacem in terris" é un impegno permanente del nostro agire.

 

Quindi, con questo spirito, invitiamo i sacerdoti, le religiose ed i religiosi, i membri di Istituti religiosi e secolari, e tutto il popolo di Dio a esporre la bandiera.

Ricordiamoci che chi la espone non crede che con la guerra si risolvano le controversie internazionali e crede invece che "se vuoi la pace prepara la pace", contrariamente a quanto ultimamente alcuni sostengono: "Si vis pacem para bellum".

 

Shalom
Pax Christi Bologna

 

PS. Siamo altrettanto convinti che non sarà la prima, né l'ultima volta, che si cerca di definire gli operatori di pace come di parte, utopistici e poveri illusi. Già nel 1993, durante la guerra nei Balcani, don Tonino Bello, denunciava questi atteggiamenti. (6)

 

Note:

(1) "A voler guardare le cose a fondo, si deve riconoscere che la pace non è tanto questione di strutture, quanto di persone. Strutture e procedure di pace – giuridiche, politiche ed economiche – sono certamente necessarie e fortunatamente sono spesso presenti. Esse tuttavia non sono che il frutto della saggezza e dell'esperienza accumulata lungo la storia mediante innumerevoli gesti di pace, posti da uomini e donne che hanno saputo sperare senza cedere mai allo scoraggiamento. Gesti di pace nascono dalla vita di persone che coltivano nel proprio animo costanti atteggiamenti di pace. Sono frutto della mente e del cuore di “operatori di pace” (Mt 5, 9)." (Giovanni Paolo II dalla lettera del 1° gennaio 2003 “Pacem in Terris: un impegno permanente”).

 

(2)  In Italia ad esempio, negli anni ’80, quei gruppi che partecipavano con i propri "stendardi" a manifestazioni (ad esempio contro i missili) sentivano che utilizzare la loro bandiera di parte era un fatto positivo, da ricercarsi.  
Invece i vari movimenti di “operatori di pace”, proprio per la loro assoluta contrarietà alla guerra e ad uccidere, non si sono mai riconosciuti nelle bandiere di parte, perché quelle bandiere, oltre a significare un momentaneo pensiero pacifista per una causa specifica, veicolavano appunto tutta una serie di pensieri politici, che non per forza dovevano stare a braccetto con la pace.

 

(3) In quella terra, come in tutte le zone di conflitto, se si voleva portare con sé una bandiera che non fosse di parte, era necessario che fosse condivisa, accolta da tutte le parti in causa, anche tra loro contrapposte, per cui era necessario che fosse un simbolo universale di speranza. Questa bandiera potrebbe essere anche quella bianca, ma  esprime solo un colore, che forse può dare un'impressione di passività. La bandiera arcobaleno, invece, ha in sé tutti i colori e non ne vuole escludere nessuno; inoltre, la simpatia che questi colori insieme esprimono crediamo che renda più di qualsiasi altra bandiera la forza di che cosa vi sia dentro alla parola "pace" e l’intensità di chi la desidera. Di questo siamo personalmente testimoni, appunto, per i territori dell’ex Yugoslavia, e se avete modo di parlare anche con altri gruppi, come l’associazione “Beati Costruttori di Pace” o l’Operazione Colomba dell’associazione Papa Giovanni XXIII, siamo certi che ve lo confermeranno.

 

(4) In questi ultimi 10 anni lo si è visto molto bene, ad esempio per la marcia Perugia-Assisi, dove francescani, laici, enti locali, e tutte le varie associazioni si ritrovano in modo trasversale.

 

(5) Dalla rivista "Cem Mondialità" (mensile edito dai padri Saveriani)  
“Personalmente vorrei far conoscere un particolare inedito. Il mattino del 15 settembre 2002  io ero partito da Brescia con il materiale CEM e una bandiera della pace. Arrivai al palazzotto del Giubileo a Bologna, dove Diego (giovane trevigiano) mi sta aspettando. Vedendo la bandiera, Diego ha un lampo di genio: "Bisogna fare che la bandiera sventoli da tutte le finestre. Una campagna "Pace da tutti i balconi". Ne parliamo con p. Alex Zanottelli, con i Beati costruttori di pace (il movimento fondato da don Albino Bazzotto, già da tempo diffusori della bandiera) e gli altri organizzatori che trovano la campagna opportuna e profetica, oltre che simpatica-colorita. Ho svelato questo particolare di cronaca, per mostrare come ci sia la possibilità di promuovere dal basso iniziative creative in favore della pace.” ( A. De Vidi, direttore di "Cem Mondialità")

Ad oggi tra le varie associazioni che hanno aderito alla campagna “Pace da tutti i balconi” ci sono: Pax Christi, Acli , Agesci, Associazione Botteghe del Mondo, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Azione Cattolica, Banca Etica, Beati i Costruttori di Pace, CEM Mondialità, Focsiv (Federazione che raggruppa le maggiori associazioni di Volontariato cattolico), Gioventù Francescana Minori, Libera, Mi.Se.F. Missionari senza frontiere Missione Oggi, Nigrizia, Ordine Francescano Secolare Minori d'Italia, Rete Radiè Resch, Sermig , Tavola della Pace,

 

 (6)                                                         QUANDO IL PETROLIO VALE PIÙ DELL'UOMO

  "Si sono seccate in me perfino le fontane dell'indignazione. Di fronte a questa nuova "Tempesta del deserto", mi viene solo una incontenibile voglia di piangere.
Io pensavo che, dopo il conflitto del Golfo, si fossero sprigionati nell'organismo mondiale tanti anticorpi contro il "male di guerra", che a parlare ancora di violenza armata, in quei luoghi martoriati dal Medio Oriente, sarebbe venuto il vomito a tutti. Invece, no. Eccoci con una recidiva preoccupantissima.
Le ragioni del pianto mi vengono dal considerare le tante situazioni di ingiustizia, di fame, di violazione dei diritti umani, di oppressione. Sono le piaghe dei popoli poveri, di fronte ai quali si erge il muro dell'indifferenza internazionale. La Somalia e l'Iraq evidentemente meritano di più l'esercizio di quella "ingerenza internazionale" di cui ha parlato il Papa. È triste. Ma in questo vecchio mondo le ragioni del petrolio valgono più delle ragioni dell'uomo. E i rapporti privilegiati con i califfi della ricchezza contano più dei rapporti con i poveri. Povera Sarajevo, povero Libano, poveri Palestinesi, poveri popoli africani devastati dalle guerriglie della miseria. Chi vi pensa? Contate così poco agli occhi di un mondo che campa sulla logica del profitto, che a voi viene riservato solo qualche scampolo di attenzione marginale. Comunque il popolo della pace non vi dimenticherà. Staremo con voi e solleciteremo la coscienza mondiale perché apra gli occhi sulla vostra situazione.
Ripeteremo i discorsi sulla pace, sulla nonviolenza attiva, sulla difesa popolare nonviolenta. Ci esporremo ancora al sorriso dei benpensanti. Ci disporremo a sentirci ripetere i discorsi sul pacifismo a senso unico e sul pacifismo che si agita solo quando ci sono gli americani di mezzo. Lo faremo con un po' di disgusto, perché sappiamo questi discorsi di quanti anni luce siano ormai superati. Ma lo faremo. Caparbiamente. E ripeteremo mille volte che la guerra, avventura senza ritorno, è ormai incapace di risol­vere i conflitti dei popoli. Una cosa è certa: che non demorderemo".  (Don Tonino Vescovo, da “Luce e vita” (periodico della  diocesi di Molfetta)

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Qui di seguito riportiamo alcuni comunicati, appelli, e affermazioni contro la guerra, provenienti dal mondo cristiano.

Comunicato Stampa di Pax Christi  Italia (04/10/2002)
Né giusta, né umanitaria, né preventiva: la guerra non può essere accettata. 
Il movimento cattolico Pax Christi, proseguendo la propria riflessione sulla guerra, ha diramato  una riflessione curata dal Consiglio nazionale insieme a mons. Tommaso Valentinetti che solo qualche giorno fa è stato nominato Presidente.
Oltre che l'immoralità della guerra, viene sottolineata la violazione del diritto internazionale che si compirebbe con un attacco contro la popolazione irachena. In particolare, il testo insiste sulla lotta al terrorismo che sarebbe resa più efficace se si decidesse di sostenere il processo di pacificazione in Palestina piuttosto che di estendere il conflitto anche ad altre aree del Medioriente.
La nota, lanciata in occasione della festa liturgica di S. Francesco d'Assisi, fa eco ad alcune recenti prese di posizione del magistero ecclesiastico e si pone in continuità con l'appello che Pax Christi ha lanciato il 28 agosto scorso e che ha raccolto ampio consenso e più di 8500 adesioni, di cui 86 parlamentari e 35  vescovi e 137 tra istituti religiosi e associazioni

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IL TERRORISMO NON SI VINCE CON LA GUERRA

Alla guerra hanno dato aggettivi diversi, per renderla più accettabile: guerra giusta, guerra umanitaria, lotta al terrorismo, guerra preventiva. Ora siamo di fronte ad un'altra possibile guerra.
Non possiamo farci chiudere la bocca da chi ha scelto e vuole convincerci che la guerra, anche se a malincuore, è necessaria e inevitabile.
Il nostro riferimento, come cristiani, resta il Vangelo come Parola di vita e di pace; resta la persona di Gesù Cristo: uomo di verità, di giustizia, di libertà, di amore e di perdono. Gesù non ha mai usato la violenza neanche per legittima difesa ("Rimetti la  spada nel fodero" Mt 26,52).
A tutti coloro che si richiamano a Lui e al suo Vangelo chiediamo di non adattare la profezia e la forza del Vangelo ai calcoli e alle opportunità del momento. Sono certamente un segno di speranza i ripetuti appelli di questi giorni da parte di Giovanni Paolo II, dei Vescovi Italiani e di altre Nazioni (Gran Bretagna, Stati Uniti), di movimenti, gruppi, associazioni, comunità religiose, parrocchie e singoli credenti "contro la guerra".
Pax Christi ha già rivolto un appello ai Parlamentari, lo scorso mese di agosto, per 'Fermare la macchina della guerra'.  Non vogliamo qui riprendere quanto già detto anche in riferimento alla Costituzione Italiana, ci sembra però importante ricordare che il terrorismo va combattuto difendendo il diritto, togliendo quindi le motivazioni che offrono spazi di giustificazione pretestuosa al terrorismo. Per questo riteniamo importante non allargare il conflitto anche all'Iraq, ma impegnarsi a risolvere, ad es., la questione Palestinese.
Mentre da una parte vediamo tristemente radicata la tragica illusione di poter vincere il male con un male più grande, il terrorismo con un'ennesima guerra, dall'altra vediamo crescere segni e gesti di grande speranza, di rifiuto della violenza, da parte di comunità religiose, di parrocchie e di singoli credenti, come la proposta del voto di nonviolenza, fatta dal Capitolo delle Suore FMA.
E' vitale il riferimento, oltre che alla Parola, anche a tutti i recenti interventi autorevoli del Magistero della Chiesa: il Concilio con la Gaudium et Spes al n. 80 'Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio  e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato'; la Pacem in terris, 1963, in cui si afferma che ritenere la guerra adatta a sanare i diritti violati 'alienum est a ratione' (è fuori dalla ragione); Giovanni Paolo II, Angelus del 21 ottobre 2001 "Nel nome di Dio ripeto ancora una volta: la violenza è per tutti solo un cammino di morte e di distruzione, che disonora la santità di Dio e la dignità dell'uomo"  ; Giovanni Paolo II ad Assisi il 24 gennaio 2002 'Mai più violenza!  Mai più guerra!  Mai più terrorismo!'
In questi interventi la condanna della guerra è chiara ed esplicita e non ammette cedimenti.
Come dice Gesù il vostro parlare sia 'sì sì, no no'.
San Francesco, oggi celebrato in Italia e nel mondo come grande uomo di pace, ci ricorda di leggere il Vangelo 'sine glossa'. Anche la condanna della guerra sia dunque 'sine glossa', una condanna ferma, chiara e coraggiosa. La guerra resta sempre 'avventura senza ritorno'.
Vogliamo concludere riprendendo l' invito del papa, per questo mese di ottobre ad "affidare alla preghiera del Rosario la grande causa della pace", e invitando tutti coloro che sono contro la guerra ad esporre la bandiera della pace (o un lenzuolo bianco con la scritta no alla guerra) alle finestre e balconi delle proprie abitazioni, per rendere visibile il proprio no alla guerra.

 + Tommaso Valentinetti   Presidente di Pax Christi Italia

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COMUNICATO DEI VESCOVI DELLA TOSCANA PER LA PACE

Nella nostra precedente assemblea (1 ottobre 2002) prendemmo ferma posizione in favore della pace in di fronte alla diffusione di conflitti e violenze in varie parti del mondo. Adesso noi vescovi della Toscana per fedeltà al Vangelo della pace, in comunione con il magistero del Papa e condividendo il desiderio di pace del nostro popolo, constatando che gli organismi deputati all' esercizio del diritto internazionale si trovano di fatto esautorati e in particolare come l'ONU non sia posta in grado di intervenire con pari efficacia nei confronti di tutte le violazioni dei diritti umani, della libertà, della sicurezza e della democrazia, dovunque e da chiunque vengano perpetrate,
esprimiamo
un chiaro, preoccupato e deciso NO alla guerra, di fronte agli avanzati preparativi e al dispiegamento di forze in atto, con la prospettiva di azioni militari che potrebbero svilupparsi anche  ignorando o forzando le norme del diritto internazionale;
chiediamo
al Parlamento e al Governo italiani, chiamati a prendere importanti e gravi decisioni di politica estera, di confrontarsi con responsabilità e coraggio con gli accorati appelli alla pace del Santo Padre Giovanni Paolo II - in particolare il messaggio per la Giornata della pace 2003 e il discorso al corpo diplomatico accreditato presso la S. Sede - volti a promuovere il dialogo, la mediazione e la riconciliazione tra le parti in conflitto e quindi a scongiurare guerre sempre inutili e con dannosissimi effetti in primo luogo sulle popolazioni inermi;
invitiamo
tutte le comunità ecclesiali e ogni cristiano, insieme con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a convertirsi alla pace, a coltivare e diffondere pensieri e gesti di pace, a celebrare momenti comunitari di riflessione e preghiera, a digiunare per la pace, a manifestare con franchezza ai membri del Parlamento e del Governo il profondo desiderio di pace, di giustizia e di democrazia del nostro popolo e di tutti i popoli del mondo dicendo un fermo e chiaro NO all'ipotesi di partecipazione o sostegno alla guerra all'Iraq da parte dell'Italia e chiedendo invece di adoperarsi con ogni mezzo nonviolento perché in quel paese si affermino i diritti umani e la democrazia; come pure di moltiplicare le attenzioni e gli sforzi per la pace in Terrasanta e in tutte le altre situazioni di guerre e conflitti dimenticati;
riaffermiamo
l'esigenza di maggiore giustizia distributiva su base planetaria, come fonte di vita e di sviluppo per tutte le aree del mondo da liberare dalla fame e dalla miseria.
Raccomandiamo a tutti i sacerdoti, che questo messaggio sia letto in tutte le chiese della Toscana, come pure a tutti i laici e alle associazioni e movimenti cattolici di darne la massima diffusione in tutti gli ambienti e realtà civili e sociali della nostra regione.
28 gennaio 2003

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La nostra valutazione di questi problemi ci induce a raccomandarLe di perseguire attivamente vie alternative alla guerra. Noi speriamo che Lei vorrà insistere nella frustrante e difficile impresa di promuovere un vasto sostegno internazionale per un nuovo, più costruttivo ed efficace intervento al fine di ottenere dal Governo iracheno il rispetto dei suoi impegni internazionali. Questo modo di affrontare il problema potrebbe comprendere una costante azione diplomatica mirante, in parte, alla ripresa di ispezioni rigorose ed efficaci; un effettivo rispetto dell'embargo militare; il mantenimento di sanzioni politiche ed economiche con obiettivi molto più precisi, che non minaccino la vita di civili iracheni innocenti; un sostegno non militare a quanti possono costruire autentiche alternative democratiche in Iraq; altre misure legittime per contenere e scoraggiare iniziative aggressive da parte irachena.
Rispettosamente La esortiamo a ritrarsi dall'orlo della guerra, e a collaborare per guidare il mondo verso un'azione comune mirante a dare una risposta efficace e globale alle minacce irachene, che sia in sintonia con i principi morali che limitano l'uso della forza militare.                  Conferenza Episcopale cattolica degli Stati Uniti

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I primati inglesi (cattolico e anglicano) contro la guerra

A seguito di un loro recente incontro svoltosi privatamente, il Cardinale Arcivescovo di Westminster, Cormac Murphy–O’Connor e l’Arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, hanno rilasciato la seguente dichiarazione a proposito della questione irachena:
La guerra è sempre e comunque una prospettiva che turba profondamente le coscienze; un qualcosa che non può mai essere contemplato senza un profondo senso di fallimento e di rimpianto rispetto al fatto che qualsiasi altro mezzo per risolvere le crisi internazionali non abbia prevalso; con profonda inquietudine pensando alle conseguenze negative che essa sempre porta con sé.
Siamo profondamente coscienti del pesante fardello di responsabilità che devono sostenere coloro che detengono il potere di dare l’ultima parola su una questione come la decisone di fare o meno una guerra. Essi sono sempre nei nostri pensieri e nelle nostre preghiere così come lo sono tutti coloro che, direttamente o indirettamente, rischiano di trovarsi coinvolti in una guerra.
Gli eventi di questi ultimi giorni – così come le imprevedibili conseguenze umanitarie e politiche che ineluttabilmente si avrebbero -  mostrano come ancora persistano dei dubbi sulla legittimità di una guerra in Iraq.
Riconosciamo altresì che l’alternativa ‘morale’ alla guerra non può essere la passività o l’indifferenza.
E’ assolutamente vitale, pertanto, che tutte le parti coinvolte in questa crisi si impegnino – con grande urgenza e attraverso le Nazioni Unite – in un processo – dare, ad esempio, ancora spazio alle ispezioni per la ricerca di armi -   che può e deve rendere la tragedia di una guerra evitabile.

Per questo chiediamo con forza al Governo iracheno di dimostrare apertamente il suo adeguamento a quanto richiesto dalle risoluzioni dell’ONU sulla necessità di eliminare le armi di distruzione di massa di cui sia in possesso.

Il tempo della Quaresima si sta ormai avvicinando, un tempo durante il quale la tradizione cristiana incoraggia i credenti ad affrontare un attento esame di coscienza, ad analizzare i propri difetti e a cercare una riconciliazione con Dio.

Noi dobbiamo quindi sperare e pregare affinché con l’Aiuto di Dio si possa arrivare ad una soluzione positiva della crisi in Iraq.

ARCHBISHOPS' JOINT STATEMENT ON IRAQ
released 20 February 2003

Following a recent private meeting, the Cardinal Archbishop of Westminster,
Cormac Murphy-O'Connor and the Archbishop of Canterbury, Rowan Williams, have issued the following statement concerning Iraq:
War is always a deeply disturbing prospect; one that can never be contemplated without a sense of failure and regret that other means have not prevailed, and deep disquiet about all that may come in its train.
We are very conscious of the huge burden of responsibility carried by those who must make the ultimate decision in these matters. They are daily in our thoughts and prayers, as are all those who would find themselves caught up directly or indirectly in a war.
The events of recent days show that doubts still persist about the moral legitimacy, as well as the unpredictable humanitarian and political consequences, of a war with Iraq.
We recognise that the moral alternative to military action cannot be inaction, passivity, appeasement or indifference. It is vital therefore that all sides in this crisis engage, through the United Nations - fully and
urgently - in a process, including continued weapons inspections, that could and should render the trauma and tragedy of war unnecessary.
We strongly urge the government of Iraq to demonstrate forthwith its unequivocal compliance with UN resolutions on weapons of mass destruction.
The season of Lent is now approaching, a time when all Christian traditions encourage us to examine ourselves honestly, to acknowledge our shortcomings and to seek reconciliation with God. We must hope and pray that with Gods guidance, an outcome

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All'attenzione del Signor
Presidente del Consiglio dei Ministri,
Silvio Berlusconi.

Signor Presidente,
chi le scrive è un prete della diocesi di Vercelli,
don Antonello Solla.
Il motivo di questo mio scritto scaturisce da alcune sue frasi recentemente pronunciate circa il pacifismo e i pacifisti.
I pacifisti , secondo il suo pensiero, sono delle persone che "non hanno mai avuto la testa" !
Premetto che, se così si può dire, mi ritengo un pacifista, cioè contrario ad ogni genere di violenza e alle guerre che divampano sul nostro pianeta.
Sono altresì fermo a condannare l'imminente attacco militare nei confronti del popolo iracheno da parte dell'amministrazione Bush e da parte di coloro che "si piegano" ai suoi "capricci" di prepotente.
In secondo luogo, mi sento davvero confortato che, tra coloro che sono "fuori di testa", ci sia anche il Santo Padre Giovanni Paolo II, il Quale, come Lei sa bene, non si stanca di dichiarare il Suo deciso NO ad ogni conflitto e ora in maniera esplicita nei confronti della possibile guerra all'Iraq.
Dunque, anche il Papa è pacifista.dunque, anche Lui non ha mai avuto testa!
Davvero un bel colpo da parte sua!
Mi sento offeso come uomo, come cittadino e come cristiano.
Intanto perché Lei non mostra, attraverso quelle affermazioni, alcun rispetto di opinioni diverse dalle sue; in secondo luogo, perché Lei in qualità di Presidente del Consiglio, deve rappresentare tutti gli italiani, anche me dal quale non ha raccolto il voto, e invece "mi insulta"; come cristiano e prete mi sento "perseguitato", perché non mi è consentito di manifestare la mia fede liberamente, subendo questa "violenza verbale".
La fede di un cristiano che desidera seguire Gesù ci invita ad essere uomini di pace e di amore.
Sfido chiunque e sfido anche Lei, a trovare nel Vangelo una sola frase o una sola parola che possa giustificare la violenza o la guerra!
Lei spesso si richiama ai principi del vangelo.ma quale "vangelo"!?
Vorrei ricordarLe le parole del Papa durante il discorso al Corpo Diplomatico tenutosi il 13 gennaio 2003 in Vaticano:"E che dire delle minacce di una guerra che potrebbe abbattersi sulle popolazioni dell'Iraq, terra dei profeti, popolazioni già estenuate da più di dodici anni di embargo? Mai la guerra può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le Nazioni. Come ricordano la Carta delle Nazioni Unite e il Diritto internazionale, non si può far ricorso alla guerra, anche se si tratta di assicurare il bene comune, se non come estrema possibilità e nel rispetto di ben rigorose condizioni, né vanno trascurate le conseguenze che essa comporta per le popolazioni civili durante e dopo le operazioni militari. E' dunque possibile cambiare il corso degli eventi quando prevalgono la buona volontà, la fiducia nell'altro, l'attuazione degli impegni assunti e la cooperazione fra partner responsabili".
La pace non la si trova e non la si costruisce con altre guerre.
Il terrorismo non lo si vince con la vendetta e con la violazione della sovranità degli Stati.
Il Santo Padre ci insegna la via del dialogo e della trattativa, il perdono e la giustizia che è il sentiero per costruire la pace, restituendo ciò che non è nostro a chi è stato "derubato" del necessario.
La invito a leggere l'Enciclica di Giovanni XXIII "Pacem in terris", dove vengono delineati bene i quattro pilastri per raggiungere la pace: GIUSTIZIA, VERITA', LIBERTA', AMORE.
Voi capi di governo avete la responsabilità di attivarvi ad ogni costo per suggerire vie di dialogo e di persuasione non-violenta, affinchè possano essere instaurate la democrazia e il benessere in ogni nazione.
Ringraziandola per l'attenzione e la pazienza,
Le chiedo formalmente le sue scuse a me ,come prete e cittadino, e a tutti coloro che credono nella pace attraverso la strada della non-violenza attiva e di coloro che si definiscono pacifisti, che non per questo possono essere definiti meno uomini e "fuori di testa", soprattutto da colui che dovrebbe mantenere l'unità nazionale e la calma.
Grazie.
Con stima,
don Antonello Solla


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ANGELUS- Domenica, 23 febbraio 2003

 Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Da mesi la comunità internazionale vive in grande apprensione per il pericolo di una guerra, che potrebbe turbare l'intera regione del Medio Oriente e aggravare le tensioni purtroppo già presenti in quest'inizio del terzo millennio. E' doveroso per i credenti, a qualunque religione appartengano, proclamare che mai potremo essere felici gli uni contro gli altri; mai il futuro dell'umanità potrà essere assicurato dal terrorismo e dalla logica della guerra.
Noi cristiani, in particolare, siamo chiamati ad essere come delle sentinelle della pace, nei luoghi in cui viviamo e lavoriamo. Ci è chiesto, cioè, di vigilare, affinché le coscienze non cedano alla tentazione dell'egoismo, della menzogna e della violenza.

2. Invito, pertanto, tutti i cattolici a dedicare con particolare intensità la giornata del prossimo 5 marzo, Mercoledì delle Ceneri, alla preghiera e al digiuno per la causa della pace, specialmente nel Medio Oriente.
Imploreremo innanzitutto da Dio la conversione dei cuori e la lungimiranza delle decisioni giuste per risolvere con mezzi adeguati e pacifici le contese, che ostacolano il peregrinare dell'umanità in questo nostro tempo.
In ogni santuario mariano si eleverà verso il Cielo un'ardente preghiera per la pace con la recita del Santo Rosario. Confido che anche nelle parrocchie e nelle famiglie venga recitata la Corona per questa grande causa da cui dipende il bene di tutti.
A tale corale invocazione si accompagnerà il digiuno, espressione di penitenza per l'odio e la violenza che inquinano i rapporti umani. I cristiani condividono l'antica pratica del digiuno con tanti fratelli e sorelle di altre religioni, che con essa intendono spogliarsi di ogni superbia e disporsi a ricevere da Dio i doni più grandi e necessari, fra i quali in particolare quello della pace.

3. Fin d'ora invochiamo su questa iniziativa, che si colloca all'inizio della Quaresima, la speciale assistenza di Maria Santissima, Regina della Pace. Per sua intercessione, possa risuonare con nuova forza nel mondo e trovare fattiva accoglienza la beatitudine evangelica: "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5,9)!

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Pace: una preghiera contro la guerra e il terrorismo
L'invocazione contenuta in un comunicato delle religiose degli Stati Uniti

Washington (USA), 21 febbraio (VID) - "Ti chiediamo, Spirito Santo, di infondere forza alla pubblica autorità delle Nazioni Unite, universalmente riconosciuta, così che possa venire veramente investita della capacità di dare sicurezza a tutti, preoccuparsi per la giustizia e il rispetto della legge internazionale". Lo scrive un comunicato del Council of Major Superiors of Women Religious, la seconda Conferenza di Religiose degli Usa.

Il testo del comunicato, fatto pervenire a "Vidimus Dominum", è una invocazione al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, affinché ci sia pace e comprensione nel mondo. "Ci impegniamo come religiose, attraverso i nostri atti di conversione, a superare tutte le forme di ostilità, sfiducia, odio razziale verso i più vicini a noi, sperando che dai nostri sforzi di amore e con i nostri sacrifici possa avvenire un cambiamento dei cuori negli altri".

Alla Trinità viene chiesto di "aiutare ad eliminare l'aspetto selvaggio della guerra moderna, con le sue barbare armi prodotte dalla scienza e i nuovi metodi terroristici di infiltrazione e sovversione, attraverso le nostre preghiere".

"Santa Trinità - conclude il testo - noi speriamo in Te. Preghiamo per il popolo dell'Iraq. Preghiamo per il popolo degli Stati Uniti. 
Preghiamo per tutto il personale militare. Preghiamo per tutti i terroristi".

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23 FEBBRAIO 2003 - LETTERA DEI VESCOVI DI GERUSALEMME, SARAJEVO E DELL'IRAQ CONTRO LA GUERRA

In quest'ora di preoccupazione internazionale, tutti sentiamo il bisogno di rivolgerci al Signore per implorare il grande dono della pace." Noi pastori della Chiesa cristiana che è in Gerusalemme che è in Sarajevo, che è in Iraq facciamo nostre queste accorate parole del Papa, e insieme vogliamo unire la nostra voce alla sua per chiedere che la pace, dono di Dio, sia anche ricercata da tutti gli uomini e le donne sulla terra. La nostra è una voce debole, ma vogliamo essere voce della nostra gente che ha subìto e sta subendo la guerra, oppressioni e ingiustizie e che vive nelle nostre terre, diventate tragicamente simbolo di sofferenza, non solo negli anni scorsi ma anche oggi. Le nostre non sono tutte città sante come Gerusalemme, e nemmeno città cattoliche. Ma certamente sono città martiri. Noi che abbiamo vissuto o stiamo ancora vivendo la tragedia della guerra, vogliamo dire al mondo intero, in particolare ai potenti della terra: non imboccate la strada della guerra, perché è una strada senza uscita. La pace è l'unica strada da percorrere, è direzione obbligatoria. Non c'è violenza, non c'è terrorismo, non c'è guerra che non porti con sé altra violenza, odio, distruzione, sofferenza e morte. Cristo è la nostra pace. E' il Vangelo della pace che deve illuminare i nostri cuori e guidare le nostre scelte perché siano scelte di totale rifiuto della violenza e della guerra. Ci rivolgiamo a tutti, credenti e non credenti, uomini e donne di buona volontà, ma in particolare a chi ha la responsabilità e il potere di decidere sul futuro, perché possa far prevalere il buon senso e il dialogo ricordando che "la guerra è avventura senza ritorno". Con il Papa anche noi diciamo: "No alla guerra!  La guerra è sempre una sconfitta dell'umanità". Se la guerra è distruzione e morte, non meno tragiche sono le conseguenze che una guerra porta inevitabilmente con sé: divisioni, odi e tanti profughi. Sono davanti agli occhi del mondo i milioni di profughi della Bosnia e di tutta la ex Jugoslavia; le condizioni invivibili dei Palestinesi, profughi nella loro terra o in terra straniera.  E, in caso di guerra, quanti saranno i profughi dall'Iraq, che si andranno ad aggiungere a chi ha già cercato speranze di vita fuggendo da quella terra, da troppi anni segnata dalla guerra e dall'embargo? Sappiamo che in ogni parte del mondo stanno crescendo incontri di preghiera e momenti di confronto civile e pacifico per invocare la pace.  Questo per noi è motivo di grande speranza, speranza nel Dio che ascolta sempre la preghiera dei piccoli, dei poveri e degli indifesi. Non lasciateci soli, perché il mondo oggi ha bisogno di costruire questa speranza. (23 febbraio 2003 - Michel Sabbah, Patriarca latino di Gerusalemme e Presidente Internazionale di Pax Christi; Vinko Card. Puljic, Arcivescovo di Sarajevo; Raphael Bidawid, Patriarca di Babilonia dei Caldei - Iraq)

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Da www.vidimusdominum.org

Lettera sulla Pace

Pubblichiamo la lettera di alcuni Servi di Maria della Comunità di Oruro in Bolivia. E' indirizzata ai loro confratelli d'Europa e d'America, ma il contenuto illustra l'impegno dei religiosi e delle religiose con i bisognosi di questo mondo.

Cari fratelli Servi di Maria d'Europa e degli stati Uniti d'America:
Siamo i Servi di Maria del Vicariato Andino, una piccola giurisdizione dell'Ordine divisa tra la Bolivia, il Cile ed il Perù. Desideriamo  scrivervi da questi paesi, spinti a farlo dall'esperienza dei nostri popoli che conoscono la sofferenza, e lo facciamo per farvi giungere un messaggio di gratitudine e di incoraggiamento.
Stiamo vivendo momenti difficili e confusi. Diventa sempre più grave la tentazione di risolvere i conflitti internazionali con la forza e con la guerra. E questa cultura di guerra intacca anche i nostri rapporti sociali ed interpersonali. Si avvertono una certa fatica ed una sfiducia verso tutto ciò che significa dialogo, negoziato,
accettazione del diverso, ricerca di cammini di pace. E semplificando le cose in modo quasi puerile, si dice che i buoni sono coloro che sono d'accordo con noi e con i nostri interessi, ed i cattivi tutti gli altri, e che è necessario distruggerli.
Grazie a Dio non tutti pensano in questo modo. Ci sono molte persone impegnate a costruire una società più giusta, consapevoli del fatto che i conflitti nascono dalle ingiustizie, dall'emarginazione a cui sono sottoposti molti gruppi sociali, dall'esclusione di interi popoli e continenti. E tra i costruttori di pace ci siete anche voi. Abbiamo constatato con gioia l'impegno di molti di voi, sia membri che si trovano nel Centro dell'Ordine, nella Segreteria generale e nel Segretariato di Giustizia e Pace, o altri in comunità più isolate, impegnarsi nella solidarietà con i movimenti per la pace e nella lotta per la giustizia, accanto a tante persone che sognano e lavorano per costruire un mondo diverso. Vi abbiamo visto accompagnare religiosi e religiose di altri Ordini e Congregazioni per denunciare le violazioni contro i diritti umani, vi abbiamo visto rischiare per una vita religiosa in Europa e Stati Uniti che non vuole rimanere assente in questi momenti, o mantenere un silenzio complice.
Grazie, fratelli! Sentiamo il dovere di ringraziarvi per l'esempio che ci date.
E vi ringraziamo anche a nome delle nostre popolazioni. Sappiamo che tutti gli investimenti in armi sono risorse tolte alla vita, soprattutto alla vita dei più poveri e sappiamo che in questo sistema globalizzato le guerre le pagano soprattutto le economie più deboli dei paesi del Sud del mondo. Ogni azione da voi compiuta a favore
della pace sarà anche un'azione a favore dei nostri bambini, dei nostri anziani, dei nostri poveri. Dovete sapere che abbiamo fiducia in voi. E molte volte abbiamo avuto prova della vostra generosa solidarietà. Oggi questa solidarietà passa attraverso l'impegno comune per la pace.
Un saluto, con la certezza che è possibile un mondo diverso.
Che il Dio della pace sia con noi.
Oruro, Bolivia, 23 gennaio 2003

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1. PACE: IMPEGNO PERMANENTE

"La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell'umanità”. Così il Santo Padre, parlando al Corpo Diplomatico (13 gennaio 2003),  ha ribadito con forza il NO ALLA GUERRA.
Anche i Vescovi italiani hanno espresso la loro contrarietà alla guerra sottolineando che “se una guerra è preventiva non è giusta in ogni caso”. Dal canto suo il cardinal Sodano ha detto chiaramente: “Noi siamo contro la guerra. Non c’è tanto da discutere sul fatto se sia preventiva o non preventiva: sono termini ambigui”. La questione centrale quindi non è la guerra preventiva, ma la prevenzione della guerra, di tutte le guerre.
La Caritas italiana si unisce a queste voci e ribadisce il grande, incondizionato amore per la pace e il fermo rifiuto della violenza, del terrorismo e della guerra. Mentre sempre più concreti si fanno i preparativi per un attacco all’Iraq, non si può accettare passivamente le tendenze che tolgono valore al diritto ed alle istituzioni internazionali, al dialogo, alla solidarietà tra i popoli. Occorre promuovere tutti gli strumenti in grado di rafforzare e rilanciare il ruolo degli organismi internazionali, dal Tribunale penale all’esigenza di dar vita ad un sistema di polizia internazionale effettiva, che non violi gli stessi fondamenti di equità e giustizia e garantisca una legge uguale per tutti.
La Caritas chiede quindi al Parlamento e al Governo italiani di confrontarsi con senso di responsabilità con gli accorati appelli alla pace, da quelli del Papa a quelli delle Chiese locali. Ricordiamo le innumerevoli iniziative, veglie, preghiere, digiuni, a livello diocesano. Unendoci a queste voci, invitiamo “tutte le comunità ecclesiali e ogni cristiano...a coltivare e diffondere pensieri e gesti di pace, dicendo un fermo e chiaro NO all’ipotesi di partecipazione o sostegno alla guerra all’Iraq da parte dell’Italia” (CET, 28 gennaio 2003)
Condanniamo fermamente i crimini del regime di Bagdad – dalla pulizia etnica alla tortura e alle esecuzioni sommarie – e chiediamo il pieno rispetto delle Risoluzioni Onu. Ma le prospettive di una guerra preventiva ci preoccupano sia per gli “inaccettabili costi umani, sia per i gravissimi effetti destabilizzanti sull’intera area medio orientale e su tutti i rapporti internazionali”. Si stima che moriranno almeno 10mila militari e altrettanti civili e che i bombardamenti provocheranno un milione e mezzo di rifugiati.
Chiediamo di intensificare ogni sforzo ad ogni livello di responsabilità, per la pace: andando alle vere cause che la minacciano, rimuovendo le ingiustizie, riducendo le disuguaglianze, promuovendo una informazione quantitativamente e qualitativamente più adeguata, rafforzando l’impegno di tutti per un’educazione alla carità, alla mondialità, all’interculturalità, al rispetto.
Ci piace concludere ribadendo - sempre con le parole del Papa al Corpo Diplomatico - che tutto può cambiare. “È dunque possibile cambiare il corso degli eventi, quando prevalgono la buona volontà, la fiducia nell'altro, l'attuazione degli impegni assunti e la cooperazione fra partner responsabili”.
(Notiziario Caritas Bologna n. 41)

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ATTUALITA' DELLA PACEM IN TERRIS
SCENARI E NUOVI ATTEGGIAMENTI DA VIVERE PER ESSERE OPERATORI DI PACE

 Mons. Pero Sudar
Ausiliare di Sarajevo

Introduzione

Ci sono temi di perpetua attualità. Tra di essi senz'alcun dubbio vi è anche il tema della pace, perché questo tesoro prezioso in parte dipende dall'atteggiamento degli uomini. Certamente questo valore fondamentale non dipende prima di tutto dagli uomini, perché non è opera dell'uomo. La vera pace è un dono agli uomini. Di questo dono bisogna essere degni, vale a dire essere disposti a riceverlo e a trattarlo degnamente. Allora, si deve dire che senza l'impegno degli uomini non vi è la pace; eppure quest'impegno non basta. La pace è opera di Dio. Ma, misteriosamente, neppure Dio da solo è in grado di donare al mondo la vera pace. Questo è uno dei difficili contenuti della fede. Dio è onnipotente ma non può, perché non vuole, fare tutto da solo! D'altra parte, la guerra, intesa come negazione diretta e totale della pace, nasce nel cuore umano.
         Il cuore umano è sempre incline a procurarsi ciò che desidera da solo, servendosi di tutti i mezzi. Ed è tentato di provarlo sempre e di nuovo. Non impara mai, né dai fallimenti degli altri, né dai propri! E' assurdo che, per appropriarsi di questo anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, come Papa Giovanni XXIII definisce la pace, l'uomo sia disposto a servirsi della stessa negazione della pace. Però dove c'è la guerra il dono della pace non può essere dato, perché chi confida nelle proprie capacità non è disposto a chiedere aiuto e le mani che tengono le armi sono già occupate, per accettare il dono della pace.
         Da questa tensione, profondamente radicata nella natura umana, risulta la attualità dell'impegno della Chiesa e di tutti gli uomini di buona volontà per la pace, come condizione indispensabile per la vita dell'umanità. Per questo il Concilio ci insegna che la pace non è stata mai stabilmente raggiunta, ma è da costruirsi continuamente (GS, 78). Se l'obbligo morale dell'impegno per la pace cresce proporzionalmente con la capacità umana di metterla a rischio, siamo giunti al momento in cui dobbiamo rivolgerci tutti con animo rinnovato alla vera pace (GS, 77). E' fuori dubbio che questa capacità sia più grande oggi che negli anni in cui fu scritta la celebre enciclica Pacem in terris.
          Dato che solo l'uomo convinto si muove, cerco di accennare alcuni fatti che potrebbero convincerci che il dono della vera pace è a rischio e che questo tema ci tocca tutti da vicino. I punti che intendo mettere in evidenza vorrebbero suscitare, forse anche provocare, le vostre riflessioni e la discussione che ci porterà a concludere che il mondo in cui viviamo ha bisogno di ognuno di noi. Dio non ha creato nessuno per caso e nessuno esiste senza una propria importante missione. La missione comune è, senza dubbio, la pace tra gli uomini.

