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NO ALLA GUERRA

Riportiamo qui di seguito alcuni commenti, appelli, iniziative e poesie contrarie non solo alla partecipazione italiana alla guerra, ma alla guerra in genere. Non crediamo che la guerra sia la risposta adeguata al terrorismo.

INDICE

 

Comunicato stampa

Ore 17,05

In questo momento in cui con maggiore evidenza si affacciano alla nostra coscienza tutti i motivi retorici e nefasti della guerra non possiamo restare in silenzio. Vogliamo esprimere la nostra grave preoccupazione per la scelta del Governo di offrire uomini e mezzi del nostro Paese per il prosieguo della guerra in territorio afgano. La nostra contrarietà, oltre che ispirata dal Vangelo della Pace in cui fermamente crediamo, deriva dal dettato costituzionale che all'art, 11 "ripudia" la guerra come strumento per la risoluzione di qualsiasi controversia. Proprio in questi giorni il Capo dello Stato ha impegnato la sua parola a difesa dei valori della Costituzione. Vorremmo che, coerentemente, se ne traessero tutte le conseguenze.
D'altra parte anche i conflitti più recenti (Iraq, Kosovo...) hanno ampiamente dimostrato quanto la guerra non risolve i problemi ma li trascina nel tempo o li aggrava. Tanto più questo conflitto sembra concedere nuovi argomenti, consensi e spazi d'azione al terrorismo che dice di voler debellare. In questo caso poi, ci sembra che continuino ad essere ignorate le Organizzazioni internazionali, che restano la strada maestra indicata dai padri che sottoscrissero la Carta delle Nazioni Unite e che Papa Giovanni XXIII ha letto come uno dei segni dei tempi. Il conferimento del Premio Nobel all'ONU e al suo Segretario Generale indica che andrebbe valorizzato e sostenuto il ruolo di un governo mondiale democratico e vigile.
Infine rinnoviamo il nostro disappunto per la decisione del Governo in quanto tale decisione avviene nel momento in cui il conflitto ha ampiamente e tristemente dimostrato di non riuscire a risparmiare la vita dei civili che abitano l'Afghanistan e che subiscono così un doppio conflitto. Né l'uso delle armi sembra accompagnarsi ad una fattiva ricerca per la rimozione delle cause remote dei conflitti.
Rivolgiamo pertanto un ultimo e accorato appello a tutte le persone che siedono in Parlamento affinché interpretino l'anelito alla pace delle donne e degli uomini che li hanno eletti, esprimendo il voto negativo all'intervento delle truppe e dei mezzi militari italiani nella guerra in Afghanistan.
Pax Christi Italia
5 novembre 2001
**************************************************
Pax Christi Italia
segreteria nazionale
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Fax: 080/395.34.50
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Storiella balzana con secondi fini non troppo evidenti.
 
Questo fine settimana alcuni sognatori marceranno da Perugia ad Assisi per rincorrere una speranza assai lontana: la pace.
Se qualcuno di voi ha a cuore questo tema, si metta al più presto in contatto con me o con il granello di Senape. 
Davide.
 
 Dario Fo e Franca Rame
7 Ottobre 2001
 
Quando si inizia a dividere la storia umana in storia di diverse civilta', cercando di stabilire una classifica di valori di civilta', si  commette immancabilmente un grave peccato di semplificazione. Soprattutto se si parla di Islam, cristianesimo ed ebraismo. Tre culture profondamente interconnesse grazie a una comune origine culturale. Scriviamo usando l'alfabeto fenicio e i numeri arabi, esploriamo le leggi della natura utilizzando le teorie di Albert Einstein, cerchiamo cure alle malattie seguendo la strada scientifica tracciata dai medici arabi e fondiamo i metalli grazie a tecnologie mediorientali.
A quando risalirebbe l'inizio della superiorita' occidentale?
Al 1800, con lo schiavismo e il colonialismo?
Al 1900, con le guerre mondiali (e' ormai dimostrato che ne' Hitler ne' Stalin fossero di origine musulmana. E neppure Roosvelt era di razza orientale, nonostante abbia sganciato le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki).
Oppure si tratta di una superiorità post bellica... con l'apartheid in Usa fino agli anni sessanta, la guerra del Vietnam, i proiettili all'uranio degli anni novanta?
Le polemiche feroci di queste settimane, impostate sulla classifica dei valori di civiltà tra le varie culture e religioni, ci hanno fatto scoprire il permanere di un punto di vista che credevamo estinto. Ancora molti sono convinti che la fame del mondo non sia colpa delle furbizie commerciali globalizzate che strangolano le economie locali. Molti credono veramente che quei popoli soffrano dell'indigenza e della miseria per ragioni che niente hanno a che vedere con il colonialismo, lo sfruttamento delle loro ingenti ricchezze minerarie e lo strozzinamento bancario che si pratica sui
prestiti bancari.  Essi, da sempre, fin dalle loro origini, sono miserabili.
Miserabile la loro cultura, la loro conoscenza, la loro civiltà.
Chi parla di culture superiori dovrebbe poi sapere che usa parole che fertilizzeranno la malapianta del razzismo. E questo dovrebbe far riflettere i media sulle loro grandissime responsabilità. Oggi, in Italia mezzo milione di persone non vengono più salutate quando entrano in un bar. Sono lavoratori immigrati di fede musulmana, la gente li vede come
se fossero tutti agenti del terrore. Uno di loro ha detto che dal 12 settembre i colleghi di lavoro lo trattano come fosse spazzatura…Che dire...
Si dovrebbero realizzare tante iniziative per incrementare un minimo di buon senso. Forse bisognerebbe iniziare dai ragazzi, insegnando a scuola la storia di quando noi eravamo una popolazione di semiselvaggi e gli arabi raffinatissimi uomini di scienza.
Si potrebbe iniziare leggendo la testimonianza di un medico arabo del dodicesimo secolo che, in terra musulmana, viene chiamato in un campo di crociati Franchi, per curare alcuni feriti.
"...Mi presentarono un cavaliere che aveva un ascesso a una gamba, e una donna afflitta da una consunzione. Feci un empiastro al cavaliere, e l'ascesso si aprì e migliorò, prescrissi una dieta alla donna, rinfrescandole il temperamento. Quand'ecco arrivare un medico franco, che dice: «Costui non sa affatto curarli!», e rivolto al cavaliere gli domandò: "Cosa preferisci, vivere con una gamba sola o morire con due gambe?», e avendo quello risposto che preferiva vivere con una gamba sola, ordinò: «Conducetemi un cavaliere gagliardo e un'ascia tagliante». Vennero cavaliere ed ascia, stando lì io presente. Colui adagiò la gamba su un pezzo di legno, e disse al cavaliere: «Dagli giù un gran colpo di ascia, che la tronchi di netto!» E quegli, sotto i miei occhi, la colpì di un primo colpo, e, non essendosi troncata, di un
secondo colpo; il midollo della gamba schizzò via, e il paziente morì all'istante. Esaminata quindi la donna disse: «Costei ha un demonio nel capo, che si è innamorato di lei. Tagliatele i capelli!» Glieli tagliarono, e quella tornò a mangiare i loro cibi, aglio e senape, onde la consunzione le aumentò. «Il diavolo è entrato nella tua testa» sentenziò colui, e preso il rasoio le aprì la testa a croce, asportandone  il cervello sino a fare apparire l'osso del capo che colui strofinò con il
sale...; e la donna all'istante morì. A questo punto io domandai: «Avete più bisogno di me?» Risposero di no, e io me ne venni via, dopo aver imparato della loro medicina quel che prima ignoravo."
(da Storici arabi alle Crociate a cura di Francesco Gabrieli, Giulio Einaudi Editore, Torino 1987, pagg. 76/77)

 

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Appello al Presidente della Repubblica

Signor Presidente,
le scrivo pieno di tristezza, dopo che il Parlamento Italiano ha votato l'entrata in guerra dell'Italia contro l'Afghanistan. Lo so, non bisogna chiamarla guerra: è un intervento armato contro il terrorismo internazionale, così come ieri non era guerra, era polizia internazionale.
Solo una sessantina di parlamentari hanno votato contro: sono loro grato per aver testimoniato che è possibile pensarla diversamente. La maggioranza schiacciante che ha dato parere favorevole si è assunta una grave responsabilità: spero che in futuro ne saprà rispondere davanti a tutti gli italiani.
Le scrivo però per dirle quanto i suoi recenti interventi mi abbiano offeso e indignato: prima il suo invito affinché in ogni casa sia presente il tricolore, poi la sua affermazione secondo la quale "l'Italia vuole la pace, ma sa che la pace va difesa" offendono chi come me ama il proprio paese, ma ne riconosce come fondamento la Costituzione. Non ho sentito un suo invito affinché la Costituzione sia presente in ogni casa, eppure - guardi - occupa davvero poco spazio, meno di una bandiera: io ne ho una copia che sta in un librettino di 32 pagine. Non le ho sentito citare l'articolo 11 - lo ricorda anche lei - quello che recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". I nostri padri costituenti l'hanno messo nei principi fondamentali, prima dell'articolo 12, che parla della bandiera della Repubblica, eppure anche lei fa finta di dimenticarsene.
Signor Presidente, sono abbastanza vecchio per ricordare e rimpiangere l'appello che ogni anno, il 31 dicembre, ci rivolgeva sempre il suo compianto predecessore Sandro Pertini: "Si svuotino gli arsenali e si riempiano i granai!". Le dico la verità, in questo momento lo rimpiango molto.
Vorrei citarle un brano di una scrittrice indiana, Arundhati Roy, che esprime bene ciò che io e tanti altri italiani e cittadini del mondo pensiamo in questo momento:
"Niente può scusare o giustificare un atto di terrorismo, che sia commesso da fondamentalisti religiosi, milizie private e movimenti di resistenza popolare, o spacciato da un governo legittimo come una guerra di punizione. Il bombardamento dell'Afghanistan non è una vendetta per New York e Washington. E' l'ennesimo atto di terrorismo contro l'umanità. Ogni persona innocente che viene uccisa deve essere aggiunta, e non sottratta, all'orrendo bilancio dei civili morti a New York e a Washington.
La gente raramente vince le guerre, i governi raramente le perdono. La gente viene uccisa. I governi si trasformano e si ricompongono, come la testa di un'idra. Usano la bandiera prima per incellofanare la mente delle persone e soffocarne il pensiero, e poi come sudario cerimoniale per avvolgere gli straziati cadaveri dei loro morti volonterosi". (Arundhati Roy, "Guerra è pace", Internazionale, n. 410)
Signor Presidente, io amo il mio paese, ma oggi mi vergogno di essere italiano. Oggi mi sento italiano, ma anche afghano, bosniaco, kosovaro, iracheno, cambogiano, ruandese, vietnamita e - certo - anche americano: parente stretto di quanti piangono i loro morti, comunque essi siano morti, vittime dell'odio, del terrorismo, della violenza, del terrorismo.
Signor Ciampi, a casa mia la bandiera tricolore non c'è, ma se ci fosse oggi sarebbe a mezz'asta, in segno di lutto.

Indirizzare l'appello a: presidenza.repubblica@quirinale.it 
l'e-mail deve essere completa di Cognome Nome, Indirizzo, Cap. e Città, altrimenti verrà respinto

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Guerra, divisione fra gerarchie e volontariato

La Curia valuta con grande prudenza gli sviluppi della crisi
afghana. I vescovi interventisti a metà. Ruini dice che combattere il
terrore è un "diritto-dovere", ma già i gesuiti sospendono il
giudizio.
     di Paolo Emiliano

ROMA - Esporsi con cautela. Sembra questo il comportamento che le alte gerarchie di Santa Romana Chiesa stanno adottando in merito ai bombardamenti sull'Afghanistan. La mancanza di indizi su quanto potrebbe durare il conflitto e sulle prossime mosse degli Usa e dei suoi alleati, spingono i prelati d'Oltretevere ad usare prudenza.
Alcune posizioni però cominciano a delinearsi: il Papa chiede che le armi non siano un mezzo per risolvere i conflitti, il cardinal Ruini esprime il suo assenso per un "intervento circoscritto, proporzionato ed efficace", mentre per le associazioni cattoliche di base bisogna fermare l'intervento dell'Italia nel conflitto. Uno schema che si è ripetuto già altre volte: gerarchie da una parte, popolo del volontariato dall'altra.
Finora, dunque, nessuno ha pronunciato l'espressione "guerra giusta", e il fronte cattolico si divide sulle strade da percorrere per sradicare il cancro del terrorismo. Giovanni Paolo II, particolarmente parco di parole in questo caso, si è limitato a dire che la Chiesa non deve cessare di indicare "il dovere di costruire la pace", ma certo "la pace non può essere disgiunta dalla giustizia".
Se il Santo Padre decide di esprimersi con parsimonia, più esplicito è il cardinale Camillo Ruini, presidente dei vescovi italiani. Il Sir, l'agenzia di stampa della Conferenza Episcopale Italiana, da sempre espressione dei vertici dell'episcopato, pochi giorni fa ha messo in evidenza come "la situazione attuale di guerra copra un'evidente fase
di recessione mondiale.
Se rimuove i presenti focolai di tensione, 'Libertà Duratura' può rappresentare un solido punto di partenza di ricostruzione e sviluppo a livello mondiale". Dunque, sembrerebbe che i vescovi adottino un atteggiamento interventista, eppure a fine settembre, in occasione del Consiglio Episcopale Permanente della Cei, Ruini aveva detto che il "diritto-dovere" di combattere il terrorismo deve essere esercitato non solo "attraverso il ricorso alle armi, ma anche e principalmente adoperandosi per rimuovere le motivazioni che alimentano il terrorismo".
Del tutto contrarie alla guerra sono le associazioni cattoliche di base come Pax Christi, Papa Giovanni XXIII, Tavola per la Pace che esprimono "preoccupazione" per la scelta del governo italiano di offrire uomini e mezzi per il prosieguo della guerra in Afghanistan.
"La nostra contrarietà - dice un comunicato - oltre che ispirata dal Vangelo della pace in cui fermamente crediamo, deriva dal dettato costituzionale che all'articolo 11 'ripudia' la guerra come strumento per la risoluzione di qualsiasi controversia. Proprio in questi giorni il Capo dello Stato ha impegnato la sua parola a difesa dei valori della Costituzione. Vorremmo che, coerentemente, se ne traessero tutte le conseguenze".
A fare opinione però in questo caso, sono anche gli intellettuali cattolici, chiamati spesso da giornali, radio e tv a dare il loro parere. Il gesuita Padre Michele Simone, commentatore di Civiltà Cattolica afferma che "da un lato c'è la necessità di combattere il terrorismo e forse è abbastanza giustificato l'intervento in Afghanistan, ma d'altro canto non si hanno tutti gli elementi per poter esprimere un giudizio nettamente contrario o a favore".
Lo storico Pietro Scoppola, invece, non condivide "l'entusiasmo" espresso da alcuni per la partecipazione italiana alla guerra, "non richiesta, ma offerta per ragioni di prestigio". Scoppola si riferisce ad Antonio Maria Baggio, docente  di Etica Politica all'Università Gregoriana, convinto che la partecipazione dell'Italia darà al nostro Paese "la possibilità di dire una parola pesante sulla conduzione della guerra". Il crollo della DC non ha fatto altro che acuire le differenze tra le tante anime del Cattolicesimo, e oramai in politica, tra chi un tempo si rifaceva a Piazza del Gesù, è sempre più difficile trovare un minimo comune denominatore.
(7 NOVEMBRE 2001; ORE 09:45)

