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Carissima montanara

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Dalla Germania!!!

Buon Anno!!!

I prossimi appuntamenti e altro...

 

NOVEMBRE 2004

CAPPELLANI MILITARI?

Riportiamo alcuni articoli  sul senso oggi, se mai ce l’hanno avuto, dei cappellani militari.

Un’occasione per ripensare a questa forma di essere sacerdote

PRETE O MILITARE? SEVERA ANALISI di don PAOLO FARINELLA
GENOVA-ADISTA. Qualche tempo fa, Adista pubblicava l'indignato e sentito appello che don Dino D'Aloia, sacerdote di Foggia, rivolgeva ai cappellani militari dell'esercito italiano: "strappatevi le stellette", scriveva don Dino "o fate carta straccia del Vangelo" (n. 61/04). A stretto giro di posta, anche don Paolo Farinella, sacerdote e biblista genovese, ci ha fatto pervenire il suo contributo in merito allo stesso tema. Il testo, che qui riproduciamo in versione integrale, torna in maniera circostanziata e alquanto documentata sulla questione già sollevata da D'Aloia, relativa all'inconciliabilità fra messaggio evangelico e vita militare. Inconciliabilità tanto più evidente nel caso di una guerra ingiusta e costruita sulle menzogne come quella che gli Usa e i loro alleati stanno portando avanti in Iraq oramai da un anno e mezzo. A chi, come il frate francescano Mariano Asunis, operativo in Iraq al seguito delle truppe italiane là dislocate, parla dei diciannove ragazzi della Brigata Sassari morti a Nassiriya come di eroi morti per difendere la patria, don Paolo risponde facendo valere, contro ogni delirio militarista, la logica del buon senso e lo spirito del Vangelo: "questi poveri soldati di venturetta, se cristiani, avevano un solo dovere: disobbedire e dichiararsi obiettori di coscienza".

Adista sul numero 61/2004 pubblica l'appello di don Dino D'Aloia, giovane sacerdote di San Severo di Foggia, dal titolo "Strappatevi le stellette, o fate carta straccia del Vangelo. Un sacerdote scrive ai cappellani militari". Nel ringraziare don Dino per le forti parole che dice, comunicando un profondo afflato civile ed evangelico, vorrei proseguire la sua riflessione, prendendo lo spunto da una intervista scioccante di Maurizio Pagliasotti al cappellano militare della Brigata Sassari, fra' Mariano Asunis, operativo a Nassiriya e pubblicata sulla rivista "Missioni Consolata" (Anno 106, n. 3/2004, p. 62), dal titolo "Comandi, don Mariano!". L'intervista è collocata all'interno di uno splendido articolo (pp. 59-65) di
don Renato Sacco sui cappellani militari sul fronte della guerra in Iraq, dal titolo significativo "Quelle pesantissime stellette".

A rigore di verità, il p. Mariano Asunis ha inviato una lettera di contestazione alla rivista che la pubblica nel n. 6/2004, p. 6, con una precisazione del direttore. In questa precisazione, il cappellano fa alcune puntualizzazioni (ho detto… non ho detto), ma non nega la sostanza dell'intervista, anzi, in un certo senso, l'aggrava quando si riferisce ai "concetti esasperati di pacifismo". Conosco Maurizio Pagliasotti e conosco il personale della rivista "Missioni Consolata": della loro onestà e professionalità mi fido senza tentennamenti. Non conosco il frate cappellano p. Mariano Asunis, per cui ho cercato conferme in un'altra intervista non contestata del 7 gennaio 2004 al settimanale "Toscana Oggi" dove esprime gli stessi pensieri e le stesse valutazioni (cfr. http://www.toscanaoggi.it/a_notiziabase_foglia.asp?IDCategoria=210&IDNotizia=2866), dimostrando così la propria recidività di cappellano militare.
Nel leggere le sue parole, dure e nette senza sentimenti di misericordia, ma con giudizi senza appello, non si può non rimanere sgomenti. Bisogna rispondere, con garbo, ma con fermezza, anche per non confondersi con una mentalità che potrebbe apparire lineare e condivisa, se nessuno la contesta. Ho atteso sei mesi per una qualsiasi reazione del mondo cattolico, ho letto anche la rivista dell'Ordinariato militare ("Il Cursore") in Italia alla ricerca di una smentita ufficiale dello stesso Ordinario o una presa di distanza di qualche collega cappellano militare… ho atteso invano, per cui voglio rispondere. Non rappresento alcuno, solo me stesso e la mia coscienza. Non ho nulla da spartire con le idee e i pensieri del cappellano militare capo della Brigata Sassari e dei cappellani militari in generale, compreso il loro vescovo, Angelo Bagnasco della diocesi di Genova, che amano girovagare con stelle e stellette militari, anche quando celebrano l'Eucaristia.

Da frate Lupo a frate Mitra
L
'articolo "Comandi, Don Mariano!" riporta sentimenti intrisi di vetero patriottismo di maniera, espressi da un prete, che è frate, che è francescano e cappellano militare. Una carriera folgorante! Dal saio di Francesco alla tuta mimetica! Dal dialogo fraterno con "frate lupo" alla benedizione delle armi contro "il nemico" (sic!):
[Sottolinature mie] "Noi siamo qui - afferma il militare frate - per difendere la pace e non per offendere…; la pace va difesa anche con le armi in pugno come stanno facendo questi soldati…; ci sono stati dei morti che hanno versato il sangue per la patria… noi italiani non siamo una forza di occupazione… noi siamo operatori di pace… ho un senso di nausea quando vedo certe manifestazioni [in favore della pace, ndr.]… ecco, quello [Gino Strada, ndr.] non lo posso proprio sopportare, da lui non prenderei nemmeno una medicina… voleva tenere in piedi Saddam che era un killer, un dittatore spietato e quindi ne era complice!".
La logica del militare cappellano, si sa, non fa una grinza!
"Difendere la pace con le armi in pugno" è affermazione blasfema in bocca ad un religioso, anche perché è l'eco del pensiero che Berlusconi formalizzò per l'Italia al seguito della Bush's Theory, sintetizzata nell'assunto che la democrazia si può e si deve esportare anche con le armi (cfr intervista a Frank Bruni sul New York Times del 3 dicembre 2003, ripresa anche il 5 dicembre).

È il fondamento ideologico della guerra preventiva o di aggressione.
Di fronte allo sgomento suscitato dalle parole del cappellano militare, mentre ero ancora intontito nella logica e nell'anima, ho fatto una breve ricerca su Internet per trovare qualcosa che smentisse la mia angoscia e mi riportasse al centro della ragione e al cuore della fede: anche nei fautori della guerra di supremazia non ho trovato parole così dure e così qualunquiste come quelle del religioso. Suppongo che i cappellani militari a forza di vivere tra militari e al loro modo e nel loro contesto, arrivino ad assumerne la mens e la ratio fino a smarrire il senso del discernimento spirituale per appiattirsi sul pensiero del capo del governo che li paga. Il militare cappellano usa un vocabolario guerriero, ed esprime un atteggiamento fondamentalista che non è inferiore a quello dei fanatici islamici che egli definisce suoi "nemici". Come un attore si immedesima nella parte fino ad identificarsi con il ruolo che recita:
[Sottolineature mie] "Noi - dichiara a "Toscana Oggi" - dobbiamo portare a termine il mandato ricevuto. Certamente con un po' più di paura [siamo dopo l'uccisione dei diciannove carabinieri italiani] ma anche con più attenzione. Siamo sicuri che il Signore ci assisterà anche se non può paralizzare la mano del nemico: c'è il libero arbitrio… il cappellano è vestito come loro [cioè come i soldati, ndr]…".