          1. Odierni pilastri della guerra

           L'enciclica Pacem in terris è stata scritta per mettere in evidenza tutta l'assurdità della guerra e la possibilità e la indispensabilità della pace. Questa vera "magna carta" dei diritti umani contrappone il pieno rispetto dell'ordine stabilito da Dio alla pericolosa convinzione che ritiene di poter regolare i rapporti di convivenza tra gli esseri umani ... con le stessi leggi che sono proprie delle forze e degli elementi irrazionali (Introduzione). Visto che l'Enciclica parla, e il Messaggio di papa Giovanni Paolo II per la Giornata mondiale della pace fortemente sottolinea i pilastri della pace quali frutti dell'ordine divino, mi è sembrato opportuno mettere in evidenza alcuni pilastri della guerra, frutti del nuovo ordine mondiale, che tende - come mai prima nella storia umana - a reggersi sui princìpi della razionalità meramente naturale. I due grandi Papi hanno scelto una via positiva per farci capire in che senso bisogna muoverci per divenire gli operatori di pace a cui è stato promesso che saranno chiamati fgli di Dio (Mt 5,9). Per non offuscare la chiara e limpida dottrina di quei Pastori, io stasera propongo di prendere in considerazione la via negativa, per indicare quali atteggiamenti bisogna abbandonare per non dover ascoltare dalla bocca di Dio: ho avuto fame... ero nudo...malato e non mi avete... (Mt 25, 42-43).

1.1. Nuovo paganesimo

Il mondo in cui viviamo non è mai stato del tutto fedele a se stesso. Le sue deviazioni si possono seguire con grande esattezza. Ciò nonostante, non si può dire che la storia umana conosca periodi in cui l'uomo si è presentato del tutto indifferente ad una realtà che lo oltrepassi. Per quanto i suoi peccati erano grandi e le sue deviazioni pericolose, l'umanità non è mai andata tanto lontana da Dio da non poter essere trovata da Lui! Quando l'uomo in mille modi veniva sacrificato ad una pagana idea di Dio, Dio inventava sempre il modo per salvarlo, perché le tracce del sacro erano comunque rimaste, e la speranza in un mondo migliore nel cuore umano non veniva data per persa.
         Oggi, però, ci sono dei segnali che indicano come l'uomo si stia allontanando da se stesso in una maniera tale da far temere che lo stesso Dio faccia fatica a ritrovarlo. E' da temere, ad esempio, la corrente che cerca di cancellare le tracce del sacro dalla vita degli uomini. I1 contenuto spirituale è il nucleo di tutte le civiltà. Di quale speranza vivrà l'Europa di domani, se i suoi intellettuali d'oggi non permettono che l'idea di Dio o quella dei valori spirituali venga menzionata nella sua Costituzione? Questo non si può giustificare con il fatto che nel passato l'uomo ha fatto male al suo prossimo, facendo anche le guerre religiose, nel nome di una idea sbagliata di Dio. Da noi si direbbe che con l'acqua sporca viene buttato via anche il bambino! E' tristemente così! La civiltà, prima di tutto questa nostra occidentale, svuotata dai valori spirituali, deve crollare perché la vita viene ridotta a puro calcolo degli elementi materiali, perdendo la sua intangibilità! Questo approccio tipico del nuovo e pericoloso paganesimo al mistero della vita, non solo permette ma giustifica l'ideologia secondo cui l'uomo diventa materia da usare e da buttare via. Le prime apparizioni di questo nuovo ordine mondiale sono ben visibili al nostro orizzonte. I frutti amari non si faranno aspettare a lungo.

          1.2. Menzogrna e imbroglio

La tecnica e gli odierni mezzi di comunicazione sono in grado di accertare con quasi assoluta esattezza le realtà come esse sono. Vale a dire che non ci possono essere grandi cose nascoste. Ciò nonostante, si fa tanta fatica a capire che cosa sta accadendo intorno a noi. Leggiamo tanti libri, diversi giornali, seguiamo le cronache, le notizie, ma la verità ci sfugge. Ogni tanto mi viene rivolta la domanda di quale sia il problema più grande nel mio Paese. BeE, che non riesce ad uscire dal circolo vizioso dei risentimenti. Mi accorgo sempre di più che la risposta chiave è: la verità. Solo durante la guerra e dopo la guerra ho capito il peso e la profondità delle parole di Colui che era pieno di grazia e di verità (Gv 1,14), cioè di Gesù: La verità vi farà liberi! (Gv 8,32). Ogni giorno sono costretto a leggere le notizie sugli avvenimenti a cui partecipo. Nelle informazioni di solito non ci sono le idee-chiave. Anzi, le bugie materiali sulle cose gravi vengono trasmesse e difese come grandi verità. La verità viene additata. Chi sa farlo meglio, viene considerato più capace. E non solo da noi!
       Due mesi fa, ho partecipato a una tavola rotonda in una città italiana con il tema sulla possibilità della convivenza tra culture diverse dopo 1'11 settembre 2001. Dopo la lettura degli eventi accaduti, fatta da una giornalista in gamba, mi ha preso un sentimento di paura che non ho provato durante tutti gli anni della guerra in BeE. Dentro di me è rimasta l'eco della disperata domanda di una ragazza rivolta alla giornalista: Signora, ma è possibile? La risposta era breve e scoraggiante: Purtroppo, tutto è possibile! E sì, che tutto è possibile in un mondo che, servendosi della menzogna, sta svuotando il cuore umano dai valori che lo incoraggiano a vivere nella verità, perché quei valori-ideali gli offrono la risposta alla domanda del perché la verità. Anche l'affermazione che tutto sia possibile è un imbroglio. Pur con tutta la tecnologia, grazie a Dio, non è ancora possibile decifrare i segreti del cuore umano. Quello rimane segreto e continua ad essere il problema, spero positivo!

         1.3. Egoismo esasperato

Ridotto a pura materia, l'uomo e la società da lui fatta non ne hanno mai abbastanza. Però si sente sempre insoddisfatto, perché lo spirito non può essere soddisfatto dalla materia. Insoddisfatto, l'uomo è terrorizzato nel cercare ed inventare sempre nuovi modi per raggiungere questo stato d'animo. Questa caccia alla soddisfazione esasperata culmina nel fatto che il luogo stesso in cui si è nati decide non soltanto della gioia o della tristezza di un'esistenza, ma addirittura della vita e della morte di milioni di uomini. Mentre l'anno scorso sono morte a causa della mancanza di cibo e acqua trentuno milioni di persone, l'Occidente ha sprecato ottocento miliardi di dollari per la sua difesa. E che cosa difende? Prima di tutto quel 59% di tutte le ricchezze del mondo in possesso del 6% degli abitanti del mondo. Tutti negli Stati Uniti d'America! Da chi si difendono? Di nuovo, prima di tutto, sì due volte prima di tutto, anche prima di Osama Bin Laden e i suoi terroristi, si sono difesi da coloro che sono già morti di fame! Questa impostazione, a prima vista, può sembrare troppo semplice ed ingenua. E' così se viene preso in considerazione solo il culmine di questo problema, usato poi per nascondere le radici profonde da cui spunta. Di quegli ottocento miliardi di dollari spesi per gli armamenti, ne bastavano solo ventiquattro miliardi, che la FAO ha chiesto e non ricevuto, per sfamare le persone poi morte.
         L'egoismo e le ingiustizie hanno creato un mondo in cui il 75% degli abitanti non ha il necessario per la vita. In questo nostro Occidente, che si vanta del proprio umanesimo, i cani e i gatti consumano le risorse destinate prima di tutto a quegli undici milioni di bambini, morti di fame l'anno scorso. Festeggiando il Natale del Signore, che è nato come milioni di poveri d'oggi, i cristiani, ad esempio, in Inghilterra hanno speso per i regali ai loro cani e gatti. Sia lontano da me il condannare le persone sole ed anziane, con cui non vuole stare più nessuno, perché si procurano l'affetto del cane o del gatto. Però, ciononostante, la civiltà che ignora l'ordine naturale e le sue priorità di fondo, corre il rischio di sprofondare. Peı- il semplice fatto che il mondo, che è stato creato per altruismo, viene soffocato dall'egoismo. Ecco perché bisogna dire che il cavallo su cui oggi cavalcano i terroristi è così grasso e potente perché sta mangiando dalle mani di tanti! Dio-Amore ha creato il mondo per la felicità dei suoi figli, affidandolo loro. Sant'Agostino ci ha insegnato che Dio ci ha creato senza di noi, ma non ci salverà senza di noi. Lo stesso vale per l'argomento che stiamo trattando. La civiltà occidentale è spuntata e cresciuta per grazia, prima e sopra tutto, di un rivoluzionario, quel Cristo morto in croce, che ci ha insegnato il concetto dell'amore e della giustizia e anche alla Chiesa che ha dato un gran contributo alla Storia del Pensiero. Neanche un'atea come me può negarlo, scrive la vostra pungente scrittrice Oriana Fallaci. Però se quella grazia di Dio viene soffocata dall'egoismo dell'uomo, questa bella e mirabile civiltà dovrà cedere il posto ad altri.
         Vi accenno ancora solo una delle conseguenze dell'egoismo che riguarda il nostro paradisiaco Bacino mediterraneo. Nell'anno 1950 nel Mediterraneo i paesi occidentali o quelli dell'UE, i cui rappresentanti oggi si vergognano della sola idea di quel Dio che ha loro insegnato il concetto ... della giustizia, avevano 124,6 milioni di abitanti, gli altri erano 49 milioni. Nell'anno 2000 la relazione è stata: i paesi dell'EU 167,7 milioni e quelli di cui l'Europa ha tanta paura 167,5 milioni. Coloro che si intendono di demografia prevedono nell'anno 2050 156,2 Europei e 297,6 Arabi. Per essere sincero, io penso che il numero degli Europei sarà ancora inferiore, se la mentalità rimane la stessa di oggi.

1.4. Intolleranza e diffidenza

Un amico tedesco con indignazione mi ha chiesto come sono stati possibili gli orrori e le brutalità perpetrati durante la guerra nel mio Paese. Cercando di aiutarmi a trovare la risposta, aggiungeva che si tratta dei popoli balcanici, vale a dire selvaggi e disposti a tutto. Io gli ho dato retta sottolineando, però, la mia profonda convinzione che il suo popolo, a cui non si può negare né la cultura né l'amore per la democrazia, si sarebbe comportato in maniera ancora più crudele, se, dopo secoli di ingiustizie a cui sono stati esposti i popoli dei Balcani, avesse dovuto ingoiare le stesse lavine della menzogna. Ma anche senza tutto questo. Basta sentire certi giudizi dei Tedeschi della Germania occidentale su quelli della Germania orientale, e viceversa. Per non parlare degli orrori visti nei nostri giorni in Cecenia, in Palestina, in Ruanda. Troppi esempi ci indicano a che cosa l'uomo è disposto se lo si riduce a strumento, ingannandolo e convincendolo che l'altro, il diverso che voi chiamate extracomunitario, è la sua minaccia.
         Oggi vengono elaborate pericolose dottrine le quali sostengono che tutti i mezzi e i metodi sono leciti per combattere coloro che sono o che possono essere la minaccia per gli interessi e la sicurezza dei "grandi". Nel quadro di questa logica, tutti possono essere visti come minaccia. I ricchi perché possiedono ciò che noi potremmo possedere. I poveri perché potrebbero pretendere ciò che è in nostro legittimo possesso. Anche coloro che vivono secondo una propria filosofia di vita, perché impediscono i processi globali che noi proponiamo per il bene dell'intera umanità. Questa mentalità viene diffusa sempre di più e l'intolleranza cresce, riducendo la capacità e la disponibilità a ragionare in maniera retta e giusta.

2. "Guerra giusta"

Per giustificare le proprie azioni disumane ci si serve di tutto. Ma soprattutto di un termine che forse una volta poteva essere adoperato: la cosiddetta guerra giusta. Ci sono stati dei momenti e delle condizioni nella mia vita in cui sono stato tentato di credere che una guerra può anche essere giusta. Quando un popolo non ha altri modi per liberarsi da una tirannìa. Mi sembrava che nessun tipo di libertà venisse regalata. Essa ha sempre, e per tutti, il suo prezzo. Ed è davvero così. Però, rimane la domanda di fondo: in che modo umano si può e si deve pagare il prezzo? La guerra in BeE è durata troppo a lungo per non dare a ciascuno la possibilità di ragionare profondamente su che cosa fosse servita davvero. Questi ragionamenti mi hanno costretto a concludere che le guerre oggi non possono essere giuste e che, per dirla con quel soldato tedesco morto a Stalingrado, non possono essere giustificate al Cospetto di Dio. Perché?

2.1. Uccide innocenti

La guerra oggi non è possibile senza la morte di un numero imprevedibile di innocenti. Le vittime delle guerre di oggi sono coloro che non possono o non sanno proteggersi, vale a dire i poveri e la gente comune. Essi non sono le vittime dei regimi contro cui si fanno le guerre, ma sono le vittime dei liberatori. Sembra assurdo, ma è letteralmente così. Le armi con cui si fanno le guerre non sono affatto sotto il controllo di coloro che le usano. Sono sotto il controllo solo prima di essere usate. Le bombe di oggi, una volta lanciate, producono effetti che coloro che le lanciano non possono controllare. Con le armi di oggi si distrugge tutto e tutti. Anche coloro a causa dei quali si dice di farle. Proprio per questo il Concilio le ha condannate senza riserva, dicendo: Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato. (GS, 80)
         Ma c'è di peggio! Ecco solo un esempio. Noi a Sarajevo abbiamo gioito e salutato le bombe con cui la NATO ci ha liberato dalle truppe serbe, che hanno tenuto Sarajevo mille giorni assediata provocando sessantatre mila morti. Solo anni dopo abbiamo appreso che quelle bombe ci hanno tolto l'unica cosa che potevamo offrire in eredità alle generazioni future, cioè il suolo sano, che neppure i comunisti erano riusciti a contaminare. Adesso dobbiamo fare i conti con le conseguenze delle radiazioni per mille anni! Mangeremo il pane e le patate, berremo l'acqua che invece di darci la forza, ci toglieranno la vita. Sapevano i soldati che cosa stavano facendo? Spero di no. Però, i loro capi, sì che lo sapevano o lo dovevano sapere. E' lo stesso. Ma loro non possono avere né le colpe né le responsabilità! A loro spettano solo i meriti.

2.2. Vincitori ingiusti

Le cose giuste possono essere realizzate solo da uomini giusti! Per fare una guerra giusta, bisognerebbe avere i soldati cavalieri. Non quelli che nella guerra si servono dei cavalli, ma quelli che dimenticano che gli avversari sono gli uomini con la propria dignità. Però, purtroppo i soldati di oggi non lo sono. Se qualcuno esiste, non viene considerato un buon soldato. I buoni sono solo quelli che hanno vinto. Ecco perchè nella guerra tutto deve essere permesso. Chi vince non ha colpa, perché i vincitori decidono chi deve essere processato. Questo lo dimostrano tutte le guerre. I Paesi che si ritengono dei modelli di democrazia (USA) si servono delle minacce per avere la garanzia che i propri soldati non saranno processati per eventuali crimini commessi in guerra. Questo atteggiamento, in un certo modo, invita e stimola i soldati a non osservare le convenzioni sulla guerra, che invece li obbligano.
         Accanto alla mancanza di cavalieri, nella guerra c'è anche il fatto della mancanza dei vincitori giusti. E' scoraggiante dover riconoscere che, dopo aver vinto, i vincitori impongono ai vinti condizioni simili a quelle che hanno provocato la guerra. Se i dominatori ci saranno sempre, che senso ha sacrificare vite umane per fare andare gli uni e venire gli altri? Non è una vera follia sacrificare duecento mila vite umane in BeE per mandare il signor Milosevic e tanti suoi compagni dalla signora Del Ponte all'Aja, se al suo posto è venuto a Sarajevo un ambasciatore straniero che ai nostri politici dice in faccia: Qui si farà come dico io?

2.3. La guerra non risolve ma aggrava iproblemi

Le conseguenze negative delle guerre non possono giustificare eventuali effetti positivi, che comunque risultano essere molto dubbiosi. Se si potessero misurare i danni spirituali che una guerra accumula nei cuori umani, penso che tutti gli altri effetti perderebbero di significato. Non si tratta solo delle terribili sofferenze della generazione che ha fatto o subìto la guerra. Le loro angosce vengono tramandate alle generazioni successive per secoli. Sicuramente non meno delle radiazioni dell'uranio impoverito. In questi giorni in una cittadina della Bosnia orientale un giovane padre di famiglia ha strangolato la moglie e due suoi bambini, di quattro e otto anni, e poi si è suicidato. Molti si chiedono i motivi di questo atto orribile. Nessuno osa costatare che anche lui e la sua famiglia sono vittime della guerra in cui era soldato. Chi sa cosa ha visto o fatto, e che in seguito non lo ha più lasciato in pace. Mi ricordo di aver scritto durante la guerra, che sarà impossibile che le mani di coloro che uccidono le mogli e i bambini degli altri potranno poi un giorno accarezzare i propri. Dopo aver fatto certe cose, l'uomo non è più uomo. Colui che comete i crimini contro la vita non può aver più fiducia alla vita. Senza la fiducia non è possibile vivere. Ma in genere, la gente che ha fatto o subìto la guerra, così come viene fatta oggi, non può rimanere più la stessa. A causa di questo anche i problemi che la guerra, come si dice, risolve, non sono mai risolti. La libertà acquistata per mezzo della guerra, non ci fa liberi perché ci toglie la capacità di goderla. La guerra non toglie solo la vita, ma molto di più: il senso della vita. E questa morte, non di rado, è la più difficile da accettare. Questo non l'ho imparato dai libri, ma dalla realtà amara e dai sentimenti personalmente provati.
         Le conseguenze materiali di una guerra sono ancora più evidenti e convincenti. La gente nel mio Paese rimpiange il tempo del comunismo perché oggi non ha lavoro. Più del 40% sono disoccupati. Circa 50% di coloro che lavorano non hanno ricevuto il salario da mesi e anni. I1 56% di tutta la popolazione non ha il necessario per la vita. I1 33% delle famiglie vive con meno di 150 Euro al mese. La democrazia nominale per la quale hanno fatto o subìto la guerra si è trasformata in una delusione totale. Secondo le previsioni ottimistiche il Paese avrà bisogno di 25 anni per raggiungere la qualità della vita che aveva nel periodo comunista. A1 posto della soluzione giusta è venuta la pace ingiusta, imposta a misura dell'interesse di coloro che non permettono nemmeno le discussioni! Con tutto questo non posso e non voglio sostenere che l'uomo o un popolo oppresso abbia il diritto di rinunciare alla propria libertà. Però, pare sempre più ovvio che le rivoluzioni non violente sono non soltanto meno dolorose, ma anche più sicure ed effıcaci per acquistare la vera libertà.

Conclusione

Ci sarebbero ancora mille argomenti per dimostrare l'assurdità della guerra e altrettanti per provare come la non violenza sia l'unica strada degna dell'uomo. La guerra non garantisce mai la maturazione dell'uomo per il Regno di Dio, perché con le guerre è come con tutti gli altri mali: una genera le altre. Rinunciando alla guerra con ogni uomo e con ogni generazione cresce la possibilità di edificare un mondo caratterizzato dall'ordine anziché dal disordine, dal dialogo anziché dalla forza, per dirla con il Papa Giovanni Paolo II. Per noi cristiani la dottrina, ma soprattutto l'esempio di Cristo, va oltre tutte le nostre argomentazioni più o meno ben formulate. Egli, che aveva a disposizione le schiere degli angeli, non ha rinunciato ad essere la vittima. E così è diventato l'unico vero Vincitore. A causa di Lui la violenza e le guerre, essendo contro la natura umana, non hanno più nessuna prospettiva. Egli ci chiama alla libertà e alla cooperazione per il bene di tutti (Messaggio del Papa) perché ha bisogno della nostra cooperazione per farci in dono la vera pace. Ha bisogno del cuore umano perché solo lì si svolge l'incontro tra Dio, donatore della pace, e l'uomo che la riceve. Nel cuore umano viene instaurato il vero ordine morale e mondiale. Non c'è nessuno che, tramite la preghiera e il pensar bene degli altri, non potrebbe diventare operatore di pace. Così ognuno di noi è in grado di diventare partecipe del grande sogno del grande Papa Giovanni XXIII nel ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell'amore, nella libertà (Pacem in terris, V). Qui si apre la vera via al futuro migliore, al futuro dove ognuno potrà avere la fiducia alla vita perché Dio è il garante del futuro e della vita.

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A Giovanni Paolo II
Papa della Chiesa cattolica romana
 
                                                                                                  Roma, 5 marzo 2003
 
     In questi giorni carichi di preoccupazione per le sorti della pace nel mondo non possiamo non salutare con grande speranza e con sincera solidarietà tutte le iniziative, singole e di popolo, di gente umile e di personalità politiche e religiose, in favore della pace e contro la guerra.
     Qualcuno, con un pizzico di fantasia, ha chiamato noi "preti contro" perché, pur in situazioni personali e storie ecclesiali fra loro differenti, ci siamo trovati spesso a dover fermamente dissentire da indicazioni disciplinari, prospettive teologiche, norme pastorali della gerarchia della nostra Chiesa cattolica romana.
     Non vogliamo, in questa sede, ripercorrere queste problematiche, ma solo ribadire che, forse, sarebbe giunto il momento che Lei stesso aprisse un dialogo - franco, reale ed onesto - sulle questioni che ci hanno diviso e specialmente su quelle che riguardano l'opposizione alla guerra e la umile partecipazione comune ai movimenti pacifisti dal basso che papa Giovanni ha chiamato "segni dei tempi". E' ora che risuoni la parola della pace - e dunque di una comunione non formale, ma aperta alle differenze e sostanziata di reale dibattito - anche nei rapporti interni alla nostra Chiesa e nel rispetto, nella sua organizzazione, di quei diritti umani e di quella fraternità e sororità che si proclamano come ideale al mondo intero.
     Del resto, "preti contro", ci pare una etichetta un poco riduttiva. Infatti - consci naturalmente dei nostri limiti - noi non siamo mai stati e non siamo "contro la Chiesa", che amiamo, ma "contro" molte delle sue strutture oppressive e lesive della libertà battesimale dei figli e delle figlie di Dio. E siamo "contro" per essere "per": per una fede adulta; per una Chiesa in cui norma, e non eccezione, sia il dibattito, il confronto, il dialogo e la pluralità di voci pur unanimi nella fede nel Signore Gesù. E siamo preti "con" perché compagni di strada dell'umanità, perché vogliamo condividerne il cammino.
     E' dunque con soddisfazione e speranza che noi abbiamo visto e vediamo risuonare la Sua voce a favore della pace e contro questa guerra, quella ipotizzata contro l'Iraq.
     Il proposito di stroncare il terrorismo - una piaga che anche noi naturalmente riteniamo pestifera - non può giustificare la "guerra preventiva". Al contrario, essa lo moltiplicherebbe perché le ingiustizie e le brutalità insite nella "guerra preventiva" sarebbero come sementi da cui nasceranno continuamente terroristi che vorranno vendicare l'affronto e l'ingiustizia patita da loro stessi, o dai loro padri.
     Per quanto riguarda l'Iraq, sappiamo bene che in questo paese non vi è democrazia: l'opposizione è ridotta al silenzio, il dissenso punito con la morte, i curdi privati dei loro sacrosanti diritti. Ma il problema non è se in Iraq vi sia, o no, democrazia; ma se la "guerra preventiva" - che colpirebbe migliaia di innocenti - sia la medicina giusta per estirpare la dittatura da quel paese. E noi rispondiamo di no. Del resto, molte sono le dittature nel mondo e nessuno ha ancora capito perché gli Stati Uniti d'America abbiano deciso di estirpare alcune di queste, mentre la stessa Superpotenza ne tollera e blandisce altre, ritenute strategicamente comode. 
     Per il mercoledì delle Ceneri, Lei ha invitato i cattolici a una giornata di preghiera e di digiuno per ottenere da Dio il dono della pace. Anche noi ci uniamo, convinti, a questo coro di umile speranza e di preghiera responsabile; e invitiamo le nostre comunità a fare altrettanto. Non solo contro questa guerra e non solo contro il principio della guerra preventiva, che riteniamo sia da condannare risolutamente e apertamente, ma contro la cultura stessa della guerra, per un disarmo globale, per l'affermazione della pace come cultura planetaria e come sistema. Ci uniamo al digiuno come ci siamo uniti e ci uniamo alle manifestazioni, ai cortei, alle campagne indette dal movimento mondiale contro la guerra. La nostra fiducia sta tutta nella forza dello Spirito che sospinge questo movimento quale luogo teologico, segno dei tempi che richiede il rinnovarsi della incarnazione. Non sarebbe opportuno uno slancio profetico della stessa gerarchia ecclesiastica che riprendesse la linea teologica della "Pacem in terris" di papa Giovanni per valorizzare i nuovi segni dei tempi?
     "Beati gli operatori di pace": queste parole di Gesù (Matteo, 5, 9), noi crediamo, saranno per Lei di consolazione in un momento in cui forse anche molti cattolici frenano il Suo impegno per la pace. Del resto, molti e molte nel mondo, cattolici e no, guardano con simpatia e solidarietà a questo Suo impegno. A costoro anche noi uniamo la nostra piccola voce.

Giovanni Franzoni (ex abate di San Paolo, Roma)
Don Vitaliano Della Sala (parroco rimosso di Sant'Angelo a Scala, Avellino)
Don Franco Barbero (animatore delle comunità di base del Piemonte)
Don Andrea Gallo (viceparroco di San Benedetto al Porto a Genova)   
Don Alessandro Santoro (prete della comunità di Le Piagge, Firenze)
Enzo Mazzi e Sergio Gomiti (comunità dell'Isolotto di Firenze)
Raffaele Garofalo (prete della diocesi di Sulmona)

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Bepi De Marzi
Arzignano
pubblicata venerdì 28 febbraio su "La Voce dei Berici"
settimanale della Diocesi di Vicenza
Egregio Direttore,
un parroco del mio paese, Arzignano, ha posto la bandiera della pace proprio nel giro dell'abside, accanto alla sede, in presbiterio. La gente della parrocchia ha applaudito a questo gesto d'amore e di coraggio. Dalle finestre di moltissime canoniche sventola la stessa bandiera e non è raro vederla anche sui portali delle nostre chiese.
Bellissima, la prima pagina del nostro settimanale con i balconi fioriti d'arcobaleno, come la stupenda copertina di Famiglia Cristiana.
Tutto ciò mentre nella prima pagina di "Verona fedele", il direttore esprime il suo confuso dissenso nei confronti delle bandiere e dei movimenti pacifisti.
Avrà ricevuto ordini da Berlusconi, dato che tra Mediaset e Nuova Rai, il direttore veronese è sempre davanti alle telecamere a dissertare di tutto con tutti, dimenticando volentieri di essere un sacerdote cattolico.
La "minaccia destabilizzante e antigovernativa" che il Governo cerca di far vedere nelle bandiere pacifiste che avvolgono l'Italia, esprime pienamente l'ipocrisia che in questi mesi sta inserendosi in tutte le istituzioni italiane sottomesse al potere dell'arrogante "piccolo imperatore" di Arcore.
Ma sfugge a molti un fatto che invece è angosciante, minaccioso. Nessuno può negare che la bandiera della Lega sia stata inventata per esprimere il distacco dell'Italia Settentrionale dal resto della Nazione. Perciò è un simbolo anti italiano. E questa bandiera con la ruota, verde in campo bianco o bianca in campo verde, è diventata un fatto maniacale per i leghisti ora al potere. Bossi è perennemente in cravatta verde e i suoi devoti girano addobbati in vari modi, compresi i ministri e i sottosegretari che hanno giurato sulla Costituzione italiana per dire subito che, mentre giuravano davanti a Ciampi, pensavano di giurare per la repubblica padana.
E se prima poteva essere comico, quasi carnevalesco, vedere le donne con le sciarpette verdi o addirittura in grotteschi completini dello stesso colore, e gli uomini in camicia verde con il fazzolettino delle ruotine pendere costantemente dal taschino della giacca, ora che questi separatisti si stanno impossessando di tutto ciò che sta intorno a noi, il fatto diventa angoscioso, drammatico per il nostro futuro di uomini liberi. Ci sono perfino i Cattolici Padani, nella capillare organizzazione leghista che è riuscita a intaccare anche l'integrità morale degli alpini in congedo con l'organizzazione delle Penne Verdi: uomini anziani che con il cappello alpino marciano nelle adunate della Lega inalberando il cartello "Dime can ma no talian". E basti per tutte la strampalata figura del sindaco di Treviso che ora si vorrebbe additare come esempio per il prossimo primo cittadino di Vicenza.
E chi si erge a difendere, non si sa da chi, il cattolicesimo padano? Borghezio, quell'essere spregevole che va a disinfettare i sedili dei treni dove siedono i lavoratori stranieri, che lui chiama bestie.
Perciò, l'attacco governativo alla bandiera della pace, ora che dallo stesso Governo sta arrivando la devolution (termine celtopadano...), è una furbesca deviazione dal reale pericolo per Italia, pericolo da materializzare nel simbolo della bandiera con la ruota, bandiera minacciosa, che ci ricorda purtroppo altri vergognosi simboli dell'intolleranza e del razzismo.

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Comunicato Stampa

ORIGINE DELLA BANDIERA DELLA PACE

In tanti ci chiedono il significato della bandiera della pace: cittadini, insegnanti, parroci.
Riteniamo opportuno, viste anche le polemiche e le strumentalizzazioni di questi giorni a Rimini e in Italia, diffondere il significato originale di questo simbolo. Don Tonino Bello amava definire la pace come la "convivialità delle differenze, mettere tutto in comunione sul tavolo della stessa umanità". "La pace è mangiare il proprio pane a tavola insieme come i fratelli". Era solito associare le differenze del genere umano (colore, razza, religione) ai colori dell'arcobaleno della bandiera della pace.
Il primo ad utilizzare i colori dell'arcobaleno (che hanno la caratteristica fisica di restituire la luce bianca se fatti roteare velocemente) come simbolo di fratellanza tra i popoli è stato il filosofo e pacifista Bertrand Russel, animatore del "Comitato dei 100" che riuniva personalità della cultura mobilitate negli anni `50 contro la minaccia nucleare. I colori dell'iride furono simbolo di pace e di speranza dopo la tempesta della seconda guerra mondiale.
La prima presenza documentata in Italia della bandiera con i colori dell'arcobaleno risale alla "Marcia perla pace e la fratellanza fra i popoli" che si tenne da Perugia ad Assisi il 24 settembre del 1961, organizzata da Aldo Capitini, il filosofo fondatore del Movimento Nonviolento (di quella Marcia esiste anche un bel filmato d'epoca, con commento di Gianni Rodari) Capitini importò quella bandiera dall'Inghilterra dove l'aveva utilizzata, come simbolo di pace, il filosofo Bertrand Russel.
Nel racconto del diluvio universale. Dio pone l'arcobaleno come sigillo della sua alleanza con gli uomini e con la natura, promettendo che non ci sarà mai più un altro diluvio universale. L'arcobaleno diventa così il simbolo della pace tra terra e cielo e, per estensione, tra tutti gli uomini. Crediamo sia con questo spirito che vadano interpretate le migliaia di bandiere che in tutta Italia colorano le nostre città e manifestano la comune voglia di pace.

Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
Servizio Obiezione e Pace
Via della Grotta Rossa, 6 - Rimini
Tel. 0541-753619
e-mail: odcpace@apg23.org

Per ulteriori approfondimenti:
Movimento Nonviolento
via Spagna 8 - 37123 Verona (tel. 045-8009803)
www.nonviolenti.org
e-mail: azionenonviolenta@sis.it

 

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Comunicato stampa

Pax Christi: le Chiese invitino all’obiezione di coscienza

10 marzo 2003 – 11,05

“Speriamo di non dover mai pervenire a quel momento che vedrebbe la coscienza e la fede contrapporsi alle decisioni dei propri governanti.” È il passo saliente che si ritrova nel documento diffuso questa mattina dalla sezione italiana di Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace. E’ un chiaro invito all’obiezione di coscienza. Ancora di più: nel documento si chiede che l’invito venga rivolto dalle Chiese (nel senso dei suoi rappresentanti) e che lo destinino ai  militari e ai lavoratori che possono essere implicati in ruolo di supporto alle operazioni militari.
Tutto il documento è improntato alla speranza che si possa evitare il conflitto armato anche grazie alla diffusione che l’opposizione alla guerra sta conoscendo. “Nel digiuno e nella preghiera abbiamo ringraziato Dio di aver posto parole e gesti di profezia e di parresia (franchezza) nel cuore stesso della Chiesa, – prosegue il documento - sulle labbra del Pontefice (costruttore di ponti) e di tante donne e uomini che nel mondo si professano credenti. Anche l’incessante azione diplomatica della Santa Sede ci appare oggi come un segno grandioso di resistenza al male della guerra e di annuncio del Vangelo della pace”.

Di seguito il testo integrale.

Contatti: Tonio Dell’Olio 055-2020375

Non siamo né rassegnati, né pessimisti rispetto alla soluzione della crisi irachena e vogliamo gridarlo con la fierezza che nasce in noi dalla forza della speranza.
Troppo sbrigativamente i signori della guerra avevano pensato che la macchina del consenso e della propaganda avrebbe dato risultati certi e che non ci sarebbe stato spazio alcuno per le utopie dei costruttori di pace.
Quando lo scorso mese di agosto proponevamo l’Appello “Fermiamo la macchia della guerra” in cui chiedevamo ai vescovi italiani di unirsi alla nostra richiesta di pace rivolta al Governo e al Parlamento del nostro Paese, forse nemmeno noi contavamo su una tale diffusione della sensibilità a favore della pace.
Le tante prese di posizione di vescovi e di comunità cristiane, così come le bandiere dai balconi e le manifestazioni del 15 febbraio scorso, ci indicano con evidenza che la speranza della pace ha superato persino le nostre utopie, che il desiderio di pace ha contagiato di più del virus della guerra e che l’arcobaleno avvolge di colori milioni di persone. Questo conduce molti uomini delle istituzioni ad affermare che: “Non si può fare la guerra in queste condizioni!”. Siamo convinti che questo fremito di speranza che ora preoccupa l’amministrazione americana e quanti ne sostengono la volontà di dominio, domani potrà essere consapevolmente condiviso da questi come da coloro che tramano per seminare terrore e morte. La brezza della pace e non la tempesta della guerra piegherà la tirannia in tutte le sue espressioni di violenza. Nel digiuno e nella preghiera abbiamo ringraziato Dio di aver posto parole e gesti di profezia e di parresia (franchezza) nel cuore stesso della Chiesa, sulle labbra del Pontefice (costruttore di ponti) e di tante donne e uomini che nel mondo si professano credenti. Anche l’incessante azione diplomatica della Santa Sede ci appare oggi come un segno grandioso di resistenza al male della guerra e di annuncio del Vangelo della pace.
Se mai i passi della comunità internazionale dovessero raggiungere l’orlo del precipizio, chiediamo sin da ora che le Chiese non esitino ad invitare ad una corale obiezione di coscienza. A ogni donna e uomo di buona volontà venga autorevolmente rivolto l’appello a non offrire sostegno e collaborazione alla guerra con le armi o con il proprio lavoro. Guardiamo a questa scelta come all’estrema forma di resistenza di fronte alla guerra che è stata opportunamente definita “crimine organizzato”. Speriamo di non dover mai pervenire a quel momento che vedrebbe la coscienza e la fede contrapporsi alle decisioni dei propri governanti.
A quanti in questi mesi hanno organizzato e partecipato a forme di manifestazione e di protesta contro la violenza del terrorismo e della guerra, vogliamo far giungere il nostro incoraggiamento a continuare ad osare la pace. Conosciamo il prezzo della responsabilità personale che bisogna essere disposti a pagare, sappiamo quale sapore amaro hanno l’incomprensione, la strumentalizzazione e la derisione… ma a tutti chiediamo di continuare a far lievitare la speranza con questi gesti.
Sempre vi siano parole e segni capaci di dire NO alla guerra senza SE e senza MA con gli ideali e gli strumenti di una nonviolenza senza SE e senza MA.

Pax Christi Italia

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P. Aquilino Bocos Merino, C.M.F. - Superiore Generale
Le insistenti notizie su una possibile guerra contro l'Iraq, in cui sarebbero coinvolti molti paesi, generano insicurezza e paura. Si allargano i palcoscenici di morte. Sono troppe le vittime in guerre conosciute o silenziate. Basta aprire gli occhi davanti alla carta geografica del mondo  per vedere quanti siano i paesi che oggi subiscono gli orrori della guerra: morte di innocenti, feriti, famiglie distrutte, spiazzati, senza tetto, malati, fame ... Orbene, in un confronto armato con l'Iraq, gli effetti negativi aumenterebbero smisuratamente. La cultura della violenza e i conflitti bellici non sorgono soltanto per
interessi economici, ma questi prevalgono spesso sulla vita e la dignità delle persone.
In tutto il mondo si sono moltiplicate le dichiarazioni e sono state straripanti le mobilitazioni a favore della pace e, concretamente, contro questa guerra che può e deve essere evitata. Giovanni Paolo II dà esempio di fermezza e di costanza nella sua missione pacificatrice.
Eppure, continuano a risuonare i lamenti del salmista: "Io sono un uomo di pace; ma appena ne parlo, quelli vogliono la guerra" (Sal 119,7) e del profeta Geremia: "Essi curano le piaghe del mio popolo come se si trattasse di un semplice graffio. Dicono: 'Va tutto bene!', e invece non va bene niente" (Ger 6,14).
Siamo convinti che non basta dire : "No alla guerra". Bisogna andare oltre quel che implica la negoziazione e la tregua, il disarmo reale e la distruzione di armi. Dobbiamo continuare a implorare e a lavorare per la pace, che è dono ed è compito. La riceviamo come regalo e la costruiamo con sforzo. Promuoviamo la preghiera con Maria per quella pace che il mondo non può dare. Coltiviamo e diffondiamo la spiritualità della pace ed educhiamo nella pace.
Il Segretariato di Giustizia e Pace ci ha sensibilizzati su questo punto. Molti Membri della Famiglia Clarettiana si sono impegnati in azioni a favore della pace. Noi non possiamo contentarci con l'essere pacifici. Dobbiamo essere artefici creativi della pace. Costruire la pace si trova nel nocciolo stesso della nostra missione profetica.
Aggregandoci al coro di coloro che gridano per la pace, lo facciamo da cristiani, da missionari, che cerchiamo di rendere effettiva la fraternità universale dei figli di Dio. Pochi scoprono nella persona di Gesù il dono della pace e il percorso per mantenerla. A poco servono i disarmi se non c'è la riconoscenza dell'eredità lasciata da Gesù andando
dal Padre: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace" (Gv 14,27). Cosa ha fatto Gesù nella sua vita se non realizzare il Regno, instaurare l'adeguata relazione dell'uomo con Dio e con il prossimo? In Gesù "giustizia e pace si abbracceranno" (Sal 84,11).
Il  percorso della pace, della concordia e della solidarietà è lungo e difficile. Implica conversione, apertura ai valori diversi, dialogo, condiscendenza e compassione, che non possono prosperare finché si promuovono gli egoismi, i pregiudizi, l'odio, i risentimenti e il fanatismo politico e religioso.
"Finché ci sarà la povertà, i ricchi non avranno pace". È quel che asseriva il presidente della Banca Mondiale, James Wolfensohn, analizzando l'accaduto l'undici settembre. E vi aggiungeva: "Se non porgiamo una mano alla gente che vive nella povertà e non creiamo una migliore distribuzione della ricchezza, non ci sarà pace". È un ammonimento serio per quanti la cercano.
Roma 19 febbraio 2003.