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UNO STRACCIO DI PACE

Siamo pericolosamente vicini alla guerra. Questo vuol dire che degli italiani potrebbero anche uccidere dei civili, la maggior parte dei quali donne e bambini e, a loro volta, essere uccisi.
Siamo sicuri che molti di noi non vogliono che ciò accada. 
Noi vogliamo poter dire che siamo contrari, e vogliamo che chiunque ci veda sappia che siamo contrari alla guerra.
Per farlo useremo un pezzo di stoffa bianco: appeso alla borsetta o alla ventiquattrore, attaccato alla porta di casa o al balcone, legato al guinzaglio del cane, all'antenna della macchina, al passeggino del bambino, alla cartella di scuola...
Uno straccio di pace.
E se saremo in tanti ad averlo, non potranno dire che l'Italia intera ha scelto la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti.
Sappiamo che molti sono favorevoli a questa entrata in guerra.
Vogliamo che anche quelli che sono contrari abbiano voce.
Emergency chiede l'adesione di singoli cittadini, ma anche comuni,
parrocchie, associazioni, scuole e di quanti condividono questa
posizione.
Diffondere questo messaggio è un modo per iniziare.

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Articolo n.°11 della Costituzione Italiana
"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli
altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali;
consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di
sovranità necessarie ad un ordinamento che rassicuri la pace e la giustizia
fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali
rivolte a tale scopo."

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LA ROSA BIANCA CONTRO LA GUERRA

"Niente di ciò che è inefficace ha valore"

Il Parlamento italiano ha votato l’entrata in guerra. In nome del realismo.

Anche noi crediamo fermamente che la lotta al terrorismo islamico debba essere realistica. Come ha detto Simone Weil: "Niente di ciò che è inefficace ha valore." Ma proprio per questo stesso motivo, esprimiamo il nostro più profondo dissenso per la scelta fatta. Questa guerra non ha nessun valore perché sta dimostrando ogni giorno di più la sua totale inidoneità a raggiungere lo scopo che dichiara di voler perseguire.
Dopo un mese di bombardamenti, il collasso del regime di Kabul, premessa per la cattura di Bin Laden, non c’è stato. La rivolta del Sud contro i Taliban non si è materializzata. L’Alleanza del Nord si è rivelata troppo debole per dare la spallata decisiva. Mai le previsioni delle intelligence occidentali sono state così pessimistiche: aumenta l’odio di masse sterminate di poveri nei confronti dei ricchi occidentali, cresce il numero dei fondamentalisti, si preparebbero altri piani di morte addirittura con armi nucleari. L'impulso al raffreddamento della situazione in Palestina non c'è stato e il conflitto continua incandescente, con alta probabilità di un coinvolgimento dell’intera regione medio-orientale.
Fatti, non parole. La guerra - per la sua tendenza ad autoalimentarsi, per le risorse econooniche che mobilita, per all'atteggiamento culturale che sottintende - non è in grado di fronteggaiare la complessità e la vastità del male. La guerra non risolve. E’ servita in Iraq? Saddam è tuttora regnante. E’ servita in Kossovo? Gli ex "amici" dell’Uck imperversano e stanno propagando il conflitto in Macedonia. La guerra è assurda perchè colpisce sempre i soliti: milioni e milioni di innocenti, che andranno ad aggiungersi alle migliaia morti sulle Twin Towers.

Il realismo è contro di voi, parlamentari di destra e di sinistra cha avete votato una guerra senza neanche ottenere qualche garanzia sui tempi e sui modi del suo svolgimento.

Il realismo spinge di nuovo a chiedere capacità di intelligence per arrivare a colpire i veri colpevoli, lotta all'economia illegale e ai paradisi fiscali, creazione immediata dello Stato palestinese, superamento delle politiche economiche liberiste.
Il realismo, soprattutto, non fa perdere la speranza. In questa Italia sbandata che si aggrappa al tricolore per coprire il vuoto morale e politico della sua classse dirigente, ci sono ancora molti uomini e donne di pace coraggiosi, che intendono stare su un piano diverso da quello di Bin Laden e dei suoi fanatici assasini - su un piano superiore (qui l’aggettivo va a pennello)-, che vogliono testardi un mondo diverso, senza che tante altre vite umane vengano inutilmente spezzate.

                                                                                                                             Giovanni Colombo
                                                                                                            Presidente Nazionale della Rosa Bianca

Milano, 7 novembre 2001

 

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da Primo Piano - Venerdì 09 Novembre 2001
      Pax Christi scrive a Bush

            Il consiglio internazionale di Pax Christi ha approvato il testo di una lettera per Bush e Tony Blair: «Pax Christi la invita pressantemente a fermare subito il bombardamento in Afghanista. Ciò permetterà alle Nazioni Unite di assicurare gli aiuti necessari prima dell'inverno. Le bombe a grappolo colpiscono in modo indiscriminato: è lo stesso principio per cui sono state messe al bando le mine antiuomo. Come movimento cattolico internazionale continueremo a costruire la pace. Signor Presidente, come leader cristiano, la esortiamo a fare lo stesso...».

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"Contro la guerra, contro il WTO"

APPELLO

  a.. La condanna del ricorso alla guerra e dell'ingresso dell'Italia tra i paesi impegnati direttamente nel conflitto che sta distruggendo un paese due volte vittima, è assoluta e senza riserve da parte delle organizzazioni firmatarie.
  b.. Ogni giorno che passa, scandito da bombardamenti e da vittime, rende sempre più evidente che le guerre sono in realtà poco utili per estirpare il terrorismo e per risolvere i conflitti, mentre la morte, la violenza e il sangue possono richiedere altri interventi solo militari e altre vittime sempre più numerose anche nelle popolazioni inermi.
  c. Riteniamo urgente chiedere la sospensione dei bombardamenti e il ricorso a trattative e pressioni che aprano la via alla giustizia internazionale e alla punizione dei colpevoli, per poter poi passare a politiche ed interventi in campo economico e sociale, di qualità e dimensioni adeguate, che modifichino radicalmente le condizioni di vita di tutti i popoli che chiedono solidarietà e condivisione nell'uso delle risorse della Terra e nell'orientamento delle politiche produttive e commerciali.
  d. Devono anche essere al più presto create le condizioni per una giusta risoluzione di altri conflitti drammatici da tempo in corso, come quello che contrappone i popoli di Israele e della Palestina, poiché solo il riconoscimento e il rispetto dei rispettivi diritti potrà far cessare le violenze e le vittime che giocano un ruolo fondamentale nella alimentazione del terrorismo internazionale.
  e. Le organizzazioni firmatarie denunciano da tempo gli effetti deleteri delle filosofie di intervento di enti internazionali come l'Organizzazione Mondiale per il Commercio, che facilitano in realtà l'espansione degli scambi dei paesi già industrializzati e delle grandi imprese multinazionali e rendono difficile la partecipazione agli scambi internazionali proprio ai paesi più poveri che devono trarre maggiori vantaggi dalle materie prime e dalle merci che esportano ed essere sostenuti nella acquisizione di beni essenziali a condizioni accessibili.
  f. Le richieste che il movimento internazionale e la società civile di tanti paesi da tempo presentano con decisione alle Organizzazioni dell'ONU e a quelle Finanziarie, in primo luogo al Fondo Monetario e alla Banca Mondiale evidenziano per il WTO aree di competenza e funzioni da svolgere completamente diverse da quelle attuali e da quelle che cerca di assumere, mentre devono essere monitorati accuratamente gli effetti che gli accordi in campo commerciale possono avere sulla vita e le speranze di intere popolazioni nonché sulla salute dei sistemi naturali.
  g. Le associazioni e le reti firmatarie, nel lanciare le giornate di mobilitazione in tutte le città e le zone dove il movimento è attivo, hanno deciso di sperimentare forme innovative di mobilitazione sul territorio, con il duplice obiettivo di far avvicinare ai temi internazionali fasce sempre più ampie di popolazione e di far acquisire ai problemi determinati dal WTO una visibilità molto diffusa e partecipata.
  h. A Genova e alla Perugia-Assisi è ormai chiaramente emerso un movimento della società civile di grandi dimensioni, sensibile e determinato, portatore di una visione diversa del mondo in cui intendiamo vivere in pace. Per questo movimento la riduzione degli squilibri economici e delle ingiustizie sociali sono obiettivi concreti e raggiungibili in un futuro non indefinito.
  i. Questa mobilitazione e le campagne di più lungo periodo che seguiranno, sono aperte a tutte le associazioni, le campagne e i gruppi che condividono le finalità e gli obiettivi delle associazioni e delle reti firmatarie.
Tavolo delle Campagne
Rete Lilliput per un'economia di giustizia

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No alla guerra!

Non avrà mai più il mio voto elettorale chi ha sostenuto e appoggiato la GUERRA calpestando tra l'altro (e non è poca cosa!!) l'art. 11 della nostra Costituzione.
Sono un sacerdote missionario che ha quasi sempre votato a sinistra perchè la credevo più sensibile e attenta ai problemi dei popoli del Terzo Mondo, ai suoi drammi e ingiustizie. Mi devo ricredere di fronte agli ultimi sviluppi e al cammino di omologazione che la maggior parte della sinistra sta portando avanti da tempo.
Sarà mio compito attraverso la mia semplice azione pastorale (predicazione, animazione tra i gruppi...) invitare le comunità cristiane e non solo, far prendere coscienza (aprire gli occhi), perchè non venga dato il voto a quei
Parlamentari che hanno accettato la logica della guerra per la soluzione delle controversie internazionali e rendendo di fatto più difficile e impervio l'incontro e lo scambio tra popoli diversi.
p. Agostino Rota Martir - c/o campo nomadi -
56010 Coltano (PI)

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Vi inoltro la risposta dei Democratici per l'ulivo alla mia protesta per quei Parlamentari di Sinistra che avevano votato a favore dell'invio e coinvolgimento dell'Italia nella guerra.
Mi sembra abbastanza "diplomatica", per niente convincente e di "sinistra"!
Saluti Agostino

Caro Padre Agostino,
noi crediamo che il problema dell'intervento italiano in Afghanistan non sia affatto semplice, che in casi come questo non si tratti di fare una scelta tra bianco e nero ma di cogliere le sfumature di grigio che sempre avvolgono situazioni internazionali intricate e difficili. Il "no" alla guerra non può essere un semplice "no" così come un "sì" non può limitarsi ad essere "sì": dare una risposta così sintetica può essere facile ma di certo non porta proposte per la soluzione dei problemi.
Le inviamo un intervento del Prof. Guglielmo Minervini che riassume bene la nostra posizione. Tutto questo per motivarle le ragioni della risposta che daremo in Parlamento: se anche dovesse essere contraria a ciò che lei crede avremo quantomeno tentato di spiegarci.
Cordialmente, per il Gruppo Comunicazione Internet de "i Democratici"
Ivano Gobbato