Cappellani contro il Vangelo e il papa
P
arole come "mandato ricevuto" e "nemico", sono colpi di kalashnikov sulla bocca di un prete in missione di pace. San Francesco corse dal Saladino in piena guerra crociata passando tra gli eserciti avversari disarmato e a mani nude: lo stupore suscitato fu così grande che il Saladino concesse a lui la custodia dei luoghi santi, mentre i crociati che avrebbero dovuto difenderli furono sconfitti. Da chi riceve il "mandato" il cappellano militare? Non dal vangelo di Gv 13, 34-35: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri". Non dal vangelo di Mt 5,43-46: "Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?" (cfr Lc 6,27.35). Si potrebbe continuare a citare vangeli all'infinito, ma si fa prima a regalarne una copia a tutti i cappellani militari che forse ne sono sprovvisti.
Sarebbe interessante conoscere il pensiero dei militari cappellani sulla dichiarazione del portavoce del papa, Joaquin Navarro Valls, riportata da tutta la stampa internazionale il giorno 19.03.03: "Chi decide che sono
esauriti tutti i mezzi pacifici che il Diritto Internazionale mette a disposizione si assume una grave responsabilità di fronte a Dio, alla sua coscienza e alla storia". Il giornale "La Stampa" dello stesso giorno commenta: "È la risposta della Santa Sede, che fino all'ultimo ha chiesto che si desse fondo ai mezzi pacifici per risolvere la crisi irachena, all'ultimatum della Casa Bianca". Lo stesso giornale riporta la dichiarazione del direttore della Radio Vaticana, padre Pasquale Borgomeo, che si fa interprete del pressing senza precedenti cui è stata sottoposta la diplomazia vaticana per avallare la guerra di Bush, Blair e Berlusconi:
"È sotto gli occhi di tutti quanto sia lontana l'Onu da un avallo dell'intervento militare in Iraq. Ma sembra degno di seria considerazione anche il fenomeno di una schiacciante maggioranza di cittadini contrari alla guerra proprio nei Paesi i cui governi si apprestano a condurla o ad appoggiarla".
Evitino perciò di attribuirsi [i capi di governo che hanno deciso la guerra] una missione salvifica e non pretendano di agire in nostro nome. E soprattutto non nel Santo Nome di Dio"
Padre Borgomeo, che non parla mai a titolo personale, esprime concetti diametralmente opposti a quelli dei cappellani militari. Il papa aveva usato le stesse parole in molteplici occasioni, pubbliche e private, arrivando a definire "bestemmie" le ragioni addotte per giustificare la guerra come scontro apocalittico tra bene e male (cfr Enzo Bianchi, monaco di Bose, "Guerra e pace: non nel nome di Dio", in "La Stampa" del 28 marzo 2003). È lecito domandare, in questa circostanza, da che parte stanno i cappellani militari? Dalla parte del papa o dalla parte di Bush-Berlusconi, di cui sembrano gli esegeti ufficiali? Le parole e il modo convinto espressi nell'intervista, pongono il problema più ampio della presenza di ministri in mezzo ai militari e del modo di starci.


"Divise" dal Diritto canonico
Tutto il personale religioso che svolge un servizio nelle strutture militari entra a fare parte dell'organico delle forze armate e in quanto militare ognuno presta giuramento di fedeltà allo Stato, di cui è funzionario. Solo in quanto funzionari sono anche ministri religiosi: ricevono, infatti, uno stipendio manu militari come dipendenti del Ministero della Difesa. Dal vescovo all'ultimo cappellano, ciascuno secondo il proprio ruolo, tutti sono insigniti di gradi militari, le cui insegne e mostrine possono indossare sugli abiti ecclesiastici (talare e clergyman): uomini della Parola e del Sacramento che si autoreferenziano come personale militare, rendendo impuri i simboli stessi del sacrificio sacerdotale, perché le stellette sono il segno di appartenenza ad un mondo, ad una logica e ad una "struttura di peccato" che si nutre e si alimenta di violenza, di sangue e di micidiali armi pensate apposta per uccidere, un mondo satanico per cui Gesù non ha pregato (Gv 17,9).
Nella stessa intervista a "Toscana Oggi", in un afflato emotivo di esuberanza viscerale, il cappellano-capo, p. Mariano, afferma di "vestire come loro", cioè di essere un militare e lo dice espressamente: "sono un militare" (sic!). Quando ero giovane, per un prete era disdicevole frequentare cinema, teatro e sedi sindacali, oggi si può
essere preti-militari senza nemmeno arrossire! Forse è tollerabile che un prete possa assolvere il suo ministero anche tra i soldati, vestendo la stola del perdono e della misericordia, ma gloriarsi di vestire la divisa militare rasenta l'ignominia e il capovolgimento di ogni etica.
È una contraddizione palese, nonostante la funzione dei cappellani militari sia regolata da leggi civili ed ecclesiastiche speciali, come stabilisce il can. 568 del Cjc (Legibus specialibus)! Il can. 289 §1 del Cjc obbliga il clero a non prestare servizio militare perché "non si addice allo stato clericale" e invita non solo i chierici, ma anche "i candidati agli Ordini sacri", a non prestare il servizio militare volontario. In altre parole, il Codice proibisce di indossare la divisa militare che è simbolo di un certo stile di vita o di un modello che lo stesso Diritto positivo della Chiesa definisce non consono/non si addice (minus congruat). Don Lorenzo Milani, accusato di apologia di reato per avere difeso l'obiezione di coscienza contro un gruppo di cappellani militari che l'avevano definita "viltà estranea al sentimento cristiano dell'amore", nella sua autodifesa in tribunale, così commentava il disposto del Codice: "La Chiesa considera dunque a dir poco indecorosa per un sacerdote l'attività militare presa nel suo complesso. Con le sue ombre e le sue luci. Quella che lo Stato onora con medaglie e monumenti" (cfr "Lettera ai giudici" del 18 ottobre 1965). Il cappellano intervistato se ne rende conto e, infatti, dichiara:
"Preferisco non parlarne del grado militare. Ce l'ho perché sono militare. Ma io non ragiono col grado. Nella mimetica ho una Croce: quello è il mio grado. Quando un contingente parte ci deve essere l'alta professionalità dei militari, ma non si può mai trascurare un particolare essenziale per la riuscita della missione stessa, soprattutto quando si è lontani dalle famiglie: non si può tralasciare l'aspetto della fede in Dio".
L'alta professionalità militare non è forse la professionalità alta di uccidere? A cosa servono le sempre più sofisticate armi di cui sono equipaggiati? La fede in Dio non esige che i militari cristiani facciano in blocco obiezione di coscienza, in nome del comandamento dell'amore che ogni battezzato deve testimoniare ovunque si trovi, anche e specialmente di fronte a coloro che il mondo militare e il cappellano definiscono "nemici"? Il cappellano porta il segno del Crocifisso sulla "mimetica" e immagino che spesso benedica a colpi di Crocifisso i suoi soldati che vanno in missione di alta professionalità contro gli iracheni, anche se sono bande di sbandati e terroristi, pronti ad ogni evenienza anche ad ammazzare. Si suppone che anche "i nemici" che si trovano dall'altra parte facciano lo stesso: gente che non vuole stranieri e intrusi nel proprio Paese con i loro segni e i loro simboli religiosi, con i loro preti che benedicono, aizzano fraudolentemente al sacrifico stesso della vita, senza rispetto di Dio e della vita umana. Tutti invocano Dio per ritornare sani e salvi, per cui se deve morire qualcuno, è giusto che il Signore faccia morire quelli dell'altra parte.
Rapimenti, uccisioni degradanti (perché esposti sull'agorà mediatica) non sono forse il frutto cattivo di una guerra che
si è sviluppata come un albero malvagio ramificando ovunque? I profeti dell'esportazione della democrazia a qualunque costo e della lotta al terrorismo in una sola direzione e con la doppia morale, non solo hanno sbagliato valutazione perché fondata sulla menzogna consapevole, ma hanno anche imboccato una via senza ritorno, se non al prezzo di un inutile mattatoio di sangue innocente, complici i cappellani militari che quel sangue vedono scorrere in silenzio, continuando a benedire uomini, armi e infine la stessa guerra. Il vangelo però non demorde: "Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni" (Mt 7,15-18). I frutti della guerra sono davanti agli occhi di tutti: "i perfidi operano con perfidia. Terrore, fossa e laccio ti sovrastano, o abitante della terra. Chi fugge al grido di terrore cadrà nella fossa, chi risale dalla fossa sarà preso nel laccio" (Is 24,16-18; cfr Ger 20,4). Sarei curioso di conoscere le preghiere dei cappellani militari, quando benedicono la professionalità alta dei soldati che vanno in battaglia.
Povero Dio! Chi deve ascoltare? Chi è andato in una terra straniera a imporre la democrazia anche con le armi in pugno o chi a quell'imposizione si oppone con ogni mezzo, anche ignobile, vigliacco e immorale? Con ogni probabilità, Dio in queste cose proprio non sta e ha abbandonato l'umanità nell'inferno della pazzia dei suoi governanti, secondo il proverbio latino: "Coloro che vuole perdere, Dio li fa impazzire". L'umanità intera è nelle mani di governanti pazzi perché solo i pazzi come Bush, Blair e Berlusconi potevano pensare che la guerra potesse essere una soluzione. Al manicomio bisogna aggiungere Kwasniewski presidente polacco che, per una manciata di dollari americani, lui post-comunista antiamericano, ha gettato il suo Paese nella fornace della guerra.