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RITORNO DELLE TRIBÙ, FETICISMO DELLE ETNIE: NON CURIOSITÀ FOLKLORISTICHE MA MINACCE PER IL FUTURO
Piccoli passi verso la barbarie
di Enzo Bianchi
(Priore della Comunità Monastica di Bose)
da 'La Stampa' - 28/2/2003 - Sezione: Cultura Pag. 23 - www.lastampa.it

ORMAI non passa giorno senza che qualcuno evochi, invochi o rigetti l'idea di uno «scontro di civiltà» imminente o già in atto. E tutta l'attenzione sembra rivolta al primo termine, lo «scontro», contrapposto a un più auspicabile incontro o dialogo o confronto. Mi pare ci si interroghi molto meno sul secondo aspetto, la «civiltà», quasi si trattasse di una conquista assodata e irreversibile e non fossero, invece, presenti nelle nostre società preoccupanti segni di regressione della civiltà verso la «barbarie». In Francia, negli ultimi anni sono apparsi diversi libri su questo argomento e si è avviato un fecondo dibattito: il saggio di Michel Henry (La barbarie, PUF 1987) ha suscitato una vasta e duratura eco che ha condotto altri a riprendere con forza la tematica sotto diverse angolature (cfr. Jean-François Mattéi, La barbarie intérieure. Essai sur l'immonde moderne, PUF 1999), arricchendo così le proprie e le altrui riflessioni: non a caso Henry ha voluto rivedere il suo testo e aggiungervi una densa prefazione nel 2001, e altrettanto ha fatto Mattéi nello stesso anno. Più recentemente ancora Guy Coq, intervistato da Isabelle Richebé, ha acutamente analizzato il diffondersi di una serie di comportamenti quotidiani che rappresentano «piccoli passi verso la barbarie» (Petits pas vers la barbarie..., Presses de la Renaissance 2002). Sì, mi pare evidente, ed è per me fonte di sofferenza prima che motivo di denuncia, che la nostra società sta facendo passi decisi verso la barbarie e che regressione e involuzione sono presenti in tutti i cammini che abbiamo cercato di percorrere dal dopoguerra in poi: c'è indifferenza verso i valori della democrazia, fuga riguardo all'impegno nella polis, disinteresse per qualsiasi orizzonte comunitario, addirittura volgarità nel confronto sociale. Sembra che in certi ambienti, soprattutto politici, si sia arrestato ogni cammino di umanizzazione: come è possibile che questo sia avvenuto? Com'è possibile il sistematico insulto, l'ostentato disprezzo verso l'altro, lo straniero, l'immigrato presente in mezzo a noi? Com'è possibile la continua demonizzazione del diverso, come se fosse l'incarnazione del male? Com'è possibile la violenta aggressività che ogni giorno ci viene presentata dagli schermi televisivi e che finisce per contagiare persino i rapporti familiari?
Nella premessa alla nuova edizione del suo saggio, Henry coglie la novità dell'imbarbarimento contemporaneo, rispetto ad altre epoche «oscure» della storia, nell'emergere di «una tecnica finora sconosciuta», che pare agire spinta solo da «una sorta di voto satanico: tutto ciò che può essere fatto nell'universo cieco delle cose, deve essere fatto, senza nessun´altra considerazione - tranne, forse, quella del profitto», rendendo così «il nostro mondo inumano nel suo stesso principio» (p. 4). Un'osservazione amara che vede nell'«ipersviluppo di un ipersapere... la rottura completa con le conoscenze tradizionali dell'umanità» e con quell'equilibrio in cui «il sapere produceva il bene, il quale produceva il bello, mentre il sacro illuminava ogni cosa» (p. 10).
Per Mattéi, l'uomo contemporaneo si è separato dalla trascendenza del senso e ha così generato le forme più aberranti di frammentazione psicologica e sociale. La barbarie che avanza - come il deserto di Nietzsche - segna il fallimento dell'universale nell'im-mondo moderno ed è riconoscibile da quattro elementi: «il misconoscimento della bellezza di un'opera, cioè l'ignoranza; il diniego di ciò che è elevato, cioè la pretesa; l'incapacità di compiere un gesto creatore, cioè l'impotenza; la volontà confusa di distruzione, cioè la regressione» (pp. 6-7). Queste analisi, oltre che cupe perché prive di sbocchi, non sono schermaglie di idee al di sopra delle nostre teste e del nostro vissuto quotidiano, ma la lettura di realtà che viviamo giorno dopo giorno e del modo in cui le affrontiamo, e sono esse che determinano la vitalità o meno della nostra cultura e della nostra convivenza sociale. Barbarie, infatti, è ciò che non è ancora o non è più «coltivato», ciò che rimane o ritorna allo stadio della pura emotività, dell'istinto animale, ciò che degenera e inselvatichisce per mancanza di criteri e di valori che permettano di discernere cosa è bello e buono per il singolo individuo e per l'umanità intera. Si può essere membri di una società senza coltivare un certo senso dell'appartenenza, senza cercare anche un'identità collettiva? Solo con una memoria comune e un'appartenenza plurale ma condivisa si può edificare un avvenire comune. Invece sembriamo incapaci di una politica di una memoria, giusta, elaborata nel confronto: l'esempio della barbarie manifestatasi nel disfacimento della Jugoslavia dovrebbe farci capire che memoria non è fissazione sui torti subiti nel passato né deformazione degli eventi, ma rielaborazione condivisa delle ferite inferte o ricevute. È invece la caricatura della memoria, la ghettizzazione della storia che forniscono gli alibi alla barbarie: assistiamo così al ritorno delle tribù, ai miti del sangue e della razza, alla tirannia di gruppi chiusi su se stessi che si autodefiniscono contro l'unità della società e della nazione. Xenofobie tribali e feticismo delle etnie non sono allora amene curiosità folkloristiche, bensì una minaccia per il futuro dell'Europa e una premessa ideologica alle pulizie etniche. Anche per questo diventano importanti quei «piccoli passi» su cui concentra la sua attenzione Guy Coq: gesti apparentemente insignificanti, compiuti senza pensarci troppo o, magari, convinti che «non sono poi così gravi», ma che di fatto avvelenano la nostra convivenza civile, svuotano la democrazia, sviliscono la politica, favoriscono la violenza privata e istituzionale, minano il concetto stesso di giustizia, deformano la libertà. Gli ambiti di questa lotta tra barbarie e civiltà vanno dal personale al collettivo, dal locale all'universale e investono i rapporti familiari come il sistema scolastico, l'erosione della democrazia come la bioetica, i diritti dell'uomo e la pace, la risposta al terrorismo e la ricerca di una speranza non utopica. Ed è chiaro che in società culturalmente indebolite e sempre più individualiste si hanno meno anticorpi contro il ritorno del «capo», dell'«Unto», dell'«uomo della Provvidenza»: scomparse le mediazioni sociali, il fascino mediatico esercita un dolce dispotismo che favorisce il bisogno e il culto del Capo. Eliminato il faticoso progetto politico comune, nell'immaginario rimane spazio solo per il dolce tiranno.
Analisi insieme lucide e amare, che si devono però tradurre in un vibrante appello alla vigilanza, al non rassegnarsi alla parcellizzazione dell'individuo, al lavorare con rinnovato vigore alla custodia dei rapporti interpersonali e sociali. Coq ci mette in guardia contro «il rischio di credere che sono gli altri e non noi a poter cadere nella barbarie» e demistifica la credenza in una società perfetta, rifiutando così ogni utopia, ma invitando nel contempo a resistere contro la barbarie: questa resistenza - possibile, necessaria e doverosa - potrà allora «animare una nuova cultura dell'impegno». Occorre la vigilanza di uomini e donne che non rinunciano a pensare, occorre l'impegno di «sentinelle» - come Giovanni Paolo II ha voluto chiamare i cristiani in quest'ora difficile: sentinelle del dialogo, del confronto, dei diritti, della pace. Sì, perché la barbarie non è una fatalità.

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IRAQ 14/3/2003 14:20
BAGHDAD: VESCOVO WARDUNI, "ANGOSCIA E SPERANZA NEL CUORE"
Church/Religious Affairs, Brief

"Il futuro è molto oscuro. Le famiglie sono disperate, accantonano come possono generi alimentari e combustibile. Nelle case non si parla d'altro che della guerra in arrivo. I bambini si chiedono: perché noi non possiamo crescere come i nostri coetanei nel mondo? Che colpa abbiamo di questa guerra? Cose che fanno venire i brividi". C'era angoscia nelle parole di monsignor Slamon Warduni, vescovo caldeo di Baghdad, raggiunto telefonicamente in diretta durante l¹incontro "Pace in Iraq e nel mondo. Per un dialogo possibile con l'Islam", svoltosi ieri sera al Centro missionario del pontificio istituto missioni estere (Pime) di Milano. Angoscia e speranza: "Siamo quasi disperati, ma abbiamo fiducia nel Signore. Pregate per noi, la Chiesa irachena vi chiede di continuare a farlo, in unione col Papa. Un grazie a Pax Christi che ha fatto molto". Speranza che viene anche dalla mobilitazione in atto contro il conflitto. "Per noi ­ ha spiegato
Warduni - vedere molta gente sfilare per dire "no" alla guerra è un segno di grande speranza. Anche i nostri fratelli musulmani quasi hanno cambiato atteggiamento sentendo parlare di vegli di preghiera e digiuno da parte dei cristiani occidentali per la pace".
[MONDO E MISSIONE]

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La mia parrocchia e' tappezzata di bandiere della pace sui lati esterni che la circondano, ma l'altra sera, primo venerdì di quaresima (per noi ambrosiani), il mio parroco mi ha chiesto di tenere il primo quaresimale sulla Pacem in Terris.
Il contesto era liturgico per cui ho evitato le sparate politiche che solitamente non taccio nelle conferenze. Cio' nonostante ho contato almeno 6 persone che se ne andavano durante l'omelia ed una di esse aveva gia' telefonato in parrocchia - contestando il fatto che "in chiesa si viene per riconciliarsi con la vita e non per sentir parlare di guerre e statistiche di morti" - prima ancora che io rientrassi in sacrestia.
Ora, se e' un chiaro dovere cristiano e pastorale quello di aiutare tutti a capire, non si puo' nemmeno fare miracoli. Del resto, Gesu' stesso ad un certo punto tagliava corto: "chi ha orecchi per intendere, intenda..." perche' per quanti miracoli abbia fatto: ha guarito i ciechi, i sordi, i lebbrosi... ha persino resuscitato i morti... gli imbecilli non e' riuscito a farli ragionare nemmeno Lui!
ciao, d. Alberto

 

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Conferenza Episcopale Italiana
COMUNICATO DELLA PRESIDENZA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

         Facendo eco alle parole del Santo Padre, la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, in questa ora grave, chiede ai Responsabili politici dell'Iraq di collaborare in maniera piena e immediata con la comunità internazionale, al fine di eliminare ogni motivo di intervento armato.
Chiede parimenti a tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite di non ricorrere all'uso della forza finché non sia esaurita ogni possibilità di soluzione pacifica, secondo i principi della stessa Carta dell'ONU.
Chiede inoltre al Governo italiano un rinnovato impegno in questa direzione.
Domanda in particolare ai credenti, consapevoli che la pace è anzitutto dono di Dio, di insistere nella preghiera e nella penitenza per implorare questo dono, di inestimabile valore per il presente e per il futuro della famiglia umana.
Roma, 17 marzo 2003

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Papa domenica 16 angelus Il  Papa s'appella a Saddam e all'Onu

Durante l'Angelus il Pontefice ha invitato Baghdad a collaborare con la comunità internazionale e il Consiglio di sicurezza Onu a ricordarsi che l'uso della forza è l'ultima ratio.

CITTA' DEL VATICANO - Il Papa, durante l'Angelus, ha lanciato un doppio appello per la pace, a Baghdad e all'Onu. Saddam ''collabori pienamente con la comunità internazionale'' e il consiglio di sicurezza dell'Onu ricordi ''che l'uso della forza rappresenta l'ultimo ricorso''. Tutti si impegnino perché ''c'è ancora tempo per negoziare, c'è ancora spazio per la pace''.
Il pontefice ha ricordato le ''tremende conseguenze'' di una guerra per la popolazione irachena e per tutto il Medio Oriente.
''Riflettere sui propri doveri - rimarca papa Wojtyla - impegnarsi in fattivi negoziati, non significa umiliarsi, ma lavorare con responsabilità per la pace''.
"Ho vissuto la seconda guerra mondiale - ha detto il Papa - e sono sopravvissuto alla seconda guerra, per questo ho il dovere di ricordare a tutti i più giovani, a tutti quelli che non hanno avuto questa esperienza, ho il dovere di dire: mai più la guerra".

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 I CATTOLICI: DOPO LE PAROLE, LE AZIONI "DISOBBEDIENTI" PER FERMARE IL LINGUAGGIO DI GUERRA

 31763. ROMA-ADISTA. Contro la militarizzazione del territorio, contro i treni della morte, sono scesi in campo, fianco a fianco con i disobbedienti, anche i cattolici, a cominciare da quelli aderenti alla Rete di Lilliput. In un comunicato datato 25 febbraio, la Rete (che riunisce associazioni cattoliche e laiche) afferma di condividere ed appoggiare "gli attuali tentativi in corso da parte del movimento per la pace tesi ad ostacolare e bloccare il transito di treni armati sul territorio italiano e invita tutti i lillipuziani disponibili ad attivarsi e a partecipare, secondo le modalità integralmente nonviolente utilizzate dalla Rete". La nonviolenza, bandiera lillipuziana per eccellenza, "include da sempre - afferma il referente del gruppo "nonviolenza e conflitti" Massimiliano Pilati - la disobbedienza civile tra le sue pratiche legittime", per quanto applicabile , secondo la legge di progressione gandhiana, "soltanto laddove altre tipologie d'azione si siano rivelate inadeguate e senza successo e l'avversario continui quindi a perseguire i suoi scopi illegittimi e violenti". È appunto il caso dei treni della morte: "nonostante le proteste e le straordinarie manifestazioni di dissenso, la macchina bellica procede ed il nostro governo continua a collaborare alla predisposizione e all'attuazione della guerra contro l'Iraq". Ben vengano, dunque, i blocchi, purché "obiettivi del boicottaggio siano chiaramente soltanto i convogli militari e non si vada a colpire i cittadini viaggiatori con azioni confuse ed inutili, totalmente nocive in vista dell'acquisizione di ulteriore consenso".
La Rete di Lilliput denuncia inoltre "l'estrema difficoltà" della cultura politica tradizionale ad "uscire da una considerazione stereotipata dell'azione nonviolenta", accogliendo di questa solo "la parte 'a-violenta', tutta inscritta nell'ordine e nella tradizione legalitaria". E rilancia: "lo sciopero o l'obiezione di coscienza al servizio militare sarebbero mai diventati un valore condiviso dei Paesi democratici se qualcuno non avesse iniziato a praticarli illegalmente?"; "non pensate che il dissociarsi da queste pratiche (…) vada a pregiudicare definitivamente il rapporto tra il popolo pacifista e il centrosinistra, predisponendolo ad una nuova, ineluttabile debacle elettorale?"; "non pensate che proprio questo vostro 'star distanti' renda più facile e probabile, proprio come è accaduto a Genova, il fatto che disobbedienti e lillipuziani vengano sistematicamente picchiati e repressi, socialmente isolati, e perdano così, anche per vostra responsabilità, il consenso sociale?".
Quando non bastano le parole
Impegnato in prima linea a fianco dei disobbedienti non poteva non trovarsi don Vitaliano Della Sala: "mai come in questo momento - ha dichiarato - mi sono sentito di obbedire al papa": "se la guerra è il peggior crimine, come ha detto la Santa Sede in questi giorni, bisognerà fare di tutto per bloccarla", nei limiti "ovviamente" della nonviolenza. "Ciascuno di noi - ha proseguito - può mettere in moto il meccanismo della pace: occupando i binari, facendo l'obiezione fiscale, esponendo la bandiera della pace, fino ad andare in Iraq come scudo umano". Quanto al blocco dei treni, "se c'è da spegnare un incendio - ha detto citando Martin Luther King - passo anche con il semaforo rosso".
Ha partecipato alle azioni di disobbedienza anche don Albino Bizzotto, fondatore dei Beati i costruttori di pace (aderenti alla Rete di Lilliput), secondo il quale il blocco dei treni militari equivale alle azioni di interposizione che i pacifisti hanno compiuto a Sarajevo, a Pristina e in Congo: "invito i cristiani a recitare il rosario e a digiunare anche sui binari, davanti ai treni che portano al popolo iracheno la morte". "Chiediamo scusa in anticipo ai viaggiatori dei convogli che subiscono qualche ritardo, ma sappiano - ha aggiunto - che questo è come 'uno sciopero contro la guerra'". Sulla stessa linea don Luigi Ciotti, direttore di Libera, il quale, sull'"Unità" del 24 febbraio, dichiara di appoggiare "tutti i percorsi di pace". "Le azioni dei disobbedienti - afferma - sono le ultime parole di chi non vuole rendersi complice della rincorsa agli armamenti e della guerra. Rappresentano il tentativo simbolico, nonviolento, di fermare il linguaggio puro della violenza. Perché è drammatico scoprire che mentre tutti insieme in questi giorni abbiamo cercato percorsi di pace, partono treni carichi di armi e armamenti per portare avanti le ragioni della forza. Ti dà la sensazione che le parole non servano più e che allora bisogna passare alle azioni, ovviamente nonviolente, inventandosi di tutto, come stanno facendo i disobbedienti".
E approva la scelta di bloccare i treni anche Flavio Lotti della Tavola della Pace: "sono azioni dimostrative, nonviolente, che hanno fatto scoprire agli italiani un fatto certo: mezzi militari e bombe vengono stoccati nel nostro Paese".
"Azioni controproducenti"
Al di fuori del movimento, tuttavia, il mondo cattolico esprime non poche perplessità, anche in quella parte che, pur prendendo le distanze dai cosiddetti "no global", si è trovata più di una volta ad assumere posizioni "confinanti". È il caso per esempio delle Acli, il cui presidente, Luigi Bobba, ha preso le distanze dai blocchi dei treni: "è sempre sbagliato per un movimento pacifista - ha dichiarato all'"Unità" del 25 febbraio - intraprendere azioni che sconfinano nell'illegalità, che partono in modo simbolico ma rischiano di trasformarsi in un conflitto con le forze dell'ordine". Senza contare che "procedere ad azioni antagoniste" non incrementa "il capitale di fiducia" conquistato nella "giornata straordinaria" del 15 febbraio. Contrario anche il segretario della Cisl Savino Pezzotta: "I blocchi - dice in un'intervista concessa al "Corriere della Sera" del 24 febbraio - non servono, creano tensioni nell'opinione pubblica e rischiano, se continuano nei modi in cui sono stati attuati, di far scemare l'attenzione alla guerra che siamo riusciti faticosamente a costruire".
E c'è poi anche chi, nel mondo cattolico, non si dissocia solo dal blocco dei treni, ma da ogni manifestazione pacifista. "Ho l'impressione - è il commento di mons. Alessandro Maggiolini - che ormai i cattolici, quelli che contano, siano sempre più schierati sotto la bandiera dell'antiamericanismo".

 NO OIL, NO WAR: BOICOTTARE IL PETROLIO. LE CAMPAGNE IN ATTO

31764. ROMA-ADISTA. Non è fatta solo di blocchi dei treni armati l'opposizione alla guerra contro l'Iraq. Tra le innumerevoli azioni in corso (v. notizia successiva), grande risalto sta assumendo la campagna contro la Esso, promossa da Greenpeace, Rete di Lilliput, Bilanci di Giustizia, Centro Nuovo Modello di Sviluppo e Botteghe del commercio equo e solidale. Sarà infatti proprio la Exxon, la più grande multinazionale petrolifera del mondo, proprietaria in Europa del marchio Esso, a fornire il carburante all'esercito Usa e a tutte le basi Nato (comprese quelle italiane) e a trarre i profitti più alti dall'eventuale occupazione dell'Iraq (sulle cui riserve petrolifere, di cui possedeva prima della Guerra del Golfo il 25%, non ha avuto più modo di mettere le mani dal 1991). Proprio la Exxon, del resto, in occasione delle elezioni presidenziali statunitensi del 2000, aveva contribuito alla campagna elettorale dell'ex petroliere George W. Bush con oltre un milione di dollari. Ricevendone un'immediata ricompensa: tra le prime decisioni del nuovo presidente, si erano subito distinte quelle della mancata ratifica del Protocollo di Kyoto, dell'avvio dell'estrazione petrolifera anche in aree protette e della rimozione del presidente del-l'International Panel on Climate Change, che indicava nell'uso dei combustibili fossili la principale causa dei cambiamenti climatici. Per tutto questo, la campagna "StopEssowar" invita i consumatori a non rifornirsi più alla Esso (già sotto boicottaggio in Gran Bretagna, Usa, Francia, Austria, Germania e Australia), e a comunicarlo tramite l'invio di una cartolina, che può essere spedita anche direttamente dal sito www.stopessowar.org. E intanto in Gran Bretagna 300 attivisti di Greenpeace hanno bloccato la sede principale della multinazionale a Leatherhead e 112 stazioni di servizio, rimuovendo il pulsante che permette di effettuare il rifornimento e spedendolo per posta ai membri del consiglio d'amministrazione in Texas.

 CONTRO LA GUERRA, UNA COSTELLAZIONE DI INIZIATIVE

31765. ROMA-ADISTA. Mentre prosegue con enorme successo in tutta Italia la campagna "Pace da tutti i balconi (www.bandieredipace.org), volando verso quota 1.500.000 (tante le bandiere arcobaleno acquistate ed esposte dagli italiani), prende avvio anche la raccolta di firme a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare per una rigorosa attuazione dell'art. 11 della Costituzione e del suo solenne ripudio della guerra (proposta che è possibile firmare recandosi negli uffici comunali competenti con un proprio documento; v. numero verde allegato). Ma è un'offensiva a tutto campo quella condotta contro la guerra in Iraq dal movimento per la pace: un'offensiva fatta di esposti, come quello presentato da Giuseppe Sini, direttore del Centro di ricerca per la pace di Viterbo, alle Procure di Pisa, Vicenza e Roma, contro i responsabili di detenzione e trasporto nel territorio italiano di materiale bellico di una potenza straniera "al fine di una utilizzazione terroristica e stragistica" nella "guerra illegale e criminale che si va preparando".
Un'offen-siva fatta di raccolta di firme, come quella che sta promuovendo la Convenzione permanente di donne contro le guerre, affinché nella nuova Costituzione europea venga inserito un articolo analogo all'art. 11 della Costituzione italiana (l'appello si può sottoscrivere sul sito della rivista "Marea": www.marea.it). O di pressione sui parlamentari, attraverso una petizione on line lanciata dalla Rete di Lilliput sul suo sito (www.retelilliput.org), con cui è possibile spedire un messaggio contro la guerra al parlamentare del proprio collegio. E, ancora, di innumerevoli mobilitazioni, azioni e iniziative locali, dalle "biciclettate nonviolente", per portare nelle vie delle città il messaggio "contro le guerre per il petrolio lasciamo a casa le automobili", alle ore di silenzio settimanali per la pace, fino alla Via Crucis Pordenone-Base Usaf di Aviano fissata per il 6 aprile e alle iniziative da realizzare in occasione dell'edizione 2003 di Exa, la mostra italiana di armi leggere in programma a Brescia dal 12 al 15 aprile. Senza contare l'esistenza di altre due importanti campagne in funzione anti-guerra: la campagna sulla legge 185 per bloccare l'approvazione del disegno di legge di iniziativa governativa che stravolge l'attuale normativa sulla produzione e il commercio di armi pesanti e la Campagna di obiezione alle spese militari per la difesa popolare nonviolenta, lanciata in Italia nel 1982 (per le modalità di adesione alla Campagna, si può consultare il sito www.peacelink.it).
Proprio allo scopo di coordinare le diverse azioni contro la guerra all'Iraq (e, più in generale, contro "la guerra economica, sociale e militare"), gli organizzatori del Forum Sociale Europeo hanno convocato un'assemblea nazionale l'1 e 2 marzo alla Stazione Marittima di Livorno. Si discuterà, tra le altre cose, delle prossime iniziative in programma: le attività di sciopero e boicottaggio nei porti, la manifestazione dell'8 marzo a Camp Darby, la giornata dell'8 marzo delle donne contro la guerra, le "tantissime iniziative che al Nord, Centro e Sud mobiliteranno tutta l'Italia che 'ripudia la guerra'".

 PACE DA TUTTI GLI AMBONI. MOBILITATE IN TUTTA ITALIA DIOCESI E PARROCCHIE CONTRO LA GUERRA

31766. ROMA-ADISTA. La bandiera della pace "se richiama al valore cristiano della riconciliazione non dovrebbe essere di parte ma una cosa che riconcilia e che unisce". Dice così il segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, mons. Giampaolo Crepaldi, che a Bologna, il 22/2, nel corso di un incontro promosso dalla delegazione Ceer (Conferenza episcopale dell'Emilia-Romagna) sull'attualità della Pacem in terris, stava parlando dell'attuale crisi internazionale. A quell'incontro era presente anche mons. Vecchi, vescovo ausiliare di Bologna. E forse proprio a lui si riferivano le parole di Crepaldi, visto che, solo qualche giorno prima, Vecchi aveva definito le bandiere arcobaleno "simboli di una pace di sinistra" (v. Adista n. 17/02), ribadendo poi in altre successive occasioni la sua convinzione.
Insomma, al di là di alcuni esponenti della gerarchia che tentano di smarcarsi dall'"asfissiante" abbraccio con il movimento per la pace, sembra che anche i vertici della Chiesa italiana si stiano schierando contro la guerra in Iraq "senza se e senza ma".
Se la Chiesa bolognese esita….
La posizione della curia di Bologna un qualche riflesso nella Chiesa diocesana deve però averlo lasciato; difficilmente spiegabili sarebbero, altrimenti, le reticenze di don Matteo Prodi, viceparroco di Sant'Egidio a Bologna, che confessa di essere fermamente contrario alla guerra e di avere sempre con sé la bandiera della pace, ma di tenerla nascosta, "piegata in tasca". "Gesù nel Vangelo - spiega il sacerdote in una intervista comparsa il 26/2 sul "Resto del Carlino" - chiede anche di non dare scandalo. Ho ragionato su questo. Non posso con una mia scelta mettere in imbarazzo qualcun altro e far vedere che sono schierato. Questo mi dispiace moltissimo, certo". Un atteggiamento che a Bologna non riguarda solo don Matteo. Un suo amico prete la bandiera "la teneva appesa in camera".
altre diocesi si schierano senza se e senza ma
In altre diocesi si respira invece un'aria decisamente diversa. È quanto avviene ad esempio a Bergamo, dove il vescovo, mons. Roberto Amadei, nella veglia per la pace svoltasi il 7 febbraio scorso nella chiesa del Patronato di S. Vincenzo, davanti a centinaia di persone ha appeso la bandiera della pace davanti all'altare, circondata di spighe di grano. Il vescovo, nella sua omelia, ha parlato delle "scandalose situazioni economiche, sociali e politiche che pesano su innumerevoli persone, facilmente reclutabili per qualsiasi forma di violenza, sia essa il terrorismo o la guerra"; e ha aggiunto: "a tutti coloro che, soprattutto in questi momenti, hanno la responsabilità di decidere o di evitare la guerra, a coloro che non ritengono possibile la pace, occorre ricordare che non c'è nulla di inevitabile". "La guerra è un fallimento dell'umanità".
Anche se è vero che il vescovo deve essere il pastore di tutti, "come semplice cittadino andrei anch'io a manifestare", ha dichiarato, in un'intervista pubblicata il 25/2 sulle pagine toscane di "Repubblica", l'arcivescovo di Pisa e vice presidente della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Alessandro Plotti. Si riferiva alle proteste contro i treni che trasportano le armi nella base statunitense di Camp Darby, vicino Pisa ("è sempre stato un grande punto interrogativo, perché mai nessuno ha saputo esattamente che cosa contenga" quella base, aveva dichiarato all'Ansa il 24/2). Plotti ha invitato a continuare il sabotaggio dei convogli e a manifestare la propria contrarietà alla guerra: "in tutti i modi, perché - ha detto rivolgendosi ai manifestanti - avete ragione": solo, ha poi aggiunto, "per carità, fatelo in maniera pacifica". Ma, ha concluso sconsolato il vescovo di Pisa, evitare la guerra sarà comunque un'impresa difficilissima: "mi sembra che i potenti ormai cerchino ogni cavillo per fare la guerra, contro la voglia di pace che cresce tra la gente". Il vescovo di Pisa è poi intervenuto sullo stesso argomento anche sul numero del 23/2 del settimanale "Famiglia cristiana". All'interno della rubrica "Primo piano" ha sottolineato come, a suo giudizio, la guerra, anche questa, nasca dai soprusi dei potenti: "noi, popoli ricchi, abbiamo trasformato le nostre esigenze di benessere e la nostra sete di potere economico in diritti inalienabili e vorremmo che la pace, a nostro uso e consumo, consolidasse i nostri privilegi". Così i poveri "possono anche morire dilaniati dalle nostre bombe 'liberatrici' per assicurare alla nostra pancia i cibi più succulenti e alle nostre velleità la loro più sicura realizzazione". C'è in atto un tentativo di esautorare l'Onu che, secondo il vescovo, non porterà nulla di buono, poiché, dice Plotti, sono le Nazioni Unite che sole possono opporre "un ordine morale internazionale" "al disordine che regna nel mondo".
È impegnatissimo a far imbandierare la città con i vessilli della pace mons. Raffaele Nogaro, vescovo di Caserta, insieme al clero diocesano ed alle associazioni di volontariato. "La guerra - ha dichiarato - non solo è l'orrore dell'umanità, ma è come un peccato capitale. Significa uccidere Dio; significa uccidere la stessa identità di valore che è la vita, la coscienza, l'amore". Il vescovo critica perciò fortemente quei cattolici che appoggiano la guerra per "disciplina di partito": agiscono, dice Nogaro, "per interessi materiali, interessi di mercato".
A Chieti, alla manifestazione per la pace organizzata il 23 febbraio dal Chieti social forum, dalle rappresentanze sindacali di base, da Legambiente e da Rifondazione Comunista e che aveva come titolo: "No alla guerra del petrolio, senza se e senza ma, con o senza l'Onu", ha aderito anche l'arcidiocesi di Chieti-Vasto.
Marce della pace, lo stesso giorno, si sono tenute anche a Castelfidardo (con Acli, l'Azione Cattolica di Loreto e Castelfidardo, Caritas, insieme ad Anpi Cgil e Emergency). Il corteo è stato accolto all'arrivo dall'arcivescovo Angelo Comastri, presidente della Conferenza Espicopale Marchigiana, che ha donato una bandiera della pace a ciascuna associazione. "Non è cosa degna dell'uomo - ha detto Comastri - sostituire la parola con le armi. Se vogliamo la pace, seminiamola attraverso la giustizia e la cultura della solidarietà".
Parrocchie contro la guerra
Nelle diocesi di tutta Italia sono tantissime anche le parrocchie in prima fila nelle iniziative a sostegno della pace in Iraq.
Continua la mobilitazione del piccolo paese di Pezzoli, in provincia di Rovigo, la località con la più alta densità di bandiere per la pace esposte dai balconi e dalle finestre delle case, grazie all'opera del parroco, don Giuliano Zattarin. Il 16 febbraio, all'indomani della grande manifestazione romana, molti pullman sono arrivati a Pezzoli per la manifestazione provinciale "Bandiere in cammino", promossa proprio dalla parrocchia di don Giuliano, con il patrocinio della Provincia di Rovigo e del Comune di Ceregnano, cui ha aderito anche l'Ufficio Diocesano per la Giustizia e la Pace.
Nelle tre chiese parrocchiali di Cengio (San Giuseppe Operaio, Santa Barbara e San Nicola), in provincia di Savona, la bandiera della pace è comparsa invece al centro delle navate, per iniziativa del parroco, don Tarcisio Bertola, che dal pulpito ha invitato i fedeli a seguire il suo esempio, esponendo fuori da ogni abitazione il drappo arcobaleno. "Nella Chiesa - ha precisato Bertola riferendosi alle tante polemiche sull'esposizione delle bandiere nei luoghi di culto - non vi sono disposizioni e indicazioni in merito. Il nostro è solo ed esclusivamente un segno di pace. Non è niente di politico, ma solo un atto di amore e di rispetto verso la vita e contro la guerra".
Il fermento nel clero cattolico è vivo anche nelle parrocchie della capitale; è "Il Messaggero", sul numero del 22 febbraio scorso, a ricostruire una mappa delle comunità mobilitate. "Siete con Bush o col Papa? Io, anzi noi, siamo con il Papa", ripete continuamente dall'altare mons. Mario Pecchielan, parroco di San Giovanni Battista de Rossi, ai suoi parrocchiani, spronandoli ad attivarsi maggiormente in iniziative contro la guerra. Nella parrocchia di San Roberto Bellarmino, a piazza Ungheria, nel quartiere Parioli, all'esterno della chiesa, sopra il portone centrale, sventola la bandiera arcobaleno. Il parroco gesuita, padre Stefano Salviucci, dichiara al quotidiano romano che è necessario che "il popolo occidentale s'interroghi se un consumo di beni limitato a pochi porti veramente alla pace. Che deve essere costruita in ognuno di noi". A Valmelaina, popolare quartiere a Roma nord, nella parrocchia del Santissimo Redentore, a metà febbraio è nata l'idea di raccogliere firme per la pace: un cartellone posto dentro la chiesa, poggiato su un tre piedi nel presbiterio, riporta già un migliaio di adesioni. "La domenica delle Palme lo consegneremo al Santo Padre", spiega il vice parroco don Gaetano.

 LA PACE E IL 15 FEBBRAIO: "UNA FORTE DOMANDA DI POLITICA". RASSEGNA DAI SETTIMANALI DIOCESANI

31767. ROMA-ADISTA. Un senso di gioia e insieme di sconfitta quello che pervade gli editoriali dei numeri più recenti dei settimanali diocesani italiani. La gioia è quella per l'enorme successo della manifestazione per la pace svoltasi a Roma il 15 febbraio, e, più in generale, per quello di tutte le iniziative organizzate a livello locale per scongiurare l'attacco all'Iraq. La sconfitta invece è determinata dalla consapevolezza che questo enorme sforzo e la grande adesione popolare non basteranno probabilmente a fermare la guerra.
Indiscutibile appare comunque l'appoggio delle testate diocesane a chi lotta per la pace. Con l'eccezione di "Verona fedele". Il settimanale veronese, nell'editoriale comparso sul numero del 16/2 ("Per la pace meno bandiere e più preghiere") compie numerosi distinguo tra i veri costruttori di pace e coloro che della pace "se ne fanno gargarismi senza che una goccia del suo spirito vada a raggiungere il cuore e i comportamenti" e che "sanno sempre da che parte sta". Per "Verona fedele" la pace andrebbe invece "sdoganata dalle bandiere e dalle ideologie" che attualmente la avviluppano. Riportiamo di seguito una rassegna degli articoli.
Gazzetta d'Alba (Alba, 19/2), "Perché i cristiani si mobilitano contro la guerra", di Battista Galvagno:
"Cristiani in crisi sulla guerra? Come non esserlo, di fronte a una propaganda mediatica asfissiante, di fronte ai grandi della terra che si sono appropriati delle categorie religiose e parlano di necessaria lotta contro il male? Forse che credere nella pace è cosa da pochi, da illusi, da fondamentalisti? Perché Giovanni Paolo II continua imperterrito a dire no alla guerra e a invocare la pace, mentre sembra che nessuno lo stia ad ascoltare?
'In piedi, costruttori di pace!': il grido di don Tonino Bello, dal palco dell'Arena di Verona, alla vigilia della prima guerra del Golfo torna drammaticamente d'attualità. Così come le parole con cui padre David Maria Turoldo lo invitava a non stancarsi: 'Intervieni... Se non intervieni, se non dici pubblicamente come stanno le cose, ti andrà sempre peggio. E loro diventeranno sempre più arroganti. Appunto perché sono vili: forti con i deboli, deboli con i forti (…)'".
La Settimana (Adria, 23/2), Toscana Oggi (Firenze, 23/2), Libertà (Sassari, 21/2), "Domanda di politica", Francesco Bonini:
"Se si volesse tentare una definizione sintetica del significato delle grandi manifestazioni per la pace che hanno seguito immediatamente il secondo rapporto degli ispettori Onu sulla crisi irachena, si potrebbe forse dire così: una forte domanda di politica.
(…) dopo diversi anni passati a rincorrere le semplificazioni e altri anni passati ad ascoltare propagande sempre più assordanti e semplicistiche, la gente qualsiasi, che pure qualsiasi non è perché mantiene un forte senso critico, comincia a sentirsi stretta nel semplice ruolo di 'opposte tifoserie' cui sembra essere stata fatta regredire in questi ultimi anni.
Partecipare alle manifestazioni allora, in forme civili, vuol dire evidentemente esprimere un disagio, ma anche esprime una richiesta. Sta alla qualità della classe politica offrire delle risposte. Attenzione: la questione non è quella di cui troppo si parla, non investe cioè semplicemente le attuali maggioranza e/o opposizione. La questione riguarda la politica in quanto tale e la qualità degli attori. E si tratta di una domanda sempre più evidente e sempre più stringente".
Vita trentina (Trento, 23/2), "La guerra va evitata. Senza sé e senza ma", di Augusto Goio:
"Una forte domanda di politica: l'agenzia di stampa dei vescovi italiani, Sir, sintetizza così il significato delle grandi manifestazioni per la pace che sabato 15 febbraio hanno riempito le piazze di tutto il mondo, in una staffetta che si passava il testimone seguendo i fusi orari. (…)
Hanno marciato insieme i movimenti che si battono contro la globalizzazione neoliberista, i movimenti per la pace, i movimenti per la democrazia, i partiti politici, l'associazionismo sociale e religioso, i sindacati, le aree antagoniste, e migliaia di cittadini e di cittadine. (…)
È con questa opinione pubblica che si devono confrontare i governi d'Europa, che in un vertice straordinario a Bruxelles hanno cercato di ricucire le differenti posizioni di fronte all'impazienza degli Stati Uniti.
La Vita del popolo (Treviso, 23/2), "Pace è uno stile di vita", Enrico Vendrame:
"(…) La risoluzione 1441 è stata citata a volte a sproposito, mentre la macchina da guerra continua a prepararsi. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu non è stato istituito per dichiarare guerra a questo o a quel Paese, ma per far rispettare il diritto internazionale.
Dopo l'imponente manifestazione di sabato 15 a Roma, per quanti credono nella pace non può essere più sufficiente lo sventolio dal proprio balcone del tessuto multicolore. Costruire pace significa sostenere percorsi che dimostrino che è possibile stare insieme nel rispetto delle differenze, ma anche nel mutamento del nostro modo di vivere".
La vita casalese (Casale Monferrato, 20/2), "In 3000 per le vie della città a chiedere la pace", firmato p. b.:
"(…) Il Presidente degli Stati Uniti pensa di essere il poliziotto del mondo e sta facendo il possibile per dividere l'Europa. I nostri governanti dovrebbero essere più attenti all'unità europea che a compiacere l'importante alleato americano, perché le vere alleanze sono rispettose di tutte le idee e mai servili. Siamo certamente amici dell'America e non ci piace il dittatore Saddam. Ma non si può mettere alla fame e distruggere un popolo per colpire un rais che la Cia stessa aveva creato contro l'Iran, come aveva foraggiato i talebani in Afghanistan contro l'Urss. La credibilità si perde quando la politica è così sprovveduta. È l'Onu che può mandare forze di interposizione se uno Stato crea pericoli di terrorismo. Ma la guerra deve essere davvero l'ultima carta. E ci sono troppi focolai di guerra nel mondo, e guerre dimenticate in Africa, dove non c'è petrolio. La gente ha scelto da che parte stare. La pace non si costruisce con i rapporti di forza, ma riconoscendo dignità e speranza a tutti i popoli. I dittatori devono cedere il potere alla democrazia, ma che sia democrazia vera. Non abbiamo bisogno di protettorati né in Cecenia né in Iraq. E la democrazia è vera quando ha la forza delle idee e non l'arroganza dei numeri o delle armi. Molte volte i servi nello sforzo di compiacere i padroni cadono nel ridicolo. La Rai Tv ha negato la diretta alla manifestazione della pace a Roma perché avrebbe potuto influenzare il Parlamento"
Il risveglio popolare, (Ivrea, 21/2), "Il Canavese dichiara con forza la sua voglia di pace", Piero Agrano:
"(…) Che cosa dire di più? Innanzi tutto, occorre rilevare il divario fra questa massiccia domanda di pace, che nasce 'dal basso' con connotazioni sempre più 'trasversali', e le (spesso meschine) diatribe fra schieramenti politici, fra mozioni contrapposte e divisioni ricorrenti. La manifestazione di piazza non crea, di per sé, vasti consensi: li registra, dà loro visibilità e nuovo slancio. Fa sentire l'aria che tira. Aiuta chi vi partecipa a contrastare lo scetticismo diffuso di quanti pensano che tutto questo non serva a nulla, che i giochi siano già fatti, che regìe nemmeno troppo occulte abbiano già preso le decisioni del caso…
È ovvio che vi sono prese di coscienza che precedono l'andata in piazza, o l'allinearsi in una marcia. È la maturazione di una "coscienza di pace", che non si rassegna all'idea che la scelta pacifista faccia il gioco del dittatore di Bagdad, in un visione semplificata che stabilisce: 'O con Bush o con Saddam Hussein!'".
Il Piccolo, (Faenza, 21/2), "Principio speranza", Giuseppe Piancastelli:
"Voci diversissime, forse anche incerte, se avessero dovuto indicare un modello di lotta alternativa contro l'incubo del terrore. Ma già questo spettacolo forse parla ai popoli e alle nazioni che ci guardano, mentre si interrogano sul proprio destino futuro. Ci guardano scendere in piazza, manifestare paure e attese, speranze e proteste, e poi tornare sicuri alle nostre case, lasciando ai politici eletti il compito e la responsabilità di cercare le soluzioni concrete. Ma senza deleghe in bianco. Vedono, e forse temono, la impressionante forza militare ed economica che abbiamo accumulato, ma anche il ricorso irrinunciabile alla superiore forza delle ragioni. E imparano a conoscere anche il nostro sogno di non dovere più usare armi, in un mondo pacifico e senza terrore, per investire invece in progresso e solidarietà".
L'azione (Novara, 22/2), "L'appello a lavorare per la pace", Luigi Bassano:
"Adesso sappiamo anche che il paese è pervaso da un sentimento di pace. E chi ci rappresenta deve dargli retta, non può far finta di non essersi accorto, non può girare la testa dall'altra parte.
Non si tratta di cedere alla demagogia e alla piazza. Si tratta di rifarsi ai principi fondamentali che regolano il nostro stare insieme (e bene ha fatto il presidente Scalfaro a richiamare l'articolo 11 della Costituzione, che non si presti ad equivoci interpretativi), di ascoltare la volontà popolare, di percorrere la strada della ragionevolezza".
L'azione (Novara, 22/2), "L'inutile strage", Giuseppe Cacciami:
"(…) non è stata l'ennesima 'mobilitazione' riducibile alle istanze di quei gruppi variegatissimi che si definiscono 'pacifisti'. No! Sarebbe sciocco stavolta considerare solo un effimero 'happening' più o meno ideologico.
È stato invece, un grido corale ed immenso in cui accanto ai cosiddetti 'militanti' la maggioranza dei presenti era 'la gente comune, la gente normale e tranquilla', quella che non si mette il fazzoletto al collo, né inalbera bandiere di parte". 