I DILEMMI DELLA PACE
di Guglielmo Minervini - 28 Ottobre 2001

Viviamo un tempo drammatico in cui urgente è il bisogno di una cultura di pace solida, adulta, all'altezza della complessità. Una cultura di pace che non si limiti a dichiarare i propri principi, ad affermare se stessa ma che sappia misurarsi con la realtà, attraversando la cruna dell'ago della politica. Un passaggio stretto, angusto ma indispensabile per incidere effettivamente sul futuro.
Come tradurre la doverosa riaffermazione del rifiuto della guerra nell'attuale contesto?
Certo dichiarandolo, ricordandolo, manifestandolo. Davvero questo può bastare?
Eppure la pace è dubbio, ricerca, inquietudine. La pace non è un modello teorico, più spesso è dilemma nell'assunzione di
responsabilità.
Proprio perché l'impegno per la costruzione della pace non è laterale alla politica ma al contrario ne costituisce intimamente il cuore e il fine, è indispensabile oltrepassare facili schematismi e insopportabili faziosità.
Siamo tutti preoccupati per la catena degli eventi precipitati l'11 settembre. L'umanità ha paura. Siamo ad un passo dalla
possibilità che un incendio di portata planetaria divampi ovunque con conseguenze terribili. Questa presa di coscienza ha
conseguenze importanti con cui abbiamo il dovere di fare i conti.
Per la prima volta stiamo capendo che i problemi degli altri finiscono sempre per essere anche i nostri. Per la prima volta
anche gli stati stanno capendo che ci sono problemi che le armi non possono risolvere del tutto. Per la prima volta, cioè, la comunità internazionale sta prendendo coscienza che il vero problema del futuro è proprio la domanda di una convivenza inclusiva e tollerante.
Non sappiamo se la risposta sarà quella della pace. Ma dopo l'11 settembre questa domanda l'hanno compresa davvero tutti e gli atteggiamenti sono cambiati profondamente.
Certo in questo momento il dato di fatto è che le bombe si sono ripresa la parola. E l'Italia ha contribuito a dargliela.
Eppure questo non può bastare a tirare  conclusioni sommarie. Da Bonhoeffer a Weil, allo stesso Gandhi abbiamo imparato che si comincia a costruire la pace quando si coglie l'elemento tragico della realtà,  quando si entra nei suoi dilemmi, quando cioè si percepisce che ci sono scelte che non possono essere lavate dalle contraddizioni. E i conflitti veri di oggi sono drammaticamente di questo tipo.
Noi stessi non sappiamo se il centrosinistra in parlamento abbia fatto bene a condividere l'intervento. Però abbiamo il dovere di sostare con rispetto di fronte al travaglio di quella scelta, alle ragioni problematiche di quelle coscienze che hanno assunto seriamente il problema. Sono frammenti di verità con cui fare i conti. Non aver lasciato soli gli Stati Uniti ha concorso a impedire l'esplosione della vendetta. Ha concorso, come mai prima d'ora dalla guerra del Golfo, a temperare sensibilmente obiettivi e funzioni dell'azione armata (ed è emblematica l'indignazione vigile per i coinvolgimenti delle vittime civili, al contrario che nel passato). Ha concorso a profilare anche una forte volontà politica per la ricomposizione del nevralgico conflitto israeliano-palestinese. Ha concorso ad evitare che la reazione degenerasse nel temuto scontro con la civiltà musulmana e a ribadire la priorità di una lotta effettiva contro l'esclusione.
Non ha ancora escluso molti altri rischi e nemmeno che tutto sia nuovamente abusato dai calcoli della geopolitica. Ma la quantità dei vincoli su cui si sorregge l'iniziativa costituisce un significativo deterrente.
La coscienza è in rivolta dinanzi ai nuovi fragori di guerra che la macchina mediatica sta nuovamente ingurgitando. Ma, senza il peso della sensibilità europea e la coraggiosa scelta di campo di quasi tutto il mondo arabo, gli eventi che piega avrebbero preso? Ci saremmo avvicinati o allontanati da orizzonti di pace? Insomma, come i valori della pace possono incrociarsi con le "ragioni" della politica non solo nel perimetro astratto definito dalle nostre volontà o aspirazioni ma in quello accidentato e sconnesso della complessa vicenda attuale?
Queste domande, e molte altre, non hanno oggi una risposta certa.
Sottolinearne le contraddizioni è giusto. Assumersi il rischio di correrle, forse, lo è altrettanto.
Senza cogliere questa tensione rischiamo tutti una deleteria dissociazione: da una parte la testimonianza come richiamo a
"valori forti" però irrilevanti, che non influiscono sulle scelte politiche, non condizionano gli eventi;  dall'altra una politica
inerziale che non si stacca dalle regole e dai comportamenti storicamente determinati ma ormai assolutamente inadeguati (l'uso della forza come mezzo per ottenere una "giustizia" di parte, cioè violenta).
C'è bisogno di alzare il livello del dialogo e di ricondurlo alle domande ineludibili che la nostra coscienza morale ci sta ponendo.
Professor Guglielmo Minervini
Coordinatore Regionale de i Democratici della Puglia
Punto di contatto telematico del Movimento de "i Democratici"
http://www.democraticiperlulivo.it

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La Lega Obiettori di Coscienza, dopo il voto plebiscitario dei due rami del parlamento del 7 novembre che ha autorizzato l'intervento militare italiano in Afghanistan, intervento che si configura come  un'azione di guerra aggressiva che accetta come inevitabili le morti e i danni fisici, psichici e morali inflitti alla popolazione civile, ritiene incompatibile con il loro status il voto favorevole espresso da deputati e senatori, a partire dal leader della coalizione dell'Ulivo Francesco Rutelli, che nel corso degli anni hanno dichiarato la loro obiezione di coscienza al servizio militare usufruendo della legge 772/72 e della Legge 230/98.
Gli obiettori sono coloro  che "per obbedienza alla coscienza, nell'esercizio del diritto alle libertà di pensiero, coscienza e
religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e
politici, opponendosi all'uso delle armi, non accettano l'arruolamento nelle Forze armate e nei Corpi armati dello Stato" (Art. 1 Legge 230/98)
Questa scelta comporta per tutta la vita, il divieto di utilizzare armi a qualunque titolo, svolgere attività lavorative in corpi armati pubblici e privati e assumere compiti dirigenti in attività inerenti la fabbricazione e commercializzazione di armi.
Crediamo che gli "onorevoli" obiettori abbiano tutto il diritto di pentirsi di questa loro scelta, perché le coscienze possono evolversi, ma se la loro evoluzione li ha portati a credere nella validità dell'uso delle armi come mezzo di risoluzione dei conflitti tra stati e popoli,  dovrebbero avere la coerenza di rinunciare  a una condizione che li pone al riparo dalla possibilità di combattere insieme ai nostri soldati questa guerra da loro fortemente voluta e motivata politicamente e idealmente (Art. 13 comma 3 Legge 230/98). In caso di guerra o di mobilitazione generale, gli obiettori di coscienza che
prestano il servizio civile o che, avendolo svolto, siano richiamati in servizio, e per i quali non siano sopravvenute le condizioni ostative di cui all'articolo 2, sono assegnati alla protezione civile ed alla Croce rossa.
Pertanto ai sensi dell'art. 15 della Legge 230/98 chiediamo che l'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile e Ministero della Difesa inviino al Presidente del Consiglio dei Ministri l'elenco degli onorevoli obiettori di coscienza che hanno votato a favore dell'intervento militare affinché venga emesso nei loro confronti decreto di decadenza dallo status di obiettore di coscienza.
Se volete questa guerra dovete anche essere disposti a combatterla…
Per la segreteria nazionale LOC
Roberto Minervino
locosm@tin.it

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INCONTRO NAZIONALE PAX CHRISTI GIOVANI

FIRENZE Casa per la Pace

“…SENTIERI NONVIOLENTI…”
Itinerari di pace per giovani in cammino

 23-24-25 Novembre 2001

Questi sono i giorni della guerra. Questi sono i giorni in cui sembra impossibile l’ascolto, il dialogo, la costruzione di una prospettiva comune tra i popoli. Il terrorismo da una parte e la “nostra” risposta militare dall’altra sembra che sottilmente affermino che l’unico metodo possibile per risolvere i conflitti sia “schiacciare” l’altro. E questa mentalità sta drammaticamente diffondendosi non solo nel rapporto tra i popoli ma anche sul piano delle relazioni tra le persone. Certo, tutti vogliamo la pace ! Ma , sia ben chiaro, il realismo impone di credere che l’uso della forza sia l’unico modo per ottenerla! ... ... In tutto questo, torna in mente un’affermazione di Ghandi : “Il mezzo è il fine in costruzione”. E allora le domande nascono incalzanti: potremo mai costruire rapporti di pace con la violenza? Potremo mai costruire un mondo di pace attraverso la violenza? Noi NON lo crediamo! Anzi, citando un pensiero di Martin L. King  quanto mai attuale, “oggi non è più questione di scegliere tra violenza e nonviolenza. Si tratta di scegliere: o nonviolenza o non esistenza”.
Alla luce di queste provocazioni abbiamo sentito il bisogno di convocarci e  di incontrarci per riflettere insieme, come giovani di Pax Christi, sulla scelta della non-violenza. Crediamo che , OGGI PIU’ CHE MAI, sia fondamentale scrutare e riscoprire le radici della non-violenza, su tutti i livelli: la non-violenza come metodo di azione sociale, politica del nostro movimento e, soprattutto, la non-violenza come stile di vita personale.
Ma non basta parlarne: di fronte al cinismo del mondo in cui viviamo, occorre “fare esperienza” della ricchezza che si scopre nell’accogliere l’altro, nell’ascoltarlo, nel comprendere il tesoro che è la sua storia. Occorre scoprire che la scelta della non-violenza non è una debolezza, ma è la vera forza capace di smuovere le montagne. E per questo abbiamo sentito il bisogno di lasciare, durante questi giorni di incontro, tempi e spazi di scambio e di convivialità.

Il futuro è nelle nostre mani; a noi la responsabilità e la gioia di scegliere come costruirlo!

Vi aspettiamo numerosi !!!!!! ... Da tutte le parti d’Italia !!!!!

SHALOM !!!!!!!!!!!!!!

Programma:

Venerdi 23 sera                     Arrivo & accoglienza

Sabato 24:                          
9:00 – 9:15                                             Momento di preghiera e silenzio per la pace tra i popoli

9:30-10:45                                             LA PROFEZIA DELLA NONVIOLENZA IN PAX CHRISTI:
                                                              
LA FIGURA DI DON TONINO BELLO”
                                                              
Incontro con Tonio Dell’Olio –segretario di Pax Christi Italia-

10:45-11:00                                            Coffee Break

11:00-12:45                                            Presentazione dei Punti Pace di Pax Christi Giovani
                                                               racconti giovani per itinerari di pace:

                                                                          -I campi estivi di Pax Christi

                                                                          -International youth routes

                                                                          -Youth hostel in London

                                                                          -Marcia della pace di fine anno

                                                                          -Pellegrinaggio in Salvador/Guatemala

                                                                          -Incontro di Pax Christi International a Mainz

                                                                          -Pax Christi nella Rete di Lilliput e nei Social Forum

                                                                          -La voce di Pax Christi: Mosaico, “I Care”, Webpage

13:00                                                      Pranzo

15:00-17:00                                            “…NONVIOLENZA IN CAMMINO…”
                                                  i valori e i volti di riferimento, gli stili di vita, la nonviolenza attiva
                                            Incontro con Massimo Toschi, membro di Pax Christi e consigliere  della Regione
                                                        Toscana per i progetti di cooperazione internazionale. 

17:00-17:30                                            Coffee Break

17:30-19:30                                            Lavori di gruppo
                                                        -I VALORI DELLA NONVIOLENZA
                            (Alla riscoperta di antiche speranze, contenuti, significati, per una nuova cultura di pace)
                                                       -GLI STILI DI VITA
                                                          (Scelte giovani per un tempo nonviolento)
                                                        -ESSERE CITTADINI DEL MONDO
             (Impegno attivo per una societa’ di giustizia e pace, la presenza in Lilliput, nei Social forum.... )  

20:00                                                      Cena

21:00                                                      !!! Grande Festa !!!
                                                                Mega-Castagnata
                                                  Guccini e De Andrè davanti al camino
                                                                Teatro dell’oppresso
                                                                Trainig nonviolento

Domenica 25

9:00-11:00                                              Escursione a piedi nelle colline fiorentine

11:00- 13:00                                           Super celebrazione Eucaristica
                                          Lettura del documento finale dei giovani di Pax Christi Italia

13:00                                                      Pranzo e bye bye…!!!

Per informazioni/iscrizioni

Paolo         349-6053229
paolo.fusar.poli@tin.it

Massimo   335-7023780
fere@corecom.it

Eliana
swedelia99@hotmail.com

 

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Lettera a Berlusconi

Signor  Presidente, 
                               stasera lei troneggia con aria che vorrebbe sembrare – ridicolmente -  messianica sul palco che si è senza parsimonia allestito a piazza del Popolo (a proposito, quanto mi è costato? Spero proprio che le spese se le sia accollate il suo partito…Riterrei corretto che si facesse chiarezza su questo). A parte la diversità di contenuti, la “Perugia-Assisi” è stata molto più apprezzabile anche solo per questo, per l’assenza di inopportuni trionfalismi. Evidentemente lei non può fare a meno dell’effetto mediatico che è molto utile quando si ha poco da proporre oltre quello. A Perugia e ad Assisi i suoi sindaci non ci hanno fatto trovare neanche le toilettes, bisogna concludere che  nel paese in cui lei governa e che lei enfaticamente dice di amare, la cui libertà proclama con solennità di difendere, ci sono persino manifestanti di serie A e manifestanti di serie B. Ah, la libertà. Lei dice di difendere la libertà. Quale libertà stanno difendendo i nostri eroici ragazzi? Quella di un paese il cui presidente del consiglio possiede tre televisioni? Quella di un governo che sta rasentando il regime? Sì, lo ammetto, preferisco ancora il suo governo a quello dei talebani ma dove stanno le garanzie? Lei si sta facendo insieme ai suoi ministri leggi a suo uso e consumo e può con facilità convincere gli Italiani che sta facendo bene. Forse gli Italiani, si può obiettare, potrebbero anche pensare ogni tanto. Ma non a caso lei sta facendo di tutto per affossare anche la scuola, il luogo istituzionalmente predisposto per educare a questo.
Lo credo bene che lei vuole la pace. Lei vuole la pace di chi non vuole essere disturbato nei suoi affari, di chi vuole andare tranquillamente per la sua strada. Invoca le idee di forza, di coraggio, che hanno nutrito anni bui della nostra storia. Le chiedo se dimostra  coraggio chi si schiera a suon di fanfare dalla parte del più forte o non piuttosto chi, pur appartenendo al mondo dei più forti, sceglie di stare accanto alle vittime inermi dei bombardamenti, lì, sul posto di guerra, ma senza armature e bombe. Avete detto che i pacifisti non sanno prendersi le loro responsabilità, non sanno scegliere. A me pare che hanno scelto molto prima di voi e continuano a farlo nella coerenza e nel silenzio. Senza palchi e senza televisioni. Solo a Bin Laden piacciono molto le televisioni come a lei.
Smettiamola con la retorica, smettiamola di imbambolare le masse (cosa che non  fa pensare precisamente alla democrazia, almeno a chi conserva ancora un po’ di memoria storica). Lo dica che deve partecipare all’ “intervento armato” perché non può dire di no agli USA, perché il petrolio serve pure a noi, perché i produttori di armi stanno premendo, e così via. E ci permetta di farci venire un sospetto…che in fondo in fondo non le dispiace affatto; questa sporca storia le sta dando la possibilità di riconquistare l’immagine di prima donna un po’ offuscata nei mesi passati.