Da che parte sta Dio?
S
iamo anche nelle mani dei militari cappellani che dovrebbero essere segno di contraddizione vivente, stimolando la coscienza critica dei soldati e invece diventano essi stessi militari schierati nella parte occupante, con l'impossibilità di pregare il Padre "nostro" perché da quel "nostro" escludono tutti gli altri che non sono italiani, polacchi, americani o inglesi.
Dopo Abu Ghraib e Guantánamo, è lecito dubitare: i cappellani militari americani non potevano non sapere di quanto stesse succedendo nella prigione delle torture simbolo dell'abiezione prima con Saddam Hussein e poi con gli esportatori di democrazia. Se sapevano sono complici, se non sapevano sono superflui e quindi inutili perché vuol dire che il "sistema" li usa come coreografia. Fino ad oggi non ho letto ancora una presa di posizione dei cappellani militari contro la tortura.
Il 14 luglio 2004 nei cantieri di Riva Trigoso, provincia di La Spezia, il cardinale Tarcisio Bertone, alla presenza delle massime autorità civili e militari, benediceva (?) la nuova portaerei Cavour, pensata e costruita per distruggere abitazioni civili, uomini, donne e bambini senza
discriminazione. Molte furono le voci di protesta che si levarono dentro e fuori la Chiesa. Questa nave, vera macchina di guerra e di morte, è stata definita un gioiello e orgoglio della marina italiana (lunghezza m 242, larghezza m 39, velocità 28 nodi, autonomia di 7.000 miglia [può raggiungere senza scalo il Golfo Persico con il 50% del combustibile imbarcato], pieno carico di 27.100 tn [ può caricare 8 Aerei Av-8B Harrier e caccia Joint fighter o 12 elicotteri più 100 veicoli leggeri e 24 carri armati Ariete da 60 tn ciascuno] ed ha un equipaggio di 1.210 persone. Questo gioiello costruito per la guerra ha un costo di 900 milioni di euro [esclusi i sistemi missilistici ed elettronici con i quali supera forse i 1.500 milioni di euro] e può operare in ambiente contaminato da agenti nucleari, batteriologici o chimici. Entro il 2008 verranno costruite dieci fregate al costo di 350 milioni l'una per un totale di 3.500 milioni di euro). Con queste cifre da capogiro, buttate letteralmente in mare, si potevano o non si potevano eliminare le cause strutturali del terrorismo, promovendo progetti di sviluppo, cultura, musei, scuole, università, ospedali, lavoro e sconfiggendo la miseria che è l'anima della disperazione che porta al terrorismo? Che ne pensano i cappellani militari?
La tradizione della Chiesa dei primi secoli proibiva ai cristiani alcune professioni e non dava il battesimo se non dopo il loro abbandono in quanto giudicate non coerenti con la nuova vita; esse, infatti, potevano indurre gli altri, specialmente i semplici e i pagani, in confusioni pericolose. La Tradizione apostolica, scritto patristico intorno al 215, attribuito al prete romano Ippolito, al n. 16 riporta un lungo elenco di mestieri inadatti alla condizione di cristiani, come militari e macellai (per la consuetudine col sangue), attori (per l'utilizzo di maschere mitologiche e quindi di idoli) e commercianti (la gente comune pensava che fossero ladri per natura).
Queste proibizioni salvaguardavano la vera immagine del Crocifisso che è la coerenza della pace nella verità dei credenti, come insegna un anonimo scritto del I-II sec d.C.: "i cristiani... abitano nella propria patria, ma come pellegrini; partecipano alla vita pubblica come cittadini, ma da tutto sono distaccati come stranieri... Obbediscono alle leggi vigenti, ma con la loro vita superano le leggi... Così eccelso è il posto loro assegnato da Dio, e non è lecito disertarlo!" [Lettera a Diogneto, 5, 5. 10; 6, 10]. Equipaggiato di tuta mimetica, il militare cappellano come può con la sua vita superare le leggi e stare nel posto eccelso che Dio gli ha assegnato per dare testimonianza del suo essere straniero in questa terra e per dire anche in terra di Iraq che siamo tutti cittadini del cielo?
Può mai essere compatibile il Crocifisso con luoghi e contesti che sono palestre di formazione alla violenza scientifica, alla crudeltà e all'uso delle armi per uccidere? È quantomeno contraddittorio vedere il Crocifisso che
impose a Pietro di riporre la spada nel fodero per non difendersi con violenza (Mt 25,52), ricevere il saluto militare o gli "onori" (!?) militari da soldati che impugnano armi sofisticate, pensate esclusivamente per uccidere.
Durante l'ultima guerra mondiale, da una parte c'erano l'Italia e la Germania e dall'altra l'Inghilterra, gli Stati Uniti e la resistenza della Francia e dell'Italia. Ogni esercito aveva i suoi cappellani militari, gli uni contro gli altri armati. Se era lo stesso Dio per tutti, un po' cattolico e un po' più tanto protestante, è lecito domandarsi da che parte stesse Dio. Stava con i cattolici italiani e protestanti tedeschi contro i protestanti e qualche cattolico inglese, americano e resistente? Come gestiva il traffico delle bombe? Secondo il peso specifico della preghiera dell'uno o dell'altro? La Madonna per quali figli tifava: per i fascisti o per i resistenti? Per i cattolici o per i protestanti? Se consideriamo i 50 milioni di morti, Dio non è stato da nessuna parte perché in quell'inferno di esclusiva fattura umana, non ci fu posto per lui, nonostante i cappellani militari. Se invece consideriamo l'esito finale, dobbiamo convenire che è stato contro l'Italia cattolica e fascista e la Germania nazista e il Giappone buddista, ma a favore di due nazioni a maggioranza protestanti, America e Inghilterra, e con i cattolici, comunisti e socialisti che militarono nelle fila della Resistenza. Anche Dio è traditore della "patria nostra"? I cappellani militari italiani che militavano da patrioti nell'esercito fascista esercitavano il loro ministero anche quando davano la comunione ai militari che obbedivano alle leggi razziali e ai rastrellamenti della popolazione civile? In tutte le chiese si pregava lo stesso Dio per i propri soldati cristiani contro i soldati cristiani in campo avverso: Dio chi doveva ascoltare ed esaudire, visto che non poteva accontentarli tutti? Ho visto documentari d'epoca con preti e frati, orgogliosi di mostrare le stellette sulla tunica e sul saio e alcuni addirittura che sventolavano la bandiera fascista come fosse uno stendardo processionale, senza un minimo rigurgito di sdegno verso un regime ignobile, per giunta ateo e anticlericale. La patria era rappresentata dai gagliardetti blasfemi del fascismo o dalla minoranza che resisteva sulle montagne? Chi ha servito "Dio, Patria e Famiglia": i cappellani militari fascisti o i preti che nascondevano gli ebrei a costo della loro vita? Qualche cappellano può rispondere?
I cappellani militari nella guerra di Etiopia benedicevano i soldati italiani che bruciavano i villaggi o usavano il gas contro la popolazione inerme: la storiografia oggi lo ha dimostrato, documenti alla mano (telegramma n. 12409 del 27-10-1935 di Mussolini a Graziani: "autorizzo impiego gas"; telegramma n. 29-3-1936 di Mussolini a Badoglio: "rinnovo autorizzazione impiego gas qualunque specie e su qualunque scala": cfr. don Lorenzo Milani, "L'obbedienza non è più una virtù"). Dov'erano i cappellani e che cosa facevano in questi frangenti? Pregavano che il fuoco non bruciasse del tutto i poveri etiopi visto che erano già "neri" per loro conto? o che il gas non li asfissiasse troppo? O benedicevano anche le armi all'uranio, usato in Bosnia, lasciando segni indelebili di morte nella missione di pace sulla pelle degli stessi poveri militari che sono morti dopo il loro rientro a casa?
Un prete che parla di "nemici" o di "mandato ricevuto" da un governo pagano che oggi c'è e domani anche (visto
l'andazzo di "questa" sinistra autoevirata), un prete a stipendio militare come funzionario di governo, ha sempre torto, anche quando può avere ragione. Egli non ha titolo per essere un educatore di giovani, militari compresi, perché egli è, per sua scelta, corruttore di coscienze che educa all'inimicizia e forse anche all'odio, giustificando con la sua stessa presenza in tuta mimetica che il bene e il male sono la stessa cosa.


