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LA NOSTRA LETTERA DI MAGGIO 2000

Queste e altre parole sono riecheggiate Domenica 12 marzo (prima domenica di Quaresima):"Preghiamo perché ciascuno di noi, riconoscendo che anche uomini di Chiesa, in nome della fede e della morale, hanno talora fatto ricorso a metodi non evangelici nel pur doveroso impegno di verità, sappia imitare il Signore Gesù mite e umile di cuore"(card. Ratzinger).

E le richiesta di perdono di Giovanni Paolo II sono state di portata storica:

" Signore, Dio di tutti gli uomini, in certe epoche della storia i cristiani hanno talvolta accondisceso a metodi di intolleranza e non hanno seguito il grande comandamento dell’amore deturpando così il volto della Chiesa, tua Sposa. Abbi misericordia dei tuoi figli peccatori e accogli il nostro proposito di cercare e promuovere la verità nella dolcezza della carità ben sapendo che la verità non si impone che in virtù della stessa verità. Per Cristo nostro Signore."

Più avanti nella celebrazione penitenziale il Papa chiede perdono per i ricorsi alla logica della violenza:

"Signore del mondo, Padre di tutti gli uomini, attraverso tuo Figlio tu ci hai chiesto di amare il nemico, di fare del bene a quelli che ci odiano e di pregare per i nostri persecutori. Molte volte, però, i cristiani hanno sconfessato il Vangelo e, cedendo alla logica della forza, hanno violato i diritti di etnie e di popoli, disprezzando le culture e le loro tradizioni religiose:.
Mostrati paziente e misericordioso con noi e perdonaci
!"

Chiede perdono per il disprezzo dei poveri e degli ultimi:

"……. Quante volte anche i cristiani non ti hanno riconosciuto in chi ha fame, in chi ha sete, in chi è nudo,….
Per tutti coloro che hanno commesso ingiustizie confidando nella ricchezza del potere, e disprezzando i "piccoli" a te particolarmente cari, noi ti chiediamo perdono: abbi pietà di noi ed accogli il nostro pentimento".

La portata storica delle parole del papa, sta nel fatto che sino a Paolo VI, nell’intera storia della chiesa non si incontrano precedenti richieste di perdono relative a colpe del passato. Il papa, in questa occasione, non confessa solo le colpe ma chiede perdono. A Dio innanzi tutto, perché sono i suoi precetti a essere stati traditi e distorti, ma chiede perdono anche a chi fu colpito dalla ingiustizie commesse. Con questi gesti la mitezza e l’umiltà acquistano delle valenze enormi che dovrebbero coinvolgerci tutti. Pare, che la scelta di segnare questo Giubileo con una grande confessione penitenziale, sia stata voluta pressoché in solitudine dal Pontefice, ( il che mette in evidenza ancor di più la portata dell’avvenimento). Ciò è plausibile, se si considera che il documento dei teologi della Congregazione della dottrina e della fede che accompagna la richiesta di perdono del Papa, cerca in qualche modo di vincolarlo e di ridurne le conseguenze operative. Nondimeno, questo gesto ha destato perplessità tra fedeli e anche fra alcuni alti prelati della gerarchia cattolica e "non certo solo tra personalità ottusamente tronfie di potere e di monopolio della verità" (corriere della sera 13 marzo 20000).

Il pentimento nella prassi cristiana porta, immediatamente con sé, il desiderio di conversione, di cambiamento di rotta, di ricerca di una mentalità nuova che porti a scelte conseguenti concrete. Pertanto implicitamente il Papa ha annunciato, in qualche modo, che d’ora innanzi la Chiesa agirà secondo verità e giustizia, spezzando un passato non sempre nobile. Si dovrebbe quindi cercare di leggere anche il presente e individuare gli errori del presente e non solo quelli del passato, riconcigliandoci con gli esclusi di oggi e non solo quelli di ieri.
In merito facciamo nostre le parole di Enzo Bianchi priore della comunità di Bose "
Attendiamo che altri episcopati - oltre a quello Americano- e chiese intere, dicano con chiarezza che accolgono il gesto primaziale del papa con riconoscenza e obbedienza: una chiesa umile, non arrogante, consapevole dei propri limiti, debolezze e peccati è nella condizione del pubbicano del Vangelo <che torna a casa sua giustuficato> ricevendo perdono e santità dal Signore e può così essere sentita presente con tenerezza e solidarietà nella compagnia degli uomini" (Repubblica 14 marzo 2000)