                                                                                                                        Con osservanza

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Pax Christi

Diocesi

di Locri – Gerace

Le violenze della globalizzazione

Percorsi di liberazione

a partire dai Sud del mondo

29-30-31 dicembre 2001

Teatro Salesiani –Locri

Convegno
in preparazione
alla Marcia per la Pace
del 31 dicembre 2001

Da Genova a Kabul i meccanismi perversi della globalizzazione stanno mettendo in evidenza tutto il potenziale di violenza e terrore che possono scatenare.
La "collera dei poveri" alza la voce e assume i colori della morte, ma anche le civiltà cosiddette "avanzate" non sanno trovare altre strade se non la scorciatoia – terribile e devastante – della guerra.
Quando il Vangelo si sposa con la tradizione e i percorsi semplici delle genti del Sud (di tutti i Sud!) può fornire nuove chiavi per comprendere il frammento di storia nel quale siamo immersi.
Vogliamo provare a farlo insieme, ispirati da don Tonino Bello, guidati dall’esperienza delle chiese del Sud, accompagnati da coloro che ogni giorno condividono attese e speranze di liberazione autentiche e profonde.
Scopriremo che la nonviolenza, antica come le montagne, ha il volto nuovo della risposta all’omologazione globale, al pensiero unico massificante e al nauseabondo odore della guerra.
Già la sola partecipazione - non solo con la testa ma con gli sguardi, i sapori, il calore dell’amicizia, il coraggio della solidarietà, il desiderio di imparare a "mettere in corpo l’occhio del povero" – può diventare un segno di speranza. Per tutti.

Programma

 

Sabato 29 dicembre

ore 16: apertura della segreteria, accoglienza e sistemazione

ore 18,30: Concerto di Natale

ore 20: Festa di convivialità con i colori, i suoni e i sapori della Calabria

 

Domenica 30 dicembre

ore 9,30: apertura dei lavori Mons. Diego Bona Presidente di Pax Christi Italia

ore 10: "Il re non si salva per un forte esercito" - Mons. Giancarlo Bregantini Vescovo di Locri - Gerace

ore 11: pausa

ore 11,30: dibattito

ore 15,30: Gruppi di lavoro
                Nonviolenza e guerra
                              Diego Cipriani
Consigliere Nazionale di Pax Christi – red. Mosaico di pace
                Nonviolenza e potere economico
                            
Tonino Perna Docente di economia all’Università di Messina, presidente della ONG CRIC
                Nonviolenza e criminalità organizzata  
                             On. Beppe Lumia Deputato – già presidente della Commissione parlamentare antimafia
                             Silvana Pollichieni Resp. Commissione Giustizia e Pace Diocesi di Locri - Gerace
                             Francesco Rigitani Coordinatore Regionale della Calabria per Libera

ore 18: In plenaria...

ore 20,30: Recital e visita a Gerace

Lunedì 31 dicembre

ore 9,30: Tavola rotonda
               Quale nonviolenza scaturisce dalla croce
                        Giovanni Mazzillo
Docente di Teologia al Seminario di Catanzaro
              
La parola e la prassi di liberazione al Sud
                        Vincenzo Salvati
Direttore Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro – Diocesi di Rossano
               Globalizzazione e sviluppo del Mezzogiorno
                        Tonino Perna
              
Liberarsi nella riconciliazione: Sudafrica
                       
Ntombi Shangase Commissione Giustizia e Pace Conferenza Episcopale Sudafricana

ore 11: pausa

ore 11,30: dibattito

ore 17: inizio Marcia per la Pace

introduce Gianni Novello

Comunità Santa Maria della Grazie – Rossano Calabro

 

Note tecniche

Come arrivare

In auto provenendo da Nord sulla Salerno – Reggio Calabria uscire a Rosarno
Prendere la Strada Grande Comunicazione Ionio-Tirreno in direzione di Gioiosa Ionica e proseguire fino alla SS106.
Seguire le indicazioni per Siderno e Locri.
Anche provenendo da Sud, in auto, è consigliata la Salerno – Reggio Calabria (direzione Nord) seguendo le indicazioni precedenti.
Per chi proviene dalla direzione dello Ionio: seguire la SS106 fino a Locri.

In treno provenendo da Nord, seguire la direzione Lamezia Terme – Catanzaro Lido – Locri.
Dallo Ionio: seguire la direzione Reggio Calabria fino a Locri. (direzione consigliata anche a chi proviene da Sud).

In aereo: aeroporto di Lamezia Terme.

Proseguire in auto o in treno, secondo le indicazioni precedenti.

Informazioni

Pax Christi - Segreteria nazionale
Via Petronelli, 6 70052 Bisceglie BA
Tel. 080/3953507 Fax 080/3953450
www.paxchristi.it
info@paxchristi.it

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Da Emergency
VITTIME DA BOMBARDAMENTI SU KABUL
NOME E COGNOME, SESSO, ETÀ, LESIONE, DATA E LUOGO DEL BOMBARDAMENTO

Aihasha Abdul Malik, F, 3 anni, amputazione di gamba, lesioni multiple agli arti, intossicazione polmonare, 10 ottobre, Mikrorajon.
Zarwali Almar, M,10 anni, amputazione di gamba destra e lesione dei tessuti molli alla mano destra e gamba sinistra, 10 Ottobre, Saroby.
Jawed M. Alam, M, 10 anni, frattura bilaterale agli arti inferiori, 10 Ottobre, Boni-hosar
Raqeba M. Jan, F, 30 anni, lesioni dei tessuti molli agli arti inferiori bilateralmente, 11 Ottobre, Tarakhel
Saleha Moheb, F, 10 anni, ferita al torace, 11 Ottobre, Karte Se
Ahmad Khan Janay Ahmad, M, 35 anni, frattura di caviglia destra, 12 Ottobre, Qargha
M. Omar Khan, M, 10 anni, lesione ai tessuti molli gamba destra, 12 Ottobre, Qargha
M. Azghar Ali Ahmad, M, 40 anni, trauma ginocchio destro, 12 Ottobre, Qargha
Abdul Moqim Rahim, M, 20 anni, frattura esposta di tibia sinistra, 12 Ottobre, vicinanze aeroporto
Naiheb M. Ranq, M, 4 anni, trauma cranico, 12 Ottobre, vicinanze aeroporto
Nasir Ahmaed Gul M. Abd, M, 20, lesione mano sinistra,12 Ottobre, Khair Khana
Abdullah Hamid Hakim, M, 24 anni, lesione mano destra, vicinanze aeroporto
Wahed Abdul Jahl, M, 22 anni, lesioni alla gamba destra, 12 Ottobre, Qargha
Farema M. Sarwer, F, 25 anni, lesioni gamba destra, 12 Ottobre, Mikrorajon
Negena M. Salem, F, 10 anni, frattura cranica, 12 Ottobre, vicinanze aeroporto
Waheda M. Nesar, F, 4 anni , ferita penetrante all'addome, 12 Ottobre, Rish Khor
M. azam, M, 20 anni, frattura di gamba sinistra, 14 Ottobre, Karte Parwan
Breshna M. Ghous, F, 1 anno, dispnea da inalazione, 14 Ottobre, Badam Bagh
Zarmina Amanullah, F, 7 anni, lesione penetrante al fianco destro e gomito destro, 14 Ottobre, Debury (paziente deceduta)
Fazela Amanullah, F, 5 anni, frattura di ginocchio destro, 14 Ottobre, Debury
Parwana Amanullah, F, 11 anni, ferita alla gamba destra, 14 Ottobre, Debury
Ferozan Amanullah, F, 14 anni, ferita al gluteo destro, 14 Ottobre, Debury
Najibullah M. Yassir,M, 12 anni, ferita penetrante all'Addome, 14 Ottobre, Debury
Latifa Allah Ghuiam, F, 25 anni, ferita al volto ed alla coscia destra, 14 Ottobre, Debury
Peer Mohamad, M, 63 anni, ferita alla coscia destra, 14 Ottobre, Niaz Big
Jan Sharif M. Jan, M, 35 anni, ferita penetrante al torace e addome, 15 Ottobre, Karte Parwan
Abdul Bary, M, 6 anni, ferita al gluteo ed all'avambraccio, 15 Ottobre, Afshar
Omel Ahmad , M, 3 anni, ferita al cranio, 15 ottobre, Afshar.
Abdul Habib Abd. Qadir, M, 65 anni, ferita coscia destra, 15 Ottobre, Afshar
M. Alam Allah Dad, M, 40 anni, frattura di gomito, 15 Ottobre, Qasaba
M. sadiqAbd. Mazid, M, 70 anni, frattura ala iliaca sinistra, 15 Ottobre, Khair Khana
Noor Aga Abd. Ghafur, M, 34 anni, ferita piede destro, 16 Ottobre, Khair Khana
Nezamudin Noorudin, M, 30 anni, frattura di rotula destra, 16 Ottobre, Badam Bagh
Gulbigum M. Dad, F, 40 anni, frattura cranica, 16 Ottobre, Qable Bye
Khuda Dad Nowroz, M, 28 anni, ferita penetrante al torace, 17 Ottobre, Qalav Shadan
Khuda Dad Rostam, M, 22 anni, ferita al dorso, 17 Ottobre, Qalav Shadan
Khanabudin Mostara, M, 28 anni, ferita bilaterale alle gambe, 17 Ottobre, Qalav Shadan
Morad Ali M. Mussan, M, 21 anni, frattura di bacino, 17 Ottobre, Qalav Shadan
M. Raza M. Wakl, M, 13 anni, ferita penetrante all'addome, 17 Ottobre, Qalav Shan
Sulaiman Agha M., 16 anni, ferita al cranio, 17 Ottobre, Khoshal Khan
Shabana Agha M., F, 13 anni, ferita agli arti, 17 Ottobre, Khoshal Khan
Shad M. Dad M., M, 21 anni, ferita alla gamba destra, 17 Ottobre, Khoshal Khan
Najiba M. Ayub, F, 40 anni, ferita al cranio, 17 Ottobre, Shari-now
Basnooa M. Afzal, F, 40 anni, frattura di bacino, 17 Ottobre, Kair Khana
Abdul Wakl M. Arzal, M, 40 anni, ferita al bacino, Pz in Shock ,17 Ottobre, Kair Khana,
Niaz Moh Ghulam M., M, 7 anni, ferita al cranio, Pz. In coma, 17 Ottobre, Kolola Pushta,
Bakara Zar Alam, F, 45 anni, ferita al cranio, 18 Ottobre, Pushta Enihesar
Mohammed Sher Mohammed, M, 23 anni, lesioni arti superiori, 18 ottobre, Microrayon.
Norullah Nezamudin, M, 28 anni, ferita cerebrale, 18 ottobre, Qargha.
Aminullah Momin, M, 50 anni, frattura pelvica, 18 ottobre, Badam Bagh.
Sarajudin Fazudin, M, 55 anni, ferite al collo e alle corde vocali, 18 Ottobre, Khairkhana.
Zamari Mirajan, M, 20 anni, fratture multiple arti inferiori, 18 ottobre, Khairkhana.
Abdul Kabir Mohammed, M, 60 anni, ferite penetranti agli occhi, 18 Ottobre, Khairkhana.
Haroon Agha Sherin, M, 12 anni, ferrite agli arti inferiori, 18 ottobre, Khairkhana.
Shamsudin Qader, M, 22 anni, ferite multiple al volto, 18 ottobre, Khairkhana.
Zaher Mohammed Alam, M, 35 anni, ferrite alla gamba destra, 18 ottobre, Khairkhana.
Kamila Khoja Masod, F, 45 anni, ferite multiple al volto, 18 ottobre, Microrayon.
Khosh Abdul Fatah, F, 7 anni, ferita cerebrale penetrante, 18 ottobre, Microrayon.
Ahmed Osman, M, 10 anni, ferita cerebrale penetrante, 18 ottobre, Microrayon.
Anisa Mohammed Gul, F, 8 anni, ferita cerebrale penetrante, 18 ottobre, Char-Qalla.
Zobidullah Rahmatullah, M, 18 anni, ferite toraciche, 18 ottobre, Khairkhana.
Shah Malang-Sar Baland, M, 30 anni, ferite alla gamba destra, 18 ottobre, Khairkhana.
Samir Zamir, M, 13 anni, ferita cerebrale penetrante, 18 ottobre, Khairkhana.
Gulam Rasul Ayub, M, 40 anni, politraumatizzato, 18 ottobre, Khairkhana.
Shamsudin Mohammed Nazeer, M, 19 anni, ferrite al volto, 19 ottobre, Khairkhana.
Sarwer Mohammed Ayub, M, 45 anni, ferita cerebrale penetrante, 21 ottobre, Khairkhana.
Nadia Mohammed Sarwer, F, 3 anni, ferita cerebrale penetrante, 21 ottobre, Khairkhana.
Hanifa Mohammed Sarwer, F, 23 anni, ferite penetranti agli occhi, 21 ottobre, Khairkhana.
Zafonon Sarwer, F, 25 anni, ferita cerebrale penetrante, 21 ottobre, Khairkhana.
Najia Mohammed Sarwer, F, 8 anni, trauma cranico, 21 ottobre Khairkhana.
Rabia Mohammed Sarwer, F, 7 anni, trauma cranico, 21ottobre, Khairkhana.
Malyar Zekria, M, 7 anni, ferita cerebrale penetrante, 21 ottobre, Khairkhana.
Hasanullah Zekria, M, 8 anni, ferita cerebrale penetrante, 21 ottobre, Khairkhana.
Arif Mohammed Asif, M, 5 anni, trauma cranico, 21 ottobre, Khairkhana.
Nesar Qand Agha, M, 3 anni, ferita cerebrale penetrante, 21 ottobre, Khairkhana.
Fin qui i feriti accertati, tutti colpiti da frammenti di bombe e/o razzi.
Nel popoloso quartiere di Khairkhana, in Kabul, dove sono state bombardate numerose abitazioni, abbiamo potuto verificare i seguenti nomi di pazienti deceduti sul posto:
Bilal Gulam Rasul, M, 4 anni, deceduto, 21 ottobre Khairkhana.
Kaled Gulam Rasul, M, 6 anni, deceduto, 21 ottobre, Khairkhana.
Wares Gulam Rasul, M, 12 anni, deceduto, 21 ottobre, Khairkhana.
Samin Gulam Rasul, M, 9 anni, deceduto, 21 ottobre, Khairkhana.
Said Mir-Said Jan, M, 30 anni, deceduto, 21 ottobre, Khairkhana.
Said Mir-Said Mir, F, 26 anni, deceduta, 21 ottobre, Khairkhana.
Nazira-Said Mir, F, 21 anni, deceduta, 21 ottobre, Khairkhana.
Sofi Kasim, F, 39 anni, deceduta, 21 ottobre, Khairkhana.
Aziza-Khoja Fagir, F, 23 anni, deceduta, 21 ottobre, Khairkhana.
Il 18 ottobre 6 persone sono state uccise dai bombardamenti a Microrayon: non siamo per ora in grado di fornire i nomi.
Il 21 ottobre altre 12 persone per ora non identificate sono state uccise dai bombardamenti a Khairkhana, dove tre case sono state completamente distrutte. Di queste famiglie sono rimasti vivi solo due bambini, secondo le verifiche fatte dal personale infermieristico di EMERGENCY a Kabul.
Cercheremo di fornire aggiornamenti quanto prima. 
Najib e gli altri dell'Emergency Team in Kabul
Aggiornamento del 1 Novembre 2001
Mohammed Hassan, M, 22 anni, ferita al braccio sinistro, 21 ottobre, Khairkana
Matiullah, M, 7 anni, ferite alle gambe, 21 ottobre, Shakar Dara
Bashir, M, 5 anni, ferite al fianco e alle gambe, 21 ottobre, Shakar Dara
Sardar Mohammed, M, 20 anni, ferita al cervelllo, deceduto, 21 ottobre, Shakar Dara
Feraidun Khak Sar, M, 22 anni, frattura cranica, 23 ottobre, Bini-Hasar
Mohammed Musen, M, 45 anni, ferite al torace e alla spalle, 23 ottobre, Bini-Hasar
Nabi Rohani, M, 8 anni, ferita penetrante al cervello, 23 ottobre, Khost
Aareza Quadratullah, F, 7 anni, ferita cranica penetrante, 23 ottobre, Karte Nau
Bibi Zarlo, F, 60 anni, ferita alla gamba, 23 ottobre, Kohi Safi
Abdul Shafiq, M, 23 anni, trauma cranico, 23 ottobre, Khairkana
Morsal Sheto, M, 5 anni, trauma cranico, 23 ottobre, Arzan Qimat
Zabiullah, M, 10 anni, frattura esposta di gamba, 25 ottobre, Tagab
Jan Aga, M, 25 anni, ferite alla testa e alle gambe, 25 ottobre, Shakar Dara
Abdul Saboor, M, 7 anni, frattura esposta di gamba, 25 ottobre, Bini Hesar
Shafiqa, F, 25 anni, politraumatizzata, 25 ottobre, Khairkana
Gul Saheb, F, 50 anni, ferita alla mano, 25 ottobre, Logar
Bistora Mohammed, F, 40, ferita alla gamba, 25 ottobre, Khairkana
Farema, F, 25 anni, frattura di ginocchio, 25 ottobre, Microrayon
Ragiba Marjan, F, 20 anni, ferita alla gamba, 25 ottobre, Pagman
Zabiullah Abdul Rab, M, 20 anni, ferito alla testa, 25 ottobre, Khairkana
Saheb Bigur Sher Aga, F, 8 anni, deceduta, 25 ottobre, Char Qala
Raihan Sher Aga, F, 7 anni, deceduta, 25 ottobre, Char Qala
Shenin Aga, M, 35 anni, ferite superficiali, 25 ottobre, Kabul
Mohammed Anwer, M, 45 anni, ferita al braccio, 26 ottobre, Deh Khudaidad
Mohammadullah, M, 14 anni, ferita penetrante l'addome, 26 ottobre, Karte Nau
Farhad Mohammed Rasul, M, 18 anni, ferita alla spalla, 26 ottobre, Khairkana
Shafiq Ahmad, M, 35 anni, deceduto, 26 ottobre, Yaka Toot
Toryalai Bahader, M, 12 anni, ferita alla testa, 28 ottobre, Microrayon
Din Mohammed, M, 50 anni, ferite alla testa e al volto, 28 ottobre, Qalai Khater
E, in coda alla lista, la storia di una famiglia che non c'é più...
Gul Ahmad, capofamiglia, M, 60 anni, deceduto, 28 ottobre, Qalai Khater
Sima, moglie di Gul, F, 50 anni, deceduta, 28 ottobre, Qalai Khater
Sidiqa Gul Ahmad, F, 17 anni, deceduta, 28 ottobre, Qalai Khater
Shokria Gul Ahmad, F, 16 anni, deceduta, 28 ottobre, Qalai Khater
Razia Gul Ahmad, F, 10 anni, deceduta, 28 ottobre, Qalai Khater
Zakera Gul Ahmad, F, 8 anni, deceduta, 28 ottobre, Qalai Khater
Fahima Gul Ahmad, F, 5 anni, deceduta, 28 ottobre, Qalai Khater
Ramazan Gul Ahmad, M, 12 anni, deceduto, 28 ottobre, Qalai Khater
Jaweed Gul Ahmad, M, 20 anni, ferite al volto e alle mani, 28 ottobre, Qalai Khater