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Chiamati ad essere "sentinelle della pace"
 
Messaggio del Cardinale Arcivescovo (Tettamanzi) a tutte le parrocchie della Diocesi a seguito del convegno "Pacem in Terris. La posizione della Chiesa sulla pace" del 16 marzo scorso.
Si invitano i delegati al convegno a leggere questo messaggio durante le SS. Messe di domenica 23 marzo ed eventualmente a distribuirlo ai fedeli.
Carissimi, come sapete, domenica scorsa abbiamo celebrato a Milano il Convegno diocesano "Pacem in terris. La posizione della Chiesa sulla pace". Il momento che abbiamo vissuto ci impegna ora a continuare e a rilanciare un
cammino di pace.
Sento per questo il bisogno di riproporre a tutti l'appello del Papa ad essere «sentinelle della pace, nei luoghi in cui viviamo e lavoriamo», vigilando «affinché le coscienze non cedano alla tentazione dell'egoismo, della menzogna e della violenza» (All'Angelus del 23 febbraio 2003).
Per essere autentiche "sentinelle della pace", dobbiamo lasciarci guidare dalla voce della coscienza, nel suo compito di discernimento e di decisione operosa.
La voce della coscienza ci chiede di "discernere", ossia di riconoscere e giudicare, nella verità, i valori e le esigenze delle persone e dell'ordine sociale. Esprimiamo, dunque, un "sì" convinto alla pace e a tutto ciò che è necessario perché si realizzi e, insieme, un "no" deciso a quanto la turba o la distrugge. Per non cadere, però, in uno scorretto pacifismo, è
necessario:
* educare la propria coscienza, conoscendo e approfondendo la dottrina sociale della Chiesa sulla pace e sulla guerra;
* evitare ogni reazione emotiva e irrazionale di fronte alle posizioni che emergono su questi problemi;
* essere attenti e critici nei confronti delle possibili manipolazioni della verità da parte dei mass media.
La voce della coscienza ci spinge anche ad "agire". È necessario impegnarci a "fare" opere di pace. Sì, la pace va fatta: in casa, nella scuola, sul lavoro, in ogni ambiente della vita sociale, a livello politico, in ambito nazionale e internazionale. Va fatta da tutti, nessuno escluso, perché la pace - oltre che dai responsabili dei popoli e delle nazioni - dipende anche
da ciascuno di noi! Seminiamo, dunque, "gesti quotidiani di pace", coltivando atteggiamenti di sincerità, di stima e di accoglienza dell'altro, di pazienza e di generosità, di amore e di perdono.
Per essere "sentinelle della pace" come discepoli del Signore che testimoniano la novità cristiana, ci è chiesto di lasciarci guidare da una coscienza illuminata dalla fede e animata dalla carità.
Riconosciamo, allora, che la pace è "dono" di Dio, comunicata agli uomini mediante la Croce e il sangue di Gesù, "nostra pace". Questo stesso "dono" oggi lo ritroviamo e lo incontriamo nella Chiesa e, in particolare, nell'Eucaristia. Continuiamo, dunque, ad attingere dalla celebrazione eucaristica, soprattutto domenicale, la grazia che ci rende persone
pacificate e che sanno diffondere pace.
La pace è sì dono di Dio, ma è un "dono affidato agli uomini". Viviamo, perciò, la "missione", consegnata a tutti noi cristiani, di annunciare, celebrare e testimoniare il "Vangelo della pace":
* annunciamolo, facendo risuonare sempre la parola della pace, anche quando sembra venir meno la speranza di poterla realizzare;
* celebriamolo nell'Eucaristia e mediante una preghiera umile, fiduciosa e insistente, che invoca dal Signore il grande dono della pace;
* testimoniamolo, con una carità concreta e operosa, sempre pronta a perdonare, riconciliare e far crescere la comunione nei rapporti tra le persone, in famiglia, negli ambienti di vita e nella stessa comunità cristiana.
Carissimi, essere "sentinelle della pace" è un compito impegnativo e, spesso, non privo di tante difficoltà. In questo compito, però, una certezza ci accompagni e ci sostenga: non siamo soli! Con noi c'è lo Spirito di Dio!
È lui il vero e grande protagonista dell'edificazione della pace!
Lasciamoci, dunque, guidare e animare dallo Spirito di Gesù per essere autentici "operatori di pace".
E se, nonostante tutto ciò, dovesse scoppiare la guerra? E se questa guerra venisse dichiarata e condotta a dispetto del diritto internazionale e di ogni principio morale?
In questa ipotesi deprecabilissima - che speriamo sempre non si verifichi -, che ne sarebbe delle indicazioni di questo messaggio? Dovremmo forse perdere la fiducia e abbandonarci alla delusione perché tutti i tentativi di scongiurare la guerra sono falliti e la nostra stessa preghiera sembra non essere stata esaudita?
No, carissimi! Anche in questa gravissima e inaccettabile situazione, dovremmo continuare ad essere "sentinelle della pace"! Proprio in tempo di guerra, infatti, la missione delle sentinelle si fa più preziosa e necessaria. Da sentinelle vigili e accorte, dovremmo dunque:
* condannare questa guerra e chiedere che finisca, utilizzando anche ogni mezzo democratico per far sentire la nostra voce e incidere sull'opinione pubblica;
* continuare a praticare il dialogo e il perdono, nella convinzione che essi hanno un valore giuridico e politico anche nei rapporti tra gli Stati;
* non perdere mai la fiducia nel Signore, ma rinnovarla ancora di più, intensificando l'impegno della preghiera, della penitenza e della carità;
* convertire il nostro cuore e intercedere perché si converta il cuore di quanti non hanno fatto abbastanza per evitare la guerra e di quanti l'hanno caparbiamente voluta.
Su ciascuno di voi, sulle vostre famiglie e sulla vostra parrocchia, invoco di cuore la grazia e la benedizione di Dio. Il Signore rivolga il suo volto su di voi e vi doni la sua pace! La doni - la ridoni! -, in particolare, al Medio Oriente! La doni ad ogni uomo! La doni al mondo intero!
Milano, 17 marzo 2003.
Il vostro Arcivescovo
+ Dionigi card. Tettamanzi

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"Signore conviviale che sei pace, perdonaci la pace"

Signore conviviale, uno e trino, donaci la pace.
Signore comunità di pace, che sei pace, donaci la pace.
Signore Dio dei viventi, creatore permanente, padre e
madre della vita, converti i tuoi figli e le tue figlie  alla pace.
Signore Gesù Cristo, risorto dai morti, corpo donato e
nostra pace, fratello in umanità, converti i tuoi
fratelli e le tue sorelle alla pace.
Signore Spirito Santo, presenza amante, dono d'amore
nascosto nella storia, converti i tuoi popoli alla pace.
Signore conviviale, uno e trino, ferma col nostro
aiuto l'antigenesi, l'antivangelo, l'antipentecoste.
Ferma col nostro aiuto la guerra, il male che non sarà
perdonato.
Salva le vittime della guerra! Salvaci!
Signore conviviale, uno e trino, insegnaci ad
ascoltare la tua Parola  sempre creatrice, sempre
incarnata, sempre plurale e colorata.
Signore che sei nonviolenza, aiutaci a diffondere la
forza della nonviolenza che cambia la vita, aiuta chi
soffre e trasforma la storia.
Signore conviviale che sei pace, aiutaci ad accogliere
il dono della tua pace, a per-donare la pace.
Signore conviviale, rendici conviviali discepoli del
tuo per-dono uno e trino, fecondo, abbondante,
moltiplicato, pieno della tua e nostra pace.
Signore conviviale che hai nome pace, per-donaci la
pace.

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Convegno della Arcidiocesi di Milano
"Pacem in Terris"
La posizione della Chiesa sulla pace

16 marzo 2003

Relazione dell’Arcivescovo Renato R. Martino
Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

PREMESSA

Sarebbe certamente banale e riduttivo evocare l’enciclica «Pacem in terris», nel quarantesimo anniversario della sua promulgazione, solo per trovarvi un’analogia tra la drammaticità della situazione dei primi anni Sessanta e quella attuale. Si tratta di un’enciclica che certamente può fornire importanti indicazioni per un discernimento delle problematiche sociali, in particolare per valutare la qualità attuale delle relazioni tra i popoli, che il Santo Padre considera nello stesso «profondo stato di disordine»[1] in cui erano ai tempi del Suo Beato Predecessore, del quale egli vuole usare persino le stesse parole[2], ma il cui valore, ricchezza e profondità, immutati e riscontrabili ancora oggi, sono da cercare altrove.

Possiamo invitare alla lettura della PT proponendola con Mons. Franco Biffi come: «Una sinfonia della pace in quattro valori e quattro movimenti». È questa la descrizione più sintetica ed efficace sia della struttura del testo (sostanzialmente quattro grandi capitoli), sia dell’«anima» della dottrina sociale della Chiesa (DSC) che sta nei quattro grandi valori sui quali essa si fonda e si costruisce: la verità, la giustizia, l’amore e la libertà. Proprio in virtù di questa articolazione ed elaborazione la PT può parlare della pace da una prospettiva e con una ragionevolezza che colgono nel segno la vera natura non solo della pace, ma anche delle questioni aperte in tema di conflitti e in relazione alle loro cause.

Prima di affermare che è un inno alla pace, è opportuno presentare questa enciclica come un inno alla persona umana, ai suoi diritti e doveri, alla sua dignità. «La dignità della persona umana è il fondamento della pace»: è questa l’affermazione più ricorrente nella PT. Ed è appunto da questa prospettiva e valenza culturale-antropologica che si sviluppa e si precisa il valore dell’enciclica e tutta la successiva DSC, della quale la PT costituisce un momento evolutivo fondamentale ed imprescindibile.

Anche di fronte alla situazione internazionale di quell’apparentemente lontano 1963, che domandava pace (la possiamo ricordare solo per cenni: la costruzione del muro di Berlino, la guerra fredda, la crisi cubana…), la risposta dell’enciclica non fu certo limitata ad un vago appello o ad una sentimentale esortazione alla pace. Seppe cogliere invece la radice della questione e proporne la soluzione indicandola nel rispetto della dignità della persona umana. Questo rispetto consiste nell’attuare, vivere, vivificare nella società i grandi valori della verità, della giustizia, dell’amore - o carità - e della libertà. Solo nella ricerca, nell’attuazione e nella condivisione di questi valori è possibile offrire un futuro dignitoso a tutto l’uomo e a tutti gli uomini. Solo così è possibile affrontare tutte le questioni sociali aperte - a partire dal bene comune universale sino alle tematiche della partecipazione, della democrazia, della divisione dei poteri - e trovare indicazioni ed elementi di soluzione.

Anticipando le conclusioni del Concilio Vaticano II e operando così la svolta decisiva che imprimerà nuovi dinamismi e fecondità teologica e culturale (di ciò beneficerà enormemente la DSC), la PT, nella fedeltà alla Tradizione e alla dottrina cattolica, traduce quello che fino ad allora era insegnato e difeso come «primato della Verità», nel primato della persona umana. È la prospettiva che Giovanni Paolo II rilancerà nella sua enciclica programmatica Redemptor hominis mediante la felice espressione: «L’uomo via della Chiesa» (n.14). La Verità di Dio ora viene proposta ed insegnata soprattutto indicando l’uomo - la persona umana - la sua centralità, e la sua storicità come luogo e ambito della salvezza che Dio vuole operare. La portata di questa nuova prospettiva cristologica ed antropologica produrrà - per offrire soltanto un esempio - la sostituzione del metodo deduttivo con quello che definisco metodo del discernimento[3]: ci si concentra non tanto nell’applicazione dei principi, dai quali l’agire si ricava per via deduttiva, quanto piuttosto sulla ricerca di cogliere la presenza efficace di Dio nella storia per comprendere la Sua volontà ed impegnarsi per la realizzazione del Regno. Si passa appunto dal dedurre al discernere, significativamente sostenuto dalla prospettiva teologica, secondo il metodo del «vedere, giudicare, agire» (Lett. enc. , 217).

Non pretendo, con questa mia riflessione, di esaurire l’ampia gamma di intuizioni, contenuti, riflessioni, giudizi e valutazioni che la PT offre copiosamente. Cercherò soltanto di effettuare alcune sottolineature nel testo dell’enciclica per ricavarne preziose indicazioni, oggi quanto mai attuali ed importanti, per delineare la posizione della Chiesa sulla pace.

Pace e rispetto dell’ordine voluto da Dio

Già le prime parole dell’Introduzione della PT ci aiutano a scoprire la specificità e la portata del messaggio che caratterizza tutto il documento: «La Pace in terra… può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio»[4]. La pace è la realizzazione di questo stesso ordine che corrisponde al disegno di Dio sul mondo. Immediatamente dopo, esaltando il valore dell’uomo e delle sue capacità, espresse anche attraverso i progressi della scienza e della tecnica, il testo ci offre una importante prospettiva affermando: «la grandezza dell’uomo, che scopre tale ordine e crea gli strumenti idonei per impadronirsi di quelle forze [quelle che compongono l’universo] e volgerle al suo servizio»[5].Abbiamo qui due direttrici di riflessione di grande importanza per comprendere la posizione della Chiesa sulla pace.

La prima prende avvio dal riferimento veritativo al quale si àncora la riflessione teologica sulla Creazione: c’è un ordine, c’è un ordine voluto da Dio, c’è un progetto divino che si rivela nella natura del mondo. Pace significa allora comprendere questo progetto, questo disegno, rispettarlo e realizzarlo.

Non meno importante la seconda direttrice: il concetto di pace, ossia di ordine desiderato e proposto da Dio, è connotato dalla dinamicità. L’uomo, dotato di intelligenza, capace di gestire il creato e le sue risorse, è chiamato a scoprire, a cercare e a comprendere questo progetto. Potremmo dire che è questa la vocazione dell’uomo, in quanto essere razionale, chiamato, quando si esprime a livello sociale, a realizzare se stesso mentre riconosce progressivamente questo ordine e progetta in vari modi di perfezionarlo, rispettandolo nella sua natura intima e ultima. Tra pace e compimento umano c’è dunque un legame intrinseco sia per quanto riguarda l’obiettivo essenziale dello sforzo umano, che è produrre la pace ossia sviluppo autentico, sia per quanto riguarda la dimensione esistenziale umana, nella quale produrre la pace ossia sviluppo autentico significa rispondere all’autentica vocazione della persona umana.

In questa prospettiva risulta chiaro il significato della posizione della Chiesa, che non è pacifista, ma pacificatrice. È questo il senso e il valore delle parole che Giovanni Paolo II ha pronunciato in questo frangente storico, parole che si elevano ben al di sopra degli slogan di un certo pacifismo o a quelli del movimento contrario, entrambi seriamente a rischio di deriva ideologica e di unilateralismi.

Pace non è assenza di guerra; non è nemmeno essere contro qualcuno che vuole la guerra; non è in nessun caso difesa preventiva, perché mai si devono colpire presunti o veri nemici prima di essere colpiti. La pace è il risultato di una ricerca, di un darsi da fare, di un mettersi all’opera per comprendere chi siamo realmente, qual è il nostro vero bene, nella consapevolezza, che da sempre proviene dal Magistero della Chiesa, del fatto che l’uomo è capace di bene ed è stato messo in grado di giungere alla Verità, seppure nella contingenza della storia.

Questa consapevolezza ha un grande valore se pensiamo all’attuale dibattito tra mondo cattolico e mondo laico a proposito di etica. Come spesso è accaduto, anche oggi si chiede ai cattolici impegnati nella cultura e in ambito politico di deporre i propri convincimenti religiosi per impegnarsi più efficacemente - secondo una presunta laicità - nel dibattito sociale. Anche oggi i cattolici sono accusati di voler imporre i propri principi etici alla società, di una sorta di fondamentalismo religioso (questo peccato di ingerenza è stato spesso attribuito anche al Santo Padre, come se al Papa non fosse concesso, come a tutti, di esprimere il proprio pensiero) e di non condividere con gli altri un luogo in cui la verità deve rimanere assente, perché affermarla significherebbe minare alla radice il pluralismo e il diritto di cittadinanza delle singole opzioni: la condicio sine qua non affinché tutti possano portare la loro verità è che nulla sia vero[6]. La Verità che la Chiesa porta, invece, è la Verità di Cristo. È una Verità che non chiede di essere imposta, ma che si offre, ricca di duemila anni di storia, di sofferenza, di carità… e di studio. La Chiesa desidera testimoniare Cristo offrendo un aiuto, un contributo, un servizio e la propria ragionevolezza nel proporre, senza alcuna imposizione, valori e criteri per il bene dell’uomo. Lo spirito di servizio con cui la Chiesa realizza tali interventi è stato presentato da Paolo VI nel Discorso che fece all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1965: la Chiesa “non ha alcuna potenza temporale, né alcuna ambizione di competere con voi; non abbiamo infatti alcuna cosa da chiedere, nessuna questione da sollevare; se mai un desiderio da esprimere e un permesso da chiedere, quello di potervi servire,…con disinteresse, con umiltà e amore”[7].

Il dinamismo, la progressività della ricerca della pace, che ho sottolineato poc’anzi, sono i tratti essenziali del contributo, prezioso, che la Chiesa può offrire all’umanità: si tratta di cercare insieme e costruire insieme la pace, nel qui ed ora della contingenza, una pace che risponda pienamente alle esigenze richieste dal rispetto della dignità di tutto l’uomo e di ogni uomo. Solo da un tale rispetto, reso efficace, pratico e praticabile possono derivare esiti benefici per l’uomo e per i popoli. Tutto ciò è ribadito e ulteriormente chiarito nella PT. Da questa enciclica proviene l’insegnamento che la «convivenza umana deve essere considerata anzitutto come un fatto spirituale»[8] perché l’ordine tra gli esseri umani nella convivenza «è di natura morale»[9]. Ciò significa che le soluzioni ai problemi relativi alla convivenza non si possono trovare negli accorgimenti di tecnica politica e non. Solo se l’uomo cerca il progetto divino di pace – anzi, proprio nel riconoscere che c’è in lui questa vocazione alla pace, e che è necessario comprenderla - può realizzare se stesso. Tutto ciò richiede, oltre all’intelligenza, la sensibilità personale, la parte migliore di ciascuna persona, ossia la capacità di dono, di amore, di buona volontà.

La pace e i valori della convivenza umana

Un ulteriore arricchimento alla posizione della Chiesa sulla pace ci viene dall’indicazione della PT dei quattro valori che stanno a fondamento della convivenza umana: verità, giustizia, carità (o amore) e libertà. Il Santo Padre Giovanni Paolo II li ha riproposti nel Suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, fornendo per ciascuno di essi una puntuale definizione che risulta utilissima per comprendere il significato della proposta cristiana sul tema della pace: "La verità sarà fondamento della pace, se ogni individuo con onestà prenderà coscienza, oltre che dei propri diritti, anche dei propri doveri verso gli altri. La giustizia edificherà la pace, se ciascuno concretamente rispetterà i diritti altrui e si sforzerà di adempiere pienamente i propri doveri verso gli altri. L'amore sarà fermento di pace, se la gente sentirà i bisogni degli altri come propri e condividerà con gli altri ciò che possiede, a cominciare dai valori dello spirito. La libertà infine alimenterà la pace e la farà fruttificare se, nella scelta dei mezzi per raggiungerla, gli individui seguiranno la ragione e si assumeranno con coraggio la responsabilità delle proprie azioni" (n. 3).

Tali valori non devono essere disgiunti e non possono essere compresi e tanto meno vissuti separatamente, ossia non può esserci verità senza giustizia, carità e libertà. Ritengo sia opportuno soffermarmi brevemente sul significato di questi valori, di queste quattro parole: «verità», «giustizia», «carità», «libertà», che al giorno d’oggi, in qualche modo, non hanno più un significato pienamente condiviso per l’uso e più spesso l’abuso così frequente da far perdere ad essi rilevanza e forza comunicativa.

Oltre la verità, , che ho appena considerato, abbiamo dunque la giustizia. Con il termine giustizia non si intende l’obbedienza ad una norma o il semplice rispetto di un diritto: si vuole altresì indicare che ogni azione è eticamente rilevante in positivo quando è volta alla realizzazione della persona ossia all’attuazione della sua verità. Giustizia è allora un insieme di condizioni che permettono di realizzare appieno l’umanità personale in ogni dimensione[10].

Alla giustizia, così intesa, si accompagna la carità, che non è l’occasionale beneficenza quanto il porsi responsabilmente di fronte all’altro per aiutarlo a realizzare la sua umanità. Essa è definita dalla PT come «operante solidarietà» (n. 54). Non tanto allora, come dirà più tardi Giovanni Paolo II, «un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane»[11], quanto piuttosto l’esito a livello comportamentale di una mentalità formata, temprata e voluta. La carità cristiana è la solidarietà che sa rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione[12].

L’ultimo valore proposto è la libertà. Anche in questo caso occorre superare la definizione corrente o più usata, quella che riduce questo valore al semplice libero arbitrio. Senza porre certamente in discussione la capacità e possibilità di scelta individuali, alla parola libertà si dovrà altresì collegare il dovere di perseguire il bene, ossia la capacità che l’uomo ha di comprendere la verità, di perseguirla, di sceglierla: questa è la risposta che la persona umana è chiamata a dare alla vita e agli altri uomini.

Sotto questo profilo si può ben cogliere l’attualità e l’enorme valenza educativa che da questa concezione di libertà si ricava in tema di corrispondenza e di reciprocità tra diritti e doveri. La nostra cultura, impregnata di individualismo, nella quale la giusta emancipazione di tanti soggetti e la stessa partecipazione alla vita sociale e alle risorse hanno alla fine ottenuto riconoscimento e diffusione, ha finito per dare luogo e spazio ad una forma di arroganza, capace di chiedere solo diritti senza riconoscere i propri doveri. La consapevolezza della loro corrispondenza e reciprocità induce, invece, a riaffermare con fermezza la necessità, da parte di ciascuno, di assumersi le proprie responsabilità, senza cercare scusanti nelle fin troppo facili giustificazioni che derivano dalla ormai consolidata mentalità. Avere un diritto significa avere un corrispondente dovere, ovvero una responsabilità. Se ho il diritto al lavoro ho anche il dovere di lavorare. Se ho il diritto all’assistenza ho anche il dovere di contribuire ad essa, secondo il mio ruolo e la mia posizione nella società. Reciprocità e corrispondenza dei diritti e dei doveri allargano gli orizzonti, ci fanno sentire partecipi e collaboratori, co-protagonisti della continua costruzione del mondo. Il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2003 sottolinea questa fondamentale necessità di collegamento tra diritti e doveri: i doveri – spiega il Santo Padre - sono l’ambito entro il quale i diritti non scadono nel libero arbitrio: «Un’osservazione deve ancora essere fatta: la comunità internazionale, che dal 1948 possiede una carta dei diritti della persona umana, ha per lo più trascurato d’insistere adeguatamente sui doveri che ne derivano. In realtà, è il dovere che stabilisce l’ambito entro il quale i diritti devono contenersi per non trasformarsi nell’esercizio dell’arbitrio. Una più grande consapevolezza dei doveri umani universali sarebbe di grande beneficio alla causa della pace, perché le fornirebbe la base morale del riconoscimento condiviso di un ordine delle cose che non dipende dalla volontà di un individuo o di un gruppo»[13].

Pace e bene comune internazionale

Tenendo come obiettivi di fondo la centralità della persona umana e la necessità di provvedere al suo autentico sviluppo, Giovanni XXIII si rese conto, con lungimiranza e concretezza, che di fronte a problemi internazionali occorre elaborare proposte di soluzione di eguale ampiezza e dimensioni. L’ideale della pace, infatti, è trattato nell’enciclica «Pacem in terris» in tutta l’accezione positiva che gli proviene dagli approcci biblici e teologici, ma ciò non significa che la riflessione del beato Giovanni XXIII faccia astrazione dal problema delle mediazioni istituzionali e delle trasformazioni politiche e giuridiche che si impongono affinché quell’ideale possa trovare un’efficace trascrizione storica. L’enciclica, infatti, argomenta razionalmente e politicamente sulla necessità della pace, con analisi e riflessioni sullo spreco delle risorse impiegate nella corsa agli armamenti; sulla giustizia sociale in una prospettiva mondiale; sull’interdipendenza dei popoli; sui rapporti di sfruttamento tra Nord e Sud del mondo; sulla necessità di rafforzare le Nazioni Unite; sul diritto dei popoli all’indipendenza. Da questa enciclica proviene anche un incoraggiamento alla responsabilità politica di ampio respiro, sostenuta dalla consapevolezza che la pace non è un sogno irrealizzabile, ma una possibilità oggettiva iscritta nel processo storico. In questa prospettiva desidero richiamare la vostra attenzione su due aspetti qualificanti la posizione della Chiesa sulla pace: il disarmo e la necessità di adeguati poteri pubblici mondiali.

a) Disarmo. La «Pacem in terris» lancia un monito, drammaticamente attuale anche nello scenario internazionale contemporaneo, circa la priorità che deve essere assegnata al disarmo integrale, non solo sul piano delle politiche relative agli armamenti, ma anzitutto a livello culturale: si tratta di smontare «anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità»[14].

Di fronte al rischio di una guerra nucleare, della distruzione assoluta, l’enciclica sostiene che nella nostra epoca, che si vanta di essere l’era atomica, è alieno dalla ragione considerare ancora la guerra come mezzo idoneo a restaurare i diritti violati[15]. L’enciclica segna, in tal modo, una discontinuità forte e innovativa rispetto alle riflessioni precedenti, dovuta ad una lucida e compiuta consapevolezza della novità della «rivoluzione nucleare». Giovanni XXIII si rende conto del fatto che l’equilibrio del terrore non può corrispondere all’ “insegnamento plurisecolare della Chiesa sulla pace intesa come «tranquillitas ordinis» - «tranquillità dell’ordine», secondo la definizione di Sant’Agostino” [16] e prende posizione a favore del disarmo integrale: è proprio il carattere qualitativamente nuovo della guerra nucleare, con le sue prospettive di sterminio globale, di autodistruzione del genere umano, a rendere inaccettabili il ricorso alla guerra e la stessa possibilità di continuare a considerarla nei termini di extrema ratio.

b) Poteri pubblici mondiali. Già quarant’anni fa, con lucidità e chiara preveggenza, la PT, a fronte dell’inadeguatezza degli Stati nazionali a realizzare il bene comune universale, propose la costituzione di poteri pubblici mondiali mediante un processo democratico, sulla base dei principi di solidarietà e di sussidiarietà. Tale urgenza si è fatta più pressante nell’odierno contesto di globalizzazione, in cui l’autorità degli Stati nazionali appare ancora più fragile, mentre le esigenze del bene comune universale diventano più impellenti.

Pur riconoscendo il notevole progresso compiuto, nei quarant’anni trascorsi dalla pubblicazione della PT, verso la realizzazione della nobile visione di Giovanni XXIII, non sembra meno critico, nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2003), Giovanni Paolo II. Egli scrive: «Non solo la visione precorritrice di Papa Giovanni XXIII, la prospettiva cioè di un’autorità pubblica internazionale a servizio dei diritti umani, della libertà e della pace, non si è ancora interamente realizzata, ma si deve registrare, purtroppo, la non infrequente esitazione della comunità internazionale nel dovere di rispettare e applicare i diritti umani». Poco più avanti aggiunge: “Allo stesso tempo, siamo testimoni dell’affermarsi di una preoccupante forbice tra una serie di nuovi «diritti» promossi nelle società tecnologicamente avanzate e diritti umani elementari che tuttora non vengono soddisfatti soprattutto in situazioni di sottosviluppo: penso, ad esempio, al diritto al cibo, all’acqua potabile, alla casa, all’auto-determinazione e all’indipendenza”[17].

Nell’enucleazione di una figura dei poteri pubblici mondiali sarà quanto mai indispensabile seguire le preziosissime indicazioni offerte dalla PT. Tra queste è di particolare importanza la correlazione tra i contenuti storici del bene comune universale e la configurazione e il funzionamento dei poteri pubblici mondiali. Tale questione è morale prima che strutturale. E al centro devono essere posti la famiglia umana e il bene comune universale a cui essa tende, entrambi considerati in concreto.

Il valore del bene comune universale, nella prospettiva indicata da Giovanni XXIII, deve essere il criterio ispiratore della creatività progettuale e della configurazione più pertinente dei poteri pubblici mondiali: criterio non platonico, ma unico e complesso insieme, come unica, complessa e storicamente connotata è la famiglia umana. «L’ordine morale… - recita la PT - come esige l’autorità pubblica nella convivenza per l’attuazione del bene comune, di conseguenza esige pure che l’autorità a tale scopo sia efficiente. Ciò postula che gli organi nei quali l’autorità prende corpo, diviene operante e persegue il suo fine, siano strutturali e agiscano in maniera da essere idonei a tradurre nella realtà i contenuti nuovi che il bene comune viene assumendo nell’evolversi storico della convivenza» (n. 71).

Diventa urgente, allora, determinare i contenuti del bene comune universale odierno. Guardando ad essi, è possibile intravedere quale possa essere la rete di poteri e di funzioni di cui ha bisogno il mondo. A questo riguardo vi propongo una pagina drammatica del documento del Santo Padre Giovanni Paolo II per il dopo Giubileo : «È possibile che, nel nostro tempo, ci sia ancora chi muore di fame? chi resta condannato all’analfabetismo? chi manca delle cure mediche più elementari? chi non ha una casa in cui ripararsi? Lo scenario della povertà può allargarsi indefinitamente, se aggiungiamo alle vecchie le nuove povertà, che investono spesso anche gli ambienti e le categorie non prive di risorse economiche, ma esposte alla disperazione del non senso, all’insidia della droga, all’abbandono nell’età avanzata o nella malattia, all’emarginazione o alla discriminazione sociale. [...] E come poi tenerci in disparte di fronte alle prospettive di un dissesto ecologico, che rende inospitali e nemiche dell’uomo vaste aree del pianeta? O rispetto ai problemi della pace, spesso minacciata con l’incubo di guerre catastrofiche? O di fronte al vilipendio dei diritti umani fondamentali di tante persone, specialmente dei bambini?»[18]. Considerando l’obbligatorietà etica e la dimensione storica di tali contenuti, si dovrebbe coerentemente operare la scelta di mezzi adeguati, ossia istituzioni e risorse finanziarie, ma soprattutto l’impegno morale ed educativo, comunitario ed universale. La realizzazione della pace non può prescindere, inoltre, dalla questione della tutela e della promozione della dignità e dei diritti di ogni uomo, connotate storicamente.

Nel contesto internazionale, gli Stati sono chiamati a ripensare e a ridefinire l’autorità da esercitare. A livello locale essa non viene assolutamente meno, specie rispetto ad alcune funzioni, perché i cittadini del mondo, pur godendo oggi di maggiore mobilità, sono esseri corporei, solidali con l’ambiente e con il territorio[19]. In questa prospettiva, tuttavia, riconoscendo la dipendenza dell’autorità dall’ordine morale, che si esprime concretamente mediante le esigenze storiche del bene comune universale, sarà possibile rinunciare ad una concezione ideologica della sovranità. È da considerare, piuttosto, come una realtà al servizio del bene comune universale e indispensabile per la sua realizzazione, a livello locale e mondiale. La sovranità, rispetto all’attuale assetto, può essere ridistribuita tra Stati nazionali ed eventuali entità politiche regionali o mondiali, a seconda delle necessità storiche e secondo procedure democratiche. Le Nazioni possono rinunciare liberamente all’esercizio di alcune prerogative e affidarlo ad una sovranità superiore, in vista del bene umano universale.

In considerazione di tutto questo e in ragione della difesa e della promozione del bene comune, che è universale e particolare insieme, una sovranità superiore può intervenire – secondo i principi della giustizia, della solidarietà e della sussidiarietà – nell’area di una sovranità che si esplica su un piano inferiore. Quando una sovranità nazionale, con gravi atti, come nel caso dell’eliminazione di interi gruppi etnici, religiosi o linguistici, va contro il bene fisico, morale, culturale e religioso delle popolazioni sottoposte alla propria giurisdizione, compie dei crimini contro l’umanità e contro Dio. Ciò autorizza altre autorità, specie quelle superiori, qualora esistano, all’intervento in favore dei gruppi oppressi, sulla base di regole internazionali comuni e certe. Gli argomenti della sovranità nazionale e della non ingerenza non possono essere addotti come pretesto per impedire l’intervento in difesa delle parti aggredite[20].

Pace e impegno sociale dei cattolici

Dalla PT viene un forte e pressante richiamo pastorale: la pace ha bisogno di un convinto e generoso impegno dei cristiani nella società, soprattutto dei fedeli laici. Tale richiamo è stato per certi aspetti recentemente ribadito dalla Nota dottrinale «Circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica», rivolta agli stessi cattolici dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, promulgata lo scorso 16 gennaio (con data del 24 novembre 2002, Solennità di Cristo Re).

Nella PT troviamo soprattutto l’invito a partecipare alla vita politica, il richiamo alla prudenza e alla gradualità e la sollecitazione a coltivare la spiritualità.

a) Per quanto riguarda il tema della partecipazione, la PT valorizza la fondazione teologica dell’impegno politico: i cattolici sono chiamati all’impegno nella vita pubblica per collaborare alla realizzazione del bene comune ossia ad impegnarsi nelle istituzioni affinché esse provvedano alla realizzazione (o perfezionamento) integrale delle persone. Non si tratta dunque di un impegno soltanto gestionale, ma prima ancora di un impegno culturale, da svolgere con un preciso riferimento all’«ordine soprannaturale» (PT n. 76).

L’impegno politico è per i laici un impegno che non va mai disgiunto dalla loro esperienza e vita di fede. Il richiamo della Chiesa non è, infatti, un generico invito ad elargire la propria generosità di tempo ed energie in una sorta di estemporaneo volontariato. La Chiesa, attraverso questo impegno dei laici, svolge anche la sua missione; essa, con l’assistenza dello Spirito Santo, sa discernere il giusto rapporto e dare concretezza alla reciprocità tra evangelizzazione e promozione umana. Di conseguenza, questo impegno, come sostiene la PT e la stessa Nota dottrinale sopra citata, chiede non solo buona volontà, ma anche competenze tecniche e professionali, unitamente a cospicue risorse spirituali.

In questa prospettiva, la PT indica la necessità di una formazione integrale, completa (n. 77-80), affinché l’azione sia vissuta dai cristiani nella loro interiorità come «sintesi di elementi scientifico-tecnico-professionali e di valori spirituali» (n. 78). E non è forse questo il rimedio proposto alla frattura tra la fede professata e la vita quotidiana che soltanto tre anni più tardi i Padri Conciliari stigmatizzarono come uno «tra i più gravi errori del nostro tempo»[21]? Non è questo il seme che germoglierà successivamente, in sede conciliare, quando si affermerà (anche la menzionata Nota torna a ribadirlo) che l’esperienza cristiana - e segnatamente la fede, la speranza e la carità - per chi è impegnato nel sociale, cresce nell’impegno civile? L’appello ad una formazione integrale, ad una formazione che sostenga i credenti ad alimentare la propria fede da vivere nel concreto del lavoro quotidiano e delle problematiche e vicissitudini dell’esistenza, purtroppo cade spesso nel vuoto o comunque non sa sempre trovare adeguate forme di realizzazione.

b) L’impegno sociale e politico dei cattolici deve tener conto inoltre dell’appello alla prudenza e alla gradualità (PT 85-86), così come si evince anche dalla Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede (per richiamare solo il documento più recente). Tale appello non invita certo ad assumere un atteggiamento ozioso e lassista sia sotto il profilo operativo, sia sotto quello etico-dottrinale. Si tratta di operare secondo una legge di gradualità, ma non operando una gradualità della legge. La fermezza che accompagna la difesa e la promozione dei valori cristiani si deve unire alla pazienza, al sacrificio, all’instancabilità del procedere in un lavoro culturale, di dialogo e di confronto, lento ma che, non per questo, si lascia raffreddare nella speranza, anzi sa gioire anche di piccoli ma significativi successi. Si tratta infatti di imparare uno stile dinamico, di costante e aggiornato discernimento, per poter realizzare, nel qui e ora, il miglior bene possibile.

c) L’impegno sociale e politico, l’impegno per la pace ha bisogno di uomini e di donne rinnovati dall’azione dello Spirito. Non si deve credere che la vita spirituale, alimentata soprattutto dalla fede religiosa, sia lontana o addirittura contraria all’impegno concreto per la pace. Essa, in realtà, alimenta i gesti di pace, proprio perché si alimenta dell’amore di Dio. Le situazioni cosiddette concrete non sono mai solo concrete. Esse sono il teatro di un impegno personale che ha bisogno di essere alimentato da una vita spirituale incentrata su Dio. La spiritualità cristiana è così forza primaria di conoscenza del concreto ed elemento di primo piano per la stessa soluzione di molti problemi complessi.

