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OTTOBRE 2006

ANTIOCHIA, 6 FEBBRAIO 2005

E’ domenica. Ho appena terminato l’ora di catechismo con i 12 bambini della nostra parrocchia qui ad Antiochia, nel sud della Turchia .

P. Domenico mi blocca in giardino.

“Ha appena telefonato il Vescovo. Hanno sparato a don Andrea neanche un’ora fa. Morto sul colpo”.

Don Andrea Santoro, il parroco di Trabzon. Non ci posso credere. Di lui mi ha sempre colpito la tenacia e la serietà.

Figura alta e asciutta, compita, sessantenne dal volto scarno e segnato da precoci rughe, essenziale nel vestire e nel parlare. Incontri rapidi, fugaci, i nostri. Ma sempre intensi e con al centro Dio, la sua Parola, il suo Verbo, Gesù Cristo, senza mezzi termini. …..

E io lo conobbi ad Istanbul, alla fine del 2001 mentre insieme ci cimentavamo nello studio del turco.

Vent’anni più grande di me, lo studio per lui fu veramente faticoso, ma non mollava: era troppo importante per lui l’uso della lingua locale per poter comunicare direttamente con la gente ed entrare in sintonia con loro.

Diceva: “Il turco è una lingua molto difficile e io sono l’ultimo della classe. Non so come andrà a finire, ma “essere l’ultimo” è comunque utile: aiuta a sentirsi davvero ultimi, con un’umiltà reale e quotidiana”. Anche a distanza di tempo ammetteva: “La lingua continua ad essere un’esperienza di povertà: dover sempre imparare, poter dire solo un’infinitesima parte di quello che si vorrebbe dire, riparare i malintesi dovuti proprio alla lingua e subito risanarli, oltre che con le dovute scuse, anche con squisiti cioccolatini italiani”, confessava con la suo sorriso ironico. E poi proseguiva: “Nel preparare le mie omelie ho scoperto che la povertà della lingua mi spinge all’essenzialità, la sua novità mi fa cogliere meglio la novità del Vangelo, la diversità degli uditori (quasi tutti ex musulmani) mi costringe ad andare al cuore dell’annuncio e me ne mostra le insospettabili ricchezze”.

Volle andare ad Urfa, nel sud est della Turchia, ai confini con la Siria, dove vi rimase tre anni come presenza orante e silenziosa, in quella città – patria di Abramo – dove non si conta neppure un cristiano. Eppure anche lì era riuscito a farsi benvolere da tutti, persino dall’imam della moschea vicina.

E così motivava il senso della sua presenza lì: “Urfa è per me sempre l’eco delle parole dette da Dio ad Abramo: “Lascia la tua terra, la tua patria, la casa di tuo padre verso una terra che ti indicherò… io ti benedirò e tu sarai una benedizione per tutti i popoli della terra”. Urfa – ci diceva – è la “partenza” di  ogni giorno. Urfa è Dio che con una intelligenza, un potere e un amore più grande del nostro ha i suoi disegni su di noi e ci chiede disponibilità. Urfa è la potenza di una benedizione, di una gioia e di una fecondità senza fine, di cui Dio si rende garante. Urfa rimane la radice e la bussola del nostro muoverci in Turchia e in Medio Oriente”.

E continuerà a portarsi nel cuore questa città, anche quando gli sarà chiesto di spostarsi al nord, sul mar Nero, a Trabzon, per essere parroco della Chiesa di santa Maria rimasta “sprovvista” di un prete da più di tre anni.

200.000 abitanti, molte mosche, una chiesa, una piccola comunità cattolica di circa 15 persone, una più folta comunità ortodossa sparsa per la città, un’emigrazione femminile dall’Est, preda spesso della prostituzione e dello sfruttamento, un fiume di giovani musulmani che visitano la chiesa. “Qui c’è un mondo caro a Dio”, scriveva don Andrea appena approdato a Trabzon, sulla sua “Finestra per il Medio Oriente” lettera di collegamento (che poi è diventata anche un sito) da lui fondata “per raccogliere da questa terra le grandi ricchezze che Dio vi ha deposto e per spedire da lì a qui le ricchezze che Dio ha fatto maturare nei secoli. Un vero e proprio scambio di doni umani, spirituali, culturali e religiosi che possono arricchire entrambi e contrastare quello scambio di odio, di minacce e di guerra che troppo spesso è all’orizzonte”. Questo il suo obiettivo da sempre: “Aprire una finestra che permettesse uno scambio di doni tra la chiesa cristiana occidentale e quella orientale, riscoprire il flusso di linfa che unisce la radice ebraica e il tronco cristiano, incoraggiare un dialogo sincero e rispettoso tra il patrimonio cristiano e il patrimonio musulmano, una testimonianza del proprio vivere e sentire. Attraverso anzitutto la preghiera, l'approfondimento delle Sacre Scritture, l'Eucarestia, la fraternità, l'amicizia fatta di ascolto, di accoglienza, di dialogo, di semplicità, la testimonianza sincera del proprio credere e del proprio vivere”………

Il Natale di due anni fa cominciò a confidarci la sua preoccupazione per le prostitute e il suo desiderio di fare qualcosa per loro a Trabzon.”………………

Ho saputo dal nostro Vescovo, mons. Padovese, che tempo addietro don Andrea è stato persino in Georgia per prendere contatti con la Chiesa locale in aiuto a queste donne. Una pista d’indagini sul suo omicidio  sospetta che il delitto sia legato alla mafia implicata nel traffico di prostitute cristiane provenienti da paesi dell'ex Unione Sovietica.

Un’altra pista, invece, punta sulla provocazione politico-religiosa, sostenendo che l’intento degli istigatori del delitto è stato quello di provocare un conflitto tra la religione islamica e quella cristiana, conflitto attualmente immotivato e inesistente in Turchia, ma esasperato un po’ in tutti gli stati islamici in seguito alle vignette blasfeme pubblicate in Danimarca

Eppure, penso, una persona più innocua e mansueta di don Andrea, dove trovarla?……………………..

Era inginocchiato a pregare in chiesa quando ieri un proiettile l’ha colpito dritto al cuore.

La sua carne è stata trafitta e l’odio è stato assorbito fino in fondo da un amore inerme e orante.

Mariagrazia Zambon

 

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