Carta all'aria
S
olo un caso può giustificare la presenza di un cappellano non-militare: quando si assume l'impegno di educare i soldati cristiani a disertare in massa da ogni esercito, da ogni arma, da ogni governo che calpesta la propria Costituzione, specialmente quando questa usa parole da leggersi come una profezia perenne: "l'Italia ripudia la guerra". Un cappellano si giustifica se aiuta i soldati a redigere il libello del ripudio per consegnarlo al governo e alla coscienza del proprio popolo.
L'art. 11 della Costituzione italiana, infatti, impone:
"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".
Il cappellano militare, preoccupato di benedire armi, forse non trova il tempo di leggere e meditare queste ispirate parole della suprema Carta che fanno l'onore e la civiltà del nostro Paese. La Carta parla al presente indicativo (ripudia): indica, cioè un atteggiamento interiore permanente, sempre in atto, senza distinzione di passato, presente e futuro. L'atto di ripudio è un solenne giuramento che coinvolge tutte le generazioni, indirizzandole verso l'orizzonte esclusivo della pacificazione e della pace. L'art. 11 parla di ripudio "all'offesa degli altri popoli" (= contro ogni aggressione o guerra preventiva), di "limitazioni di sovranità" (= cioè la propria) e di "organizzazioni internazionali", nel caso specifico l'Onu, che, invece, è stato esautorato e umiliato in nome della Bush's Theory e cioè del diritto di sparare il primo colpo contro ogni diritto, nazionale e internazionale. Il cappellano militare, qualsiasi militare cappellano, è lontano dalla lettera e dallo spirito di queste nobili e ispirate parole, mentre si adegua alla strumentalizzazione di quel Cesare a cui dovrebbe restituire il suo soldo per tornare a vivere come "immagine e somiglianza" suprema di quel Dio che non ha confini, né patrie, né civiltà (cfr Mt 22,21; Lc 20,25).
La dichiarazione solenne e austera dell'art. 11 della Carta fa giustizia da sola di tutta la retorica bugiarda e stucchevole sui disgraziati eroi di Nassiriya, utilizzati per una immensa mistificazione mediatica, complici i cappellani militari, per strumentalizzare l'emotività della gente comune asserragliandola attorno ad un governo in grave difficoltà di credibilità, specialmente per il fallimento del semestre europeo di presidenza italiana, che si è dimostrata incapace, vuota e sempre più succube dell'America fino al punto di giustificare la guerra russa contro la Cecenia e incassando la smentita immediata di tutti i capi di governo d'Europa. Tv e giornali di regime per giorni e giorni hanno sviolinato
 

agli eroi di Nassiriya, morti per la patria. Eroi di che? Eroi perché? Eroi di quale patria? Sono stati, forse, costretti a partire? C'è anche chi dice che pur di "andare in guerra", alcuni soldati hanno pagato tangenti del valore di una mensilità (da 3000 a 6000 euro). Chi muore nella sporca guerra d'Iraq non muore per la patria, ma unicamente per se stesso e per gli interessi delle multinazionali del petrolio e per gli speculatori della ricostruzione. Questi poveri soldati di venturetta, se cristiani, avevano un solo dovere: disobbedire e dichiararsi obiettori di coscienza, come prescrive il Catechismo della Chiesa cattolica al n. 2242 (cfr. anche n. 2256):
"Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell'ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. Il rifiuto d'obbedienza alle autorità civili, quando le loro richieste contrastano con quelle della retta coscienza, trova la sua giustificazione nella distinzione tra il servizio di Dio e il servizio della comunità politica. "Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" (Mt 22,21). "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini"(At 5,29)".