 

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SPETACLE

 Sonnambulo in pieno mezzogiorno
traverso il campo delle manovre
dove gli uomini imparano a morire
Impastoiato nelle coltri del sogno
barcollo come un uomo ubriaco
Toh, un resuscitato dice il comandante
No
solo un renitente
dice il capitano
Siamo in guerra il suo caso già è risolto
dice il tenente
tanto più che è vestito sciattamente
Per un renitente
un abito d'assi
è il vestito regolamentare
dice il comandante
Un'asse grande sopra
un'asse grande sotto
una più piccola dalla parte dei piedi
una più piccola dalla parte del capo
semplicemente

Scusate tanto
passavo soltanto di qui
dormivo quand'è squillata la trom­ba
E nel mio sogno si sta così bene
che da quando la guerra è cominciata
me la spasso giorno e notte da pascià
Il comandante dice
Dategli un cavallo una scure un cannone un
lanciafiamme uno stuzzicadenti un cacciavite
Ma vada in campo a fare il suo dovere

Il mio dovere non l’ho mai saputo fare
una lezione non l’ho mai appresa
Ma datemi dunque un cavallo
lo porterò all'abbeveratoio.
Datemi anche un cannone
lo sparerò con dentro tanta birra
Datemi.. .
ma no non vi domando nulla
non sono uno regolare
spaccar le pipe non è affar mio

Ho solamente una piccola pipa
una piccola pipa di terra
di terra refrattaria
e ci tengo
Lasciatemi andare per la mia strada
e fumare
mattina e sera

Non sono uno regolare
Sul sentiero della vostra guerra
io fumo
il mio piccolo calumet della pace
E' proprio inutile che vi arrabbiate
non vi domando mica un portace­nere

Jacques Prevert, da Spetacle

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LETTERA APERTA A CHI PENSA CHE LA GUERRA SIA IL MALE MINORE

dai volontari dell’AIFO, Asssociazione Italiana Amici di Raoul Follereau

Un celebre libro di dom Helder Camara, vescovo brasiliano e compagno di strada dei più poveri, s’intitola "Mille ragioni per vivere".
Noi membri di un’associazione popolare impegnata in 50 paesi del mondo ed in Italia con centinaia di volontari che operano per la solidarietà e per la giustizia sociale vogliamo esprimere alcuni dei mille motivi per dire no alla guerra.
No perché
la condanna nei confronti del terrorismo e di ogni forma di violenza ed il cordoglio per i morti non può generare e giustificare un’azione di guerra patita da una popolazione inerme e vessata da anni dai suoi stessi governanti. Negli ultimi decenni il 90% delle vittime delle guerre sono civili. In Afghanistan stanno morendo bambini, donne, uomini stremati da freddo fame o uccisi da "bombe intelligenti"
No perché è inutile. Rispondere al terrorismo con la guerra è inutile e legittima l’avversario. I primissimi giorni del conflitto alcuni autorevoli commentatori affermavano che bisognava evitare di usare il termine guerra perché ciò avrebbe significato conferire ai terroristi lo status di nemico, combattente ed era inaccettabile. Al di la’ dei sofismi linguistici il significato profondo non è trascurabile.
La lotta al terrorismo si combatte togliendo nutrimento al terrorismo, bloccandone i finanziamenti, le relazioni, portandolo allo scoperto. Il terrorismo si combatte prosciugandone il brodo di coltura: il malcontento ed i facili fanatismi. La guerra sta viceversa alimentando questi fattori.
No perché è retorica. Si afferma che dobbiamo difendere il mondo libero, il nostro stile di vita. Come suoneranno queste parole a chi del nostro stile di vita paga il prezzo: gli affamati, i senza acqua e senza cure, le vittime di tante guerre alimentate più dagli interessi dei potentati economici che da conflitti tribali. E’ retorica perché ci si accorge delle donne e del popolo afgano solo oggi, dopo aver chiuso per anni gli occhi sulle vessazioni di un regime oscurantista e crudele.
No perché è una guerra paravento. Dietro una spettacolare azione di forza si lasciano irrisolti i problemi veri che affondano le loro cause nella ingiusta distribuzione delle risorse del pianeta, nell’aver piegato le scelte politiche ai poteri economici, nel ricordarsi dell’importanza delle Nazioni Unite solo quando servono a legittimare le scelte dei potenti. Quelle Nazioni Unite troppo frequentemente svuotate di una credibilità che oggi si cerca di conquistare rapidamente con il conferimento del Premio Nobel.
No perché è pericolosa. Il conflitto con tutto l’apparato mediatico che l’accompagna sta trasformando un miliardario a capo di un’organizzazione clandestina nel leader dei musulmani e di tutti i reietti del pianeta. Eugenio Scalfari in un editoriale di qualche settimana fa riferiva di quella che definiva la teoria dei cerchi concentrici. I musulmani sono all’interno di un cerchio più ampio che ingloba il mondo arabo, che a sua volta è in un cerchio più ampio che include tutti i diseradati del pianeta. Scalfari ammoniva sull’importanza di tenere separati questi mondi, di far si’ che non si cementassero tra loro perché l’effetto sarebbe devastante. Non è un caso che Musharaf , in Pakistan stia insistendo per la sospensione dei bombardamenti durante il ramadan. Nonostante tutti gli sforzi diplomatici e gli innumerevoli incontri e scambi di sostegno dei leaders occidentali con i capi arabi la gente continua a vedere dei cristiani che bombardano dei musulmani e questo è un fatto inconfutabile.
No perché si fonda sull’ambiguità della violenza. Se accettiamo la violenza è difficile demarcare il confine tra una forma di violenza legale ed una terroristica. Non dimentichiamo che paesi come gli Stati Uniti hanno sostenuto per anni uomini oggi definititi terroristi e finanziato forme di guerriglia che hanno rovesciato i legittimi governi di alcuni paesi.
No perché nasce dalla logica dei due pesi e due misure. L’attacco è frutto del diniego del governo afgano di consegnare agli americani bin Laden artefice della morte di 7.000 persone.
Ricordiamo che nell’84 a Bhopal in India l’incidente ad un impianto chimico della Union Carbide provocò 16.000 vittime tra morti e disabili. Il governo indiano chiese a quello statunitense la consegna di Warren Anderson, presidente della Union Carbide, per processarlo in India, gli Usa si rifiutarono. Si obietterà che quello fu un incidente e non un atto di terrorismo e quindi i termini della questione sono profondamente diversi, precisazione che andrebbe fatta però anche quando più volte si sente paragonare i fatti di questi giorni all’invasione nazista della Polonia. Di fatto pochissime famiglie indiane sono state risarcite dalla Union Carbide ed il sig. Anderson ha eluso la sue responsabilità.
No perché è fatta di un linguaggio ingannevole. Si usano termini che non hanno alcun riscontro con la realtà: "Libertà duratura" è il nome dell’operazione. Libertà da cosa? Dal terrorismo forse? Se domani gli Usa riuscissero ad acciuffare bin Laden, se lo stesso governo afgano glielo consegnasse davvero potremmo metterci l’anima in pace rispetto al terrorismo? Quanti bin Laden sono alimentati da questa esagerata ostentazione di muscoli degli USA e dei loro alleati?
"Bombe intelligenti", teminologia che offende il genere umano che notoriamente dovrebbe ritenersi intelligente. Le bombe sono degli ordigni di morte programmati per colpire un bersaglio, potremmo definirle difettose, precise, killer ma mai intelligenti. E’ una guerra che parla il linguaggio dei media, ma gli orrori della guerra rimangono anche quando spegniamo il nostro apparecchio televisivo o cambiamo canale.
No perchè concella anni di educazione all'incontro tra i popoli.
Farhat Rehman, responsabile di un'associazione umanitaria che opera a Peshawar e referente AIFO per un progetto di sviluppo in quell'area, era presente la scorsa settimana al convegno AIFO che radunava 500 volontari dell'associazione. In quell'occasione più volte Farhat ci ha chiesto: - ma davvcero tutta questa gente è per la pace?- Le sembrava insolito constatare che in un paese coinvolto direttamente nelle operazioni di guerra ci fosse tanta gente di opinione contraria. Farhat è tornata a Peshawar con la cosapevolezza che tanti cristiani condannano fermamente il terrorismo e la spirale di odio che bin Laden alimenta e che, con alttrettanta fermezza, condannano la guerra.
C'è un legame forte che ci unisce a Farhat ed alla sua gente: la solidarietà sincera con le famiglie delle vittime americane, la distanza dalla violenza e l'impegno di anni nella costruzione di azioni di sviluppo e di riscatto per la popolazione, in particolare le donne fortemente vessate dal contesto politico e culturale. La guerra, con un colpo di spugna, rischia di concellare anni di duro lavoro.
Padre Zanotelli da Korogocho, la baraccopoli keniana in cui vive ha inviato un messaggio ai volontari AIFO in cui spiega che con i fatti dell’11 settembre è la prima volta che l’attacco arriva al cuore dell’impero. Continua ricordando che noi oggi piangiamo i morti americani ma che allo stesso modo dovremmo piangere i milioni di morti per fame a causa dell’apartheid economica che governa il mondo. Su 36 milioni di malati di AIDS , ventisei milioni vivono in Africa, tutti destinati a morire. Dice Zanotelli: "L’AIDS, la fame, la malattia, sono un fuoco che avanza e distrugge milioni di persone. Non possono esserci morti di serie A e morti di serie B".
Con Zanotelli, Raoul Follereau e tutte le donne e gli uomini di pace diciamo: è con una rivoluzione culturale che vinceremo il terrorismo e la violenza. Partendo dal sovvertimento della logica "se vuoi la pace prepara la guerra" e con la pratica del "se vuoi la pace costruisci la giustizia".
La guerra è una finta scorciatoia. I morti americani come i morti di tutte le guerre che si consumano oggi su questo pianeta non ci chiedono di imboccare scorciatoie, ci chiedono di guardare in faccia ai problemi veri, quelli della gente. Ci chiedono una politica che guardi al bene della polis e non agli interessi dei potenti di turno. Ci chiedono la pace in terra e non quella eterna dei bombardamenti o dei cadaveri che rientrano in patria avvolti in una bandiera.