Il papa Giovanni XXIII, nell’enciclica Mater et magistra ricordava infatti che “Qualora si garantisca nelle attività e nelle istituzioni temporali l’apertura ai valori spirituali e ai fini soprannaturali, si rafforza in esse l’efficienza rispetto ai loro fini specifici ed immediati”. Questa osservazione vale anche per la pace. Ecco perché nella visione del Santo Padre Giovanni Paolo II le religioni hanno una importanza fondamentale e, possiamo dire, un ruolo pubblico di primaria importanza nella costruzione della pace. Esse lo possono tanto più adeguatamente svolgere, quanto più si concentrano su quanto è loro proprio: lo sguardo rivolto a Dio e la costruzione di una spiritualità di pace. L’incontro di preghiera per tutte le religioni che il Santo Padre ha promosso il 24 gennaio 2002 ad Assisi aveva questo significato. Lo stesso significato hanno avuto la Giornata di digiuno celebrata il primo giorno di Quaresima il 5 marzo scorso e lo stesso l’insistente invito del papa alla preghiera del Rosario nell’anno dedicato al Rosarium Virginis Mariae.

Conclusione

Il «compito immenso» affidato agli uomini di buona volontà dalla PT, nel capitolo conclusivo, è quello di «ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà» (n. 87). Ricomporre: ossia «ancora una volta mettere insieme». Il richiamo etimologico è quanto mai suggestivo. «sun ballon», ossia simbolo, termine che rimanda a sacramento, e dolorosamente, al suo opposto, «dia-ballon», diavolo, colui che divide. Questo sforzo di ricomposizione attraverso la mediazione culturale, il dialogo e il confronto aperto, è da vivere come un modo di essere e fare sacramento, ossia incarnare qui e ora Cristo, vivente ed operante nella Chiesa, è cercare di esprimere il Suo amore e la Sua Carità.

Vogliamo allora celebrare il quarantennale di questa importante Enciclica desiderando rinnovare la nostra coscienza del dovere che ci compete in quanto cristiani di fare della nostra vita un sacramento: la nostra vita deve diventare strumento e segno efficace della grazia di Dio. Il nostro impegno per la pace, ossia per la realizzazione di tutto l’uomo e di tutti gli uomini - «pace», l’ebraico «shalom», significa «completezza» - il nostro impegno per il rispetto della dignità umana che si esprime nel rispetto dei diritti e dei doveri, hanno una fondazione teologica e spirituale che deve essere riscoperta e valorizzata, così da diventare alimento spirituale capace di rinnovare le nostre persone nel segno evangelico della giustizia e della pace.


Note al documento di mons. Renato Martino

[1] Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, n. 2.

[2] Cfr. PT 3

[3] Cfr. Congregazione per l’Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, 30 dicembre 1988, n. 8.

[4] PT, 1

[5] Id.

[6] G. Rusconi, Come se Dio non ci fosse, Einaudi, Torino 2001.

[7] Paolo VI, Discorso all’ONU, 4 ottobre 1965, introd.

[8] PT 19 (edizioni EP)

[9] PT 20 (edizioni EP)

[10] Cfr. sul tema della giustizia: GIOVANNI PAOLO II, Dives in misericordia, nn. 4-5,7-9,12,14.

[11] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Sollicitudo rei socialis, n. 38.

[12] Cfr. Ivi,n. 40.

[13] Pacem in terris: un impegno permanente. Messaggio di Sua Santità Giovanni Paolo II per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace – 1° gennaio 2003, n. 5, Supplemento a “L’Osservatore Romano” del 18 dicembre 2002, p. III.

[14] Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, n. 61.

[15] Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, nn. 59-63.

[16] Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2003, n. 6.

[17] Giovanni Paolo II, Pacem in terris: un impegno permanente, n. 5.

[18] Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 50-51: AAS 93 (2001) 303-304.

[19] «I poteri pubblici della comunità mondiale – scrive Giovanni XXIII nella PT – non hanno lo scopo di limitare la sfera di azione ai poteri pubblici nelle singole comunità politiche e tanto meno di sostituirsi ad essi; hanno invece lo scopo di contribuire alla creazione, su un piano mondiale, di un ambiente nel quale i poteri pubblici delle singole comunità politiche, i rispettivi cittadini e i corpi intermedi possano svolgere i loro compiti, adempiere i loro doveri, esercitare i loro diritti con maggiore sicurezza» (n. 74).

[20] Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (16 gennaio 1993) n. 13, in Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Giovanni Paolo II e la famiglia dei popoli. Il Santo Padre al Corpo Diplomatico (1978-2002). Introduzione di S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi, Città del Vaticano 2002, pp. 232-233.

[21] Cfr. Cost. past. Gaudium et spes, 43.

Chiamati ad essere sentinelle della pace

Intervento del Cardinale Dionigi Tettamanzi

Arcivescovo di Milano

1. Siamo alle conclusioni: conclusioni che in realtà sono un appello a ricominciare un cammino di pace. È un cammino già certamente in atto nelle nostre comunità cristiane, ma che esige di essere reso più ampio e capillare, più condiviso e deciso.

Questo cammino può essere rilanciato oggi nella nostra Chiesa ambrosiana da alcune parole, semplici e significative.

I – La parola della gratitudine

2. La prima parola è quella della gratitudine.

La rivolgiamo, anzitutto, a Dio. Sì, è lui, il Signore, che ha ispirato e guidato questo nostro Convegno!
La rivolgiamo poi a Sua Eccellenza l’arcivescovo Renato Martino, perché ci ha aiutato a comprendere – alla luce dell’enciclica Pacem in terris – la posizione della Chiesa sulla pace. Lo ringraziamo per la ricca e articolata relazione che ci ha regalato e per averci permesso di cogliere da vicino – anche attraverso le riposte alle nostre domande – ciò che pulsa nel cuore della Chiesa ogni volta che essa parla di pace e opera per la pace.

La parola della gratitudine è per tutti e per ciascuno di voi, che siete venuti a questo Convegno e che ora ritornate alle vostre comunità e realtà ecclesiali per essere, ancora più responsabilmente, araldi e testimoni operosi del “Vangelo della pace” e intelligenti protagonisti di una continua educazione personale e comunitaria alla pace.

3. In modo del tutto particolare, il nostro grazie è per il papa Giovanni Paolo II. Lo ringraziamo per la costanza, la creatività e la tenacia con cui – lungo tutto il suo pontificato e, soprattutto, nei momenti di più forte apprensione come gli attuali – ha fatto sentire la sua voce, innalzato la sua preghiera, messo in atto iniziative concrete e coraggiose a favore della pace. Se oggi siamo qui lo dobbiamo al suo invito di fare del quarantesimo anniversario della Pacem in terris «un’occasione quanto mai opportuna per fare tesoro dell’insegnamento profetico di Papa Giovanni XXIII», come ha scritto nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno (n. 10).

In realtà, è tutto qui il senso del nostro Convegno, che abbiamo voluto per essere aiutati «a conoscere, in modo corretto e senza smagliature o unilateralismi, la posizione della Chiesa sulla pace» e, dunque, come «un momento serio di riflessione e di conoscenza della dottrina della Chiesa e delle sue concrete implicazioni» (Messaggio alla Diocesi, 11 febbraio 2003).

II – La parola della responsabilità

4. Dopo la gratitudine, la seconda parola è quella della responsabilità, ossia dell’invito rinnovato e fortificato ad assumere i nostri compiti personali e comunitari, nella Chiesa e nella società.

Ed è ancora il Papa a rivolgerci in modo sintetico, semplice, stimolante ed entusiasmante la parola della responsabilità. È una parola che ha rivolto al mondo intero lo scorso 23 febbraio, prima dell’Angelus domenicale. Dopo aver richiamato l’attenzione di tutti sul periodo di «grande apprensione» che stiamo vivendo «per il pericolo di una guerra, che potrebbe turbare l’intera regione del Medio Oriente e aggravare le tensioni purtroppo già presenti in quest’inizio del terzo millennio»; dopo aver affermato con forza che «è doveroso per i credenti, a qualunque religione appartengano, proclamare che mai potremo essere felici gli uni contro gli altri; mai il futuro dell'umanità potrà essere assicurato dal terrorismo e dalla logica della guerra»; e prima di indire per il 5 marzo una giornata di preghiera e di digiuno per la causa della pace, il Papa ha così dichiarato: «Noi cristiani, in particolare, siamo chiamati ad essere come delle sentinelle della pace, nei luoghi in cui viviamo e lavoriamo. Ci è chiesto, cioè, di vigilare, affinché le coscienze non cedano alla tentazione dell'egoismo, della menzogna e della violenza» (n. 1).

5. “Sentinelle della pace”! Sì, carissimi, è questo il “distintivo” che ci deve caratterizzare; è questo l’impegno che ci è chiesto di assumere; è questa la responsabilità che ci viene affidata e di cui dobbiamo rendere conto; è questo il contributo che ciascuno di noi può offrire alla causa della pace, animato dalla speranza che la pace dipende anche da noi, da ciascuno di noi, e non solo dai responsabili dei popoli e delle nazioni.

Siamo, dunque, tutti chiamati ad essere “sentinelle della pace”. Come tale, la sentinella rimane sempre desta, vigile, attenta a scrutare l’orizzonte e a cogliere immediatamente ogni segnale per mettere in guardia di fronte ai pericoli e per prendere, in tempo reale, le decisioni necessarie. In ordine alla salvaguardia del grande bene della pace, il suo compito – come dice il Papa – consiste appunto nel «vigilare, affinché le coscienze non cedano alla tentazione dell’egoismo, della menzogna e della violenza».

Un rinnovato decisivo rimando alla coscienza

6. Siamo così rimandati, ancora una volta, alla grande realtà della coscienza. Sì, la parola della responsabilità passa attraverso la coscienza, non può passare che attraverso la coscienza! E per la verità non c’è un rimando superiore a quello della coscienza, perché è quanto di più decisivo e di più fondamentale possa esistere. Con tale rimando raggiungiamo il cuore di ogni persona, ciò che essa ha di più sacro e che, nello stesso tempo, determina ogni sua scelta e ogni sua azione e, in tal modo, concorre a configurare nella concretezza la convivenza sociale. Quest’ultima, infatti, quand’anche fosse pesantemente condizionata da alcune strutture e situazioni, non è mai il frutto di determinismi intoccabili, ma dipende sempre, e in larga parte, dalla libertà delle persone che quelle stesse strutture e condizioni hanno contribuito a realizzare.

Sento di dover insistere, come ho già fatto in diverse occasioni in questi mesi, sulla coscienza. Questa è una realtà “universale”, che riguarda tutti e tutti interpella. Nello stesso tempo, è una realtà “personale”, personalissima, perché chiama in causa ciascuno singolarmente e nella sua unicità e irripetibilità. Essa è pure, e inscindibilmente, una realtà “etica”, in quanto attiene ai valori e li indica; è anzi una realtà “religiosa”, perché ultimamente rimanda al disegno di Dio, da lui stesso iscritto nella “natura” dell’uomo e nella realtà del mondo.

7. È molto interessante rilevare come a questa stessa realtà della coscienza rimandi proprio l’enciclica Pacem in terris, fin dalle sue prime battute. Secondo Giovanni XXIII, infatti, «la pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio» (n. 1). Ora di questo “ordine stabilito da Dio”, ossia dell’ordine morale, ogni uomo è capace di trovare le tracce dentro di sé e, quindi, di riconoscerle e di seguirle. In quanto tale – scrive ancora Papa Giovanni –, l’uomo porta scolpito in sé, quale riflesso dell’infinita sapienza di Dio, un «ordine che la coscienza rivela e ingiunge perentoriamente di seguire» (n. 3).

La conclusione si fa obbligatoria: l’ascolto della voce della coscienza è la premessa e la garanzia per edificare una pace giusta e duratura, precisamente perché la pace non può fondarsi che su quell’ordine voluto da Dio che la coscienza stessa, appunto, sa riconoscere e proporre come “imperativo categorico”. Di conseguenza, se vogliamo essere autentiche “sentinelle delle pace”, dobbiamo ascoltare e seguire la voce della coscienza. Ciò può e deve avvenire secondo i due compiti, peraltro indisgiungibili, della coscienza: quello del discernimento e quello della decisione operosa.

Una coscienza chiamata a discernere

8. Primo irrinunciabile compito della coscienza è quello del discernimento: essa è chiamata a riconoscere, secondo verità, i valori e le esigenze che sono iscritti in ogni persona umana, come pure nell’ordine sociale.

In questo senso, il giudizio di coscienza comporta di esprimere con estrema chiarezza e decisione un “sì” convinto e pieno alla pace e alle sue necessarie condizioni e, nello stesso tempo, un “no” altrettanto consapevole e determinato a tutto ciò che può turbare o distruggere la pace.

Ora il “sì” alla pace da parte di una coscienza rettamente formata ed educata è, più precisamente, il “sì” alla pace “vera”. È la stessa coscienza a dirci che la pace non è solo assenza di guerra; non è pacifismo; non è prepotenza passata in giudicato e non è un ordine esteriore fondato sulla violenza e sulla paura; non è neppure repressione e ignavia o equilibrio superficiale tra interessi materiali ed economici divergenti… Essa è, piuttosto, desiderio universale di tutti i popoli ed esigenza fondamentale radicata nel cuore di ogni uomo; è proclamazione e realizzazione dei valori più alti e universali della vita, quali la verità, la giustizia, l’amore e la libertà; è dono di Dio, affidato come compito all’uomo; è un ordine sociale fondato sulla giustizia, rispettoso dei diritti delle persone e dei popoli, progressivamente teso all’instaurazione di un’autentica solidarietà operante tra tutti.

9. Ma se vogliamo essere autentiche “sentinelle della pace”, è necessario che questo fondamentale “sì alla pace” si concretizzi in un “sì alle condizioni della pace”, che sono molteplici e non possono essere disgiunte tra di loro. Da questo punto di vista, la voce della coscienza ci ripete con insistenza che la realizzazione della pace comporta di:

·         rispettare la verità, che porta al riconoscimento, alla tutela e alla promozione dell’innata e intangibile dignità di ogni persona;

·         garantire la giustizia, che esige il rispetto dei diritti fondamentali degli uomini e dei popoli, a partire da quelli più deboli e più poveri, l’adoperarsi per sconfiggere la povertà, la realizzazione di una globalizzazione senza emarginazioni;

·         vivere l’amore, mediante la costruzione di un mondo più solidale, che elimini le disparità e operi in concreto per ridistribuire equamente non solo beni e risorse economiche, ma anche conoscenze e democrazia;

·         assicurare la libertà, favorendo in tutti l’assunzione di responsabilità e lo spirito di iniziativa, garantendo a ciascuno di non essere sottoposto a costrizioni, coercizioni e ricatti, salvaguardando il rispetto e la promozione della libertà religiosa;

·         essere disponibili al perdono e alla riconciliazione;

·         coltivare il dialogo, quale strumento e forza per affrontare e comporre i conflitti;

·         realizzare un disarmo comune e generale;

·         sostenere gli organismi internazionali, a iniziare dall’Onu, rafforzandone l’autorevolezza, la rappresentatività e la democraticità.

10. Sempre assolvendo al compito del discernimento che le è proprio, ogni coscienza che obbedisce alla verità indica con certezza assoluta il grave dovere morale di dire dei “no categorici” a tutto ciò che nega la pace, o la incrina, o la rende impossibile. Essere “sentinelle della pace” significa, dunque, dire:

·         “no” ad ogni attentato all’incomparabile dignità di ogni essere umano, a cominciare dal fondamentale diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale;

·         “no” all’egoismo personale o di gruppo;

·         “no” all’ingiustizia che non permette a ogni uomo e popolo di avere parte di quei beni culturali, economici, sociali e politici che sono destinati a tutti;

·         “no” alla accumulazione di rancori, frustrazioni e disperazione tra le persone e i popoli;

·         “no” al terrorismo, che è segno di vigliaccheria e costituisce sempre un autentico crimine contro l’umanità;

·         “no” ai regimi e alle dittature, di qualunque colore essi siano, che portano inevitabilmente alla sopraffazione e alla distruzione, anche fisica, dell’uomo;

·         “no” alla violenza, che è cosa ben diversa dal doveroso legittimo uso della forza quando questa si presenta come l’unica strada realisticamente possibile per neutralizzare l’ingiusto aggressore;

·         “no” alla guerra, «se non come estrema possibilità» per ristabilire il bene comune «e nel rispetto di ben rigorose condizioni», tra cui non «vanno trascurate le conseguenze che [la guerra] comporta per le popolazioni civili durante e dopo le operazioni militari» (Giovanni Paolo ii, Al Corpo diplomatico, 13 gennaio 2003);

·         “no” al drammatico ampliamento dei tradizionali limiti morali e legali della causa giusta per includervi l’uso preventivo della forza militare per abbattere regimi pericolosi o per affrontare il problema delle armi di distruzione di massa.

Una coscienza da educare

11. Ancora circa il compito di discernimento proprio della coscienza occorre rilevare con forza la necessità di una vera e propria “educazione della coscienza”. La coscienza, infatti, è sì qualcosa di innato e di naturale nell’uomo, ma è anche una realtà che può ingannarsi e ingannare, se non è fatta oggetto di costante vigilanza e di continua premura mediante una permanente conversione alla verità e al bene.

Ecco perché a livello personale e comunitario diventa urgente conoscere – studiandola e approfondendola nei suoi contenuti e nelle sue motivazioni – la dottrina della Chiesa sulla pace e sulla guerra, così come essa è presentata nel “Catechismo della Chiesa Cattolica” ed è contenuta nei diversi documenti della Dottrina sociale della Chiesa, in particolare nei Messaggi per la Giornata Mondiale della Pace.

È quanto abbiamo voluto fare con questo Convegno ed è quanto deve diventare parte integrante degli itinerari educativi, della catechesi e della stessa predicazione nelle nostre parrocchie e nelle diverse aggregazioni ecclesiali.

12. Non solo. È pure urgente evitare ogni emotività e, peggio ancora, ogni irrazionalità nell’affrontare i diversi problemi che, di volta in volta, si presentano all’orizzonte della storia. È piuttosto con la “freddezza” propria di chi vuole rigorosamente comprendere e razionalmente giudicare che questi stessi problemi vanno affrontati ad ogni livello, in ogni ambiente e in ogni pubblico confronto. Né ci può influenzare il giudizio degli altri: occorre essere e rimanere sovranamente liberi di fronte a chiunque, a qualunque posizione di parte, ad ogni alleanza più o meno doverosa o presunta tale, a qualsiasi accusa di parteggiare per l’una o per l’altra parte o di venire meno ad amicizie o ad appartenenze culturali.

Sì, in questa linea, essere “sentinelle della pace” comporta anche di non lasciarsi ingabbiare da discussioni culturali, più o meno pretestuose, sulla fedeltà all’Occidente e sul rapporto tra quest’ultimo, il cristianesimo e la Chiesa. Ciò che davvero deve essere determinante è il riconoscimento e il rispetto della verità e l’ascolto della voce di una coscienza che si è immunizzata da ogni forma di soggettivismo individualista o di collateralismo culturale o politico.

13. Sempre in questa stessa direzione, c’è bisogno anche di non essere passivamente acritici nei confronti dei mass media, ma di essere lucidamente attenti a individuare ogni manipolazione o strumentalizzazione della verità, che si può incontrare, per denunciarla e prenderne le distanze in modo concreto, convinto e capace di argomentare le proprie posizioni. È questo un compito che ci chiama direttamente in causa, come Chiesa e come cristiani (cfr. Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2003, n. 3).

Una coscienza che spinge ad agire

14. Insieme con quello del discernimento, c’è un altro compito che è proprio della coscienza: è il compito di decidersi e di scegliere in ordine all’agire concreto. La voce della coscienza, infatti, si presenta come un “appello”, un “imperativo”, un “dettame” obbligante che spinge ad agire, a compiere atti concreti coerenti con quanto indicato dalla coscienza stessa.

Essere “sentinelle della pace” comporta, dunque, che non ci si limiti a “parlare” di pace, ma che ci si impegni a “fare” opere di pace. Il “sì” alla pace e il “no” a tutto ciò che la inquina o la rende impossibile investe la vita concreta di tutti e di ciascuno in ogni atteggiamento e in ogni comportamento. La pace non può essere solo proclamata o gridata; la pace va fatta! Va fatta in casa, nella scuola, sul lavoro, in ogni ambiente della vita sociale, a livello politico, in ambito nazionale e in quello internazionale. Va fatta da tutti, nessuno escluso.

Essa è, certamente, opera e dovere dei responsabili delle sorti dei popoli e della nazioni: in una convivenza democratica questi devono essere costantemente sollecitati e spinti, con ogni legittima iniziativa anche di pressione da parte dell’opinione pubblica, a volere davvero la pace e a cercare tutte le strade possibili per risolvere i conflitti e per superare le ingiustizie con la “forza della ragione” e non con le “ragioni della forza”, ossia con le armi.

15. Ma la pace è anche opera di ciascuno di noi! È dunque la coscienza personale, personalissima di ciascuno di noi che ci deve “inquietare” – sì, il termine è da prendersi con la massima serietà – nella nostra insopprimibile individualità. Lo ricordava con toni appassionati Paolo VI nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1974: «Il destino della Pace dipende anche da ciascuno di noi. Perché ciascuno di noi fa parte del corpo civile operante con sistema democratico… La Pace è possibile, se ciascuno di noi la vuole; se ciascuno di noi ama la Pace, educa e forma la propria mentalità alla Pace, difende la Pace, lavora per la Pace. Ciascuno di noi deve ascoltare nella propria coscienza il doveroso appello: La Pace dipende anche da te».

Essere “sentinelle della pace” significa, allora, farsi instancabili “operatori di pace”, essere generosi, costanti, audaci e fiduciosi “seminatori di gesti quotidiani di pace”. Nessuno dica: “Tocca ai grandi della terra! Noi non possiamo fare niente! Il nostro apporto è del tutto insignificante e ininfluente!”. No, tocca anche a noi! La pace dipende anche da ciascuno di noi, è anche opera nostra, perché non c’è persona – piccola o grande, ricca o povera, semplice o dotta – che non sia in grado di porre nella storia, giorno dopo giorno, innumerevoli “gesti di pace” fatti di sincerità, di attenzione, di accoglienza, di amicizia, di cura, di impegno, di generosità, di stima per l’altro, di apertura, di sopportazione, di perdono, di amore (cfr. Colossesi 3,12-15).

La forza “politico-giuridica” del dialogo e del perdono

16. La pace va, dunque, costruita concretamente. Per fare ciò vanno messe in atto adeguate opere di pace, anche a livello sociale, istituzionale, dentro i singoli Stati e a livello internazionale. Sì, pure a questo livello è coinvolta la nostra responsabilità, certamente una responsabilità differenziata, in rapporto cioè alle varie possibilità e ai diversi compiti che abbiamo nell’ambito della vita sociale e politica.

Secondo quest’ultima direzione, mi limito a ricordare che su tutti noi grava il compito di una “conversione” culturale e, dunque, di un nuovo modo di considerare gli obiettivi, gli strumenti e i metodi dell’intervento sociale e politico a favore della pace vera, giusta e duratura.

Gli obiettivi sono la realizzazione del “bene comune universale”, un’esigenza questa che appare particolarmente urgente e indilazionabile oggi, in un contesto di crescente globalizzazione come è il nostro.

Gli strumenti per tale obiettivo sono una nuova organizzazione dell’intera famiglia umana con una reale ed effettiva “autorità pubblica internazionale”, da intendere appunto come struttura democratica al servizio del bene comune universale.

17. I metodi poi sono quelli che puntano sul dialogo e che sono capaci di coniugare tra di loro giustizia e perdono. È quest’ultimo un punto culturale, e insieme spirituale, di grande valore. Non si deve, infatti, credere che il dialogo e il perdono siano atteggiamenti validi solo nei rapporti diretti e quotidiani tra le singole persone, mentre a livello sociale, politico e internazionale non hanno alcuna rilevanza, né possono averla di fatto. Occorre piuttosto rimarcare che essi, oltre ad una indubbia valenza etica, ne hanno anche una giuridica e politica. Dialogo e perdono, in altri termini, sono – e devono essere sempre di più, anche mediante l’individuazione di corrispondenti dispositivi istituzionali – strumenti da utilizzare per l’edificazione della pace nel mondo.

Il dialogo, in particolare, va inteso e messo in atto come ricerca di ciò che è e resta comune agli uomini, anche in mezzo alle tensioni, alle opposizioni e ai conflitti; come strumento per la realizzazione del bene con mezzi pacifici; come volontà costante di ricorrere a tutte le possibili formule di negoziati, di mediazioni, di arbitrato, per far sì che i fattori di avvicinamento prevalgano sui fattori di divisione e di odio tra gli uomini, i popoli, le nazioni, gli Stati.

Anche il perdono, poi, va visto come premessa indispensabile per camminare verso una pace autentica e stabile. Come, infatti, ha sottolineato il Papa nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1997, senza un atteggiamento di sincero perdono «le ferite continuano a sanguinare, alimentando nelle generazioni che si succedono un astio interminabile, che è fonte di vendetta e causa di sempre nuove rovine» (n. 1).

18. Mi piace confermare queste considerazioni sulla rilevanza del perdono anche con la parola del carissimo cardinale Carlo Maria Martini. A lui che a Gerusalemme, nella santa e martoriata terra di Gesù, continua la sua quotidiana preghiera di intercessione, mandiamo da questo Convegno un caloroso e affettuoso saluto, sentendoci uniti da una profonda comunione.

Egli, rompendo nei giorni scorsi il “silenzio sabbatico” tenuto in questo periodo, così ha scritto su “L’Osservatore Romano” di mercoledì 12 marzo: «La pace ha un costo… Ciò significa che bisogna essere disposti a pagare un prezzo e a rinunciare anche a qualcosa a cui si avrebbe pure diritto. Non basta dunque invocare la pace: bisogna essere disposti a sacrificare anche qualcosa di proprio per questo grande bene, e non solo a livello personale ma pure a livello di gruppo, di popolo, di nazione». E più avanti aggiungeva: «Sì, la pace non può che essere frutto della giustizia, ma la pace di questo mondo non sarà soltanto il risultato di una giustizia mondana perfetta, che non si avrebbe mai nelle attuali aggrovigliate condizioni storiche, ma frutto di quella giustizia che è al momento ottenibile anche a prezzo di sacrifici e rinunce di singoli e di gruppi in vista di un bene comune più alto e condiviso. La pace perciò alla fine è opera di una giustizia che partecipa della giustizia divina, di una giustizia cioè che è anche perdonante, misericordiosa, riabilitante, capace di dimenticare i torti subiti».

III – La parola del dono

19. Dopo aver parlato della coscienza come discernimento e decisione operosa, non possiamo concludere senza un riferimento alla coscienza cristiana, illuminata dalla fede e animata dalla carità. Due sono le parole che, a questo riguardo, vorrei far risuonare. La prima è la parola del dono; la seconda è quella della missione.

È, anzitutto, quella del dono la parola che anche adesso fa ascoltare il suo messaggio in mezzo a noi. Sì, perché la pace non è un puro risultato dell’ingegno umano, dello sforzo dei politici, dei trattati internazionali e dell’impegno di tutti gli uomini di buona volontà. Tutte queste opere umane sono necessarie, ma da sole non sono in grado di assicurare una pace vera e duratura.

La pace è “dono di Dio”! È una realtà che discende da Dio, creatore della pace. Essa si realizza in pienezza in Gesù e viene comunicata agli uomini attraverso la sua croce e il suo sangue. Sì, la pace trova in Gesù la sua origine, il suo fondamento, il suo contenuto: Gesù stesso, infatti, è la nostra pace perché, con la sua morte e risurrezione, ha riconciliato gli uomini con Dio e tra di loro, inchiodando sul legno della croce il documento della nostra condanna che ci teneva lontani da Dio (cfr. Colossesi 2,14) e abbattendo il muro di separazione e di inimicizia che divideva tra loro gli uomini (cfr. Efesini 2,14-18).

20. Quanto è avvenuto una volta per sempre sulla croce, noi oggi lo ritroviamo e lo incontriamo nella storia viva e quotidiana della Chiesa e, in particolare, nell’Eucaristia, che è il sacrificio della nuova ed eterna alleanza, il memoriale della Pasqua del Signore.

La Chiesa costituisce, quindi, sulla terra il luogo, il segno e la fonte della pace tra i popoli e dell’unità di tutto il genere umano. Ed è nell’Eucaristia che ogni cristiano trova la sorgente più vera della pace, l’invito più forte ad essere operatore di pace, il luogo privilegiato di invocazione della pace, la forza più autentica per operare nell’amore, che della pace è uno dei pilastri fondamentali.

Essere “sentinelle della pace” significa allora attingere continuamente dall’Eucaristia la grazia che ci rende persone veramente pacificate e capaci di diffondere pace.

IV – La parola della missione

21. Inscindibilmente unita con la parola del dono c’è quella della missione. Sì, perché la pace è un “dono affidato agli uomini”.

Scesa come grazia e benedizione sulla comunità di coloro che hanno accolto il messaggio della Pasqua del Signore, la pace si presenta come un “compito”, come un “imperativo etico” per la Chiesa e per i cristiani. Essa va vissuta non solo dentro la Chiesa, ma anche come rapporto di amore con tutti. Accolta come uno dei frutti della vita nuova prodotta dallo Spirito Santo, deve accompagnarsi inseparabilmente con la giustizia, la verità, la libertà.

22. Questo compito va, dunque, realizzato secondo la triplice direzione che caratterizza la missione della Chiesa.

Si tratta, allora, di “annunciare” il Vangelo della pace, di annunciarlo in ogni occasione e in ogni modo, senza mai stancarsi di far risuonare il nome della pace anche quando le speranze di vederla realizzata sembrano molto ridotte o scomparse del tutto.

Lo stesso Vangelo della pace chiede di essere “celebrato”, anzitutto nel momento sorgivo e culminante dell’Eucaristia e poi, quasi come preparazione e prolungamento della stessa Eucaristia, nella preghiera, umile, insistente e fiduciosa. Sì, i cristiani non possono non credere nella “forza debole e disarmata” della preghiera: essi si distinguono e si riconoscono proprio perché sanno sempre aprire con fiducia le labbra e il cuore a invocare un intervento dall’Alto, che solo può far sperare, contro ogni speranza, in un futuro migliore e meno oscuro.

Siamo, infine, chiamati a “testimoniare” il Vangelo della pace, operando assiduamente per un’edificazione della pace nella carità che perdona e riconcilia e nella comunione vissuta nei rapporti interpersonali, in famiglia, negli ambienti di vita e nella stessa comunità cristiana. A noi, come Chiesa e come cristiani, è chiesto così di risplendere in mezzo agli uomini come segno di unità e strumento della pace.

La novità evangelica anima della nostra speranza

23. Sì, possiamo e dobbiamo essere “sentinelle della pace”! È un compito certamente impegnativo e non privo di tante difficoltà. Abbiamo però una certezza che ci accompagna e ci sostiene: non siamo soli! Non siamo soli, perché con noi c’è lo Spirito di Dio! Ed è proprio lo Spirito Santo, artefice di comunione nell’amore, il vero e principale protagonista dell’edificazione della pace. Donatoci dal Signore Gesù, lo Spirito è sempre con noi, sa vincere ogni nostra resistenza e sa renderci autentici operatori di pace.

Questa è la novità evangelica di cui siamo depositari. Di questa novità dobbiamo essere gli araldi convinti e appassionati, in dialogo sincero con tutti gli uomini di buona volontà, animati dalla certezza che questa stessa novità evangelica non è mai “contro” l’uomo, ma è sempre “per” il bene di ogni uomo e del mondo intero. Non possiamo tenerla per noi questa novità, dobbiamo comunicarla e proporla a tutti, perché tutti possano godere di quella pienezza della pace che ci è data in dono.

24. Ed è questa stessa novità evangelica, con la forza che contiene e sa sprigionare, ad animare la nostra speranza. Di questa speranza abbiamo tutti bisogno; ne ha bisogno il mondo; ne hanno particolare bisogno tutti quegli angoli della terra dove c’è ingiustizia e dove sempre più imminente sembra lo scoppio della guerra.

Con la fiducia di chi ripone tutta la sua speranza nel Signore, ci auguriamo che anche questo nostro Convegno – con le ricadute che senz’altro avrà in ciascuno di noi, nelle nostre comunità cristiane e nei nostri ambienti di vita – possa essere un “seme di pace” gettato nella nostra terra perché possa portare “frutti di pace”.

 

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Messaggio alla Chiesa e ai nostri fratelli di Bagdad dalla Caritas diocesana di Bologna

Vostra Beatitudine Patriarca Raphael,

in queste ore in cui voi e tutti i vostri concittadini, a partire dai più piccoli e dai più deboli, siete esposti alla violenza di coloro che (come in queste ore ha affermato il Santo Padre) "hanno deciso per la guerra assumendosi una grave responsabilità di fronte a Dio", vogliamo esprimervi la nostra preoccupazione per il pericolo che state correndo e assicurarvi alla nostra preghiera.
Nella modestia delle nostre persone e nei limiti delle nostre possibilità, noi, direttore, operatori e volontari della Caritas diocesana di Bologna, desideriamo fare qualcosa ed esprimiamo il vivo desiderio di renderci presenti quando i tempi e le situazioni consentissero di dedicarsi a riparare, a costruire, a rinnovare.
Da molto tempo la nostra preghiera di ogni giorno vi ricorda e vi presenta al Signore con suppliche e invocazioni, soprattutto nella celebrazione quotidiana della Divina Liturgia. Tutti, dal più piccolo al più grande, abbiamo nel cuore un grande desiderio di mostrarvi il nostro affetto fraterno. Perciò vi mandiamo questo messaggio. Vogliamo che vi sentiate avvolti dalla nostra preghiera e che ci comunichiate, se lo credete, qualche vostro desiderio.
Possiamo fare qualcosa per voi, adesso, oltre la preghiera? Sappiamo quanto la vostra comunità ecclesiale sia immersa in piena solidarietà con tutti i cittadini irakeni, al di là di ogni appartenenza di pensiero e di fede. Dunque, possiamo darvi qualche piccolo segno di affetto?
Come possiamo essere partecipi della Passione del popolo irakeno? Nessuno più di voi potrà aiutarci a interpretare e a incontrare le urgenti necessità di una popolazione già tanto provata. Dal male assoluto della guerra, voglia il Signore far scaturire la vittoria pasquale di una più grande carità fraterna e quindi il desiderio di sperimentare in termini concreti e profondi quanto è "dolce e soave che i fratelli vivano insieme".
Aspettando una vostra risposta, vi ringraziamo fin d'ora per l'occasione che vorrete darci di essere partecipi della vostra sofferenza e della vostra speranza.
A Lei, Eminente Patriarca, i sentimenti più profondi del nostro affetto figliale.
Dio la benedica. E Lei ci benedica. I suoi figli della Caritas di Bologna.

da "Il Resto del Carlino" 20 marzo 2003 p.III

Don Nicolini: 'Vi aiuteremo I volontari sono già pronti'

La Caritas di Bologna ha inviato un messaggio alla Chiesa di Bagdad, guidata dal patriarca Raphael. Don Giovanni Nicolini (foto), il direttore della Caritas diocesana, ribadisce nella lettera la condanna della guerra attraverso le parole del Papa, offre solidarietà e aiuto concreto al popolo iracheno. Ma, intervistato, fa di più. Parla di «obiezione di coscienza» per i giovani americani di fede cristiana.
Don Nicolini, lei tende entrambe le mani alla gente Bagdad e non dice una parola all'America, che pure ha sofferto e si prepara a soffrire. Perché?
«Perché credo che per noi cristiani la maniera più profonda e più concreta di capire i fatti sia sempre quella di metterci accanto ai più deboli, a chi è inerme, a chi rappresenta nel modo più completo e fedele la figura della vittima. Non ho pensato né al regime cattivo di Baghdad né agli Stati Uniti come potenza, ma ai più piccoli, ai più indifesi, che sono i prediletti del Signore. A coloro che sfuggono a tutte le logiche di potere come tutte le vittime: da Abele a Gesù».
Ma ad un giovane americano credente, cosa direbbe oggi?
«Gli chiederei se in fedeltà alle parole del Papa non ritiene di dovere fare obiezione di coscienza».
Metaforicamente o concretamente?
«Credo che sempre di più, da ora in poi, il problema sarà concreto. Le guerre non sono più scontri fra uomini in armi: oggi hanno come obiettivi la gente comune. Se l'obiezione di coscienza si è posta concretamente per i giovani che a vent'anni non volevano fare il soldato in tempo di pace, ora si ripropone in modo molto più pesante. Il Papa l'ha detto: non si tratta di guerra giusta o no, si tratta del fatto che la guerra non può essere la soluzione di un problema».».
Che cosa ha scritto alla chiesa di Bagdad?
«Che la Caritas di Bologna in queste ore è preoccupata per il pericolo che sta correndo la popolazione irachena, e che assicuriamo la nostra preghiera. Nella modestia delle nostre persone e nei limiti delle nostre possibilità, io, gli operatori e volontari della Caritas bolognese desideriamo fare qualcosa ed esprimiamo il vivo desiderio di renderci presenti quando i tempi consentissero di dedicarsi a riparare, a costruire, a rinnovare. Ho chiesto se possiamo dare qualche piccolo segno di affetto, come possiamo essere partecipi della Passione del popolo iracheno. Dal male assoluto della guerra, infine, ho chiesto al Signore di far scaturire la vittoria pasquale di una più grande carità fraterna e il desiderio di sperimentare quanto è 'dolce e soave che i fratelli vivano insieme'».
Renata Ortolani

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COMUNICATO PAX CHRISTI BOLOGNA

Pax Christi Bologna si riconosce pienamente  nella lettera che la Caritas Diocesana ha inviato al patriarca di Bagdad e ringrazia il suo direttore don Giovanni Nicolini per aver preso posizione a favore dell’obbiezione di coscienza.
Questa guerra, dice Giovanni Paolo II, non può essere la soluzione di un problema e, come tutte le guerre, le vittime sono sempre i più deboli e questo la fa essere più insensata; ricordiamo anche che nelle
ultime guerre la vittime sono, per la maggior parte, civili.
Il 12 marzo scorso è stato festeggiato S. Massimiliano, martire perché si rifiutò di prestare servizio militare per l’impero romano per servire il dio dell’amore. Proprio per questo bisogna proporre con forza l’obiezione di coscienza; perché è un atto di amore e di servizio verso i più deboli.
In questo contesto si inserisce anche il valore della nonviolenza intesa n
on come passività ma come atto d’amore e di conversione alla pace dell’avversario.
Come cristiani non possiamo non pensare alla preghiera individuale e comunitaria, per questo invitiamo tutte le persone di buona volontà
al pellegrinaggio diocesano alla Beata Vergine di S. Luca di lunedì prossimo.
Come Pax Christi raccogliamo l’invito di Mons. Valentinetti di approfondire i temi della pace del disarmo e della nonviolenza.