Tu non uccidere
Il papa
era stato chiaro: la guerra contro l'Iraq è immorale perché fuori da ogni diritto internazionale e illecita perché la guerra preventiva è una guerra di attacco, non di difesa, ed è una bestemmia dichiararla in nome di Dio (come invece fece Bush). Di fronte a questa guerra, un cristiano soldato poteva solo obiettare e non poteva, senza colpa, dichiararsi volontario.
Sono andati volontari per guadagnare di più e forse anche per dare sfogo all'istinto belluino di "menare le mani". Nell'uno e nell'altro caso, in ogni caso, la loro morte è stata inutile e sproporzionata. Nessuno di quelli che si sono schierati a favore della guerra vi hanno inviati figli o nipoti, al contrario hanno mandato poveracci alle prese con stipendi di fame o disoccupazione, carne da macello da buttare sul tavolo delle trattative. Da un punto di vista morale, qual è la differenza con i capi di Hamas o dei Martiri di Alaqsa palestinesi che mandano giovani squilibrati a fare i kamikaze facendosi saltare insieme ad altri innocenti nel campo "nemico"? I signori della guerra sono un virus che appesta l'umanità intera e strugge vedere come uomini di Chiesa, che per vocazione dovrebbero essere sentinelle vigilanti, non se ne rendano conto, ma ne diventino strumenti docili e ingranaggi di supporto. Il 12 novembre 2003, ai funerali di stato per i diciannove carabinieri morti a Nassiriya, è il cardinale vicario di Roma, Camillo Ruini, che, parlando come un colonnello in battaglia, si fa voce di una Chiesa prona davanti alle scelte del governo, senza rendersi conto (o proprio per questo?) che il suo grido ardimentoso era una smentita ufficiale delle posizioni del papa: "Non fuggiremo davanti a dei terroristi assassini, anzi li fronteggeremo con tutto il coraggio, l'energia e la determinazione di cui siamo capaci". Il governo in difficoltà, perché il 70% del Paese è
contro la guerra, finalmente prende respiro, si rafforza e ringrazia a buon rendere. La Chiesa italiana è diventata la crocerossina del governo guerrafondaio. Con la benedizione militare del cappellano capo che chiama questi sventurati addirittura "martiri", svilendo così il significato non solo semantico, ma anche morale di una parola come "martirio". Non sono eroi né tanto meno martiri coloro che mettono a repentaglio la propria vita non per ideali spirituali come la giustizia e la libertà o per la difesa del proprio popolo di fronte ad una aggressione esterna (Costituzione, art. 11.; cfr. Catechismo n. 2240), ma per interesse o per spirito militare e per avventura, come dimostrano le scene "giocose" delle torture inflitte ai musulmani da soldati battezzati e cresimati, in nome della superiore civiltà occidentale. Morire per il proprio popolo è un grande onore, come testimonia il poeta latino Orazio Dulce et decorum pro patria mori (Carm. 3,2,13), ma morire per Berlusconi che approda in Iraq ad operazione compiuta per farsi bello con l'americano Bush…, signori cappellani militari, avete smarrito la via della decenza!
Oggi, a livello ufficiale (Parlamenti di Londra e Washington, sedute del 5.2.04), è provato che le armi di distruzione di massa, motivo dichiarato dell'intervento, non sono state trovate e i responsabili di questa immensa mistificazione cercano di spostare il tiro dicendo "che avrebbero potuto esserci", arrivando persino a colpire le intenzioni. Tutte le ragioni di un intervento sono crollate e ora si cercano le scuse per giustificare una guerra, preparata almeno da due anni prima e imposta per gli interessi esclusivi della supremazia americana: avere una centrale in MO, sfruttare gli immensi giacimenti petroliferi, ridisegnare le zone d'influenza secondo gli interessi americani e israeliani. Per questo sono morti quegli sventurati soldati, per questo e non per nobili ideali.
Non scomoderò oltre il vangelo, che mi sembra troppo arduo per un militare cappellano che condanna senza appello come "complice di Saddam Hussein" chi si era dichiarato contrario alla guerra non solo in Iraq, ma anche in Afghanistan e in ogni parte del mondo.
Secondo questa logica, è complice anche il papa che all'Angelus del 16.3.03 ha dichiarato: "Di fronte alle tremende conseguenze che un'operazione militare internazionale avrebbe per le popolazioni dell'Iraq, per l'equilibrio dell'intera regione del Medio Oriente, nonché per gli ulteriori estremismi che ne potrebbero derivare, dico a tutti: c'è ancora tempo per negoziare, c'è ancora tempo per la pace. Non è mai troppo tardi per comprendersi e per continuare a trattare".
Dov'erano i militari cappellani, quando il papa parlava con queste parole preoccupate del futuro e della recrudescenza del terrorismo che l'intervento armato avrebbe e ha causato? Sì, c'erano anche loro il 25.3.03 in San Pietro, quando davanti ad un gruppo di cappellani militari, ricevuti in udienza, non solo Giovanni Paolo II ribadisce la sua contrarietà alla guerra, ma cita espressamente l'art. 11 della nostra Carta costituzionale e si schiera dalla parte dei pacifisti e di Gino Strada, gli stessi
che provocano nausea al militare cappellano capo:
"Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che la guerra come strumento di risoluzione delle contese tra gli Stati è stata ripudiata, prima ancora che dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla coscienza di gran parte dell'umanità, fatta salva la liceità della difesa contro un aggressore", come dimostra, appunto, "il vasto movimento contemporaneo a favore della pace".
A me pare che i cappellani militari, in quanto cristiani e preti, sono fuori di questa Chiesa che oggi si riconosce totalmente e senza ambiguità nelle parole del vecchio papa, a meno che non sia il papa a porsi fuori dell'opportunità politica di non contraddire l'America di Bush e l'Italietta di Berlusconi. Ne valeva la pena? Credo di no, perché, a dispetto di ogni guerra, nulla può giustificare la perdita della credibilità evangelica e la coscienza della pace che domina il cuore e l'anima dei credenti come anche la ragione dei non credenti, uniti gli uni e gli altri in un'unica certezza e indomita volontà: No War!
Nonostante i militari cappellani di ogni tempo, di ogni grado
e in ogni esercito!