Bologna, 12 novembre 2001

Per informazioni
Ufficio Stampa AIFO
Michela Di Gennaro 051 433402 - 328 6223901

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Ai mezzi d'informazione e ad alcuni altri destinatari interessati
Alcuni giorni fa il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo ha presentato un esposto contro il governo italiano ed i suoi complici nell'attentato alla Costituzione costituito dalla decisione di partecipare a una guerra illegale e criminale.
A quell'esposto si sono associate persone e strutture democratiche da varie parti d'Italia.
Con il seguente intervento il responsabile del "Centro di ricerca per la pace" evidenzia alcuni elementi del contesto italiano in cui l'iniziativa si situa.
Nota per la stampa a cura del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
Viterbo, 12 novembre 2001
Mittente: Centro di ricerca per la pace
strada S. Barbara 9/E, 01100 VIterbo
tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

* * *

INTERVENTO DI PEPPE SINI

Il governo dell'illegalita' e l'eversione dall'alto

UN COLPO DI STATO

Proviamo a riassumere alcuni fatti caratterizzanti la situazione italiana odierna.
* Le recenti elezioni politiche, dopo le catastrofiche gesta dei governi della precedente legislatura, hanno portato al potere    una coalizione di personaggi in rapporti con poteri occulti, mafia e corruzione, di persone di formazione neofascista, di     razzisti e teppisti responsabili di infamie indicibili.
* Questo governo gestisce il G8 a Genova: ed e' un massacro (certo, anche per l'irresponsabilità degli organizzatori della     contestazione).
* Il governo in questi mesi approva e fa approvare dalla sua maggioranza parlamentare una serie di leggi stupefacenti, a
   dir poco scellerate e criminogene: si legalizzano i reati, si ostruisce l'attività della magistratura, si favoreggia
   sfacciatamente il boss della coalizione; e si progetta la sistematica demolizione di quel che resta dei servizi pubblici e
   dei diritti sociali, si preparano provvedimenti in aperta violazione di diritti umani fondamentali. Si arriva al punto di
   proclamare che occorre convivere con la mafia.
   Poi avviene l'orrore dell'11 settembre, il mondo intero trema. A quelle stragi segue lo scatenamento insensato di una
   guerra illegale e criminale, che fa strame del diritto internazionale e della civiltà giuridica, azzera l'Onu, aggiunge stragi
   alle stragi, e sta provocando un'escalation verso una guerra mondiale che può mettere fine alla civiltà umana.
   Il governo italiano non solo rinuncia ad impegnarsi per la pace e il diritto internazionale, ma decide di avallare la guerra,
   e addirittura di prendervi parte.
   E qui si e' passati all'alto tradimento della Costituzione della Repubblica Italiana che all'articolo 11 questa guerra e la 
   partecipazione italiana ad essa dichiara illegale e inammissibile.
   Qui si e' passati al colpo di stato, che non cessa di essere tale per il mero fatto che un pezzo di opposizione 
    parlamentare insipiente o irresponsabile o corrotta, e un capo dello Stato fedifrago, sono stati complici del golpe; o per
    il mero fatto che un crimine analogo fu commesso già due anni fa dal gabinetto D'Alema.
    Questi ci sembrano essere i dati di fatto salienti della situazione italiana attuale. E quest'ultima costellazione di fatti: la
    violazione della Costituzione, la guerra, le stragi in corso, il pericolo per l'umanità intera, ci sembra essere dirimente e
     ineludibile.
* C'e' o no materia perchè il potere giudiziario intervenga contro i golpisti?
* C'e' o no materia perchè il popolo italiano si levi in difesa della legalità, della Costituzione, dell'ordinamento giuridico,
   dello stato di diritto, delle istituzioni, della democrazia, della civile convivenza?
* C'e' o no materia per chiamare alla resistenza nonviolenta contro la guerra e in difesa delle leggi, e della fondamentale 
   delle leggi italiane su cui tutto il nostro ordinamento si regge, la Costituzione della Repubblica Italiana?
* C'e' o no materia per chiedere l'impegno di tutte le persone di volontà buona per la salvezza delle vite umane innocenti
    in pericolo, e sono milioni di vite umane; e per la salvezza dell'intera umanità minacciata da una guerra che può
    provocare una catastrofe planetaria?
    Lo chiediamo a chi ci legge, ma per quanto ci riguarda lo sosteniamo ad alta voce.
Peppe Sini
responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
Viterbo, 12 novembre 2001

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PEACELINK - TELEMATICA PER LA PACE www.peacelink.it
a.marescotti@peacelink.it

MESSAGGIO PER TUTTI I VOLONTARI CHE SONO IN CONTATTO CON PEACELINK
(DA DIFFONDERE A TUTTI GLI AMICI - GRAZIE)

Ciao a tutti,
vogliamo dare un risalto nazionale alla manifestazione per la pace che venerdì prossimo si terrà a Taranto, in occasione della partenza delle navi e dei soldati italiani per la missione di guerra.

VENERDI' MANIFESTAZIONE PER LA PACE A TARANTO
Vi chiedo di partecipare di persona alla manifestazione che si terrà - molto probabilmente - venerdì mattina. E' tutto ancora incerto in quanto vi è maltempo a Taranto, la Garibaldi sembra abbia dei problemi all'impianto di generazione dell'elettricità (anche se la Marina smentisce) e bisogna vedere se Ciampi viene o no (pare di sì). Non sono definiti ora e luogo della manifestazione ufficiale e quindi della nostra.

CHE COSA POSSIAMO FARE TUTTI DA CASA
Comunque una cosa possono fare tutti subito per manifestare la volontà di pace della maggioranza della pubblica opinione: inondare le redazioni locali (sia del vostro comune sia di Taranto) con e-mail, fax e lettere. Il giorno della partenza tutti i giornalisti faranno capo come base di appoggio alle redazioni locali dei giornali di Taranto e quindi una visibile presenza di messaggi da tutt'Italia sarebbe una notizia.

INDICAZIONI OPERATIVE:
- scrivete un messaggio e inviatelo in contemporanea ad un giornale di Taranto (o a tutti i giornali di Taranto) e per conoscenza al giornale locale del vostro comune più disponibile a pubblicare;
- inserite nome, cognome, indirizzo e telefono (altrimenti senza possibilità di identificazione i giornali non pubblicano la lettera);
IMPORTANTE SPECIFICARE DA CHE CITTA' SCRIVETE;
- aggiungete anche quanti anni avete, che lavoro fate (o che attività svolgete), cosa pensate di questa guerra e perché avete deciso di scrivere.
Notare: anche un serpentone di fax diversi fa un certo effetto e quindi inserisco anche tre fax.
Se vi sono classi di scuola elementare con bambini che hanno realizzato disegni per la pace, li si può inviare possibilmente domani per posta prioritaria al Corriere del Giorno, Piazza Immacolata 30, 74100 Taranto.

DOVE INVIARE I MESSAGGI E-MAIL O FAX
Inviateli a:
redazione.cronaca@corgiorno.it (Corriere del Giorno) fax 0994538360
gazzettataranto@tin.it (Gazzetta del Mezzogliorno) fax 840031691
pierangelo.putzolu@caltanet.it (Quotidiano Taranto) fax 0994537847
linodematteis@clio.it (Quotidiano Puglia)
info@seranews.it (Taranto Sera)
robertamorleo@libero.it (Corriere della Sera - Taranto)
silvano.trevisani@infinito.it (Repubblica - Taranto)
albern@inwind.it (Primavera Radio)
PER CONOSCENZA INVIATELI ANCHE AL MIO E-MAIL: a.marescotti@peacelink.it

ESEMPIO DI MESSAGGIO TIPO (per i più pigri... però possibilmente modificatelo... e aggiungetevi ad esempio qualche citazione di personaggi di pace, ne invio alcune in un prossimo messaggio)
'Lettera alla stampa con preghiera di pubblicazione. Mi chiamo Maria Bianchi, ho 47 anni e scrivo da Bergamo. Sono un'insegnante e voglio manifestare la mia contrarietà alla guerra perché essa viola l'articolo 11 della Costituzione e colpisce la gente inerme generando disperazione, lutti e quindi nuovo terrorismo. So che stanno per partire da Taranto le navi e le truppe italiane per la guerra. Mi piacerebbe anche io essere a Taranto per essere con chi manifesta per la pace e lo stop ai bombardamenti. Chiedo ospitalità al vostro giornale perché anche la mia voce si possa unire a quella di chi
venerdì intende ripudiare la guerra. 
Cordiali saluti. 
Maria Bianchi,
via Dante 343, Bergamo, 
tel.011111111.'

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La dimensione globale della sofferenza come movente di una globalizzazione solidale.

La guerra è iniziata, una guerra non dichiarata perché il nemico non ha, si diceva, identità, una guerra che è tutt’altro che di intelligence almeno fino a questo momento e anche tutt’altro che intervento chirurgico. Come spesso avviene ci sono gruppi schierati a favore o contro e un grande numero di persone confuse fra le varie teorie e posizioni. Essere pro o contro la guerra è  inopportunamente interpretato come un essere pro o contro gli USA, quasi un rimasuglio di guerra fredda. Non si può non essere solidali con quel popolo che ha subito un così grave attacco terroristico; ciò non significa ritenere sempre opportuno tutto ciò che essi fanno per rispondere a questo attacco. C’è da lamentare la grande assenza dell’ONU, in crisi sì ma anche sempre volutamente ignorata proprio dagli USA. Noi siamo di fronte ad un fatto politico che chiede discernimento; discernimento non solo morale ma anche politico. E’ possibile non condividere tutto ciò che viene dagli USA, né rifiutare tutto; abbiamo probabilmente amici americani e certamente fratelli nella fede fra di loro. La nostra libertà e  democrazia deve molto a loro, ma ciò non ci esonera da un discernimento che tutto l’occidente deve fare, mettendosi in discussione rispetto al resto del mondo. Questo deve avvenire anche non chiudendo gli occhi rispetto ai rischi che frange estese ed estremiste di islamici costituiscono per noi; di questo ormai siamo coscienti e dobbiamo uscire da un ingenuo atteggiamento bonario. Tutti, perfino troppi, hanno insistito su una guerra non di religione, e sembra da noi un dato recepito. Semmai noi cristiani metteremo a confronto le logiche e dovremo accettare la sfida se quella evangelica è più umana e convincente, una logica di misericordia, di amore, di pace che ha orizzonti universali.
La marcia di Assisi, nata dal mondo cattolico e aperta a tutti i pacifisti, quest’anno soprattutto per la partecipazione dei politici e la relativa polemica, ha aumentato la confusione stessa. In realtà ci nasce il sospetto che i politici di varie estrazioni abbiano cercato di mettere il cappello anche su questa manifestazione come hanno fatto su altre (G8 di Genova), per trarne vantaggi particolari ma anche nascondendo alla fine i veri valori e i problemi che si volevano affrontare.
Certamente la società sta mandando segnali di vitalità politica insospettati fino a poco tempo fa e non facilmente interpretabili secondo le vecchie teorie. Questi segnali non dovrebbero essere catturati da partiti che cercano nuovo ossigeno, consapevoli del rischio di non averne più. Dovrebbero essi stessi, i partiti, sotto queste provocazioni porsi alla ricerca di nuove identità e nuovi progetti. Ciò potrebbe avvenire attraverso una riflessione sulla sofferenza che in ogni parte si vive. Se c’è un fatto che attualmente unisce occidente e mondo islamico, e il resto del mondo più povero, è la sofferenza e la preoccupazione. Se tutti ponessimo la sofferenza degli altri come criterio di misura e valutazione degli eventi e come limite delle nostre azioni; se la povertà e la sofferenza attuale, ma anche la memoria della sofferenza passata, fossero poste come elemento fondante una riflessione globale, ne verrebbe davvero qualcosa di nuovo. La sofferenza passata, le guerre mondiali, le povertà, le oppressioni vissute anche in Europa, in quanto sofferenze invincibili perché nessuno le può più togliere, non devono essere dimenticate. Fare memoria della passione degli uomini è per i credenti un fatto eucaristico, nella celebrazione eucaristica infatti, mentre si fa il memoriale della crocifissione del Signore Gesù, siamo chiamati a fare memoria vicino a lui di tutti i morti e i sofferenti, in particolare degli innocenti e di coloro che soffrono ingiustamente. Nella memoria delle sofferenze ingiuste si recupera un diverso atteggiamento non autogiustificante, per i soggetti personali e collettivi, anzi di autocritica e di critica della società, delle strutture…
Questo non per un moralismo salottiero, ma per una capacità progettuale che superi le situazioni di ingiustizia.
L’umanità condivisa, la preoccupazione per il bene degli altri, l’identificazione negli altri, nei sofferenti, che ci fa cambiare prospettiva, la capacità di resistere alla tentazione della indifferenza hanno qualcosa, e più di qualcosa, in comune con il concetto di misericordia che a noi credenti cristiani è tanto famigliare; che è dono di Dio legato alla memoria delle sue grandi opere per noi.
Ciò che ci spinge alla cura per tutti gli uomini e per l’intero creato è sì qualcosa che sentiamo dentro, una compartecipazione emotiva alla vita altrui, una condivisione spirituale, cioè della dimensione dello spirito; ma è anche una coscienza della uguale dignità, una concezione razionale della giustizia e dei diritti fondamentali.
Ritengo questo atteggiamento capace di porci di fronte alla guerra e alla globalizzazione selvaggia con una volontà di lottare per la pace e l’armonia dei popoli, nella difesa dei diritti di tutti al di là dei calcoli a volte un po’ meschini della politica miope.
I credenti si trovano spesso in bilico fra la teoria della legittima difesa che può giustificare una guerra giusta, (ma le sottigliezze argomentative per dimostrare tutto questo non sono sempre convincenti) e l’imperativo evangelico del metodo della pace. (Mt. 26,52) Per sfuggire a questo dilemma è necessario anticipare guerre e sofferenze operando contro la violenza, l’oppressione, l’intolleranza; è necessario allargare il respiro ad una strategia che edifichi una società globale giusta dove ognuno è accolto; è necessario che non ci siano esclusi dal dono della creazione, che è destinato a tutti.