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Comunità monastica di Bose 20 marzo 2003

 

                Carissimi fratelli e sorelle di Pax Christi,

 

                                               la notizia dell’attacco all’Irak mi ha raggiunto mentre ero in viaggio per raggiungere questo luogo di silenzio e di preghiera con un gruppo di laici. Come tanti, anch’io ho cominciato ad essere testimone, quasi dal vivo, attraverso le notizie che si susseguivano trasmesse dalla radio, di tutti gli eventi bellici.

                So che un sentimento di delusione per gli sforzi compiuti negli ultimi mesi al fine di scongiurare la guerra e lo sconcerto per un conflitto trasmesso ‘in diretta’ ci accomunano e perciò sento il bisogno di scrivervi per condividere con voi questo momento.

                Da agosto a oggi, fin dal primo comunicato stampa in cui Pax Christi prendeva posizione contro la guerra minacciata dagli Stati Uniti d’America, voi tutti avete lavorato con coraggio e con chiarezza per denunciare quanto fosse folle, contrario alla Costituzione dello Stato italiano, alla Carta dell’Onu e soprattutto contrario al Vangelo di pace di noi credenti in Cristo, questo “nuovo” tipo di conflitto, chiamato preventivo, invece che aggressione come si usava un tempo. Nonostante cambi la terminologia, ancora una volta la logica della morte intende prevalere su quella della vita, la logica delle armi e della forza prevale su quella della debolezza e della nonviolenza, la logica dell’ingiustizia prevale, in nome di una effimera legalità, sulla logica della giustizia e della verità, la logica dell’odio prevale su quella della pace.

                Alla nostra piccola voce contro le ragioni della guerra ha dato slancio la voce di tanti altri fratelli, di altri gruppi e organizzazioni e insieme è cresciuta la nostra volontà di dire a tutti le ragioni della pace. Il Papa con grande forza e, come mai prima d’ora, ci ha spronato alla profezia e alla denuncia di questa avventura senza ritorno. La sua azione e quella diplomatica della Santa Sede sono state decise e incessanti mentre da tante chiese diocesane si è levata alta la preghiera, per invocare dal principe della Pace il dono dello Spirito Santo capace di illuminare il cuore dei potenti di questo mondo affinché recedessero dai progetti di guerra.

                Desidero ringraziare insieme con voi il Signore per questa voce profetica che è nata dal cuore stesso della chiesa e che negli ultimi mesi ha stretto ancora di più i legami di fraternità con tanti credenti delle altre confessioni cristiane, uniti per chiedere dal Signore il dono della pace e spronare gli uomini di buona volontà e percorrere i sentieri della verità, della giustizia, della libertà e dell’amore. Adesso ci sentiamo forse un po’ scoraggiati, così come è capitato ai discepoli di Emmaus, quando tutte le speranze sembravano deluse. Non è, però, il momento di abbattersi: dobbiamo continuare a lavorare avendo bene in mente tre obiettivi importanti.

1) Intensificare la nostra preghiera nelle modalità con cui ciascuno di noi sa e può fare, così come indicato nel comunicato stampa del 20 marzo.

2) Avere il coraggio di ignorare e far ignorare tutte quelle trasmissioni televisive e radiofoniche che in questi giorni ci presenteranno la guerra come un macabro spettacolo di morte con dettagli minuti  su tutte le operazioni di guerra. Questo semplice gesto di resistenza civile contribuisce al rifiuto di una cultura della morte necrofila e disperante: non dobbiamo dimenticare che noi cristiani siamo gli uomini e le donne della speranza.

3) Non disperdere ma, al contrario, raccogliere e valorizzare tutto il patrimonio di riflessione e di approfondimento sui temi della pace e soprattutto sul disarmo che negli ultimi mesi ci ha visti protagonisti, perché proprio questo è il momento in cui diventa più che mai importante educare le giovani generazioni al valore irrinunciabile della pace e approfondire la richiesta che da esse proviene per la costruzione di una società fondata sulla solidarietà e sull’amore.

                Al Signore Gesù, che nel tempo di quaresima contempliamo crocifisso, giusto morente in un mondo ingiusto, affidiamo tutte le vittime di queste ore e di questi giorni, poveri indifesi che ancora una volta muoiono in un mondo ingiusto. La nostra certezza è che Cristo vittorioso su tutte le morti presto tornerà a instaurare il suo regno di Amore, di Giustizia e di Pace.

                                                                                                                               + Tommaso Valentinetti

                                                                                                                             Presidente di Pax Christi Italia 

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Dal punto pace di Milano.

Mi gridano da Seir: "Sentinella quanto resta nella notte? Sentinella,
quanto resta nella notte?". La sentinella risponde: "Viene il mattino,
poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi,
venite!". (Is 21, 11-12)

Milano 20.03.2003

A tutti i movimenti e associazioni cristiani, istituti religiosi e missionari, ONG e gruppi della nostra città.

Carissimi SHALOM

Questa notte la guerra è iniziata. I sentimenti che viviamo sono molti. Ci sentiamo impotenti: l'inizio delle azioni militari avviene nonostante tutti i ragionamenti, gli sforzi e le mobilitazioni di questi mesi e nonostante gli appelli delle Chiese, del Papa e di tutti gli uomini che hanno gridato con lui "Mai più la guerra". Ci rendiamo conto della nostra povertà e piccolezza di fronte alla violenza e al male che colpiranno ancora tante persone. Continuiamo a credere che ognuno di noi sia chiamato a costruire la Pace e un mondo che corrisponda sempre più al disegno di Dio. Ma siamo consapevoli che la Pace è soprattutto un dono da implorare. Ora più che mai sentiamo l'urgenza di metterci in ginocchio di fronte al Dio della Pace per accogliere questo dono. Sentiamo il bisogno di chiedere insistentemente e senza fermarci, come ci sollecitava il nostro arcivescovo, la capacità di disarmare i cuori, di imparare a percorrere le strade del dialogo e della riconciliazione; lo chiediamo per noi e per l'umanità intera. Sentiamo il bisogno e l'urgenza di metterci in ascolto della Sua voce per "discernere" quali saranno, da oggi in poi, i cammini a cui la fede ci chiama; quali sentieri di conversione
personale, e di rinnovato impegno individuale, sociale e politico.
Nelle nostre Chiese, in questi giorni, si pregherà; riteniamo, però, importante che la preghiera sia continua, ininterrotta. Per questo chiediamo a voi, movimenti e associazioni cristiani, istituti religiosi e missionari, ONG e gruppi della nostra città di organizzare "insieme" uno spazio che rimanga aperto 24 ore al giorno dal quale salga a Dio una preghiera incessante. Una preghiera accompagnata dalla pratica del digiuno il cui senso e valore il Papa ha richiamato all'inizio della Quaresima. Una preghiera che duri tutto il tempo della guerra. E' uno spazio da costruire nelle forme, nelle modalità, nei
turni; sicuramente sarebbe bello pensare ad un digiuno a catena tra tutti noi che vi parteciperemo.
Come luogo pensavamo alla Chiesetta di S. Vito al Pasquirolo accanto a corso Vittorio Emanuele. I tempi sono strettissimi; proponiamo di incontrarci in via S.Antonio 5, aula Olgiati, venerdì 21 alle h 18.00 per iniziare a organizzare il tutto.
Massimo Ferè e Tomaso Zanda per Pax Christi Milano

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Appello per la pace
di Alex Zanotelli, Luigi Ciotti, Alessandro Santoro

Per mesi i signori della guerra hanno spinto per il conflitto, cercando di trovare consenso e alleanze. Ma la moltitudine delle coscienze si è risvegliata, la gente comune ha ritrovato il senso di responsabilità, è uscita allo scoperto, ha tenuto alta la testa, si è schierata dalla parte della pace.
Questi mesi hanno rivelato che i signori della guerra sono sempre più soli.
In questo momento, il più difficile dalla seconda guerra mondiale, dobbiamo ancor più di prima osare la pace. Non ci possiamo arrendere, né rassegnare.
Per questo chiediamo alle Chiese:
- di suonare a morto le campane della propria chiesa dall'inizio del conflitto per tutti i giorni del conflitto a mezzogiorno, ricollegandoci alle forti e chiare parole del papa: Mai mai mai alla guerra;
- di tenere le porte delle chiese aperte anche di notte (almeno una chiesa per ogni diocesi) perché si  continui permanentemente a vegliare e si innalzi al Signore una continua preghiera per la pace.
A tutti i costruttori di pace chiediamo:
- di accendere in ogni famiglia, in ogni casa, un lume e/o una candela, con un momento di silenzio e di riflessione sulla pace, e di esporlo alla finestra per tutta la notte;
- di continuare a esporre le bandiere della pace e invitare  tanti altri ancora a farlo;
- di boicottare la compagnia petrolifera che ha vinto l'appalto per le forniture all'esercito statunitense, non facendo rifornimento a nessuno dei distributori ESSO.
Chiediamo infine:
- a tutte le persone di inviare una lettera di protesta e di dissenso ai propri  parlamentari, dichiarando di non poter più votare la preferenza per loro, se hanno votato sì alla guerra;
- a tutti i Consigli comunali di riunirsi in seduta straordinaria nel giorno dell'attacco contro l'Iraq per deliberare il proprio no alla guerra e inviarlo al Governo.
Questi sono alcuni segni possibili per tutti, lasciamoci coinvolgere e contagiamo con i nostri gesti di resistenza anche chi ci vive accanto e chi incontriamo tutti i giorni, perché nelle nostre case, nei luoghi di lavoro, nelle nostre strade e nelle nostre chiese la voce della pace sia più forte della follia di questa guerra e di ogni guerra.
Padre Alex Zanotelli
Don Luigi Ciotti
Alessandro Santoro, prete

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Pax Christi - movimento cattolico internazionale per la pace

La preghiera per dar voce alle vittime della violenza

Nell'ora triste e drammatica della guerra non vorremmo che a parlare fossero ancora una volta soltanto le armi col loro fragore di morte.
Rinnoviamo pertanto l'invito a coloro che si riconoscono nel cammino di Pax Christi ad unirsi in queste ore ad ogni forma di protesta e di dissenso nonviolenti e vorremmo tanto che l'appello all'obiezione di coscienza raggiungesse quanti sono impegnati nelle operazioni militari o si trovano nella condizione di offrire un qualunque contributo alla guerra. Il rifiuto di obbedire agli ordini che contraddicono l'insegnamento del Vangelo e la propria coscienza (voce di Dio in noi) è radicata nell'insegnamento e nella prassi cristiana. Protestiamo vivamente per il sostegno che Parlamento e Governo del nostro paese hanno deciso di offrire alla guerra concedendo l'uso delle basi e del sorvolo. Secondo la dottrina morale "tanto è ladro chi ruba che chi para il sacco!".
Anche se le immagini che ci provengono dall'Iraq sembrano asettiche e non rendono conto della sofferenza che gli attacchi armati infliggono a tanta gente inerme e innocente, noi vogliamo schierarci con decisione dalla parte delle vittime. In nome del Vangelo della pace abbiamo sempre cercato di interpretare il dolore delle vittime e di farcene voce. Il sangue delle vite violate dalla cecità del terrorismo, come quelle annientate dalla follia della guerra ha il medesimo colore. Dal profondo di questa debolezza noi continuiamo a nutrire la speranza che i cuori dei responsabili di tanto dolore
possano convertirsi alla pace rinunciando a proseguire la guerra. Sul Golgota Cristo ha scelto con chiarezza da che parte stare e da quell'altare ha lanciato la sfida della nonviolenza. Ora quella proposta non può che divenire preghiera, supplica, impetrazione. Invitiamo pertanto i credenti a raccogliersi in preghiera individualmente o comunitariamente. Ciascuno lasci spazio alle sole parole che in questo momento di follia hanno un senso e preghi attingendo alla ricchezza
dei Salmi e della Parola di vita o secondo le forme tradizionali o frugando nella semplicità che il cuore gli detta. Ciascuno faccia salire verso Dio la propria voce sapendo che si unisce a quella di chi è sottoposto a prove indicibili e vive ore di paura. Strumento dei poveri, la preghiera dia alito alle speranze di pace.
Pax Christi Italia

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Una volta tanto l'Osservatore Romano fa centro.
Vorrei sottolineare la stretta unione tra preghiera ed impegno.
Richiama quello che scrive Arturo Paoli, dei Piccoli Fratelli di Gesù:

"Pregare prima di mettersi a tavola per delegare a Dio la responsabilità di mandare il pane a chi non ce l'ha più che una preghiera si può definire bestemmia".

Buona lotta per la pace a tutti!

Luca Paseri - Saluzzo (CN)

---- dall'Osservatore Romano del 19 marzo 2003

Disarmare i cuori

ALBERTO MIGONE

Il Mercoledì delle Ceneri è stato certamente il momento più alto e più intenso per implorare da Dio il dono della pace.
L'invito del Papa alla preghiera e al digiuno è stato apprezzato, accolto e vissuto con una partecipazione che è andata molto al di là dei confini cattolici. Ora però è giusto chiederci come è possibile viverne lo spirito nel susseguirsi dei giorni.
L'anelito alla pace, questo desiderio ardente e appassionato che ha accomunato i tanti che non vogliono "arrendersi all'odio, alla violenza, alle minacce di guerra" e che vogliono anzi essere protagonisti e non spettatori dei giochi dei potenti non deve attenuarsi.
Questa passione però necessita di un'anima, di quelle motivazioni forti che fanno pensare e agire, che convincono e impegnano. Il Papa, in una continuità ammirabile di Magistero, le ha offerte, ricordando che l'impegno per la pace non nasce in primo luogo dall'emotività o dal timore di una guerra le cui conseguenze ricadrebbero anche su di noi: la pace è un bene in sé e come tale va perseguito sempre, ad ogni costo, con decisione, ancorandolo però, a quelli che sono i suoi fondamenti: la libertà, la verità, la giustizia, l'amore. E postula anche il perdono, senza il quale non ci sarà mai vera pace. Si persegue faticosamente con il dialogo, la saggia mediazione, la ricerca costante e intelligente delle soluzioni possibili, soprattutto rimuovendo con decisione le cause che costantemente la minacciano e la rendono precaria.
La pace si costruisce sulla fatica di uomini e donne che in questi valori credono, li fanno propri, sanno trasformarli, in sé e intorno a sé, in cultura, in modo di pensare e di agire ad ogni livello. Sono i pacificatori del Vangelo. Non se ne vedono molti sulla scena della politica, ma non se ne incontrano molti neppure nei rapporti quotidiani. E qui l'invito del Papa ci costringe a guardarci dentro, a chiederci senza finzioni se sappiamo essere - meglio se siamo - operatori di pace. Non lo si diventa a buon mercato. È un disarmare il nostro cuore, un armonizzarsi dentro per vedere gli altri con occhi rinnovati dalla benevolenza. È un'opera di smeriglio interiore che costa e realisticamente impegna tutta la vita. Senza una vera continua conversione - ce lo ricorda ancora il Papa - non saremo mai autentici costruttori di pace, pur parlandone e agitandosi per essa, anche con sincerità.
Ma raggiungere la pace è difficile: lo sperimentiamo drammaticamente in questi giorni. A tratti sembra davvero che "una forza feroce il mondo possiede", che il diritto sia sempre del più forte e che gli sforzi umani non abbiano senso né prospettive. Impegnarsi allora non serve: le decisioni ultime si prendono altrove, lontano, in base a calcoli che ben poco si preoccupano dei drammi dei popoli.
Il Papa sembra cogliere questo stato d'animo e ci ricorda che per il credente la pace si costruisce ma anche si implora e propone con la forza della fede a tutti, ma particolarmente ai semplici, la preghiera e il digiuno che - se si accentuano nei tempi difficili - devono diventare atteggiamento costante, che si interiorizzano e si rinnovano continuamente per non diventare riti, soprattutto il digiuno che certo esige sobrietà nel cibo, ma che investe le parole, i pensieri, i giudizi. E che è soprattutto digiuno dal peccato.
Alcuni di fronte ad una guerra che sembra ormai inevitabile si chiedono, delusi, cosa resti della "grande mobilitazione spirituale e penitenziale" del Mercoledì delle Ceneri. Resta tanto, resta il più. Il Messaggio forte di Giovanni Paolo II, avvalorato da uno spendersi senza riserve; il convincimento di tanti cristiani ad essere sentinelle che conoscono il valore della pace e s'impegnano a costruirla e a camminare con i tanti che la amano. Resta soprattutto la certezza che, al di là delle momentanee possibili sconfitte, la solidarietà nel bene si estende e il mondo può essere cambiato. Certo alla luce della fede e con un impegno che non può limitarsi ad una sola giornata.

(©L'Osservatore Romano - 19 Marzo 2003)

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HA TELEFONATO AL PARROCO DI CESARA: «IL MIO DIO NON E´ QUELLO DI BUSH»

La voce senza speranza del vescovo di Baghdad

LA   STAMPA  20/3/2003

OMEGNA
E´ la voce di un uomo stanco quella che si sente. Don Renato Sacco alza il volume del registratore quasi a dare più forza a quelle parole che si intuisce, ancor prima di capirle, sono di una persona affranta, che ha perso ogni speranza. E´ la voce di monsignor Slamon Warduni, vescovo caldeo, ausiliare del Patriarca di Baghdad. «Se domani saremo in Paradiso pregheremo per voi - dice il prelato - se invece saremo ancora vivi pregheremo per ringraziare quanti ci sono stati vicino ed hanno manifestato contro una guerra che Dio certo non vuole». La voce di monsignor Warduni scende nel silenzio tra la gente che l´altra sera ha accolto l´invito del parroco di Bagnella, don Domenico Piatti, alla riflessione sulla Pace nei giorni della Quaresima. «Cosa farete?» chiede don Sacco al vescovo. «Staremo qui, in mezzo alla nostra gente - risponde l´ausiliario di Baghdad - se la volontà del Signore e che noi siamo vittime, accettiamo la Sua volontà». Cita poi, in latino, la frase «nelle tue mani Signore affido il mio spirito». Poi prosegue: «Qui ci sono bambini, anziani, persone innocenti che non c´entrano nulla. Il nostro compito sarà quello di restare accanto a loro, di aiutarli. La porta della nostra casa sarà sempre aperta. Ci prepariamo a morire o a sopravvivere». Non a vivere. Don Sacco ricorda come nel 1991 monsignor Warduni fosse il rettore del seminario ed anche allora dovette affrontare le conseguenze della guerra e dei bombardamenti. Aprendo il seminario alla gente che chiedeva aiuto. Il monsignor Slamon Warduni ascoltato l´altra sera a Bagnella appariva ben diverso dal combattivo vescovo visto e sentito sulle televisioni nazioni poco più di un mese fa quando venne a Roma per la nomina di un nuovo vescovo iracheno. «Si sentono abbandonati - dice con amarezza don Sacco - lo si capisce dalla voce, dalle parole. E´ stato lui a telefonarmi lunedì sera. Pensate un po´, mi ha chiesto come stavamo noi! Ho ancora il ricordo dell´accoglienza ricevuta quando, a dicembre, andammo in Iraq. Non ci eravamo mai visti prima, ma senza problemi ci diede le chiavi di casa sua come fosse casa nostra». Queste cose ieri pomeriggio il parroco di Cesara, consigliere nazionale di Pax Christi le ha raccontate agli studenti universitari della Statale di Milano che lo hanno invitato nella loro Università a testimoniare il suo viaggio in Iraq. Questa mattina le stesse cose le dirà ai ragazzi delle scuole medie di Domodossola. «Faccio mie le parole disperate di monsignor Warduni - dice don Sacco - il Dio che prega Bush non è il mio Dio. Il mio Dio è quel Gesù che invitò Pietro a rimettere la spada nel fodero». Venerdì sera a Verbania si terrà una fiaccolata per la pace e don Sacco sarà presente nuovamente con la testimonianza del vescovo di Baghdad.
Vincenzo Amato

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COMUNICATO STAMPA

S.A.E. Segretariato Attività Ecumeniche

Un forte grido di pace

Il grido di chi chiede pace si è alzato forte in questi giorni. Sono in tanti a rifiutare una guerra le cui motivazioni appaiono del tutto insostenibili – se mai per qualche guerra di sostenibili ve ne fossero. Il grido si alza dalle piazze, dove tanti hanno manifestato, e si intreccia con le invocazioni che dai luoghi di preghiera vengono rivolte al Dio della pace. Forse mai come in quest’occasione abbiamo potuto sperimentare un consenso così ampio ed intenso.
È un segno di speranza che ci interessa in modo particolare come associazione per la promozione del dialogo ecumenico. Ascoltando le diverse voci delle Chiese Cristiane siamo rimasti profondamente colpiti dalla forza che dà loro la sintonia su un tema così centrale per l’annuncio evangelico. Davvero in quest’occasione i credenti in Cristo hanno cercato di dirigere assieme i loro passi sulle vie della pace (cf.Lc.2, 79).
E di luci di speranza c’è davvero bisogno, per far fronte alle prospettive oscure che ormai si delineano dinanzi a noi. La guerra, infatti, è sempre lacerazione: di vite, di relazioni, di tutti i beni che permettono l’esistenza; è sempre violenza, che uccide – donne, uomini e bambini, militari e civili; è sempre distruzione - delle case, della terra, dell’economia. Ma questa guerra – se davvero, come sembra, sarà combattuta - sarebbe anche percepita da molti come un vero scontro di civiltà; come un tentativo di imporre con la forza la legge dell’Occidente; come la violenta affermazione di superiorità di un paese, di una cultura (forse anche di una religione) rispetto alle altre.
Le sue vittime, insomma, non sarebbero solo le tante – troppe – che segnaleranno i bollettini, o che saranno coperte da un calcolato silenzio. Ad essere drammaticamente compromesse, infatti, sarebbero anche le possibilità di convivenza su questo fragile pianeta. Ad essere strozzati sarebbero tutti quei laboratori di dialogo che, in tante parti del globo, cercano di elaborare ipotesi di pace, al di là dei conflitti.
Come associazione che proprio nel dialogo – tra le chiese, tra le religioni, tra le culture – ha il centro del suo impegno, vogliamo dunque unire anche le nostre parole al grido di pace. Vogliamo riaffermare che questa guerra è inaccettabile, nelle sue motivazioni – quelle ideali dichiarate e
quelle reali, assai meno nobili - come nelle modalità e nelle conseguenze che si prospettano. Vogliamo dire – e dirlo insieme, come credenti di diverse appartenenze – che essa è del tutto incompatibile con la fede in un Dio della pace, al cui cospetto è impossibile dichiararla giusta

Milano, 19 marzo 2003

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Vi comunico che è stato lanciato un appello al Papa in favore dell’obiezione di coscienza ad una guerra all’Iraq. La petizione, che ha raggiunto oltre 2100 firme, è on line all’indirizzo www.peacelink.it/appellopapa .

Qui è possibile firmare e stampare un volantino col testo dell’appello, per poterlo spedire direttamente al Papa. Se condividete l’iniziativa, firmate e invitate la gente a farlo. Fotocopiate il testo dell’appello, ditribuitelo, nelle parrocchie, alle manifestazioni, nelle piazze, tra gli amici, dove volete voi .. ma distribuitelo a quanti più potete.

Mandate il testo ai giornali locali, fatelo girare nelle liste in rete, chi lo può tradurre in altre lingue lo mandi anche fuori d’Italia  .. insomma inondate la terra di pace.

Coloro che hanno un sito possono pubblicare il testo dell’appello e mettere il link alla pagina dell’appello.

Sotto, potete leggere il testo dell’appello e l’elenco dei primi firmatari.

Grazie.

sr Evelina

 

Al Papa Giovanni Paolo II

siamo la voce di un popolo: tra noi vi sono cattolici che La riconoscono pastore e autorità della Chiesa; vi sono cristiani di diverse confessioni, fedeli di altre religioni e non credenti, che L’ascoltano e La rispettano come autorevole capo spirituale e morale.

Siamo in tanti: uomini e donne diversi per credo religioso e politico, per provenienza e cultura, per condizioni e scelte di vita. Ci lega un filo: non vogliamo guerre, non vogliamo questa guerra.

Temiamo che gli organi istituzionali e le diplomazie, molti Capi di Stato e politici, non abbiano la volontà o la forza per evitare un altro massacro.

Ci rivolgiamo a Lei perché chieda solennemente, ancora una volta, a governanti e governati di non fare questa guerra. Vorremmo che si levasse la Sua voce autorevole per invitare ogni uomo e donna di buona volontà a porre ad essa obiezione di coscienza. Che i parlamentari non la deliberino, che i militari non la combattano, che ogni persona, secondo le sue possibilità, percorra attivamente la strada dell’obiezione e della non collaborazione.

Le chiediamo un’affermazione semplice e univoca, che non lasci scappatoie per gli incisi e i distinguo.

Ci sentiamo accanto al popolo iracheno, che da una guerra vedrebbe solo accresciute le proprie sofferenze. Ci sentiamo accanto alle vittime di ogni guerra, di ogni terrorismo e a tutti i crocefissi della storia.

Santità, confidiamo in Lei perché si faccia voce di questo popolo. Grazie per quanto ha fatto e farà.

 

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Quarant’anni fa Lanza del Vasto fece un digiuno per tutta la durata della Quaresima per sostenere la richiesta di una parola forte, chiara, decisa, sulla Pace e la nonviolenza durante il Concilio Vaticano II. Scrisse una lettera a Giovanni XXIII per spiegare le motivazioni che lo inducevano a quel gesto. La risposta arrivò il giovedì santo: la Pacem in terris rispondeva a quasi tutte le richieste soprattutto a quella della messa al bando delle armi nucleari.
In questi 40 anni sono successe tante cose positive per merito della nonviolenza, la caduta del muro di Berlino, i movimenti popolari che nel 1989 hanno dissolto parecchi regimi autoritari, la fine della contrapposizione est-ovest. In questi ultimi tempi questa forza morale si è espressa con un popolo di pace, che, sia pure senza capi, è arrivato a decine di milioni in tutto il mondo, con le dichiarazioni nette e concordi delle confessioni religiose, senza timori per il potere costituito.
M
a la Pace è tuttora calpestata in tante parti del mondo
Abbiamo pregato, abbiamo digiunato, abbiamo marciato, ma la guerra è scoppiata in Iraq.
Non ci fermeremo! Continueremo a pregare, digiunare, marciare.
Proponiamo un digiuno a staffetta per tutta la durata di questa sciagurata guerra.
Un digiuno gandhiano, a sola acqua, per almeno un giorno alla settimana a rotazione. Chiediamo di diffondere e sostenere per quanto possibile questa azione affinché sia segno e testimonianza della verità della nonviolenza come forza della Giustizia, leva della conversione per la soluzione dei conflitti. Una nonviolenza che è stile di vita e metodo di lotta.
Proponiamo la resistenza spirituale, la preghiera incessante, il boicottaggio dei marchi coinvolti in questa guerra, l
'obiezione di coscienza e la disobbedienza civile per ogni atto che, anche nei paesi non belligeranti, contribuisce alla prosecuzione di questo ingiusto e illegittimo conflitto, cominciando a vivere in maniera più sobria e tessendo relazioni di pace e nonviolenza nel quotidiano.    
PACE FORZA GIOIA
               Movimento italiano dell’Arca di Lanza del Vasto

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Comunicato Stampa
Grido di pace

Milano, 21 marzo 2003

Questa guerra sbagliata è cominciata. Gli appelli del Papa ai contendenti non sono stati ascoltati. La responsabilità di chi ha giudicato esaurite le vie di confronto stabilite dal diritto internazionale è grande. Ora all'America, la cui storia è per noi punto di riferimento della libertà, chiediamo il coraggio e la lungimiranza della moderazione.
Più che mai vale oggi l¹invito alla preghiera del Rosario, alla penitenza e al digiuno per invocare da Dio la pace mediante la conversione del cuore. Il desiderio di pace, più che su velleitarie proteste che alimentano ulteriore odio, può essere salvato e dare frutti dentro un cammino di educazione basato sull'annuncio decisivo riecheggiato in piazza San Pietro: "Solo Cristo può rinnovare i cuori e ridare speranza ai popoli" (Giovanni Paolo II, Angelus del 16 marzo 2003). Per questo siamo col Papa e col suo giudizio.
l¹ufficio stampa di Cl

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Pax Christi Internazionale: Assistenza alle popolazioni che hanno bisogno d’aiuto e impegno per una pace giusta in Iraq e in Medio Oriente

 

La guerra in Iraq è la dimostrazione del tragico fallimento della diplomazia internazionale. Gli Stati Uniti guidano un intervento militare che ha avuto inizio senza il consenso del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e ignorando i richiami preoccupati di gran parte della diplomazia mondiale, della società civile, della Chiesa e dei rappresentanti di tante comunità religiose in tutto il mondo. In modo ecumenico è stata infatti ripetutamente condannato la politica della guerra preventiva. Non-violenza significa piuttosto risolvere il conflitto prima di arrivare ad una sua degenerazione. Il disarmo dell’Iraq avrebbe potuto essere raggiunto senza una guerra. Agli ispettori dell’ONU non è stato dato il tempo sufficiente per terminare il loro lavoro. Questa guerra è politicamente pericolosa, culturalmente insensata ed inoltre disconosce l’importanza crescente che la cultura e la religione hanno per l’identificazione politica di molte persone.

A tal proposito, altre urgenti considerazioni sono necessarie.
Prima di tutto è fondamentale ribadire che l’attacco militare deve essere portato avanti in modo tale da ridurre al minimo i danni per i civili e che la popolazione oppressa dell’Iraq dovrà tornare ad essere padrona del proprio Paese a conflitto terminato, cosa che ci auguriamo avvenga il prima possibile.
Tutte le parti in conflitto devono attenersi agli standard previsti dalla legge internazionale per il rispetto dei diritti umani.
Il comportamento delle forze alleate dovrebbe quindi attenersi a quegli standard internazionali che Stati Uniti e Gran Bretagna dicono di voler far rispettare. Questo richiede che venga usata la massima attenzione nell’applicazione di un’azione militare aggressiva. Ad esempio, l’uso di bombe di distruzione di massa dovrebbe essere vietato così come il fare oggetto di bombardamenti siti o beni di pubblica utilità. Armi già vietate dalla legge internazionale, come le armi chimiche o biologiche, dovrebbero essere allo stesso modo proibite. Un uso indiscriminato di simili armamenti minerebbe seriamente sia il valore della Convenzione sulle armi chimiche che quello delle leggi internazionali. Naturalmente, il divieto di usare armi chimiche o biologiche vale anche per l’esercito iracheno già più volte avvertito che il loro impiego sarebbe giudicato come un crimine di guerra.

Risorse sufficienti dovrebbero poi essere destinate ad affrontare le inevitabili conseguenze umanitarie di questa guerra. Tali risorse dovrebbero arrivare non solo dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti, ma anche da quegli stati che si oppongono ad una azione militare. Organizzazione inter-governative o non governative devono avere le risorse necessarie per raggiungere le popolazioni bisognose di aiuto e la possibilità di affrontare le esigenze umanitarie in Iraq e nei paesi vicini.
Qualsiasi cornice politica che scaturirà dal confronto tra l’Iraq e la comunità internazionale dovrà essere giusta e ridurre al minimo i rischi di una guerra civile. Tale processo richiederà inoltre un impegno effettivo nei confronti dei paesi confinanti con l’Iraq per assicurare e difendere anche la loro sicurezza. L’azione politica nei confronti dell’Iraq andrà poi portata avanti in tandem con un impegno internazionale che porti finalmente al raggiungimento della pace in Medio Oriente. La politica per il Medio Oriente è stata fino ad ora inconsistente, mentre un piano per arrivare ad una pace giusta e sostenibile tra Israele e Palestina diventa adesso una priorità assoluta.
Pax Christi Internazionale richiede con urgenza a tutti i governi la disponibilità ad aiutare la popolazione irachena e l’impegno per creare le condizioni per una pace giusta e duratura in Iraq e in Medio Oriente. Richiamiamo inoltre tutte le parti in conflitto affinché esse rispettino le norme internazionali sui diritti umani. Pax Christi Internazionale e le sezioni nazionali continueranno nei loro sforzi per fermare la guerra, per dare assistenza a coloro che ne hanno bisogno e nella cooperazione con persone di fedi diverse, in particolar modo Musulmane, per ristabilire la fiducia e l’amicizia tra i popoli e le nazioni.
26 Marzo 2003

(traduzione Barbara Peruzzi)

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Un postulato fondamentale di una pace giusta ed onorevole è assicurare il diritto alla vita e all'indipendenza di tutte le nazioni grandi e piccole, potenti e deboli. La volontà di vivere di una nazione non deve mai equivalere alla sentenza di morte per un'altra. Quando questa uguaglianza di diritti sia stata distrutta o lesa o posta in pericolo, l'ordine giuridico
esige una riparazione la cui misura e estensione non è determinata dalla spada o dall'arbitrio egoistico ma dalle norme di giustizia e di reciproca equità. Affinché l'ordine, in tal modo stabilito possa avere tranquillità e durata cardini di una vera pace, le nazioni devono venire liberate dalla pesante schiavitù della corsa agli armamenti e dal pericolo che la forza
materiale, invece di servire a tutelare il diritto ne divenga tirannica violentatrice. Conclusioni di pace, che non attribuissero fondamentale importanza ad un disarmo mutuamente consentito, organico, progressivo, sia nell'ordine pratico che in quello spirituale, e non curassero di attuarlo lealmente, rivelerebbero presto o tardi, la loro inconsistenza e mancanza di
vitalità. In ogni riordinamento della convivenza internazionale, sarebbe conforme alle massime dell'umana saggezza che da tutte le parti in causa si deducessero le conseguenze dalle lacune o dalle deficienze del passato; e nel creare o ricostituire le istituzioni internazionali, che hanno una missione tanto alta, ma in pari tempo così difficile e piena di gravissime responsabilità, si dovrebbero tener presenti le esperienze che sgorgassero dall'inefficacia o dal difettoso funzionamento di simili anteriori iniziative. Da Quel senso di intima e acuta responsabilità che misura e pondera gli statuti umani secondo le sante e incrollabili norme del diritto da quella fame e sete di giustizia che è proclamata come beatitudine nel sermone della montana e che ha come naturale presupposto la giustizia, da quell'amore universale che è il compendio e il termine più proteso dell'ideale cristiano e che perciò getta un ponte anche verso coloro, i quali non hanno il bene di partecipare alla stessa nostra fede (Papa Pacelli, allocuzione natalizia: punti per una giusta pace internazionale, 1939)".
Non credo sia necessario fare commenti particolari al discorso di Papa Pacelli pronunciato allo scoppio della seconda guerra mondiale (1939).
Vorrei solo fare un appello a quanti vogliono ritenersi autenticamente cristiani di riflettere e di agire di conseguenza  stimolati dall'invito di un grande Papa oggi da tanti vituperato, che proclamava linee di fede e di autentica umanità.
(don Ulisse)
Fondazione Nuovo Villaggio del Fanciullo
via 56 Martiri , 79
48100 Ravenna
tel. 0544-601111
fax 0544-61379

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DOCUMENTAZIONE
GUERRA E PACE

Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste, riunito in sessione straordinaria a Torre Pellice (Torino) il 22-23 marzo 2003, ha approvato il seguente documento:

Mai si era verificata una così vasta opposizione ad una guerra in ogni parte del mondo. Mai rifiuto della guerra aveva raccolto un consenso così unanime in chiese di ogni confessione e di ogni paese. Eppure la guerra è stata scatenata da chi ha voluto imporre una soluzione di forza umiliando le Nazioni Unite e calpestando il diritto internazionale. Di fronte a questa decisione, foriera di ulteriore isolamento per chi, avendola presa per primo, la subisce, noi riaffermiamo la nostra solidarietà con il popolo degli Stati Uniti d'America.
Non abbiamo dimenticato l'11 settembre 2001, il giorno della profonda ferita inferta a tutto l'Occidente. Così come non abbiamo dimenticato il 6 giugno 1944, il giorno di migliaia di giovani venuti a morire sulle spiagge del nostro continente per la comune libertà. E non abbiamo dimenticato le radici culturali, religiose, politiche che legano indissolubilmente i nostri due continenti. Ma proprio in base a questa solidarietà che riaffermiamo nel momento della lacerazione, vogliamo rivolgere un appello al popolo statunitense e ai suoi governanti, anzitutto a quanti fra loro accostano troppo facilmente il nome di Dio alla guerra.
Molti di voi hanno imparato dalla Bibbia, come noi, che Gesù chiama beati i mansueti, gli affamati e assetati di giustizia e coloro che si adoperano per la pace (Mt. 5,5-6.9); insegna ad anteporre al culto la riconciliazione con l'avversario (5,23-26); indica nell'amore per i nemici lo straordinario del comportamento cristiano (5,43-47). Guardatevi dunque, nel passare dall'etica individuale ad un programma politico, dal contraddire e stravolgere del tutto questo insegnamento, inventando una missione di repressione del male con l'uso della violenza preventiva, catturando dalla vostra parte un "Dio
che non è neutrale", accorciando indebitamente la distanza incommensurabile che esiste tra le nostre vie e le vie di Dio (Is. 55,9).
E al di là di ogni riferimento esplicito a Dio, vi scongiuriamo di abbandonare la strada su cui vi siete avviati. Avete dissipato il capitale di solidarietà accumulato dopo l'11 settembre infilandovi in un vicolo cieco: avete preteso di sostituire alla concertazione dei popoli l'egemonia di una potenza che decide ciò che è bene e ciò che è male, in un pericoloso
miscuglio di ideali religiosi e di interessi politici, e impone le sue decisioni con la forza.
È una via profondamente sbagliata e funesta. Essa non può che produrre una crescente instabilità e non può non avvitarsi in una spirale di guerre continue. Il dittatore iracheno è certo uno dei più sanguinari e odiosi tra quanti incatenano il loro popolo al giogo della tirannia. Ma ce ne sono altri ugualmente odiosi e forse più pericolosi. Andrete avanti per questa
strada? Fraternamente vi supplichiamo di ravvedervi, di dare ascolto alla voce delle vostre chiese che con tanta forza si oppongono a questo indirizzo, di cambiare strada, di tornare al consesso delle nazioni ripartendo dal punto in cui l'avete abbandonato, per contribuire a rifondarlo e rinnovarlo, per farne la base multilaterale e globale di una governabilità nella giustizia e perciò nella stabilità.
Nel rivolgervi questo appello siamo dolorosamente consapevoli della nostra non minore incoerenza: tutti infatti abbiamo fallito nel perseguire la pace e tutti, da questa parte dell'Atlantico come dall'altra, abbiamo contribuito a seminare nei due terzi del mondo semi di risentimento e di odio con politiche coloniali vecchie e nuove di rapina e di sfruttamento.
Possa questo senso di inadeguatezza, portato responsabilmente davanti a Dio nella preghiera, tradursi ora, per i nostri paesi e per le nostre chiese, in un serio impegno per l'Iraq: per la cessazione dei combattimenti, per l'accoglienza delle vittime, per la ricostruzione futura quando poi le armi taceranno.