IRAQ - Quelle pesantissime stellette
Don Renato Sacco – Intervista apparsa sul mensile “ Missioni Consolata” marzo 2004
È giusto, opportuno e coerente il ruolo della chiesa nel mondo militare?
È compatibile con gli insegnamenti di Gesù Cristo la presenza di cappellani (con tanto di gradi) sui fronti di guerra?
Con l’accurata analisi di un sacerdote di Pax Christi e un’intervista a don Mariano, cappellano militare italiano a Nassiriya, continuiamo il nostro viaggio critico all’interno della guerra irachena
.


UN RUOLO DA DISCUTERE
«“Senza far uso strumentale della storia, senza intenti di polemica fine a se stessa, Pax Christi chiede, nuovamente, che si ritorni a discutere sul ruolo dei cappellani militari, non per togliere valore alla presenza e all’annuncio cristiano tra quanti, soprattutto giovani, stanno vivendo la vita militare, ma per essere più liberi, senza privilegi e senza stellette”.
Sono parole che si leggevano nel comunicato di Pax Christi distribuito a Barbiana il 26 giugno ’97 in occasione del 30° anniversario della morte di don Milani. Parole che non hanno smarrito lo smalto dell’attualità nell’anno del giubileo».
Iniziava così l’editoriale dell’ottobre 2000 di Mosaico di pace, la rivista promossa da Pax Christi e voluta da don Tonino Bello, presidente del movimento fino al 20 aprile
1993, giorno della sua morte. Queste riflessioni mi sono ritornate alla mente nel mio ultimo viaggio in Iraq lo scorso novembre 2003.
Con una piccola delegazione di Pax Christi siamo stati più volte in quella terra segnata da troppe guerre, passate e presenti, che hanno sempre visto un ruolo attivo anche dell’Italia: vendita a Saddam Hussein di armi, mine, gas e, ora, coinvolti - di fatto - in una presenza militare che si può anche chiamare operazione di pace, ma è, a tutti gli effetti, una presenza in zona di guerra.

E se in Iraq la guerra non è finita, come sostengono anche alcuni autorevoli generali italiani, allora anche l’Italia è in guerra e i nostri militari sono andati... in guerra. Certo, con tutti i buoni propositi del caso, con scopi di pace, si dice. Ma, come afferma il papa nel messaggio per la Giornata mondiale della pace: «... i governi democratici ben sanno che l’uso della forza contro i terroristi non può giustificare la rinuncia ai prìncipi di uno stato di diritto. Sarebbero scelte politiche inaccettabili quelle che ricercassero il successo senza tener conto dei fondamentali diritti dell’uomo: il fine non giustifica mai i mezzi!».

A IMMAGINE DI... BUSH
In questo ultimo viaggio, e anche nello scorso maggio 2003, a Mosul, nel Nord Iraq, dopo aver partecipato alla consacrazione episcopale di padre Louis Sako, vescovo di Kirkuk, ho avuto modo di incontrare alcuni cappellani militari Usa. Il loro ragionamento è lineare, semplice: sembra di sentire parlare Bush in persona. E dire che un cappellano dovrebbe fare riferimento quantomeno al vangelo e al magistero della chiesa. Non c’è dubbio che le posizioni del papa siano abbastanza lontane da quelle di Bush: la guerra è avvertita come avventura senza ritorno,
sconfitta dell’umanità. Anche il papa è un pacifista, disfattista e amico di Saddam o degli integralisti islamici?
«Siamo venuti in Iraq perché Saddam doveva essere fermato in quanto troppo pericoloso - mi dice Chester Egert, cappellano militare dell’esercito Usa - perché l’Iraq era collegato ad Al Qaeda e preparava attentati terroristici in tutto il mondo. Siamo qui non per fare la guerra ma per portare pace. In alcuni casi, la pace va imposta».
Sono senza parole. Cerco di dire qualcosa, ma don Chester è determinato: «Sì, la pace si impone, come stiamo facendo noi».
E lo scorso mese di maggio, chiedevo ad un altro cappellano Usa, come conciliasse il vangelo o il testo di Isaia «forgeranno le loro spade in vomeri», con la guerra, con i bombardamenti e l’uccisione di tanti innocenti. Lui mi rispondeva di aver avuto una visione, (e anche qui siamo sulla linea religiosa-illuminata di Bush) in cui il Signore lo chiamava a questo ruolo di difensore e portatore di pace.
Ci si rende conto di come il ruolo di militari, arruoli anche il vangelo e Gesù Cristo. Sembra fuori da ogni logica la vita e l’insegnamento di Gesù, le sue parole «rimetti la spada nel fodero...».