Ravaldino in Monte 24/10/2001

Don Franco Appi

 

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L’11 settembre: un attentato globale cui si deve una risposta globale di giustizia

Il pluriattentato agli USA è un fatto globale che ha sconvolto l’umanità e cambiato lo scenario politico Globale. Appena a conoscenza del fatto ho inviato un messaggio di solidarietà alla segreteria della università  St. Thomas di St Paul Minnesota, con la quale ero occasionalmente in contatto. Le avevo ricordato la preghiera di Pio XI: “Domine, dissipa gentes quae bella volunt” “Disperdi, Signore, coloro che vogliono la guerra, che sperano nella violenza”. Oltre la cifra dei morti e dei feriti, angosciante, c’è il clima d’insicurezza e la turbativa alla vita dell’intero pianeta. Si vuole rispondere a questo con una guerra anomala ( descritta anche sporca, lunga, difficile), fatta contro un nemico invisibile e sconosciuto. Anche fosse individuato in Bin Laden il capo dell’organizzazione, sarebbe comunque difficile affrontarlo con un’azione bellica classica. Si parla, infatti, di guerra d’intelligence, cioè fondamentalmente con l’uso di servizi segreti. Osserviamo però le cose anche da un altro punto di vista: la sicurezza si può ottenere solo con la forza? Non discutiamo se è morale usarla o no; non in questo momento. Anche se Giovanni Paolo II ci ha già ricordato quanto sia poco costruttiva e come sia più utile un dialogo inter-religioso e inter-etnico. Dobbiamo chiederci: la sicurezza è frutto solo della difesa e della chiusura? I ricchi, per esempio, possono stare sicuri solo facendosi delle ville blindate? Potremo vivere prigionieri di noi stessi per la paura dei ladri, o degli attentati? Tutto è legittimo ma è anche strategicamente l’unico mezzo e il più efficace? Anche se questi attentati non sono operati dai poveri del mondo, Bin Laden è, infatti, un miliardario petroliere e per giunta fanatico, la divisione iniqua della ricchezza, lo sfruttamento del sud del mondo, che neanche in questa occasione va dimenticato, crea una divisione politica e debolezza nella lotta al terrorismo. La sicurezza dell’occidente ricco sarà solo affidata agli eserciti? Dovremo chiuderci e continuare a pensarci come padroni del mondo pur avendo bisogno dei paesi poveri e delle loro popolazioni, delle loro risorse di materie prime e di forza lavoro?  Se anche usassimo la ricchezza per dissuadere la rivolta, essa deve essere usata come forza, facendo regali a chi ci aiuta, invece che essere più equamente prodotta e distribuita?
Mi chiedo in buona sostanza se la nostra sicurezza non sarebbe più garantita anche da una diversa attenzione alle problematiche delle popolazioni povere; per esempio se i loro volti sofferenti ci fossero più familiari; se le nostre emozioni per loro fossero ispiratrici di solidarietà e giustizia; se le nostre azioni fossero più volte a garantire la risposta ai loro bisogni essenziali; se non avessimo a cuore più il profitto della stessa salutarità dell’ambiente.
Certamente non si può pensare a questa guerra d’intelligence come una crociata, come una guerra di religione contro i mussulmani. Chi lo facesse incorrerebbe in un grave errore di prospettiva. Anche fossero dei fondamentalisti islamici coloro che hanno operato in quel modo orrendo, ciò non potrebbe indurre un cristiano, un credente nel Vangelo di Gesù crocifisso, a proporre una guerra. Né potrebbe indurre uno stato occidentale o una coalizione di stati, laici per definizione e per statuto, a decidere una scelta di questo genere. Né può essere pensata come guerra fra paesi occidentali e paesi Islamico-arabi. Dovrà al massimo essere pensata come azione chirurgica. Ma le chirurgie belliche degli USA non sono sembrate troppo precise negli ultimi anni. Ritengo piuttosto che occorra individuare una politica di rispetto dei diritti umani fondamentali, fatta con trasparenza, senza strumentalizzazioni. Dovremo cessare, noi occidentali, di produrre i nemici, ponendoli gli uni contro gli altri, e senza poi essere in grado di gestirli. Questo è successo con Saddam Hussein contro l’Iran, Milosevic contro il blocco neutrale,  e appunto Bin Laden contro l’URSS. Noi ora siamo solidali con gli USA e il suo popolo per ciò che hanno subito, e dobbiamo essere solidali con l’intera umanità, anche quella dei paesi meno potenti, perché violenze e soprusi siano eliminati, da chiunque siano messi in atto e per qualsiasi motivo siano messi in atto.
I credenti hanno la missione della costruzione di un mondo di pace. Non basterà fare una preghiera, celebrare una messa per la pace. Noi siamo gli operatori di pace che nella Eucaristia trovano la forza dell’opera di pace; un’opera che spetta a noi; un’opera che comincia nel disarmare il nemico dentro di noi, non odiandolo, amandolo, andandogli incontro, correndo i rischi tipici dell’evangelizzatore di pace.
Una cultura di pace non si riduce a non belligerare; è un’opera di giustizia, di fraternità, d’armonia, fatta a partire dal quotidiano e arrivando alla politica.
Una cultura formata alla sensibilità verso l’altro, chiunque esso sia, fonderà una diversa azione solidale.
E’ una strategia di lungo termine, ma la guerra d’intelligence che si sta avviando già la si intravede  di una lunghezza dai cinque ai dieci anni. Non si potrebbe, mentre si opera per la sicurezza attraverso i servizi segreti, operare anche attraverso una politica meno arcigna verso i paesi poveri? Non verrebbero più facilmente isolati i violenti se gli scontenti diminuiscono?

Ravaldino in Monte 24/09/2001

                                                                     Don Franco Appi

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LA VOCAZIONE ALLA PACE IN UN MONDO IN GUERRA

Nella prima settimana di Novembre l’Italia è entrata in guerra. Chi ha votato contro in parlamento (e per estensione chi non è d’accordo nel paese) è stato giudicato da molti della maggioranza, non solo antiamericano ma favorevole al terrorismo. E’ mai possibile che non si riesca a parlare di problemi politici e di guerra senza un ciarpame ideologico retorico e populistico d’altri tempi, che oltretutto offende l’intelligenza della gente italiana?
I cattolici, per loro specifica vocazione, sono operatori di pace, ciò non significa essere per il terrorismo. Il papa nei suoi interventi diretti e attraverso i suoi strumenti diplomatici (il discorso dell’osservatore permanente all’ONU contro ogni forma di rappresaglia, il nunzio apostolico che guida la marcia da Betlemme) ha ripetutamente richiamato alla necessità di affrontare il problema con criteri di pace e giustizia, nel rispetto delle minoranze e dei diritti de popoli per risolvere le situazioni a rischio. Tali interventi da tempo riguardano Palestina e Iraq e ora la situazione dell’Afganistan. Non è certamente, egli, un terrorista!
Cosa favorisce il terrorismo se non le situazioni di prepotenza e ingiustizia? Perché un certo fondamentalismo, brodo di cottura di terrorismo in ambiente islamico, cresce? Perché, se pensiamo che la nostra cultura sia superiore, non ci affidiamo alle sue armi migliori? E nella situazione presente, perché dopo aver parlato tanto di guerra di intelligence, non ci si è affidati a tutte le intelligence che insieme avrebbero potuto ottenere certamente risultati? Le soluzioni improvvisate e pragmatiche di oggi quali problemi ci creano per domani. Valer la pena avere sempre strategie di corto respiro? Porsi queste domande è essere contro gli americani? E poi è questo il problema? E perchè il dibattito parlamentare su questo lo si è voluto cosi asfittico? Occorre porsi i problemi politici inerenti la situazione e analizzare le concause. L’Iraq era un paese arabo islamico molto vicino all’occidente sia per la sua costituzione sia per la tradizione di tolleranza. Se ne è ricavato un nemico attraverso la miope politica che dopo averlo usato contro l’Iran non gli ha riconosciuto il premio che gli era stato in qualche modo fatto presupporre. Un premio non giusto, ma certamente non più ingiusto della guerra che gli era stata commissionata. 
Quello palestinese è il popolo arabo con il maggior numero di cristiani, ma è stato messo a cottura lenta dal dopoguerra del ‘45 ad oggi, sia dalla politica occidentale sia da quella dei paesi arabi vicini.
Le strategie del petrolio, a cui non sono state create le possibili alternative in campo energetico (energie rinnovabili, carburanti biologici, motore a idrogeno … ), di fatto conservano in scacco l’intero pianeta. Il maggior alleato nell’area arabo islamica è la stessa Arabia che è notoriamente il paese più fodamentalista, senza alcuna reciprocità di diritti e di tolleranza.
Bush ha affermato che da questo grande male occorre ricavare un bene. Spero io personalmente, ma prima di me autorevoli uomini di chiesa e di cultura americani si badi bene, che l’intera politica internazionale non solo degli USA, ma di tutti i paesi occidentali, venga cambiata per una attenzione maggiore ai diritti di tutti gli uomini a ciò che è necessario per una vita dignitosa e per un ambiente vivibile.
Questo è il maggior bene ricavabile dai fatti, non quello di una nuova supremazia dell’occidente che, preoccupato per l’andamento dei mercati e degli affari, si ritrova unito nel superamento delle guerre commerciali fra USA e UE e Giappone … e con la riconciliazione con la Cina, entrata recentemente nel WTO, e grande possibile mercato.
Il cristiano è chiamato a operare per la pace in un paese in guerra e deve fare appello alla sua coscienza senza ridurre il problema a filoamericanismo o antiamericanismo.
Non possiamo ignorare l’invito alla pace e alla ricerca di mezzi pacifici e politici; non possiamo cessare dall’ argomentare di politica, né sospendere la “ragione” e i “sentimenti di compassione” per coloro che soffrono. Non possiamo abbandonare la ricerca di mezzi alternativi a quelli messi in atto, né evitare di esercitare la critica politica nella conduzione della egemonia planetaria degli USA. I credenti non cesseranno mai di sperare e operare per quella “Pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi” (Pacem in Terris n. 1). Essi sono invitati dalla Chiesa a operare “..affinché, con l’aiuto di Cristo, autore della pace, collaborino con tutti per stabilire tra gli uomini una pace fondata sulla giustizia e sull’amore e per apprestare i mezzi necessari per il suo raggiungimento”(Gaudium et spes n.77) Infatti “La pace non è semplice assenza di guerra, né può ridursi al solo rendere stabile l’equilibrio delle forze contrastanti … essa viene con tutta esattezza definita opera di giustizia (Is 32,7) … la pace non è mai qualcosa di stabilmente raggiunto, ma è un edificio da costruirsi continuamente… Tale pace non si può ottenere sulla terra se non è tutelato il bene delle persone… La ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità, l’assidua pratica della fratellanza sono assolutamente necessarie per la costruzione della pace. … La pace terrena tuttavia, che nasce dall’amore del prossimo è immagine ed effetto della pace di Cristo che promana dal Padre. Il Figlio incarnato infatti, principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio e, ristabilendo l’unità di tutti in un solo popolo e in solo corpo, ha ucciso nella sua carne l’odio e, nella gloria della sua risurrezione, ha diffuso lo spirito d’amore nel cuore degli uomini.” (Ib. N. 78)
La pace del Regno dei cieli è il modello e il riferimento per l’azione politica e sociale dei credenti, essi non potranno sospendere l’opera di pace per utilità politica ne cessare dal cercare, anche faticosamente, le vie per ottenere pace e sicurezza nella giustizia globale. Il “pacifismo” del cristiano non è un ritirarsi debole e pauroso per le ripercussioni della violenza, che pure vanno tenute in considerazione, ma è un coraggioso operare, oltre e contro la mentalità comune, per un mondo di solidarietà e giustizia per una pace e un bene comune universale.
Che la festa di Natale, a poco più di un mese, ci faccia trovare un mondo in pace e comunque sia per noi stimolo ancora più pressante a farci operatori di pace.

Ravaldino 12/11/2001

                                                                     Franco Appi

 

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Hermann Goering: come convincere la gente comune a desiderare la guerra...

"Be', certo che la *gente* non vuole la guerra... Perché un povero diavolo in una fattoria dovrebbe voler rischiare la vita in una guerra quando il meglio che gli può succedere è di tornare alla sua fattoria tutto intero? Naturalmente la gente comune non vuole la guerra, né in Russia né in Inghilterra, né in America, né tantomeno in Germania.
Questo è sottinteso. Ma dopotutto sono i *leader* del Paese che determinano la politica, ed è sempre una cosa semplice trascinare le persone, sia che si tratti di una democrazia o di una dittatura fascista, di un parlamento, o di una dittatura comunista.... Voce o non voce, la gente può sempre essere indotta ad eseguire gli ordini dei leader. E' facile. Basta dire che è in corso un attacco contro di loro e denunciare i pacifisti per mancanza di patriottismo e perché espongono il Paese al pericolo."