Così, attendiamo, che non si ripetano le prese di posizione, di qualche prelato in difesa di dittatori (vedi Pinochet), e che l’azione della Chiesa sia sempre improntata alla difesa dei popoli più poveri e oppressi, schiacciati dallo strapotere americano, da quello dei paesi occidentali e delle multinazionali che sempre più determinano il destino di intere popolazioni. Attendiamo, di conseguenza, che alla guida delle comunità cristiane siano scelte persone, che sappiano riconoscere il volto di Dio, nelle persone sofferenti e che compiano azioni coerenti. A tutt’oggi rimaniamo sconcertati dalla rimozione di Raul Lopez Vera alla successione di Mons. Ruiz vescovo del Chiapas, le cui uniche "colpe" sono state quelle delle difesa degli Indios e nel non aver "confidando nella ricchezza del potere". Sconcerto, rabbia e solitudine stanno sicuramente vivendo i poveri del Chiapas, che speravano di avere un vescovo che continuava l’opera avviata da Mons. Ruiz..

Segni di speranza, che questo Giubileo possa dare nuovo slancio "per un cammino di conversione" se ne intravedono, anche se timidi. Pensiamo al pellegrinaggio che la diocesi di Novara ha fatto a Serajevo "non a una città cattolica, né santa ma martire", e a quelle parrocchie, presenti anche nella nostra diocesi, che faranno pellegrinaggi giubilare in luoghi di sofferenza. Particolarmente efficace ci paiono alcune prese di posizione per un Giubileo tempo di penitenza e rivisitazione del vissuto quotidiano. La prima quella della Commissione Ecclesiale per le Migrazioni

" Sarebbe veramente opportuno che le diocesi attuassero un esame di coscienza dei peccati commessi nei confronti dei migranti, con l’attenzione di dare all’iniziativa qualche espressione anche liturgica e penitenziale. Si pensi, per esempio, all’opportunità ad una giornata di digiuno o ad una processione quaresimale come richiamo e riparazione dello scandalo e del danno irreparabile inflitto dai "clienti" italiani (proprio quelli delle nostre parrocchie), alle donne, e spesso alle minori straniere, soggette alla tratta infame a scopo di prostituzione. Il Giubileo, per essere autentico, deve dare occasione a un ripensamento critico in cui il problema dei migranti e dei profughi non sia colto dal solo punto di vista sociale…….ma sia assunto davanti a Dio ricordando il monito biblico " il forestiero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato tra voi, tu l'amerai come tè stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese dell'Egitto (Lv 19,34) "

Anche alcuni istituti missionari hanno colto questa opportunità data dal Papa Tra questi i missionari Comboniani. Nel numero di marzo del loro mensile Nigrizia si dice " Anche noi missionari, chiediamo perdono. Non per moda, non perché lo fa anche il papa, ma a motivo del Vangelo…..La chiesa in missione ha avallato, per secoli, lo spirito di conquista di mercanti, politici e militari…..Anche oggi, dopo il concilio Vaticano II e la fervida stagione di interrogativi sulla < missione nuova> che ne è scaturita, noi missionari continuiamo a peccare. Perché il nostro atteggiamento verso le popolazioni tra le quali viviamo fa trasparire, troppe volte turgide venature di razzismo (e il paternalismo non è che una variante) …..E non abbiamo da chiedere perdono solo per quando siamo "laggiù", ma anche per la nostra presenza al nord. Per la nostra svogliatezza nel prendere sul serio questa società italiana, quando siamo qui, con le nostre angosce e i nostri segni di speranza………E’ tempo per cambiare . "Convertiamoci" anche noi, missionari del duemila, per credere al Vangelo."