«EMBEDDED»: CAPPELLANI
COME GIORNALISTI

Si è usata molto la parola embedded (arruolati) per i giornalisti. Credo che a maggiore ragione si possa e si debba usare per i cappellani militari, anche perché hanno pure le stellette! Per questo può essere interessante ripercorrere la riflessione che, in questi anni, Pax Christi ha cercato di fare sul ruolo della chiesa e dei cappellani militari all’interno dell’esercito.
«Il 19 novembre prossimo - continuava l’editoriale di Mosaico di pace - piazza S. Pietro ospiterà il giubileo dei militari e francamente, consideriamo quest’appuntamento un “segno dei tempi” che rattrista e inquieta. Un altro dei segnali che ci preoccupano perché vediamo crescere una nella società, e nella chiesa. Non dimentichiamo che soltanto il 6 maggio 1999 si è concluso il «Primo sinodo della chiesa ordinariato militare in Italia» evento assolutamente inedito, destinato a rafforzare l’attuale modalità di presenza di sacerdoti e vescovi nel mondo militare. Mentre cresce il numero delle guerre, aumenta vertiginosamente l’export di armi (in Italia +40%), si studiano e si sperimentano nuovi sistemi d’arma per realizzare guerre umanitarie con bombe intelligenti, ci sembra davvero anacronistico e incomprensibile alla luce del vangelo, parlare di chiesa militare e di giubileo dei militari.
Ai nn .572-573 del documento finale del Sinodo citato, nel capitolo intitolato La via militare alle Beatitudini si legge: «Consapevole che Dio ha affidato la costruzione di un mondo nuovo ai poveri di spirito, ai miti, ai misericordiosi, ai puri di cuore, agli assetati di giustizia, il militare cristiano che porta le armi e sa di poter essere costretto ad usarle, sappia che la sua vita è inserita nello spirito delle Beatitudini che gli conferisce il ruolo di “operatore di pace”».
Risulta davvero interessante leggere queste affermazioni alla luce di quanto è scritto nei «Lineamenti di sviluppo delle forze armate negli anni ’90», documento presentato in Parlamento nell’ottobre ’91. Lì si parla di «concetti strategici di difesa degli interessi vitali ovunque minacciati o compromessi»; e questi interessi vitali da difendere riguardano «le materie prime necessarie alle economie dei paesi industrializzati». Onestamente non ci sembra che questa prospettiva possa portare a definire i militari cristiani «operatori di pace».
«In occasione del giubileo dei militari - continua Mosaico di pace - diventa auspicabile all’interno della chiesa italiana una riflessione aperta, serena ma ferma sul ruolo dei cappellani militari e sulla loro completa integrazione all’interno dell’apparato militare. Ma l’appuntamento giubilare è anche l’occasione per alcune domande.
Non potrebbe essere questo il momento significativo, in cui i cappellani scelgano di rinunciare alle stellette e ai privilegi che esse comportano? Perché, infine, non cogliere questo momento propizio per chiedere perdono a don Milani e a tutti coloro che hanno scelto l’obiezione di coscienza? Ci spiace ricordare che la sentenza di condanna non è stata mai cancellata e pesa ancora nei registri penali ai danni del priore di Barbiana».
Mi sembra che questo editoriale, riportato quasi integralmente, ponga bene la questione. Oggi più che mai urgente perché la guerra è una tragica realtà che ci vede coinvolti.
Pax Christi aveva già posto il problema con un appello ai vertici ecclesiali e ai politici, senza molto successo, in occasione del Convegno della chiesa italiana a Palermo, nel 1995. E ancora in occasione del 30° anniversario della morte di don Lorenzo Milani, come si ricordava nell’editoriale di Mosaico già citato.
Anche per il Congresso eucaristico a Bologna, dove è prevista una celebrazione eucaristica presieduta dall’ordinario militare, Pax Christi interviene chiedendo di «aprire un dialogo sul ruolo dei cappellani militari: la loro smilitarizzazione potrebbe essere un gesto significativo e concreto di conversione, proprio in occasione del Congresso eucaristico, anche alla luce del giubileo del 2000, per iniziare il terzo millennio più fedeli al vangelo di Cristo nostra pace» (20 settembre ’97).
L’appuntamento più importante su questo tema dei cappellani militari è stato senza dubbio il seminario di studio che si è tenuto alla Casa per la pace di Firenze nel novembre ’97, promosso in collaborazione con il Centro studi economici e sociali per la pace: «Cappellani militari oggi e... domani», con relazioni di giuristi, di un rappresentante autorevole dell’Ordinariato militare e di Pax Christi.
«Si è ribadita pertanto la necessità - si legge nel comunicato finale - di un sempre maggiore impegno non solo della chiesa presente tra le forze armate, di cui s’è riscontrata la disponibilità al dialogo, ma di tutta la chiesa italiana per un cammino sempre più determinato sulla via della nonviolenza e della pace».
È stata la prima e per ora l’unica occasione di confronto ufficiale tra un rappresentante dell’ordinariato militare e Pax Christi. C’è da augurarsi che il dialogo possa continuare, alla luce delle nuove situazioni di guerra in atto.
Per concludere, vanno rilanciate alcune domande.

PARLIAMO DI GRADI
E DI... SOLDI
Perché non scegliere anche per i cappellani nell’esercito un ruolo di presenza sul modello della polizia di stato o degli istituti penitenziali, dove ci sono dei cappellani, con accordi ma senza essere inquadrati nella struttura? Insomma, senza stellette e senza (so di toccare un tasto delicato...) stipendio. Lo stipendio di un cappellano militare è quasi il triplo di quanto percepisce un normale prete dall’Istituto di sostentamento del clero. E, oltre alla tredicesima, sono coperte anche tutte le spese per ufficio, telefono, macchina e autista. Questo mi diceva tempo fa un amico cappellano-capitano. Stipendi, quindi, in rapporto ai gradi militari. E l’ordinario militare è equiparato ad un generale. Perché allora non tornare ad essere, preti come gli altri, inseriti in una diocesi come gli altri e non in una diocesi castrense come avviene oggi?
Questo sicuramente aiuterebbe ad essere più liberi. A non rispondere come mons. Marra, già ordinario militare negli anni passati, che parlando della situazione balcanica (non c’era stato ancora l’intervento militare della Nato) ebbe a dire al settimanale diocesano di Udine, La vita cattolica: «Monsignor Bettazzi e il compianto monsignor Bello scrivevano che era urgente operare per risolvere il problema della Bosnia- Erzegovina, ma imploravano che non si usasse la forza: una posizione troppo idealistica e, a mio avviso, inoperosa e inconcludente».


IL RIPENSAMENTO
DI MONS. SUDAR

Due citazioni, autorevoli, possono essere la conclusione di quanto fin qui esposto, con la speranza che il tema della guerra e della pace, della violenza e nonviolenza possa essere di nuovo affrontato anche con chi crede che l’unica strada sia quella delle armi.
La prima citazione è di mons. Luigi Bettazzi, già presidente di Pax Christi che, subito dopo la tragedia di 

Nassiriya del novembre 2003, scrive: «È tardi, ma non troppo tardi, per ridare all’Onu non una funzione di servile copertura, ma un’autentica autorità per aiutare il popolo iracheno a realizzare la democrazia e lo sviluppo, con un governo non sospetto e una ricostruzione non interessata. Lo chiede la volontà di pace della maggioranza dell’umanità, lo esige il sangue di questi nostri giovani morti nell’illusione di poter diventare operatori di pace».
La seconda, che ci riporta in Bosnia, è del vescovo ausiliare di Sarajevo, mons. Pero Sudar, che sulla rivista dell’Azione cattolica italiana Segno nel mondo, n. 4 del 16 marzo 2003, scrive:
«La guerra nella mia patria e le sue tragiche conseguenze mi hanno costretto ad immaginare il corso della storia senza le guerre, con cui si intendeva combattere le ingiustizie ed abbattere i sistemi ingiusti. Riconosco di essere stato convinto anch’io che l’uso della violenza sia utile e necessario quando si tratta della libertà dei popoli. Dopo aver visto e vissuto da vicino che cosa vuol dire la guerra di oggi, non la penso più così. Sono profondamente convinto, e lo potrei provare, che l’uso della violenza ha portato sempre un peggioramento».
«(...) tutto questo obbliga la chiesa - continua Sudar - a farsi segno di contraddizione e ad unire la sua voce a tutte quelle che gridano la pace anche nelle condizioni che, a prima vista, postulerebbero la guerra... Occorre applicare letteralmente il monito di Cristo rivolto a Pietro che con la spada voleva proteggere la vita del giusto e dell’innocente: ... basta così! (Lc.22,5). Oggi l’unica scelta della chiesa è la nonviolenza, perché questa è l’unica strada, magari lunga e sofferente, alla pace che viene garantita dalla giustizia».


COMANDI, DON MARIANO!
Nassiriya, natale 2003. Nella base italiana di Nassiriya (An Nassiryiah, nella dizione locale) l’inverno picchia duro ed al freddo si sommano la paura e la nostalgia per una casa lontana. Molti soldati cercano conforto in Cristo, in quella chiesa che non abbandona nessuno e che, in questo sperduto angolo di deserto iracheno, è rappresentata da don Mariano.
Don Mariano è un bell’uomo dallo sguardo fiero ed il fisico scattante. Appuntata sul petto ha una croce al posto del grado da capitano che potrebbe mettere. Forse fra tutti quelli che ho conosciuto è l’ufficiale più ruvido e netto.
È il cappellano militare della Brigata Sassari ovvero il fulcro del contingente militare italiano che da diversi mesi opera a Nassiriya, nel sud dell’Iraq.