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VITA O MORTE e non GUERRA E PACE!
Da Don Danilo D'Alessandro (articolo della rubrica Confusi e Felici del Domani della Calabria)
Ognuno è chiamato a dire la sua in questo contesto di popoli della pace e popoli della guerra. Certo è che la rappresentanza politica si è andata a far benedire: la ragion di stato sembra prevalere su quella di un popolo che grida un no deciso verso la guerra. Non ci si poteva aspettare altro: il movimento politico di "Forza Italia" ha scardinato un meccanismo collaudato che prevedeva la presenza capillare su un territorio dove la rappresentanza era reale e dove il parlamentare, per quanto erudito e colto, comunque aveva grandi frequentazioni con la base. La gente era invitata a riappropriarsi dello spazio politico con la partecipazione attiva alla vita sociale. Oggi le scelte vengono subite e non partecipate. In effetti porre sullo stesso piano governo e popolo italiano è giocare d'azzardo. Così è possibile studiare a tavolino la nascita di un movimento che s'impone dall'alto attraverso i meccanismi collaudati e conosciuti della comunicazione sociale.
Lo studio dei colori, del look, la figura del leader, il contorno di inni e bandiere, la convivenza pacifica e tollerante di varie "liberta" per altro parziali e riduzioniste. Una sorta di paradiso beato che vale la pena scegliere, anche perché il colore che più ti viene in mente è sempre e solamente l'azzurro. Oggi scopriamo che questo colore genera un'illusione
ottica e siamo invece avvolti in una nebbia grigia. Tutti parlano, gli specialisti in tv sembrano brandire le poltrone, un martellamento continuo che fa venire il mal di testa. Invece si muore e di questo argomento, che fa paura a tutti, sono pochi gli specialisti. Chi vede la gente morire preferisce stare dietro le quinte e non solcare i prosceni dei bontemponi
della comunicazione che combattono le loro guerre sui dati auditel. Chi vede la morte in faccia sa che l'uomo è un essere atipico, perché tutti gli esseri finiscono, mentre l'uomo muore; la morte è il finire dell'uomo accompagnato dall'angoscia: possiede la coscienza che sta per finire e prova il brivido della non esistenza. Così tutte le chiacchiere alla fine si riducono a due sentimenti fondamentali: l'angoscia di dover morire (l'essere per al morte di Heidegger), e la brama di essere sempre di più come durata ed intensità. La morte si può visualizzare in tre modi: come fatto, come dimensione, come evento. Come fatto è' qualcosa che accade, che capita, che conclude una vicenda di vita; è vissuta come qualcosa di incombente, di ineluttabile, irreversibile e sradicante. Come dimensione non è un fatto che mi aspetta alla fine, ma è un modo d'essere che porto con me; è il modo d'essere dell'essere corruttibile, è la "possibilità che non" intrinseca all'uomo (secondo il pensiero di  S. Kierkegaard).Come evento diventa tale perché vissuto con libertà e accettato dalla volontà (accettare di essere per la morte). L'esperienza dell'angoscia coscientizza la natura dell'uomo che vive alla luce di questa sua natura costitutiva; la morte così non è più un qualcosa che lo sorprende, ma un motivo di scelta durante la vita che la
rende autentica e non banale. E' chiaro allora che c'è chi la morte la porta dentro, come stile di vita, come cultura, nonostante i sorrisi traslucidi e curati. Non è più un problema di guerra o di pace, ma di vita o morte.
Qualcuno traduce l'assioma con un termine leggermente diverso: "pane e  bombe". Che assurdità! Basta cambiare i termini? Noi pensiamo che non basta, lasciate che vi spieghi perché citando un esempio di casa nostra.
Avrete letto ieri sui giornali che Franca Rame e Dario Fo hanno organizzato uno spettacolo comico sarcastico su 25 emittenti regionali per andare al di là della tv di regime e monopolizzata (che comunque hanno usato quando gli faceva comodo: vi ricordate Dove stanno i Pirenei condotto da Rosanna Cancellieri su Rai Tre qualche anno fa? Loro erano ospiti fissi). L'uomo del Mistero buffo, che consigliava l'aborto come pane e mortadella oggi viene a parlare di pace, lui che il capodanno se lo passa con principi e marchesi e poi durante l'anno fa la critica ai borghesi, lui che diceva che è meglio togliere il crocefisso dalle aule perché a noi basta lo stoccafisso. Questi liberatori della cultura imprigionata, questi salvatori della tv irreggimentata vengono a cavalcare da cavalieri grigi i cavalli bianchi della pace, a strumentalizzare il movimento della pace per creare una televisione "alternativa" cercando consensi e convincendo a consorziare gli acquisti per essere più potenti e avere più mezzi (per creare una TV che certamente dovranno dirigere loro). Un po' come fanno alcuni politici oggi, che trovandosi sguarniti vanno a raccogliere consensi fra il popolo della pace. Guai a farsi strumentalizzare. Meglio morire.

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INTRODUZIONE

"O Signore, non abbandonarmi; Dio mio, non allontanarti da me; affrettati in mio aiuto, o Signore, mia salvezza!" (Salmo 32, 21-22)

Gesù dice: "Io pregherò il padre, ed Egli vi darà un altro consolatore perché stia con voi per sempre, lo Spirito della verità" (Giovanni 14, 16-17)

Care sorelle e cari fratelli,
sta avvenendo ciò che temevamo e che avremmo voluto - in tutti i modi - evitare. La guerra in Iraq si sta trasformando in una carneficina e nessuno, oggi, si azzarda più a definire i tempi entro i quali questo massacro potrà aver fine.
Abbiamo perciò pensato di inviarvi immediatamente alcuni, brevi, documenti che ci hanno aiutato - e potranno aiutare le nostre chiese - a nutrire la propria riflessione.
Anzitutto il documento del Sinodo straordinario votato ieri, che è stato al centro di un ampio dibattito.
In secondo luogo un testo che veniva riportato sul nostro lezionario venerdì 21 marzo. Si tratta di un passo tratto dal Diario di Etty Hillesum, giovane ebrea credente morta ad Auschwitz. Etty, a 27 anni, scelse - mentre personalmente poteva salvarsi - di seguire la sorte della sua famiglia e del suo popolo votati allo sterminio. Da Amsterdam, città in cui viveva, venne trasferita a Westerbrok (campo di smistamento che costituiva per gli ebrei olandesi l'ultima stazione di transito prima di proseguire per Auschwitz-Birkenau). La sua è una testimonianza di altissimo valore spirituale che, chi volesse, può leggere nel suo diario edito in Italia da Adelphi.
Ancora vogliamo condividere con voi la lettera di un carissimo amico delle nostre chiese, il pastore Duncan Hanson, responsabile dei rapporti internazionali della Chiesa Riformata degli Stati Uniti. Duncan, che ha ricoperto negli scorsi anni lo stesso incarico per la Chiesa Presbiteriana negli USA, ci ha fatto trovare questa e-mail venerdì mattina. Per noi (membri della Tavola, dipendenti degli Uffici, Commissioni d'esame, Comitato CIOV) riuniti a inizio giornata per l'ascolto di una parola biblica, è stato un segno di comunione importante. Le parole del Salmo e di Giovanni, riportate all'inizio di questa circolare, erano anch'esse poste alla nostra riflessione quella mattina del 21 marzo, primo giorno di primavera e inizio di questo conflitto.
Riportiamo, poi, l'editoriale dell'ultimo numero del NEV Le "ragioni di Dio" a cura del prof. Fulvio Ferrario e il testo della dichiarazione, appena giuntaci, dell'Alleanza Riformata Mondiale, la quale conta al suo interno 218 Chiese Riformate, Presbiteriane e Congregazionaliste in 107 diversi Paesi del mondo.
Infine, vi proponiamo il testo della preghiera del Consiglio delle chiese Cristiane di Milano (anglicana, cattolica, copte, ortodosse, protestanti, veterocattolica).
Crediamo e speriamo che questi modesti contributi possano essere motivo di stimolo per tutti voi.
La prossima settimana contiamo di inviarvi una nuova circolare con le risultanze del Sinodo straordinario sugli ospedali CIOV e con gli atti delle sedute Tavola ormai imminenti.

Con viva fraternità e affetto,
Gianni Genre



"VI SCONGIURIAMO DI ABBANDONARE QUESTA STRADA"

Sull'attuale conflitto in Iraq, il Sinodo straordinario si è espresso con il seguente atto:

Art. 19 - Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste, riunito in sessione straordinaria a Torre Pellice il 22-23 marzo 2003, approva il seguente documento:

Mai si era verificata una così vasta opposizione ad una guerra in ogni parte del mondo. Mai rifiuto della guerra aveva raccolto un consenso così unanime in chiese di ogni confessione e di ogni paese. Eppure la guerra è stata scatenata da chi ha voluto imporre una soluzione di forza umiliando le Nazioni Unite e calpestando il diritto internazionale. Di fronte a questa decisione, foriera di ulteriore isolamento per chi, avendola presa, per primo la subisce, noi riaffermiamo la nostra solidarietà con il popolo degli Stati Uniti d'America.
Non abbiamo dimenticato l'11 settembre 2001, il giorno della profonda ferita inferta a tutto l'Occidente. Così come non abbiamo dimenticato il 6 giugno 1944, il giorno di migliaia di giovani venuti a morire sulle spiagge del nostro continente per la comune libertà. E non abbiamo dimenticato le radici culturali, religiose, politiche che legano indissolubilmente i nostri due continenti. Ma proprio in base a questa solidarietà che riaffermiamo nel momento della lacerazione, vogliamo rivolgere un appello al popolo statunitense e ai suoi governanti, anzitutto a quanti fra loro accostano troppo facilmente il nome di Dio alla guerra.
Molti di voi hanno imparato dalla Bibbia, come noi, che Gesù chiama beati i mansueti, gli affamati e assetati di giustizia e coloro che si adoperano per la pace (Mt 5,5-6.9); insegna ad anteporre al culto la riconciliazione con l'avversario (5,23-26); indica nell'amore per i nemici lo straordinario del comportamento cristiano (5,43-47). Guardatevi dunque, nel passare dall'etica individuale ad un programma politico, dal contraddire e stravolgere del tutto questo insegnamento, inventando una missione di repressione del male con l'uso della violenza preventiva, catturando dalla vostra parte un "Dio che non è neutrale", accorciando indebitamente la distanza incommensurabile che esiste tra le nostre vie e le vie di Dio (Is 55,9).
E al di là di ogni riferimento esplicito a Dio, vi scongiuriamo di abbandonare la strada su cui vi siete avviati. Avete dissipato il capitale di solidarietà accumulato dopo l'11 settembre infilandovi in un vicolo cieco: avete preteso di sostituire alla concertazione dei popoli l'egemonia di una potenza che decide ciò che è bene e ciò che è male, in un pericoloso miscuglio di ideali religiosi e di interessi politici, e impone le sue decisioni con la forza.
È una via profondamente sbagliata e funesta. Essa non può che produrre una crescente instabilità e non può non avvitarsi in una spirale di guerre continue. Il dittatore iracheno è certo uno dei più sanguinari e odiosi tra quanti incatenano il loro popolo al giogo della tirannia. Ma ce ne sono altri ugualmente odiosi e forse più pericolosi. Andrete avanti per questa strada? Fraternamente vi supplichiamo di ravvedervi, di dare ascolto alla voce delle vostre chiese che con tanta forza si oppongono a questo indirizzo, di cambiare strada, di tornare al consesso delle nazioni ripartendo dal punto in cui l'avete abbandonato, per contribuire a rifondarlo e rinnovarlo, per farne la base multilaterale e globale di una governabilità nella giustizia e perciò nella stabilità.
Nel rivolgervi questo appello siamo dolorosamente consapevoli della nostra non minore incoerenza: tutti infatti abbiamo fallito nel perseguire la pace e tutti, da questa parte dell'Atlantico come dall'altra, abbiamo contribuito a seminare nei due terzi del mondo semi di risentimento e di odio con politiche coloniali vecchie e nuove di rapina e di sfruttamento.
Possa questo senso di inadeguatezza, portato responsabilmente davanti a Dio nella preghiera, tradursi ora, per i nostri paesi e per le nostre chiese, in un serio impegno per l'Iraq: per la cessazione dei combattimenti, per l'accoglienza delle vittime, per la ricostruzione futura quando poi le armi taceranno.



"LA STORIA, PURTROPPO, SI RIPETE"

Pensiero di Etty Hillesum

Mio Dio sono tempi tanto angosciosi… Cercherò di aiutarti affinchè tu non venga distrutto dentro di me. L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati degli uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali, ma anch'esse fanno parte della vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare noi responsabili. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difender fino all'ultimo la tua casa in noi.


"L'AMERICA DELLA PACE "

Riportiamo la lettera che ci ha inviato il past. Duncan Hanson dall'America

Cari amici,
provo una profonda tristezza mentre vi scrivo di prima mattina dopo l'inizio dei conflitti nel Golfo Persico. Chiaramente il mio Paese ha fallito miseramente in ogni tentativo di trattare con l'Iraq e con i partner internazionali. Il risultato è che persone innocenti verranno uccise, le relazioni internazionali si sono polarizzate e l'ONU è stato fortemente indebolito, forse in maniera irreparabile.
Alcuni di voi mi hanno scritto via e-mail per chiedere cosa stiamo facendo nel nostro Paese. Negli Stati Uniti, penso che quasi tutti siano turbati nel vedere il loro Paese di nuovo in guerra. Anche coloro i quali ritengono di poter giustificare questa guerra provano almeno un senso di disagio. Quelli che, come noi, si oppongono alla guerra stanno pensando, ora, come meglio spiegare le loro preoccupazioni ai loro concittadini. Siamo incoraggiati dal fatto che quasi ogni Chiesa in questo Paese, inclusa la Chiesa Riformata e quella Presbiteriana, così come quasi ogni associazione religiosa ebraica e musulmana, si sono espresse contro questa guerra. Le Chiese lavoreranno insieme per recare aiuti medici e rifornimenti a coloro che soffriranno a causa di essa.
Più vicino a casa, a New York City, proprio mentre stiamo assistendo all'insorgere della violenza nel Golfo Persico, ci si sta preoccupando per la crescente possibilità di un nuovo attacco terroristico.
Ognuno qui a New York si sta organizzando personalmente per evitare di diventare una vittima del terrore. Ci sono polizia e soldati, i più muniti di armi automatiche, alcuni con rivelatori batteriologici e chimici, ad ogni entrata della metropolitana e nei punti più importanti di collegamento, così come alla Penn Station e alla Grand Central Station e fuori dai principali edifici.
Stamani la mia metropolitana, che viaggia dal Sud al Nord di Manhattan, era piena solo per metà, a testimoniare il fatto, ritengo, che una parte dei miei concittadini non considera più sicuro viaggiare in metropolitana.
Ovunque viviamo, sono sicuro che si sta tutti pregando per un ritorno veloce alla pace e per un nuovo impegno da parte degli Stati Uniti e delle altre nazioni a vivere all'interno delle regole della legge internazionale.
Sappiate che faccio tesoro della vostra amicizia e che per voi pregherò durante questi giorni difficili.

Duncan Hanson


"LE RAGIONI DI DIO"
 di Fulvio Ferrario

Dio dev'essere imbarazzato, dicono alcuni, tirato in ballo da islamici e cristiani, apostoli della guerra santa, della nuova crociata (Bush l'aveva detto, dopo l'11 settembre, che si sarebbe trattato di una crociata) e pacifisti più o meno radicali.
Che la fede cristiana sia un messaggio di pace è affermazione che rischia di essere banale: non lo è, purtroppo, perché c'è chi sostiene il contrario: e allora bisogna ribadirlo. Lo hanno fatto tutti, il papa, il Consiglio ecumenico, le chiese americane e quelle di tutto il mondo. Se però si vuole che l'appello non sia ideologico e non nomini invano il Nome di Dio, esso dev'essere formulato in termini cristianamente maturi, il che significa anche politicamente responsabili.
Quanti si oppongono al pacifismo radicale hanno ragione di dire che l'uso della forza fa parte degli strumenti che possono essere necessari per tutelare la sicurezza dei più. Non si tratta di contrapporre schematicamente il richiamo alla pace e la possibilità dell'uso delle armi: in tal modo le ragioni della Realpolitik oltrepassano inesorabilmente gli appelli che vorrebbero essere etici, condannandoli alla sterilità. Lutero ha insegnato (a chi ha voluto ascoltarlo, certo) che la politica ha la sua autonomia, voluta da Dio per tenere sotto controllo il male nel mondo. Questo significa anche che nessuna guerra è "santa": nel migliore dei casi si tratta di una scelta profana per ottenere pace e sicurezza in futuro. La fede cristiana si esprime in questi casi come appello alla ragione politica.
La guerra di Bush è la morte della politica, dell'ONU, della concertazione internazionale. Non è barbara solo perché ucciderà i bambini (anche la guerra di liberazione contro il nazifascismo lo ha fatto ed era necessaria), ma perché distrugge le basi della ragionevole (precaria, violenta, contraddittoria, ma necessaria) convivenza internazionale. Lo fa citando la Bibbia, in quell'atteggiamento che Lutero chiamava "fanatismo" e che consiste appunto nel condurre al corto circuito la laicità della politica confondendo cielo e terra. Mai come ora, le "ragioni di Dio" si proclamano difendendo la laicità della politica.


DICHIARAZIONE DELL'ALLEANZA RIFORMATA MONDIALE

Esprimiamo oggi la nostra profonda tristezza e il nostro rammarico: rammarico che la forza dell'opinione pubblica internazionale non abbia, alla fine, dissuaso il governo degli Stati Uniti e i pochi suoi alleati dall'imbarcarsi in una guerra che recherà sofferenza, miseria e morte a migliaia di persone in Iraq e, forse, altrove.
Ribadiamo il nostro punto di vista, espresso il 21 Febbraio e condiviso da numerosi Riformati e da altre Chiese nel mondo, che questa guerra, intrapresa addirittura senza l'autorizzazione dell'ONU, è immorale e illegale. Per usare un termine tradizionale, è peccato.
Condanniamo senza riserve questa guerra di aggressione e condanniamo la mentalità unilaterale e imperiale che soggiace ad essa. Nessuna nazione, per quanto potente, può agire sulla piattaforma mondiale come più le piace. Né può trattare con disprezzo le opinioni dei suoi cittadini.
Un mondo unipolare in cui una superpotenza ci offre di scegliere di essere con essa o contro di essa è moralmente e politicamente inaccettabile. Ricordiamo al Presidente George W Bush e al suo governo che la voce del Vangelo è quella di essere per o contro Gesù Cristo.
Ci congratuliamo con la maggioranza dei governi rappresentati nel Consiglio di sicurezza dell'ONU per il loro rifiuto a farsi largo con la forza, a farsi corrompere o intimorire nel supportare la guerra e ci appelliamo all'Assemblea generale dell'ONU per discutere quanto prima questo aperto e sfrontato dileggio della legalità internazionale.
La sfida che oggi il mondo e i governi si trovano a dover fronteggiare è quella di riaffermare l'autorità dell'ONU e i vincoli della Carta delle Nazioni Unite. Chiediamo che gli Stati aggressori cessino i loro attacchi immediatamente.
Il compito che le nostre Chiese debbono affrontare, ora più che mai, è quello di pregare e far sentire le loro voci di protesta. Possa Dio avere misericordia di noi tutti.


PREGHIERA DEL CONSIGLIO DELLE CHIESE CRISTIANE DI MILANO

Signore Dio e nostro Padre!

Noi cerchiamo la pace pur piegati dal peso di colpe nascoste in fondo alla coscienza di ciascuno.
Noi cerchiamo la pace pur incalzati da avversari creati da antiche paure.
Noi cerchiamo la pace pur contraddetti dalla storia che ci raggiunge con l'eco di conflitti distruttivi.

Quante sicurezze hanno diffuso disperazione e morte!
Quanti progetti hanno ostacolato il cammino delle creature!
Quanti inganni hanno trafitto la coscienza umana!

Lontano da noi, come le stelle dalla terra, ci appaiono i luoghi di pace.
Lontano da noi, come il sogno dalla realtà, ci sembra il futuro di pace.
Lontano da noi, come la bontà dall'ira, sentiamo la realizzazione dello shalom.

Vogliamo, Signore, scoprire esperienze di pace come la donna trova la moneta smarrita.
Vogliamo intravedere il giorno in cui il lupo e l'agnello dimoreranno insieme come nella visione del profeta.
Vogliamo l'umanità liberata da ogni inganno per intraprendere un cammino nuovo.

Ti preghiamo, Padre, aiutaci a raccogliere nel vasto campo dell'umanità, come fiori fra l'erba, le decisioni di pace.
Ti preghiamo, donaci l'ingenua sapienza della fede, che crede possibile spostare i monti dell'odio.
Ti preghiamo, donaci il tuo Spirito perché in noi si sprigioni la forza che diffonde la tua pace.

Soltanto così saremo figli tuoi beati, operatori per lo shalom di ogni popolo.
Per l'amore di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore. Amen

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La pace e le piccole "guerre" quotidiane.

 Riflessione del Consiglio Pastorale Diocesano

 Mentre il Papa lancia accorati appelli per la pace e lavora instancabilmente per fermare la guerra contro l'Iraq, i Vescovi della Conferenza episcopale triveneta si rivolgono ai cristiani e alle comunità cristiane affinché ognuno si impegni per la causa della pace nei luoghi e negli ambienti nei quali vive e opera. Il Consiglio pastorale diocesano intende unirsi a queste voci e invita a dire no alla guerra e sì alla pace come un dono di Dio da accogliere e condividere nello spirito di Cristo: "Egli infatti è la nostra pace" (Ef. 2,14).

 1. Osserviamo anzitutto che il no alla guerra ha già prodotto nel mondo cattolico un piccolo miracolo. Infatti sotto lo stesso vessillo del rifiuto di un nuovo conflitto in Medio Oriente si ritrovano oggi movimenti, gruppi e associazioni che proprio in riferimento alla guerra, in tempi passati, avevano posizioni diversificate. Segno che sta maturando nei cattolici una nuova coscienza che dice no alla guerra e sì alla ricerca di strumenti alternativi per risolvere problemi e  conflitti internazionali, condividendo questo impegno con tutte le persone di buona volontà, credenti e non credenti.

 Per costruire la pace non basta dire no alla guerra, è urgente progettare un nuovo ordine economico, politico e giuridico internazionale più giusto ed equo. La pace non è soltanto assenza di guerra. E' anche giustizia, rispetto dei diritti umani, banco di prova quotidiano dei principi e dei valori nei quali crediamo. Va bene, quindi,  parlare e magari gridare con forza in nome della pace, sventolare  bandiere di pace, manifestare e digiunare per la pace. Guai però se dimentichiamo che la pace svetta sì in alto, nei cieli dell'utopia, ma affonda in basso, nella terra del nostro cuore, il suo tronco e le sue radici.

2. Il cuore umano è spesso una sorgente di acqua inquinata, non per una originaria natura malvagia, ma perché la libertà si è consegnata al peccato e il peccato, coagulandosi da gesto in abitudine, è diventato storicamente un torrente e un fiume che tutto travolge.

 Ma Dio, con un'impensabile iniziativa di amore, ha trasformato il cuore degli uomini. In Cristo ha  ha riconciliato a sé i peccatori e ristabilito la comunione infranta. Il cuore è stato riportato alla sua vocazione e potenza originaria, a ritrovare quella libertà che si era, per così dire, perduta. Non è forse questo il messaggio del vangelo? Gesù siede a tavola con i peccatori: è l'annuncio del Regno. A partire da questo annuncio, con la forza dello Spirito Santo, le persone possono ritrovare la libertà e diventare nuovamente soggetti liberi e responsabili di sé, degli altri e del mondo.

3. Alla sequela di Gesù come cristiani siamo chiamati a sedere ogni giorno a tavola con le persone che sbagliano, ci logorano, ci pestano i piedi, ci tagliano la strada, ci tolgono il respiro, a volte ci feriscono. E' in queste persone che Dio ha rivelato e nascosto la sua gloria (Gv 1,14). Non è dunque con persone ideali, perfette, immaginarie, che siamo chiamati a vivere, ma con persone reali, in carne ed ossa, che abitano la stessa casa, lavorano nello stesso ufficio, fanno parte della stessa comunità. A volte è più facile sognare o scendere in piazza a manifestare per la pace che vivere accanto a persone sicure di sé, "senza se e senza ma", o vicino ad altre che al contrario sono sempre piene di dubbi, di "se" e di "ma".  

 Diciamo allora che la pace, più che un’utopia e una realtà è un simbolo reale. In quanto reale chiama in causa la nostra vita, la nostra libertà. In quanto simbolo riproduce e anticipa, in miniatura, le strutture esistenziali che presiedono a ogni rapporto interpersonale, dalla conversazione familiare, all'impegno sociale e politico, alle relazioni internazionali. La paura della guerra che minaccia oggi il mondo non è di qualità diversa dalla paura che ci rende spesso aggressivi in famiglia o per la strada. E il peso delle tensioni che gravano sul rapporto Nord-Sud è già rappresentato e aggravato dall'intolleranza con cui difendiamo le nostre idee o il nostro piccolo superfluo.

4. E' dunque a partire dal quotidiano, dalle piccole "guerre" e "vittorie" di ogni giorno, che siamo chiamati a dire:

- no ad ogni pensiero, desiderio o progetto di violenza;

- no ad ogni parola violenta, volgare od offensiva;

- no ad ogni atto o forma di aggressività e illegalità;

- no ad ogni omissione di soccorso e di aiuto agli altri;

- sì ad ogni pensiero, desiderio e progetto di cooperazione;

- sì ad ogni parola di scusa, di incoraggiamento, di perdono;

- sì ad ogni iniziativa in difesa della giustizia e dei diritti umani;

- sì ad ogni manifestazione di solidarietà, di fraternità, di pace.

5. Questo è il messaggio evangelico della pace, alla luce del quale è costante l’insegnamento e l’invito della Chiesa all’impegno ad essere costruttori di pace. Con queste premesse ci sentiamo di dire con chiarezza:

-         no alla guerra come mezzo di confronto e di soluzione dei conflitti, sia all’interno che tra gli Stati, come indica la Costituzione italiana per la quale “L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”; in particolare no alla guerra contro l’Iraq, che non trova giustificazione etica, cercando invece soluzioni internazionali al problema del popolo iracheno;

-         no alle tante guerre attualmente in atto e troppo facilmente dimenticate, lasciando intere popolazioni in balia di soprusi e ingiustizie, a volte solo per consentire ricchi mercati al commercio delle armi; in particolare no alla guerra che sta martoriando i luoghi santi della cristianità in una spirale di ritorsioni senza uscite;

-         no a qualsiasi forma di violenza e di terrorismo, che offende in modo irreparabile la dignità umana; no ai tanti messaggi di violenza trasmessi con incessante insistenza da televisioni e dagli altri mezzi di comunicazione;

-         si al ruolo dell’ONU come organismo di composizione dei conflitti internazionali, di garante delle libertà fondamentali, del diritto internazionale e della democrazia e costruttore di pace in grado di prevenire e di bloccare i conflitti armati;

-         si ad un ruolo di pacificazione dell’Italia che contribuisca a determinare una posizione più unitaria dell’Europa nell’impegno per la pace;

-         si ad una politica di riconversione delle industrie del nostro Paese che producono armi, per non essere più tra i principali esportatori di armi;

-         si ad un ruolo di pacificazione della Chiesa, attraverso l’educazione alla legalità perché la pace sia fondata sulla giustizia.

 Ai governati, ai parlamentari, agli amministratori locali chiediamo un impegno deciso per evitare qualsiasi coinvolgimento dell’Italia in questo nuovo conflitto e per contribuire a definire un ruolo positivo dell’Italia nella costruzione della pace fondata sulla giustizia.

 Ai cristiani chiediamo di diventare, anche attraverso la preghiera ed il digiuno, operatori di pace, a partire dalle piccole controversie quotidiane, per creare un clima ed una cultura di dialogo e di solidarietà.

 E’ questo il contributo che la nostra comunità diocesana si impegna a dare per la pace.  Lavorare il "cuore" delle persone affinché ne sgorghi una nuova prassi, un nuovo stile di vita, che aiuti ad essere e sentirsi liberi dalla violenza e dalla paura, attenti e impegnati nella costruzione di un nuovo ordine economico e politico mondiale più giusto ed equo, disponibili e pronti a vivere, a educare e magari inventare nuove forme nonviolente di risoluzione dei conflitti

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Appello dei capi delle Chiese Cristiane in Iraq
26/3/2003

"Noi, responsabili delle chiese cristiane in Iraq, in questi giorni difficili e terribili che attraversa la nostra patria, l'Iraq, lanciamo dal profondo dei nostri cuori, in unione con tutti gli uomini di buona volontà e con quelli che amano la pace, un appello ai responsabili, affinché ascoltino la voce di Dio, che comanda ai suoi figli l'amore, la fratellanza e il perdono, affinché non siano la causa di distruzione, di versamento di sangue, dell'aumento degli orfani, degli handicappati e delle vedove, per arrivare soltanto al loro proprio interesse personale ed egoista.
Che i responsabili di quest'aggressione al popolo iracheno ascoltino il pianto dei bambini, il grido delle madri e dei padri sofferenti e la disperazione delle ragazze e delle donne, che sentano la sofferenza di tutti gli iracheni a causa della mancanza di medicine e di tutto il necessario per la vita e che cessino di mandare missili e bombe, sedendo intorno al tavolo per il dialogo; possano chiedere al Signore l'illuminazione per seguire i principi celesti, i diritti dell'uomo e i valori morali e umani, sapendo giudicare ragionevolmente, per trovare le vie che garantiscano la cessazione immediata della guerra, affinché si realizzi la pace desiderata e duratura. 
Ci sono ancora tante vie e molti mezzi per arrivare alla soluzione dei problemi mondiali, attraverso il dialogo e la comprensione, affinché tutti vivano una vita tranquilla e pacifica.
Noi responsabili delle Chiese cristiane,  insieme con i nostri fratelli musulmani in Iraq, dove viviamo insieme con amore e carità fraterna da centinaia di anni in questo paese pacifico, ringraziamo tutti quelli che lavorano per fermare l'aggressione contro di noi, e chiediamo di continuare la preghiera e l'opera assidua per influenzare quelli nelle cui mani sta la decisione della cessazione di quest'aggressione ingiusta sul nostro martoriato popolo, causa della morte di bambini, vecchi, donne, malati, mentre i nostri giovani al fronte devono difendere con lealtà la loro patria".
Agenzia  MISNA

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1. IRAQ: LA CARITAS SI MOBILITA IN TUTTA ITALIA

Per questa nuova emergenza la rete internazionale della Caritas, da tempo in allerta, si è subito mobilitata e continua ad operare in modo coordinato in Iraq e nei Paesi limitrofi. Caritas Italiana ha già stanziato 150mila euro mentre Caritas Bologna continua a promuovere la raccolta di fondi anche attraverso i propri conti correnti. Riportiamo di seguito le notizie (spesso molto dettagliate ma, ci sembra, interessanti) che quasi giornalmente arrivano in Caritas Italiana dalle zone del conflitto.
Per sostenere gli interventi in atto (causale: “Emergenza Iraq 2003”) si possono inviare offerte:
alla Caritas Italiana tramite:
- c/c postale n. 347013
- c/c bancario n.
5000X34 - ABI 05696 - CAB 03202 Banca Popolare Di Sondrio, Ag. Roma 2.
- Cartasì e Diners telefonando a Caritas Italiana 06/541921 (dal lunedì al venerdì 9-18)
alla Caritas Bologna (intestazione: Arcidiocesi di Bologna – Caritas diocesana) tramite:
- c/c postale n. 838409
- c/c bancario n. 923578 - ABI 05387 - CAB 02400 Banca Popolare Emilia Romagna, sede Bologna

Aggiornamento del 28 marzo 

IRAQ

A causa del bombardamento del centro di telecomunicazioni avvenuto la notte scorsa a Baghdad, l’ufficio di collegamento Caritas Iraq ad Amman, questa mattina, non ha potuto contattare i centri Caritas in Iraq. A Baghdad si sono succeduti pesanti bombardamenti che hanno causato molti morti di civili. Lo stato di coprifuoco limita drasticamente i movimenti nella città. Le informazioni che giungono da Bassora indicano che la situazione è relativamente calma anche se sono in corso combattimenti alla periferia. I bombardamenti hanno danneggiato la chiesa caldea di Ma-akel.
Anche a Mosul si sono registrati pesanti bombardamenti che hanno causato molte vittime tra i civili. Il vescovo caldeo di Mosul, Mons. Raho Faraj, ha fatto sapere che molte persone stanno scappando verso il vicino villaggio di Tilkef. Nell’area di Mosul sono pertanto stati allestiti due campi per accogliere i rifugiati cristiani: a Karakosh per i siriaci e a Tilkef per i caldei.
I vescovi iracheni, che si sono riuniti ieri, hanno concordato di collaborare in maniera molto stretta con Caritas Iraq per organizzare gli sforzi delle chiese cristiane nella distribuzione degli aiuti.

Iraq del Nord

Un assistente sociale e un paramedico dello staff di Dutch Consortium hanno visitato i rifugiati interni a New Halabja e Bazyan. A New Halabja ci sono attualmente tra i 2.000 e i 3.000 sfollati per lo più famiglie sistemate in case, scuole e moschee. Fa molto freddo e il prezzo del kerosene è salito fino a 100 dinari per 20 litri. Si registrano problemi di salute come diarrea, ipertensione, asma, ma ad oggi non è stata ancora garantita alcuna assistenza sanitaria.
A Bazyan ci sono invece circa 2.000 famiglie fuggite a causa dei bombardamenti. Queste famiglie sono state sistemate in scuole e moschee. Hanno bisogno di coperte e cibo (specialmente pane). Fa freddo e non hanno di che riscaldarsi. Le scuole e le moschee non hanno servizi igienici.

TURCHIA

Un operatore cercherà di raggiungere, la prossima settimana, la zona di Silopi per fornire a Caritas Turchia aggiornamenti sulla situazione dell’area. Il 18 marzo scorso Caritas Turchia ha accolto 11 famiglie irachene caldee che erano passate attraverso la Siria, e si sta occupando di loro come di tutte le altre famiglie irachene assistite dal programma rifugiati.

Aggiornamento del 27 marzo

SIRIA

Oggi nel deposito di Caritas Siria è stato stoccato tutto il materiale che era stato ordinato (coperte, materassi e latte in polvere). Anche l’ufficio Caritas è definitivamente operativo ora. Sono state già registrate presso l’ufficio le prime cinque famiglie. Gli operatori di Caritas Siria li visiteranno regolarmente presso le loro sistemazioni temporanee. Il problema più grosso che questi nuclei familiari devono affrontare è il pagamento dell’affitto: i costi sono abbastanza alti - tra 100 e 150 dollari - e queste famiglie hanno non hanno abbastanza soldi per pagare l’affitto per molto tempo. È stato rilevato che il duro lavoro svolto negli ultimi 3 giorni per cercare gli “invisibili” rifugiati ha avuto un enorme successo, e dimostra ancora una volta che avvicinare le famiglie irachene in maniera individuale è stato molto fruttuoso.
Un team di operatori si è recato in un villaggio vicino la città di Kamshli, 80 km a nord di Hassake. In questo villaggio, chiamato Tartan, 46 rifugiati iracheni sono stati ospitati nella Chiesa sirio-ortodossa. La maggior parte di loro erano arrivati poco prima della guerra. Queste famiglie hanno bisogno di materassi, coperte e medicine. Caritas Siria ne sta organizzando l’invio da Hassake. Oggi è stata aperta la scuola provvisoria per garantire le lezioni ai ragazzi che non possono essere regolarmente ammessi alle scuole siriane. Sono arrivati 21 ragazzi tra i 4 e i 12 anni per seguire le lezioni.

NORD IRAQ

Duch Consortium, di cui fa parte anche Caritas Olanda, ha visitato gli sfollati (internally displaced people) nella zona di Diana (Governatorato di Erbil). Ci sono 270 famiglie sistemate in 11 scuole. Queste famiglie ricevono kerosene dalle Nazioni Unite in quantità sufficiente per 6-7 ore al giorno; superato questo numero di ore non hanno né elettricità, né riscaldamento. Hanno ancora delle piccole riserve di cibo e un po’ di soldi per acquistare al mercato beni di prima necessità, ma, tra un paio di giorni, avranno esaurito quanto gli resta. 1645 famiglie (15.000) persone sono senza acqua potabile, latte e assistenza sanitaria .
Nella città di Soran (vicino Diana), il campo Delizyan sta per essere ultimato ed è destinato ad accogliere gli sfollati provenienti dal centro dell’Iraq. Il campo è allestito dalle Nazioni Unite. Sarà in grado di ospitare 7.000 persone; non appena sarà ultimato, le famiglie attualmente sistemate nelle scuole vi si trasferiranno. È operativo, a Sulaimaniya, un team sanitario mobile di Duch Consortium. La linea che divide l’Iraq centrale dal Nord Iraq rimane chiusa.

IRAN

Il confine tra Iran e Iraq continua ad essere ufficialmente chiuso. 22.000 curdi iracheni sono ammassati al confine con l’Iran (zona di Penjwin) ma non hanno fatto alcun tentativo di attraversarlo. Queste persone sono accolte da parenti o sono sistemati in edifici pubblici. Circa 1.000 nelle tende.

Aggiornamento del 26 marzo

La Federazione Internazionale delle società Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (IFRC) prevede un flusso di 250.000 profughi verso Giordania, Siria, Kuwait, Turchia e Iran.
L'UNHCR ha visitato l'Iraq inoltrandosi fino a qualche centinaio di Km dal confine con la Giordania, e riferisce di non aver trovato alcun segno di profughi; nel contempo sta allestendo 2 campi a Ruweished (in Giordania, a circa 80 km dal confine iracheno) destinati ad ospitare 25.000 rifugiati ciascuno.
La rete Caritas per l'emergenza Iraq è coordinata dalla Caritas Iraq in Amman (Giordania) ed è in continuo contatto con i centri Caritas di Bagdad, Mosul, Bassora, Kirkuk. Non appena la frontiera verrà aperta, un team di emergenza (attualmente operativo in Amman) si trasferirà in Iraq.
I centri Caritas a Bassora hanno lanciato un appello per medicine e tavolette per la purificazione dell’acqua. L’Ufficio di collegamento Caritas di Amman ha predisposto l’invio di 20 containers contenente quanto richiesto: il carico è partito da Amman questa mattina ed il suo arrivo a Bassora è previsto, salvo complicazioni della situazione, per domani. Una tavoletta può purificare 1.250 litri di acqua, è stata spedita una quantità capace di purificare 1.500.000 litri di acqua, l’equivalente dei bisogni di 100.000 persone in un giorno.
Se la situazione lo permette, è in programma nei prossimi giorni l’invio, da Amman per Baghdad, di 80 containers di tavolette per la purificazione dell’acqua. Lo staff di Caritas Iraq non ha registrato la presunta rivolta di sciiti nella città.
Caritas Baghdad ha riportato che 300 famiglie cristiane hanno lasciato la capitale e sono dirette a Karakosh, circa 50 km  a est di Mosul. Queste famiglie, originarie del nord Iraq, si erano trasferite a Baghdad a causa della guerra tra l’esercito iracheno e i curdi. I due centri Caritas di Karakosh stanno distribuendo ai rifugiati ogni sorta di aiuto di prima necessità. Caritas Baghdad, per evitare carenza di beni di prima necessità, ha inviato 5.000 dollari ai centri Caritas di Karakosh per l’acquisto di cibo nella zona di Mosul.
Lo staff Caritas a Baghdad ha continuato “regolarmente” il suo lavoro dopo il bombardamento della città, distribuendo kit di pronto soccorso nelle aree colpite.
I contatti tra l’ufficio Caritas di Baghdad e Caritas di Mosul sono interrotti. La scorsa notte la città ha subito pesanti bombardamenti. Il centro Caritas di Kirkuk ha riportato che la situazione è relativamente calma al momento. Il capo della Chiesa Cattolica Romana a Baghdad, Mons. Jean Benjamin Abi Sulaiman, ha promesso che le chiese della città rimarranno aperte per permettere a cristiani e musulmani di rifugiarvisi durante la guerra.. Ha anche detto che resterà in città nel caso i cristiani dovessero essere attaccati a seguito della guerra ma, al momento, non ci sono segnali di questo tipo.