Alcune diocesi, hanno tratto da questo avvenimento, una spinta per una messa in discussione di atteggiamenti di vita quotidiana e di mentalità. Ci pare, al riguardo, emblematico la lettera pastorale del Vescovo di Trapani Mons. Miccichè, che, partendo dalla constatazione che Trapani si trova un territorio che è storicamente una culla del fenomeno mafioso e che la massoneria ha radici profonde nella città, invita i cristiani ad interrogarsi se abbiano favorito questi mali e incoraggiati con il silenzio "Una risposta vera e sincera ci porterà a chiedere perdono a Dio e ai fratelli nel segno della purificazione della memoria". Inoltre li invita ad interrogarsi se all’interno della chiesa locale sia penetrata una mentalità mafiosa che si esprime con atteggiamenti di arroganza, servilismo, clientelismo e amministrazione di beni finalizzata ad interessi personali.

Nel numero di gennaio di Jesus (mensile dei paolini) la nota redazionale terminava così "Anche nel campo ecclesiale qualche volta si bada un po' troppo al menù e poco alla rotta. Il Papa indica le grandi mete della nuova evangelizzazione dell'Europa, la riconciliazione e la conversione in occasione del grande Giubileo. Ma poi, nel quotidiano, altri sembra no trasformare tutto in scelte poco lungimiranti, in compromessi mediocri. Qualche volta l'immobilismo delle cose importanti (la realizzazione dello spirito del Concilio) viene sovrastato dal movimento frenetico di quelle insignificanti, che Dossetti chiamava il "baccanale dell'esteriorità>. Alla nostra Chiesa servono oggi povertà e profezia"

Ci pare che, una conseguenza profetica della "purificazione della memoria" voluta da Giovanni Paolo II, sia una chiesa impegnata sulle vie della pace, sulle vie dell'educazione alla pace, riconcigliandosi come comunità e come singoli, con quanti anche in un passato recenti, sono stati oggetto di sanzioni e umiliazioni, per le loro prese di posizione per una chiesa, come popolo di Dio, a fianco dei poveri e contro ogni tipo di guerre. Pensiamo a don Milani, don Mazzolari, padre Balducci, padre Turoldo, dom Camara e in una certa misura anche don Tonino, ma anche a tutti qui sacerdoti e laici messi ai margini della comunità per le loro prese di posizioni in materia, .L'impegno della Chiesa, su questa strada non può non passare per il sostegno agli operatori di pace e le associazioni che li uniscono, non può che non passare nel dare spazio nell'azione pastorale ai profeti della nonviolenza, agli obiettori di coscienza al servizio militare e alle spese militari. Ci si attende prese di posizioni e azioni coerenti, contro la fabbricazione e commercializzazioni delle armi e contro quanti lucrano su questo commercio (vedi alcune banche), consci che " è una delle piaghe dell'umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri" (GS. 81).

In questa linea dovrebbe essere rivisto il cosiddetto Nuovo Modello di Difesa, messo a punto dai paesi della Nato, teso a garantire gli "interessi vitali" (dicasi 'economici') di questi, non in base alla cooperazione e alla solidarietà ma al mantenimento del potere del Nord sul Sud del mondo, con il supporto della forza militare.

Non di meno per una Chiesa che "non confidi sulla ricchezza del potere e nella logica della forza" non può, non essere impegnata in primo piano contro i nuovi modelli neoliberali di sviluppo. Siamo di fronte ad un progetto d'economia mondiale e quindi di vita quotidiana che persegue solo il valore della produttività, coperto dall'anonimato delle multinazionali, che prescinde da ogni regolamento di giustizia e di etica. Al riguardo, pensiamo che, sarebbe un segno piccolo ma indicativo, il trasferimento di fondi delle parrocchie e delle diocesi alla Banca Etica.

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"E direi che l'uomo non è uomo
se non accetta di lottare per la giustizia"

L'intervento di don Arturo Paoli
durante la veglia in ricordo del 7° anniversario
della morte di don Tonino Bello

Diceva don Tonino " la Croce è il centro, e senza capire il senso della Croce, noi non possiamo trovare il senso della nostra vita." Nella croce c e un mistero che noi non possiamo indagare totalmente, ma dobbiamo avvicinarci perché la croce è così presente nella nostra vita, in tutte le sue circostanze, in tutte le scelte che facciamo. Per cui non possiamo non fermarci e coglierne il senso.