«Noi siamo qui per difendere e non per offendere», mi dice un giorno durante un’intervista.
«E la pace va difesa anche con le armi in pugno come stanno facendo questi soldati. Perché dovremmo andare via? Ci sono stati dei morti che hanno versato il sangue per la patria e noi cosa dovremmo fare per onorarli? Scappare? Andare via?».
Domando: cosa risponde a quei settori della chiesa cattolica che si oppongono a questa guerra e alla conseguente occupazione militare? Non l’avessi mai chiesto, don Mariano mi fulmina con le parole e con lo sguardo: «Noi italiani non siamo in guerra con nessuno e soprattutto non siamo una forza di occupazione, questo deve
essere ben chiaro. Noi siamo operatori di pace. A quei settori della chiesa che vogliono la pace a tutti i costi non so cosa dire, forse che sono lontani dal mondo reale quello che c’è qui a Nassiriya…».

Cosa pensa dei pacifisti?, insisto. «Ho un senso di nausea quando vedo certe manifestazioni... Ognuno poi è libero di pensare un po’ quello che vuole, anche mio fratello è un pacifista ed io non posso certo impedirglielo. Ma quando vedo certi personaggi... Ho sentito che ultimamente alcune Ong che avevano tanto criticato l’intervento armato hanno chiesto una scorta armata per entrare nel paese. E io non gli avrei dato un bel nulla! Vi siete opposti alle armi? Siete pacifisti? Allora dovete rifiutare le armi sempre non solo quando vi fa comodo, quando siete a casa vostra comodi comodi. E poi come si chiama quel medico.... milanese?».
Gino Strada?, domando incuriosito. «Ecco quello non lo posso proprio sopportare, da lui non prenderei nemmeno una medicina perché è un assassino!».
Come un assassino? Gino Strada? E perché?, chiedo allibito. «Perché lui con il suo pacifismo voleva tenere in piedi Saddam che era un killer, un dittatore spietato e quindi ne era complice!».
Meglio cambiare discorso... E per natale, don Mariano, cosa farete a mezzanotte? «Faremo la messa nella piazza della base, i carri armati verranno disposti per sembrare una piccola grotta e lì celebreremo il rito della nascita di Gesù».
Vorrei tanto dirgli: «Ma come Gesù, l’uomo della fratellanza e del perdono, lo fate nascere in mezzo a dei carri armati?», ma fedele al mio ruolo non dico nulla, anzi faccio il solito sorrisetto di circostanza e gli auguri di buon natale.
La tenda che funge da chiesa per tutto il campo è accogliente e ben riscaldata anche se piccolina (può contenere al massimo un centinaio di persone).
Conclude don Mariano: «Molti ragazzi stanno riscoprendo la fede proprio in questo frangente, in questa situazione di pericolo e lontananza dagli affetti di casa. Io sono qui per questo, per aiutare le anime di questi uomini che sono disposti a sacrificarsi per il bene comune».

Fuori dalla tenda è buio assoluto. La base, oscurata nella notte per motivi di sicurezza, è situata in mezzo al deserto iracheno.
Alcuni soldati, finita la messa di mezzanotte, imbracciano il fucile ed escono di pattuglia. Don Mariano li ha appena benedetti. Don Mariano ha appena detto loro che quel fucile è uno strumento di pace.

Mai una guerra è stata così condannata preventivamente come questa di Bush contro l’Iraq, querra che potrebbe trasformarsi addirittura in una guerra di religione tra cristiani e musulmani, capace dunque di coinvolgere anche altri stati.
Il terrorismo va condannato e combattuto, ma non con violenze peggiori. Il terrorismo può annidarsi dovunque. Dopo l’Iraq, contro quanti altri stati faremo guerra? Chi non capisce che gli Stati Uniti vogliono la guerra per accaparrarsi il petrolio?
Cari confratelli cappellani, io mi chiedo e vi chiedo: quando verrà da voi a confessarsi un soldato che si accusa d’aver sganciato una bomba uccidento degli innocenti e che domani ripeterà la stessa azione, vi
sentireste, in coscienza, d’assolverlo?
Ammesso che diate l’assoluzione, vi accuserete di non aver impedito la morte di tanti innocenti? Tu, soldato, credi che il confessore ti possa assolvere, restando tu dentro lo stesso male da cui vorresti essere assolto? Io, in coscienza, non saprei assolverti, a meno che tu non prometta di lasciare la divisa che indossi.

 Don Gennaro Somma di Castellammare di Stabia (Na)

 Cari cappellani dell’esercito italiano in Iraq, sono un vostro “collega”, un prete cappellano come voi, ma per mia fortuna del carcere di San Severo (Fg) e non dell’esercito, come voi. Io non so come fate a vivere serenamente il sacerdozio nel vostro ruolo; io non ci riuscirei mai. Scrivo a voi in spirito di assoluta amicizia. Mi piacerebbe entrare in contatto, chiedervi chiarimenti, presentarvi quelle domande che mi assillano mentre seguo le vicende della guerra d’Iraq. Ma non scrivo solo per parlare con voi e con tutti gli altri cappellani militari sparsi in giro per il mondo nelle altre “missioni di pace”, altrimenti vi avrei mandato la lettera direttamente presso il vostro comando militare, ma voglio comunicare e confrontarmi anche con i gentili lettori. Loro certamente la leggeranno, voi magari no.

Spesso vi ho pensato, ho pensato al vostro servizio presso l’esercito italiano. Ho pensato alle vostre omelie. Ma chissà che cosa gli dite ai soldati? Come attualizzate in quel contesto le parole del Vangelo? Ma non vi sentite lacerati dentro, almeno in qualche momento, tra il vangelo che ripudia la spada e la vostra obbedienza agli interessi militari? Ma Dio, secondo voi, da che parte sta? E se un giorno voleste dire eventualmente che questa o altre guerre sono atrocità assurde, sareste liberi di farlo senza essere messi sul primo aereo e rispediti a casa e magari dimessi anche dalla funzione di cappellani militari? Siete dunque liberi di disturbare la coscienza dei generali e dei soldati stessi, se lo ritenete necessario, oppure siete messi lì soprattutto per tranquillizzare, benedire e dare il nulla osta di Dio? Come fate per far capire che non siete servi dei signori della guerra ma del mite Gesù di Nazareth? ………Come fate per far capire che non siete servi dei signori della guerra ma del mite Gesù di Nazareth? Voi sapete bene che in Italia chi è divorziato e risposato o convivente non può fare la comunione in chiesa perché è considerato connivente con una situazione di peccato, e voi, siete così tranquilli a dare la comunione a chi è complice di questa grande manovra omicida americana per accaparrarsi potere e petrolio? Il peccato dei conviventi, non c’è dubbio, è davvero poca cosa se paragonato all’altro.

Dino d’Aloia, prete

 

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