IRAQ

Lo staff e i volontari di Caritas Iraq sono salvi, e stanno verificando i danni ad abitazioni e chiese. I telefoni funzionano ma con difficoltà. La Caritas opera presso i suoi centri medici sparsi in tutto il paese e con le ambulanze. Subito dopo i primi bombardamenti, la popolazione si è rifugiata nelle scuole e, anche qui Caritas Iraq distribuisce kit di primo soccorso. La chiesa patriarcale caldea a Baghdad è stata danneggiata. 

NORD IRAQ

La rete Caritas sta predisponendo, insieme alla Chiesa locale, un piano di emergenza per l’accoglienza di eventuali profughi. Wim Piels, di Caritas Olanda, ha già effettuato una prima missione sul posto ed è stato lanciato un appello per aiuti di emergenza. Un contributo è stato dato anche da Caritas Italiana.
L’Ufficio delle Nazioni Unite del Coordinatore Umanitario per l’Iraq ha stimato che ci sono attualmente tra 300.000 e 450.000 nuovi rifugiati interni (internally displaced people) nella regione. Si registra, inoltre, che circa 5.000 sono stati registrati provenienti dall’Iraq centrale. Tutti gli altri sono residenti nell’Iraq del nord.
Il 90% di queste persone sono state accolte da parenti. Circa 10.000 provenienti dalla zona di Erbil vivono nelle tende e nelle loro macchine. Per il momento non viene loro permesso di accedere ai campi preparati per accogliere un afflusso di rifugiati provenienti dall’Iraq centrale. 

SUD IRAQ

A Bassora, secondo Al Jazeera, i pesanti bombardamenti hanno danneggiato le infrastrutture, manca acqua e luce. Si sono avuti 75 morti e circa 300 feriti; il centro della Mezzaluna Rossa ha potuto prestare cure mediche, con medicine fornite da Caritas Iraq.

GIORDANIA

Dal 16 marzo, il numero dei rifugiati di paesi terzi che dall’Iraq sono arrivati in Giordania è salito a 5.284. I rifugiati sono soprattutto somali e sudanesi, ma ci sono anche egiziani, sudafricani, eritrei, gibutini e libanesi. A partire da domenica 23 marzo, più di 560 iracheni hanno lasciato la Giordania per ritornare in Iraq. Il 23 marzo il direttore di Caritas Giordania ha visitato i due campi profughi di Ruweished:
- il campo A, per rifugiati di Paesi terzi, ospita circa 700 persone, 200 sono stati rinviati in patria nel pomeriggio dello stesso giorno; questi dovrebbero lasciare la Giordania entro 72 ore; 90% sono sudanesi, ma ci sono anche egiziani, yemeniti, somali, chadiani ed eritrei; molti sudanesi e somali pare non vogliano rientrare in patria, avendo trovato condizioni di vita migliori in Iraq. 24 palestinesi sono fermi al confine in attesa di ammissione;
- il campo B, per iracheni, sta per essere terminato. Per ora è vuoto, anche perché nessun profugo iracheno è arrivato in Giordania. Non ne è chiaro il motivo: permessi negati, blocchi stradali, costi: il confine iracheno è a 600 Km da Baghdad e il viaggio è caro e pericoloso.
I campi sono equipaggiati con tende, ambulatorio medico, servizi e cucina; un terzo campo potrà essere allestito al bisogno. Autobus della Organizzazione Internazionale Migranti portano i rifugiati dal confine ai campi. I vescovi giordani hanno approvato l’apertura delle chiese, proposta da Caritas Giordania, per alloggiare 2000 profughi iracheni. SI stanno studiando i dettagli.
Il Ministro degli Esteri della Giordania ha ufficialmente dichiarato che il confine con l’Iraq è aperto. I convogli umanitari possono passare se accettano di assumersi i rischi.

SIRIA

Il confine con l'Iraq è attualmente chiuso, i profughi arrivati in precedenza sono ospitati da conoscenti, altri profughi si ammassano vicino alla frontiera. La Caritas Siria, con cui sta collaborando anche la Caritas Libano, ne sta valutando il numero. La capacità dei campi profughi allestiti al confine  è di 10-12.000 persone, estensibile a 20.000.
L’ufficio si sta sempre meglio organizzando di giorno in giorno. Sono arrivati i 4 operatori di Caritas Siria che hanno svolto un breve periodo di formazione presso il Centre of Migration di Caritas Libano. Gli operatori di Caritas Siria visitano ogni giorno le nuove famiglie che arrivano fornendo gli aiuti necessari. In Siria ci sono degli iracheni che erano arrivati qualche mese prima della guerra per organizzare l’arrivo dei membri della propria famiglia che avrebbe lasciato l’Iraq non appena sarebbe scoppiata la guerra. Poiché le frontiere sono chiuse, queste famiglie sono rimaste in Iraq e finora non c’è stata la possibilità di mettersi in contatto.
Nell’area di Kamishli, a 80 km a nord di Hassake, sono arrivate molte famiglie dell’Iraq nel corso di quest’ultima settimana. Caritas Siria conta di andarle a visitare entro la fine della settimana.
Caritas Siria ha ordinato 500 coperte, 200 materassi, e 100 kg. di latte in polvere per 50 famiglie. Inoltre si sta organizzando delle classi scolastiche per ragazzi che non possono essere regolarmente integrati nella scuola siriana. Due donne irachene insegneranno le diverse materie. Per i più piccoli, sono stati acquistati giocattoli e materiale per disegnare. Agli scolari vengono distribuiti giornalmente, anche latte, biscotti e frutta.

IRAN

Le frontiere sono chiuse, non sono passati profughi. La rete Caritas sta monitorando la situazione insieme a Caritas Iran. È stato lanciato un appello di emergenza per rafforzare la Caritas locale. Caritas Italiana ha contribuito a questo appello. Si sta organizzando, d’accordo con la Caritas locale, l’invio di un team di supporto in loco (ERST).

TURCHIA

Confine chiuso e situazione confusa. 10.000 rifugiati premono alla frontiera e si prevede arriveranno a 60-80.000. Nessuno, neppure l'UNHCR, ha avuto il permesso di visitare la zona dei campi; la Mezza Luna Rossa non dà informazioni; l'UNICEF potrebbe giocare un ruolo dato che i campi sono aperti solo a donne e bambini, per ragioni di sicurezza.

KUWAIT

Sono scarsissime le comunicazioni con questo Paese, mancando anche precedenti esperienze di comunicazione con la rete delle ONG internazionale; le operazioni per qualsiasi permesso sono complesse. Pare che il sistema dei telefoni mobili sia stato escluso, l'aeroporto chiuso al traffico commerciale. ONG presenti: Mercy Corps, MSF, IMC, Save the Children, PHR (Phisicians for Human Rights), JNEPI. Due rappresentanti di Cafod (Caritas Inghilterra) sono arrivati ieri a Kuwait City e intendono spostarsi, non appena possibile, a Bassora. 

Aggiornamento del 25 marzo

Stamane abbiamo ricevuto notizie dai Centri Caritas a Baghdad e Bassora, mentre non è stato possibile contattare Kirkuk A Bassora, con le linee elettriche e gli impianti idrici distrutti già da tre giorni, la maggior parte del milione e mezzo di abitanti è costretta ad usare l’acqua del fiume per cucinare e bere, con il pericolo crescente di infezioni ed epidemie.
La zona di Mosul questa mattina era ancora sotto i bombardamenti; 4.000 persone, circa 700 famiglie (il 20% della popolazione della regione), hanno abbandonato le loro case e si stanno dirigendo verso Karakosh, 45 km ad est di Mosul. Per far fronte ai bisogni di queste persone, i Centri Caritas a Baghdad hanno già inviato cibo e medicinali a Karakosh.
“A Baghdad – dice Hanno Schaefer, portavoce della rete Caritas – nei pesanti bombardamenti di stanotte è stato colpito un quartiere residenziale (A’Adhamiya) ed è stata uccisa una famiglia, genitori e tre figli. I nostri operatori stanno portando medicine e generi di prima necessità nelle aree colpite. Ieri abbiamo rifornito di kit di pronto soccorso e medicinali l’ospedale delle Suore Domenicane. Dall’inizio degli attacchi abbiamo distribuito 2000 kit di pronto soccorso in tutto il Paese”. Per ora non si registrano grossi afflussi di profughi nei Paesi confinanti.
In Giordania non si segnalano arrivi, tranne i 25 cittadini somali, studenti universitari a Mosul e a Baghdad, che sabato scorso hanno varcato il confine. Altre 24 persone sono in attesa di definire il loro status. Ci sono 45 volontari Caritas pronti a lavorare nei campi della Mezza Luna Rossa, in un programma idrico-igienico e di distribuzione di generi non alimentari.
La Mezza Luna giordana ha allestito 10 tende al confine e altre 10 ne ha portate l’UNHCR, che, insieme alla Jordanian Hashemite Charity Organisation,  ha anche allestito un campo a Ruwaished, a circa 60 km ad ovest dell’Iraq. 

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Cei, i distinguo dei vescovi. Con il Papa ma...
      Wojtyla: «Faticare per la pace»
      Fulvio Fania

      Città del Vaticano
      Le bandiere arcobaleno? Fuori dalle chiese vanno senz'altro bene, invece dentro sono «un simbolo sovrabbondante», «inutile» visto che lì c'è già la Croce «che da duemila anni vuol dire pace». Il Consiglio permanente della Cei, che si è riunito la settimana scorsa, non ha affrontato l'argomento, però questa è l'opinione del segretario
dell'organismo, monsignor Giuseppe Betori, a dispetto di alcuni vescovi che hanno fatto sventolare i drappi iridati sui campanili.
      E come giudica, la Cei, la petizione di Azione cattolica, Acli, Pax Christi ed altre associazioni cattoliche in cui si chiede al governo di adoperarsi per il cessate il fuoco e per la convocazione dell'assemblea generale Onu? «Apprendo l'iniziativa in questo momento», risponde Betori. Logicamente lo stato maggiore dei vescovi non ne ha parlato. Strano, perché il quotidiano Avvenire è stato il primo giornale a darne notizia il 29 marzo.
      Ci sono opinioni divergenti tra i vescovi sulla guerra? «No, solo diversi modi in cui la volontà di pace viene a manifestarsi».
      Le risposte "a caldo" che monsignor Betori fornisce ai giornalisti con la consueta pacatezza e cortesia rendono il clima dello stato maggiore Cei meglio di qualsiasi nota ufficiale. Il cardinale Camillo Ruini frena gli entusiasmi pacifisti e soprattutto non esprime giudizi sul comportamento del governo italiano. Se si aggiunge l'immancabile esortazione «ad abbassare i toni del dibattito politico», risulta evidente che la Cei rinuncia a qualsiasi critica in materia né contro Bush né contro Berlusconi. Insiste piuttosto sulla «pedagogia della pace» come «antidoto più efficace contro il terrorismo e il ricorso alla guerra» nonché sulla «pace come dono diDio».
      Naturalmente tutti concordano con l'eccezionale impegno del Papa, per «evitare il conflitto» e per «porvi fine al più presto». L'adesione è «totale», precisa il comunicato finale del Consiglio permanente. Trincerata dietro le parole di Giovanni Paolo II, la Cei aggiunge di suo qualche distinguo sul movimento pacifista e un'importante sottolineatura sulla necessità di «ripristinare» l'ordine internazionale rilanciando e riformando le Nazioni Unite. E' quest'ultima, in effetti, la parte più forte della posizione ecclesiastica italiana, in linea con il Vaticano, perché tocca un punto decisivo nei rapporti tra il mondo e il suo gendarme a stelle e strisce.
      Dieci vescovi hanno parlato della guerra durante la riunione del loro "parlamentino". Sui cortei arcobaleno, alla fine, hanno dato un colpo al cerchio e uno alla botte. I vescovi «riconoscono il valore del forte e diffuso anelito alla pace che si esprime nella mobilitazione in tutto il mondo» ma raccomandano «discernimento», attenzione particolare alle «catture ideologiche», alla confusione «con finalità e interessi diversi», ad «inquinamenti con logiche che in realtà sono di scontro». Esprimono inoltre preoccupazione per il conflitto in Palestina dove monsignor Betori si recherà alla testa di una delegazione di vescovi.
      Nel frattempo il Papa non si stanca di ripetere pace. Lo ha fatto anche ieri mandando la sua benedizione alla prima "marcia della penitenza" che i frati dell'ordine dei minimi hanno organizzato per oggi a Paola, in Calabria, terra di quel S. Francesco che porta il nome della cittadina. Ecco di nuovo il Wojtyla angosciato dalle «sofferenze» della guerra, a ricordare «l'urgente necessità di costruire la pace anche a costo di sacrifici personali». Giovanni Paolo II rievoca il santo che nel 1494, «mentre si addensavano fosche nubi sull'Italia, confidava: io mi affatico a pregare per la pace, una santa mercanzia che merita di essere acquistata a caro prezzo». Forse anche per l'anziano pontefice sono giorni di autentica fatica. Ne sa qualcosa anche il suo potente segretario Stanislao Dziwisz che da sabato è ricoverato al Gemelli per controlli cardiaci, pare per ischemia.
      Per comprendere gli umori della parte più "pacifista" della gerarchia vaticana bisogna ascoltare Radiovaticana che si è trasformata in un inesauribile contenitore di interviste e commenti al vetriolo contro le scelte della Casa Bianca. Per esempio l'ampio servizio dedicato alla rivista dei gesuiti Usa America. I religiosi affermano che questa è una «guerra arrogante, inutile, stupida» e che i cristiani non devono temere di tradire il paese se si oppongono al conflitto. Il dilemma "O con Dio o con il Paese" non si pone.
(da "Liberazione")

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1. IRAQ: LE NOTIZIE DELL’ULTIMA SETTIMANA PROVENIENTI DALLA RETE CARITAS

Aggiornamento del 7 aprile

In Iraq si registra un consistente numero di sfollati all'interno del paese e lungo le zone di confine ma, al momento, non si registrano flussi di rifugiati nei paesi limitrofi.
Secondo stime dell'ONU, ci sono circa 30.000 sfollati interni provenienti dalla zona di Amarah a nord di Bassora, a circa 5 km dal confine iraniano), attualmente ospitati presso parenti. Gli iracheni che hanno chiesto assistenza in Giordania hanno riferito che molti altri iracheni vorrebbero lasciare l'Iraq ma viene loro impedito.

L'Ufficio di Collegamento Caritas in Amman è riuscito a contattare i vescovi Shlemon e Dalli di Baghdad. Questi hanno confermato che per quanto riguarda le chiese e i centri Caritas, la situazione è buona. La sede centrale Caritas a Baghdad è riuscita a contattare i centri Caritas a Bassora attraverso i tassisti. Oltre a quelle già arrivate nella prima spedizione, Mons. Shlemon ha detto che a Bassora c'è ancora grande bisogno di tavolette per la depurazione dell'acqua. Anche a Baghdad l'ufficio Caritas ha organizzando un ulteriore invio di tavolette di clorochina, dopo quello arrivato tre giorni fa da Amman.
I vescovi hanno anche detto che c'è grande bisogno di medicinali di base.

L'Ufficio Caritas di Amman sta organizzando l'invio a Baghdad di due carichi di antidolorifici, antibiotici, ecc. I vescovi hanno informato che ci sono molti sfollati nelle chiese di Baghdad. I centri Caritas forniscono, a queste persone, tutto ciò di cui hanno bisogno, soprattutto cibo e medicine. Gli alimenti vengono acquistati in loco dai mercati locali. Molte persone preferiscono rifugiarsi nelle chiese durante la notte ritornando poi a casa di giorno. I contributi Caritas finora raccolti a seguito dell'appello lanciato da Caritas Iraq hanno permesso l'acquisto e lo stoccaggio in Amman e gli invii in Iraq - che si stanno svolgendo con grosse difficoltà data la situazione - di medicine e generi di prima necessità.

Ad Amman, sono stati finora acquistati e immagazzinati kit alimentari per 22.740 famiglie (113.700 persone) che verranno trasportati in Iraq nei prossimi giorni, verificata l’esistenza di condizioni di sicurezza e garanzie più stabili. In ogni caso l'Ufficio di Collegamento Caritas Iraq in Amman, sta organizzando un grosso convoglio di aiuti umanitari per la prossima settimana.

L'Ufficio di Collegamento Caritas Iraq di Amman fa sapere che gli aiuti di beni (alimentari, medicine, altro) non sono accettati poiché, alla frontiere, tutto viene rimandato indietro.

Caritas Iraq, ha firmato un accordo con il Governo iracheno (che le ha permesso, tra l'altro, di distribuire aiuti umanitari in tutto il paese sin dall'inizio dell'embargo) secondo il quale Caritas Iraq - ed è la sola Ong autorizzata - distribuisce attraverso i suoi centri dislocati su tutto il paese, aiuti umanitari secondo una lista prestabilita e ben definita. La lista è stata elaborata secondo quella approvata dalle Nazioni Unite per il Programma Oil-for-food.


Aggiornamento dell’11 aprile

La popolazione irachena cerca sicurezza per poter ricostruire il futuro. La Caritas resta accanto ai più bisognosi, senza mai dimenticare le altre aree di sofferenza nel mondo. Una delegazione di Caritas Italiana parte per Gerusalemme.

“Questa mattina abbiamo contattato l'Ufficio centrale Caritas di Baghdad. Tutto lo staff Caritas a Baghdad sta bene. Le chiese, i centri Caritas e gli uffici non sono stati colpiti. Ci sono molti sfollati nelle chiese e nei locali adiacenti, nei centri Caritas e nei centri comunitari. Molti restano chiusi in casa perché c’è ancora tanta paura, anche a causa dei saccheggi nelle sedi istituzionali e nei quartieri residenziali”. Queste parole di Hanno Schaefer, dell’Ufficio di collegamento della rete Caritas ad Amman, forniscono un sintetico quadro della situazione in un Iraq  ancora confuso.

Occorre adesso ridare fiducia ad un popolo schiacciato per troppo tempo dalla dittatura e dall’embargo. Sicurezza dentro l’Iraq e ai confini. Questa la priorità per poter consentire l’afflusso regolare degli aiuti umanitari. La Caritas infatti finora ha continuato ad operare all’interno dell’Iraq con 14 Centri sparsi tra Mosul, Kirkuk, Baghdad, Bassora - strutture già attive prima della guerra e allertate per questa emergenza –, il collegamento con le 87 chiese presenti nel Paese e la mobilitazione di 134 operatori e 120 volontari. Sono anche arrivati dalla Giordania dei convogli a Baghdad e a Bassora, ma in modo sporadico, tra pericoli e incertezze.

La Caritas Italiana, come ha sempre sottolineato dall’inizio della guerra e facendo eco alle parole del Papa, continua a lavorare per costruire una cultura di pace nel quotidiano e dare voce al dialogo perché trovi spazio in tutte le situazioni di conflitto: dall’Africa - in special modo dai Grandi Laghi, da dove purtroppo sono giunte ancora notizie di massacri - alla martoriata Terra Santa.

Proprio per Gerusalemme parte oggi una delegazione della Caritas guidata dal direttore mons. Vittorio Nozza. Un segno di vicinanza alla Caritas di Gerusalemme, che coordina la distribuzione degli aiuti e la realizzazione degli interventi in favore della popolazione locale, con il sostegno della Caritas Italiana, che tra l’altro ha messo a disposizione un suo operatore, presente a Gerusalemme dallo scorso febbraio.

È prevista la visita al Santo Sepolcro, l’incontro con Sua Beatitudine Michel Sabbah, Patriarca Latino di Gerusalemme, la partecipazione alla processione della domenica delle Palme. Ci sarà anche un incontro con S.E. Mons. Pietro Sambi, delegato apostolico a Gerusalemme e in Palestina, nonché nunzio apostolico in Israele e Cipro, e un colloquio con il console generale d’Italia Gianni Ghisi presso la sede della Cooperazione italiana allo sviluppo. Un programma fitto di appuntamenti per sviluppare ulteriormente i progetti di solidarietà in corso. Ma anche un’occasione per unire le voci nella preghiera e chiedere a Dio il dono della pace. Quella pace di cui esattamente quarant’anni fa il beato Giovanni XXIII, nell’enciclica “Pacem in Terris”, ribadiva i pilastri fondativi: verità, giustizia, amore e libertà.

Aggiornamento del 14 aprile

Distruzione sistematica di tutte le strutture e infrastrutture del governo iracheno. L'Ufficio di Collegamento Caritas Iraq in Amman ha allestito convogli di aiuti umanitari in Iraq ma la mancanza di sicurezza impedisce ancora l'invio. I rischi di saccheggio o di incendio ai camion è altissimo. L'Ufficio Caritas Iraq in Amman è riuscito a contattare il Nunzio a Baghdad il quale ha confermato i saccheggi e il caos per le strade di Baghdad; molta gente è praticamente chiusa dentro casa in attesa che migliori la situazione dal punto di vista della sicurezza.

Il centro Caritas a Dohuk (Nord Iraq) sta cercando di fare il punto sul numero degli sfollati dell'area. Dutch Consortium (di cui fa parte anche la Caritas) continua le sue attività a sostegno delle famiglie sfollate. Lo staff di Dutch Consortium, insieme al Vescovo caldeo, Mons. Petrus, della Diocesi di Duhok/Zakho, hanno visitato l'area intorno Alqosh, circa 12 km da Mosul (45 km da Duhok). Circa 2.000 famiglie di sfollati (più di 10.000 persone) si trovano nel sotto distretto di Alqosh: 100 famiglie sono sistemate nella chiesa di Alqosh e 1.900 famiglie sono ospitate presso altre famiglie. In collaborazione con il Vescovo caldeo di Alqosh, si sta organizzando un piano per la distribuzione degli aiuti a queste famiglie.

La situazione dei rifugiati va invece stabilizzandosi. Secondo Caritas Siria, non dovrebbero più arrivare rifugiati iracheni in Siria. Tutte le famiglie attualmente a Damasco e dintorni vogliono aspettare qualche settimana prima di rientrare in Iraq, specialmente le famiglie cristiane che temono i futuri assetti politici dell'Iraq.

_______________________________________________________
Per sostenere gli interventi in atto (causale: “Emergenza Iraq 2003”) si possono inviare offerte alla Caritas Italiana, viale F.Baldelli 41 - 00146 Roma, tramite:

- c/c postale n. 347013

- c/c bancario n.  5000X34 - ABI 05696 - CAB 03202  BANCA POPOLARE DI SONDRIO, AG. ROMA 2

- Cartasì e Diners telefonando a Caritas Italiana 06/541921 (dal lunedì al venerdì 9.00-18.00)

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17 aprile 2003

Secondo le informazioni dell’Ufficio Caritas Iraq ad Amman, la situazione a Bagdad è, dal punto di vista della sicurezza, drammatica. Questo non dà garanzie all’accesso degli aiuti umanitari dall’estero. L’ufficio di Caritas Iraq ad Amman informa che sono state acquistate le medicine e che il convoglio di medicine e aiuti alimentari è pronto ma in attesa di partire per Baghdad a causa degli altissimi rischi sulla sicurezza. A Bagdad un imprecisato numero di sfollati è ancora sistemato nelle chiese.

La situazione nel sud del paese (Bassora e dintorni) è un po’ più calma. I mercati e le scuole sono aperte. Il Centro Caritas a Bassora sta intervenendo esclusivamente in collaborazione con la Mezza Luna Rossa alla quale sono già state messe a disposizione il 70% delle medicine immagazzinate sin dall’inizio della guerra.

Negli ultimi tre giorni sono stati distribuiti dai centri Caritas stock di medicine, articoli sanitari, coperte, materassi e lenzuola a tre ospedali statali e uno privato di Bagdad. In uno di questi ospedali, quello pediatrico, la Caritas ha distribuito anche cibo altamente proteico per i bambini sottonutriti. Sono però urgenti ulteriori forniture di medicinali e articoli sanitari. L’Ufficio di collegamento Caritas in Amman, a causa degli altissimi rischi per mancanza di sicurezza, sta optando per l’invio di piccole partite invece di grossi convogli.

Caritas Iraq suggerisce alla rete Caritas di fare ulteriori sforzi presso i propri governi per introdurre forze di polizia come deterrente contro il saccheggio. A tutt’oggi solo il Canada, l’Italia e la Danimarca si stanno attivando.

29 aprile 2003

Una delegazione Caritas è partita da Amman per Bagdad lo scorso venerdì 25 aprile e si ferma fino ad oggi. La delegazione si è incontrata con i responsabili dei centri Caritas di Bagdad, Mosul, Kirkuk, Karakosh e Alkosh. Tutti i Centri Caritas di queste città hanno potuto operare durante il periodo della guerra e hanno soccorso molti feriti e curato molti casi di emergenza.

Nel Nord dell'Iraq, i 4 Centri Caritas presenti a Mosul, Kirkuk, Karakosh e Alkosh hanno garantito a più di 800 famiglie (4.500 persone) ospitate nei locali delle chiese e presso altre famiglie, cibo, alimenti supplementari per i bambini denutriti, coperte, materassi e altri beni di prima necessità. Durante l'incontro con la delegazione, è stato deciso che i Centri Caritas
in Iraq si concentreranno, durante le prossime settimane, sulle cure sanitarie primarie perché gli ospedali del paese non sono in condizione di garantire tutti i servizi. La delegazione si è incontrata anche con i Vescovi dell'Iraq e con il Nunzio a Bagdad, Mons. Filoni. La delegazione ha fatto sapere che il convoglio di aiuti umanitari organizzato dalla rete Caritas per i Centri Caritas in Iraq, già pronto ad Amman partirà per Bagdad entro il 2 maggio.

Situazione Profughi in Siria

Da alcuni giorni, dozzine di autobus di rifugiati iracheni stanno lasciando Damasco durante la notte per oltrepassare il confine ed entrare in Iraq. Gli autobus raccolgono la gente dei quartieri vicini; sembra che il trasporto collettivo di intere famiglie da Damasco per l'Iraq sia efficiente ma, al momento, è impossibile conoscere chi gestisce queste operazioni. Sempre più persone si recano presso il centro Caritas a Damasco chiedendo denaro per pagarsi il viaggio di rientro in Iraq. La situazione delle famiglie che si recano presso gli uffici della Caritas diventa ogni giorno più critica: stanno finendo il denaro e non sono più in grado di pagare l'affitto, non riescono a trovare un lavoro, hanno problemi di salute. La gente è stanca, depressa e non sa come andare avanti nelle prossime settimane.

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Iraq: l'invasione americana un grande crimine storico verso il popolo iracheno
Lo scrive suor Hanna, OP, alle sue consorelle americane, rilevando il forte impegno che attende cristiani e musulmani per un futuro di fraternità

Baghdad (Iraq), 29 aprile (VID) - Far "fiorire" nei cuori "l'amore per la vita" è l'obiettivo della presenza cristiana a Baghdad, nella nuova fase che si apre per il paese con la fine della guerra.
Lo scrive suor Marie Therese Hanna, OP, nella prima lettera inviata da Baghdad alla Priora delle Domenicane di Springfield. Due religiose di questa Congregazione sono impegnate nel paese arabo insieme alle Domenicane di S. Caterina da Siena. E la lettera è uno dei primi contatti diretti di queste settimane segnate dal conflitto.
"Non posso nascondere - scrive la religiosa - il terrore, la paura, il panico durante i pesanti e continui bombardamenti soprattutto a Baghdad.
Le bombe hanno causato tremendi danni e distruzioni alle infrastrutture". Ma soprattutto "l'invasione americana è un grande crimine storico nei riguardi del popolo iracheno!" e "la parte peggiore" è stata "la distruzione di Baghdad".
Per quanto riguarda invece le religiose, non si lamentano vittime sia nella capitale sia a Mossul e nei villaggi a nord di questa città. "Le novizie sono state trasferite in uno dei nostri conventi a Karakoosh" mentre "giovani, aspiranti e postulanti sono state distribuite nelle diverse comunità nei villaggi".
L'ultima parte della lettera sottolinea, pensando al futuro, che adesso "musulmani e cristiani, a livello di responsabili religiosi, hanno un ruolo cruciale nel chiedere agli iracheni un impegno per fraternizzare,
vivere in solidarietà, cooperare e vivere in pace in tutti i settori, riportando la vita alla normalità nelle città e nei villaggi e lavorando ad una soluzione per i problemi cominciati con l'invasione".

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Pace: superiora generale invita Figlie San Paolo ad assumere concreti impegni
Diventare costruttori di pace a partire dal ricordo attivo della "Pacem in terris"
Roma (Italia), 29 aprile (VID) - Un invito ad essere costruttori di pace in questo tempo di conflitti aspri e crudeli in tante parti del mondo, è stato rivolto a tutte le Figlie di san Paolo dalla loro superiora generale, suor Maria Antonieta Bruscato.
"Iraq, Afghanistan, Israele, Palestina, Colombia, Congo, Costa d'Avorio.- scrive suor Bruscato nel suo invito alle religiose - sono soltanto alcuni dei luoghi del martirio umano e sociale del ventunesimo secolo.
Le manifestazioni per la pace avvenute in ogni angolo della terra, il forte e drammatico appello del Papa, il digiuno dei cristiani e di molte persone di buona volontà, i negoziati diplomatici e il diritto universale, non sono riusciti a sconfiggere la guerra. I Capi di Stato sono andati avanti per la loro strada e la guerra è oggi la realtà dura, spaventosa, crudele che i mezzi di comunicazione ci presentano quasi senza interruzione.
Davanti a questo scenario di violenza, ingiustizia, povertà, anche noi Figlie dell'apostolo Paolo, apostole e comunicatrici, ci schieriamo in favore della pace, per costruire il mondo nuovo, sognato da Dio e annunziato dai profeti. Un mondo in cui dai cannoni si ricavano aratri e dalle bombe strumenti di lavoro; un mondo in cui i bambini giocano liberamente nei cortili e i leoni, i leopardi, gli orsi convivono con gli animali domestici; un mondo in cui cristiani, musulmani, ebrei, indù, buddisti pregano insieme e insieme costruiscono la città per tutti".
"Come costruire questo mondo senza imperi e genocidi, senza profitti frutto di sangue, ed esclusioni che provocano disperazione?" si chiede la superiora generale che ricorda l'anniversario della Pacem in terris.
E proprio alla luce di questa enciclica suor Bruscato invita a unire alla preghiera alcuni impegni.
Anzitutto "coltivare atteggiamenti di ripudio, di sdegno di fronte agli orrori della guerra. Immedesimarsi nell'atteggiamento di Gesù, nella sua ira, quando con coraggio e fermezza ha cacciato i venditori dal tempio, sottraendo il suo santuario dalla perversione e dall'abuso di gente insensata ed empia. Non permettere che il nostro essere, la mente, la sensibilità si abituino alle scene che la televisione moltiplica ogni giorno davanti ai nostri occhi. Non si tratta di un film o di un
videogame, ma di persone che soffrono e come noi hanno diritto alla vita e alla pace".
In secondo luogo "accedere a una informazione oggettiva per conoscere le tendenze attuali, le cause, le motivazioni, gli interessi che sono alla base del conflitto, delle decisioni, dello schieramento a favore o contro la guerra. "La verità vi fa liberi", dice il nostro Maestro. Per un'informazione seria non basta la televisione; occorre leggere le analisi degli esperti, ascoltare più voci, verificare le affermazioni.
In un mondo così complesso e tendenzioso, il nostro apostolato esige che siamo persone bene informate per non lasciarci manipolare e per dire anche noi una parola sapiente e libera al momento opportuno".
Infine "essere persone e comunità che promuovono la pace. La pace è un dono di Dio che nasce nel cuore. Ma è un dono fragile che ha bisogno di tenerezza e di cura per crescere, espandersi ed esprimersi nei rapporti interpersonali, sociali, internazionali. La nostra stessa persona e le relazioni con chi ci vive accanto costituiscono il campo di battaglia
quotidiano. I nostri pensieri, sentimenti, parole, azioni sono il primo laboratorio di pace o di guerra"
.

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Pace: 26 religiosi/e firmano l'appello per rilanciare ruolo dell'ONU
Suor Chittister e i presidenti delle conferenze superiori maggiori degli USA presenti al Millennium Peace Summit di Oslo
Oslo (Norvegia), 23 giugno (VID) - Suor Joan Chittister, OSB, teologa statunitense, assai conosciuta per le sue analisi sulla situazione e sul futuro della Chiesa, ha partecipato all'incontro di Oslo del "Millennium Peace Summit", una iniziativa per portare la pace in Medio Oriente e rilanciare l'azione delle Nazioni Unite.
La conferenza fa parte del "The Global Peace Iniziative of Women Religious and Spiritual Leader", iniziata nell'anno 2000. Il Comitato che si è riunito ad Oslo ha deciso di preparare un incontro allargato dell'iniziativa pacifista delle donne, in collaborazione con le donne palestinesi ed israeliane, a Gerusalemme nel novembre prossimo e a Washington nel 2004.
Nel corso dei lavori, dal 12 al 14 giugno, suor Chittister ha tenuto una relazione dal titolo "Reframing the Dialogue on Peace". Altri relatori sono stati il vice presidente della Bethlehem University dei Fratelli delle Scuole Cristiane, un leader spirituale buddista e un esponente della Orthodox Jewish Feminist Alliance.
"Il mandato di Gesù di amare i nostri nemici - ha spiegato suor Chittister - significa che l'impegno per la pace è assai più difficile e complesso della guerra, richiede molti sforzi per far entrare nelle menti la convinzione che la vendetta non è giustizia".
"The Millennium Peace Summit" ha pubblicato nelle settimane scorse un appello per tutta una pagina del "The New York Times" per sostenere il ruolo "più rilevante che mai" delle Nazioni Unite nella risoluzione dei conflitti nel mondo.
Delle 150 firme di esponenti delle diverse religioni mondiali, 26 erano di religiosi e religiose tra cui, oltre suor Chittister, anche Canice Connors, OFMConv, Presidente della Conferenza dei Superiori Maggiori (CMSM) e Carol Shinnick, SSND, Presidente della Conferenza delle Superiore (LCWR).

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01/07/2003
      «Niente è come ci aspettavamo Gli iracheni vogliono certezze»

      Nella piccola chiesa parrocchiale di Cesara, alta sul lago d'Orta, Shlamon Warduni, vescovo ausiliario cattolico di Baghdad, si congeda in caldeo antico dai fedeli che ricordano i dieci anni dalla morte del presidente di Pax Christi don Tonino Bello: «Shloma an on».
«La pace sia con voi». «Noi purtroppo non l'abbiamo ancora. Stiamo vivendo il nostro Calvario. Speriamo che arrivi la Resurrezione», sussurra nel microfono.
      Come si vive ora a Bagdad?
      «Niente è come ci aspettavamo. Prima della guerra ci hanno promesso libertà e ricostruzione. Finora abbiamo vissuto senza legge e senza governo. Milioni di persone da cinque mesi non ricevono il salario. Non dico che non sia stato fatto nulla. Non ci sono più le file interminabili ai distributori di benzina. Ma noi vogliamo soprattutto sicurezza. Senza, è difficile lavorare, studiare, pregare.
Chiediamo al Signore di illuminare i responsabili politici su questo punto. E' l'ora di cominciare».
      Si rischia una sollevazione generalizzata?
      «No, non direi. Ma la gente vuole risultati. Se una persona è affamata, non ha lavoro e neppure salario che cosa fa? Noi chiediamo che la legge sia ripristinata e che sia designato un governo, anche provvisorio. L'insoddisfazione della popolazione è un grave motivo di instabilità».
      Ma sono stati reclutati ex poliziotti fin dai primi giorni della presenza statunitense nella capitale. «Non si sono presentati in molti, all'epoca. Successivamente sono aumentati. Prima che partissi sono riapparsi alcuni vigili urbani. All'inizio erano disarmati.
Temevano per la loro vita. Adesso qualcuno ha la pistola, ma fanno una gran fatica a farsi obbedire. Molti non li prendono in considerazione.
Pesa negativamente l'atteggiamento degli statunitensi. I cittadini si rivolgono a loro e rappresentano problemi reali. Si sentono rispondere che non riguardano le forze militari presenti in Iraq. Chi deve occuparsene? Hanno tolto le foto di un dittatore solo per sostituirle con altre istantanee?».
      Si stanno esaurendo le scorte del programma «petrolio in cambio di cibo»?
      «Il governo precedente aveva distribuito in anticipo razioni per sei mesi. Gli americani debbono riempire il vuoto. Chi ha fame è certamente contro».
      Mancano ancora elettricità e acqua?
      «L'acqua no, ma è contaminata. L'elettricità va e viene. Arriva per due ore, poi sparisce. La temperatura tocca i cinquanta gradi, a volte arriva a 55. Vivere senza corrente è difficile».
      Da quando Rumsfeld ha dichiarato chiuse le ostilità c'è stato, in media, un morto americano al giorno.
      «Se mancano la fiducia e le cose essenziali per la vita, le gente va a rubare o si rivolta».
      Non pensa che dietro questo tragico stillicidio ci siano residui del vecchio regime?
      «E' un'ipotesi. C'è un'interpretazione criminale, ma anche una chiave di lettura politica. Noi siamo contro questi attacchi. creano solo rancore e divisioni».
      La preoccupano gli sciiti, che hanno riempito in parte il vuoto di potere dopo il crollo del regime.
      «Sono il sessantatre per cento della popolazione. Ma sono divisi fra loro. Anche nella comunità sciita ci sono esponenti democratici, aperti, persone che vogliono custodire i diritti di tutti gli iracheni e tenere la religione separata dallo stato».
      Per esempio?
      «Ayad Jamal Al Din di Nassiriya, l'ayatollah Systani e altri ancora. Naturalmente esistono anche frange intransigenti aiutate da potenze straniere, come l'Iran e l'Arabia Saudita. Se non si interrompe questa assistenza, possiamo correre rischi».
      Si è detto che passeranno cinque anni prima che gli statunitensi consegnino il potere agli iracheni e che vorranno conservare quattro grandi basi militari. Che ne pensa?
      «Sarebbe un errore. Il loro ruolo era liberare l'Iraq e insediare un governo stabile, punto e basta. Potrebbero restare solo se ci fosse un consenso esplicito da parte del popolo iracheno. In caso contrario è molto meglio che se ne vadano».
      Saddam è il regista di questa sanguinosa resistenza contro le forze statunitensi? 
      «Se dispone ancora di mezzi economici, sì. Potrebbe aver riattivato vecchi pezzi dei suoi servizi segreti».
      di Lorenzo Bianchi

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Alleanza Nazionale invita gli italiani a esporre il vessillo della Nazione. I pacifisti della Rete Lilliput, quello della pace
Una bandiera su ogni balcone
Tricolore o arcobaleno?

ROMA - Una bandiera per i ricordare i caduti in Iraq. Una bandiera da esporre sui balconi. Come fu prima dell'entrata in guerra. Come fu dopo l'11 settembre. Ma oggi come allora l'Italia si divide. La Rete Lilliput, il movimento pacifista che riunisce associazioni laiche e cattoliche, invita tutte le famiglie e i cittadini italiani a esporre le bandiere della pace, le bandiere arcobaleno che molti italiani appesero alle inferriate dei balconi prima e durante il conflitto in Iraq. Alcune, a distanza di mesi sono ancora lì, hanno resistito anche alle intemperie.
Da Alleanza Nazionale arriva invece un'altra proposta. Si chiama "Un Tricolore a ogni finestra". Un'iniziativa che invita gli italiani, come ha spiegato Ignazio La Russa, coordinatore nazionale di via della Scrofa, "a stringersi intorno ai colori della bandiera nazionale, esponendo il Tricolore ai balconi e alle finestre".
Due bandiere, due modi diversi di intendere e di testimoniare il dolore per la strage di Nassiriya..

(14 novembre 2003)

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