Sappiamo che per molti secoli la Croce di Cristo è stata interpretata come un prezzo da pagare al Padre per il nostro peccato. Pero come si concilia questo con un Padre dei Profeti, un Padre che è vicino all'uomo, che si abbassa per accompagnare l'uomo nel suo pellegrinaggio, nelle sue difficoltà, nei momenti di lotta, d'esilio e di sofferenza?. Com'è possibile pensare che questo Padre ad un certo punto cambi come di fisionomia, ed esige la tortura del figlio per perdonarci?. Può sospendere, per un momento solo, Dio, può sospendere, per un momento solo, Dio il suo essere misericordioso, il suo essere che è unicamente amore? . Potrebbe ad un certo punto dimenticare quella sua tenerezza di cuore che si manifesta attraverso i Profeti, in Isaia, in Osea?. Potrebbe ad un certo punto dimenticare quell'amore di mamma per lasciare che il figlio sia così trucidato e che lui decida questo martirio come prezzo del perdono, come prezzo per riammetterci come figli, come prezzo per riammetterci nella sua casa?.

Pensando a questo, la Teologia e l'interpretazione della vita di Gesù, ha cambiato sostanzialmente. Cristo ha sofferto, è andato incontro alla Croce, perché ha assunto l'ingiustizia del mondo, è andato dentro agli effetti del nostro egoismo, della nostra capacità di amare, delle nostre disuguaglianze, di tutte le violenze che scardinano la famiglia umana, che impediscono alla nostra famiglia umana la convivenza pacifica e fraterna. E Cristo è entrato dentro al peccato dentro a questa violenza che ci divide, questo potere ingiusto che ci opprime, che allontana l'uomo dai loro diritti. Proprio per questo gli uomini lo hanno messo in Croce, proprio perché si è unito all'uomo emarginato, all'uomo vittima. Ha assunto la conseguenza di questa violenza e quindi è stato messo in croce dall'uomo.

E' Dio che poi ha dato questa sua sconfitta, a questo fallimento, - perché la Croce è stata un fallimento di Dio che non e riuscito ad eliminare per sempre l'egoismo dell'uomo, e Dio ha preso questa sua sconfitta e ha trasformato questa sua sconfitta in vittoria. Ha trasformato questa sofferenza umana, che continua attraverso i secoli, questa sofferenza umana, che molti uomini assumono insieme con Cristo, ha trasformato questa sconfitta in sofferenza redentrice, in una sofferenza che salva, in mia sofferenza che ci riscatta dalla morte. Da quel momento la sofferenza umana, ha assunto un valore redentivo, ha assunto un valore di salvezza, un valore che ci riporta all intimità con il Padre. Non è il Padre che ha voluto questa sua sofferenza, non è il Padre che ha chiesto questo prezzo per perdonarci, è stato l'uomo, è stata la storia dell'uomo! E' la storia E' quello che avviene oggi; è quello che è avvenuto al vescovo Romero. ( abbiamo appena celebrato a Roma, insieme ai responsabili di Pax Christi, il suo XX anniversario del suo martirio).E' stato ucciso perché amava la giustizia. E' stato ucciso perché reclamava fortemente senza paura, imitando Cristo, il diritto di ogni uomo alla vita, ad una vita vera piena di gioia, ed è proprio per affermare questo diritto alla vita che Cristo è morto. Ed è proprio per questo diritto alla vita, che Cristo continua a morire sulla croce attraverso il martirio di persone che vivono per affermare la giustizia, per realizzare il sogno del Padre che tutti siano uno, che tutti si amino, che tutti i fratelli vivano nella pace e nella giustizia. E non è stato soltanto il vescovo Romero a morire per la giustizia. Pensate quanti martiri, a quante persone continuano a morire, ancora ispirate da questo amore per l'uomo, che non accettano la violenza, che non accettano le disuguaglianze tra noi, perché tutti siano figli di Dio. E direi che l'uomo non è uomo se non accetta di lottare per la giustizia. Perché questo è il senso della nostra vita, ed è la Croce che ci affida questo senso. E' la Croce. Una persona che vive senza la responsabilità degli altri, una persona che vive egoisticamente, non è persona, non è figlio di Dio. Quindi vedete che la Croce viene ad essere non un senso, ma il senso della vita, perché vivere con responsabilità, è vivere questa obbedienza al Padre, che vuole che noi collaboriamo con Lui per la creazione, perché sia una convivenza felice, una convivenza giusta, perché tutti gli uomini possano attingere a questa vita che sgorga incessantemente da Lui. Una persona che non si assume questa responsabilità vive una vita inutile. Io vorrei dire a tutti gli psicanalisti, a tutti quelli che si accostano alle sofferenze dell'uomo: "Volete dare all'uomo la gioia di vivere?, Bisogna che voi gli diate il senso della vita, l'unico senso di vivere. L'unico, non ce ne è due, non ce ne sono altri." E l'unico senso è la responsabilità degli altri. E l'unico senso è assumere la responsabilità di essere figli di Dio, di essere persone che hanno una ragione di vivere in questa responsabilità.

Quello che don Tonino, molte altre persone, persone laiche, vorrei dire persone non esplicitamente credenti, ma che arrivano a vivere nel solco di Cristo, quindi guidati da questo amore talvolta irragionevole, tutti    quelli che vivono questa responsabilità, che vogliono un inondo altro, che non accettano questo mondo, questi sono nel solco del Cristo.

E questi trovano il senso della vita. Quindi questo cammino che Cristo intraprende, e che lo porta al Calvario, questo è l'unico senso della vita. Non va al Calvario come vittima innocente, ma è andato al Calvario con responsabilità. Ha detto il teologo Schillebeeck" Gesù sapeva perfettamente che quello che diceva, che quello che faceva, chesvolgendo il suo progetto giorno per giorno, andava incontro alla morte, che andava incontro alla Croce." Ci andava con responsabilità, ci andava con amore, sapeva che faceva parte del senso della sua vita. E tutti quelli che vogliono seguire Cristo devono necessariamente entrare in questo solco. Non ce n'è altro è il solo che lui ha tracciato. Conduce alla Croce, ma conduce anche alla Resurrezione. Pensavo stasera, ricordando don Tonino, che ho conosciuto personalmente e gli sono stato vicino in certi momenti della mia VitS, cile anche lui ha pagato. Ha dato il suo amore per gli altri, al suo appassionato spirito di Pastore ha dato il contenuto della Croce. Quella Croce che lui ha vissuto terribilmente negli ultimi mesi della sua vita accettando la sofferenza unita a tutti i sofferenti del inondo. Sapendo che, questa sua sofferenza, unita a quella di Cristo è una sofferenza redentrice ed è efficace. E' di una straordinaria efficacia, che non raggiungono le parole, un'efficacia che non raggiunge le nostre capacità organizzative, quell'efficacia che non raggiunge tutti i nostri progetti. questa la raggiunge la Croce. Tonino Bello sapeva perfettamente, che non era mai tanto Pastore, che non era mai tanto Vescovo tanto responsabile delle persone affidate a lui, come in quel momento in cui inchiodato alla sedia stava accettando la sofferenza, accettando di spegnersi poco a poco. In quel momento lui sapeva che era veramente pastore, e che tutti i suoi desideri di pace, di realizzare qualcosa di nuovo nel suo popolo, si realizzava proprio in quel momento in cui lui era immobilizzato dalla malattia. Il dolore fa parte del nostro destino e l'intervento di Dio trasforma questo destino in fonte di vita, che così facendo ci aiuta a raggiungere quegli obiettivi che noi non sappiamo raggiungere con altro cammino.

Per questo stasera, ricordando don Tonino, noi ci sentiamo in questo bisogno, di assumerci la responsabilità degli altri, sapendo che, questa responsabilità cozza contro il muro dell'egoismo, il muro del potere, e dell'orgoglio. Ma sappiamo che la vittoria finale apparterrà alla Croce.

 

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