Hermann Goering (Citato in GM Gilbert, *The Psychology of Dictatorship*
New York: The Ronald Press, 1950, pag. 117) Traduzione dall'inglese di
Jessica Boveri Ithunn@rocketmail.com

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Il tradizionale Convegno Giovanile della Pro Civitate Cristiana di Assisi quest'anno viene promosso e organizzato in collaborazione con Pax Christi, ve ne inviamo il programma.

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56° CONVEGNO GIOVANI 27-31 dicembre, Cittadella di Assisi
OLTRE LE STORIE FERITE.il coraggio di sognare

Il convegno è promosso dalla Cittadella in collaborazione con Pax Christi
La breccia di fuoco e di sangue che si è aperta nel cuore dell'America, fino a ieri considerata invulnerabile, segna un tragico spartiacque nella vita e nella storia del mondo.
Doloroso stupore, senso di profondo spaesamento e, soprattutto, di paura e sfiducia nel futuro sembrano aver sequestrato la coscienza di ogni cittadino sensibile al proprio e all'altrui destino.
Dov'è l'uomo? Quali le cause profonde di tanta violenza? Quali le attese tradite dei popoli? Quali i miraggi ingannevoli delle generazioni adulte e giovani? Come vivere ora? Non è forse questo il momento in cui si fa irrinunciabile il coraggio di sognare un mondo diverso?


giovedì 27

ore 21,15 il tuo volto, una storia che mi interpella

introduzione del convegno (per immagini) - a cura di Renzo SALVI, giornalista RAI TV

venerdì 28

ore 9,00 se il dolore del mondo ti raggiunge - tribuna aperta giovani/adulti

ANDREA, GABRIELE, MIRIAM, RAFFAELE

Nicoletta DENTICO, direttore 'Medici Senza Frontiere', Roberto MANCINI, filosofo

ore 15,30 uomo, dove sei? le radici della violenza

don Luigi CIOTTI, fondatore del 'Gruppo Abele; Anna SALVO, psicoterapeuta

ore 21,15 i luoghi dell'utopia di Francesco: preghiera itinerante guidata da padre Egidio MONZANI

sabato 29

ore 9,00 gelosi dei nostri sogni

proiezione del film Save the last dance di Thomas Carter

dibattito con Marco MOSCHINI, ricercatore univ.; Zef MUZHANI, esperto di cineforum

ore 15,30 ripensare la democrazia, tra conflitti e attese dei popoli

Rosy BINDI, parlamentare; Antonio DELL'OLIO, coordinatore nazionale di Pax Christi;

Franco GESUALDI, fondatore 'Centro Nuovo Modello di Sviluppo'

coordina Alfonso DESIDERIO, redattore di 'Limes'

ore 21,15 serata artistica

domenica 30

ore 9,00 abitare il sogno della pace

Flavio LOTTI, coordinatore 'Tavola della Pace'; Gianni NOVELLO, di Pax Christi internazionale; un membro della Comunità di Sant'Egidio

richiesta video-conferenza con il Patriarca di Gerusalemme

ore 16,00 una fede per un mondo da riconciliare

Lilia SEBASTIANI , teologa; don Antonio MAZZI, fondatore comunità 'Exodus'

ore 21,30 liturgia eucaristica


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contributo spese: L. 60.000 (per giovani dai 18 ai 30 anni e per insegnanti di religione);
adulti accompagnatori L. 100.000; per i gruppi, un gratuito ogni 10 persone
soggiorno:(dalla cena del 27 alla piccola colazione del 31 dicembre):
in camere a 3/4 letti, in Cittadella o Casa Franchi L. 270.000; in camerata (posti limitati) L. 210.000
adesione: entro il 10 dicembre, tramite vaglia postale o assegno bancario, inviare il contributo spese,
più L. 70,000 di caparra confirmatoria, se si richiede la sistemazione alla segreteria del convegno.

informazioni:

Cittadella Ospitalità - 06081 - ASSISI/PG tel. 075/813231 - fax 075/812445
e-mail: ospitalita@cittadella.org - internet: www.cittadella.org

**************************************************
Pax Christi Italia
segreteria nazionale
Via Petronelli n.6
70052 Bisceglie  (BA)
Tel.: 080/395.35.07
Fax: 080/395.34.50
e-mail: info@paxchristi.it
http://www.paxchristi.it
http://www.peacelink.it/users/paxchristi/
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Care amiche e cari amici,  vi presento il testo di un Appello uscito qualche giorno fa e dedicato al delicato momento del dialogo interreligioso (in particolare fra cristiani e musulmani). E' stato firmato da parecchie personalità del mondo del dialogo in Italia, di diverse confessioni cristiane.

Per ulteriori informazioni vi rimando al sito

www.ildialogo.org

mentre per eventuali adesioni ci si può rivolgere a

b.salvarani@carpi.nettuno.it

oppure

redazione@ildialogo.org

Ecco il testo:

APPELLO ECUMENICO PER UNA GIORNATA DEL DIALOGO CRISTIANO-ISLAMICO

"Noi, cristiane e cristiani di diverse confessioni e laici, impegnati da anni nel faticoso cammino del dialogo coi musulmani italiani o in un lavoro culturale sull'islam, crediamo che l'orrendo attentato di New York e Washington costituisca una sfida non solo contro l'occidente ma anche contro quell'islam, largamente maggioritario in tutto il mondo, che si fonda sui valori della pace, della giustizia e della convivenza civile. Pensiamo che quanto è accaduto non debba in alcun modo mettere in discussione o rallentare l'itinerario del dialogo. Anzi, riteniamo che proprio i commenti e gli avvenimenti succeduti a quel tragico evento ci chiamino ad accelerare il processo di reciproca conoscenza, senza il quale ci sembra difficile ipotizzare passi avanti sul piano delle relazioni interreligiose, in particolare con quei musulmani che sono da
tempo nostri compagni di strada sul cammino della costruzione di una società pluralista, accogliente, rispettosa dei diritti umani e dei valori democratici.
Per questo, chiediamo alle chiese italiane e ai loro responsabili di prendere in considerazione (nello spirito del documento conciliare "Nostra Aetate", della "Charta Oecumenica", delle visite di Giovanni Paolo II a Casablanca e Damasco e del recente incontro di Sarajevo fra i leader delle comunità cristiane e dei musulmani d'Europa).
Siamo ben consapevoli che l'istituzione di una simile Giornata non risolverà certo ogni problema, e che potrebbe - come in altre situazioni simili - risolversi in una sterile celebrazione rituale: siamo convinti, peraltro, che si tratti di un piccolo segnale nella direzione di un incontro che, in ogni caso, sta nella forza delle cose.
Con un augurio sincero di shalom - salaam - pace!"
Grazie dell'attenzione, e buon cammino!

Brunetto Salvarani

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I pacifisti si preparano per Ciampi

Venerdì arriva il presidente. La flotta ancora bloccata dal vento
A Taranto le associazioni manifesteranno contro la guerra. Ultimi accorgimenti nella base

PAOLO BERIZZI

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Continua ad essere il vento il protagonista delle esercitazioni delle quattro navi militari che parteciperanno alla missione italiana in Afghanistan. In attesa della partenza per il Golfo Arabico - fissata ufficialmente per domenica prossima - anche ieri il gruppo navale formato dall'incrociatore «Garibaldi» e dalle navi «Zeffiro» «Aviere» ed «Etna» è rimasto bloccato nel porto di Taranto a causa delle violente raffiche di scirocco (oltre 90 chilometri orari) che imperversano da due giorni sul capoluogo jonico. Le condizioni meteorologiche, secondo fonti militari, hanno reso impossibile l'uscita in mare aperto delle navi, inizialmente prevista per lunedì mattina e poi rinviata a ieri. Il «Garibaldi», una volta salpato dal porto di Mar Grande, avrebbe dovuto imbarcare i velivoli - aerei ed elicotteri - in dotazione per la missione. «Ma in queste condizioni - hanno spiegato ieri al Comando del dipartimento marittimo e militare - è sconsigliabile compiere esercitazioni in mare (ieri si sono svolte solo normali attività interne, a bordo delle navi, per collaudare misure di sicurezza e comunicazioni via radio). Il vento fa beccheggiare la nave e l'instabilità del ponte di volo può influenzare la manovra di atterraggio e di decollo degli elicotteri e degli Harrier (ancora fermi all'aeroporto militare di Grottaglie)». Sempre a causa del vento, ieri sera, è slittato (a questa mattina, tempo permettendo) il trasferimento del pattugliatore «Aviere» dal Mar Piccolo al Mar Grande attraverso il canale navigabile. Lo schieramento - quattro navi e 1400 uomini - è comunque al completo e attende solo di iniziare la rotta (quindici giorni di navigazione) per avvicinarsi alle zone di guerra.
E venerdì, due giorni prima della partenza del gruppo navale, a Taranto arriverà il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Il capo di Stato, accompagnato dal vicepresidente del consiglio dei ministri Gianfranco Fini, incontrerà le autorità a saluterà i militari in partenza per il golfo Arabico. Una visita ufficiale cui farà da contorno l'annunciata manifestazione delle associazioni pacifiste cittadine.
«Venerdì - si legge in un comunicato firmato da Associazione per la pace, Caritas Diocesiana, Chiesa Valdese, Legambiente, Libera, PeaceLink, Pax Christi, Taranto solidale - porteremo un messaggio di pace in occasione della visita di Ciampi e della partenza delle navi per la guerra. Saremo idealmente a fianco delle famiglie dei militari angosciate per questa pericolosa missione, ma crediamo che la lotta al terrorismo deve procedere nel rispetto del diritto internazionale senza coinvolgere popolazioni inermi in prove di forza devastanti come gli attuali bombardamenti. Non deve prevalere l'istinto di vendetta che genera solamente nuove forme di terrorismo. La maggioranza dell'opinione pubblica - continuano i pacifisti - è contro l'invio delle truppe italiane in guerra». I pacifisti, tuttavia, fanno sapere che le manifestazioni si terranno sempre nell'ambito della civiltà e delle libere manifestazioni di pensiero.
Intanto, all'aeroporto di BariPalese arriveranno oggi (con 24 ore di ritardo) gli ottanta militari della brigata meccanizzata Pinerolo incaricati di proteggere lo scalo aereo da eventuali azioni terroristiche. I soldati - assegnati a Bari dal piano sicurezza del governo italiano sorveglieranno i 12 chilometri del perimetro dell'aeroporto.

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Mariagrazia Bonollo - uff.stampa Beati i Costruttori di Pace
via Barbieri 55 - 36100 Vicenza
0444/508288
348/2202662

° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° °

Comunicato stampa

Un digiuno per la pace

 In 17 giorni di digiuno circa 150 le persone che hanno accolto l'appello di Beati i Costruttori di Pace e Pax Christi per un digiuno a catena per la pace. Fra questi anche i deputati dei Verdi Bulgarelli, Cento, Cima, Lion, Pecoraro Scanio e Zanella. Appello dei promotori ai musulmani per l'imminente Ramadan: "Vi chiediamo di unirvi idealmente a noi col vostro digiuno, così come noi digiunando vogliamo collegarci idealmente a quanti vogliono la pace e il rispetto dei diritti umani". 
Si sono uniti anche i parlamentari dei Verdi della Camera Mauro Bulgarelli, Paolo Cento, Laura Cima, Marco Lion, Alfonso Pecoraro Scanio e Luana Zanella al digiuno a staffetta per tutti i giorni della guerra promosso da Pax Christi e Beati i Costruttori di Pace per "un'azione di resistenza  spirituale al terrorismo e alla guerra".
"Intendiamo così ribadire con la nostra adesione - affermano i parlamentari - il fermo rifiuto delle scelte militaristiche adottate dal Governo, contro le quali ci siamo già espressi, in sede parlamentare, votando no all'intervento militare italiano in Afghanistan". L'on. Bulgarelli digiunerà il 20 e 21 novembre, l'on. Zanella il 22 e 23, l'on. Cento il 24 e 25, gli on. Lion e Cima il 26 e 27, l'on. Pecoraro Scanio il 28 e 29.
Come loro stanno digiunando a rotazione dal 30 ottobre circa 150 persone in tutta Italia e ogni giorno si aggiungono all'elenco nuove adesioni. Fra queste, Aefjn Antenna Italiana - coordinata da suor Patrizia Pasini - che già nei giorni del G8 a Genova aveva proposto momenti di riflessione, preghiera e digiuno presso la Chiesa genovese di Boccadasse, i volontari del Cipsi (coordinamento di Ong che si occupano di cooperazione allo sviluppo), il Gavci di Bologna, il gruppo giovani di Pax Christi di Cremona, del movimento italiano Alleati dell'Arca, le Missionarie di Maria, Saveriane, della Comunità di Casa Madre e del Noviziato di Parma, il gruppo Terra Giusta di Roma.
"In occasione dell'inizio, domani, del Ramadan - affermano don Albino Bizzotto e don Tonio Dell'Olio per le associazioni promotrici - vogliamo invitare tutti i musulmani italiani ad unirsi idealmente a noi col loro digiuno, perché sia un Ramadan per la pace; così come noi digiunando vogliamo collegarci idealmente a quanti ovunque vogliono la pace e il rispetto dei diritti umani di tutte le persone e di tutti i  popoli". 

Padova, 15 novembre 2001

 
In allegato:appello "Un digiuno per la pace"

Per informazioni: ufficio stampa Beati i Costruttori di Pace, Mariagrazia Bonollo 348/2202662  

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UN DIGIUNO PER LA PACE

 Con termini e toni identici i tristi protagonisti della guerra hanno dichiarato che saranno "determinati e pazienti" nel portare avanti la distruzione dell'altro, il male personificato.
Siamo "all'indurimento del cuore" non solo di Bush e di Ben Laden, ma di popoli interi.
I governi all'unanimità hanno accettato la guerra come unica risoluzione possibile del conflitto, senza tener conto del retroterra e della complessità di quanto sta avvenendo. Così in ogni parte del mondo stanno aumentando l'insicurezza e la paura nei confronti di un terrorismo imprevedibile, potente e altamente tecnologicizzato.
Gli unici risultati della guerra, vietata all'informazione, sono tantissime vittime innocenti (quale giustizia per le vittime statunitensi?), la previsione di un vero olocausto e la distruzione dell'Afghanistan. Stiamo accumulando rancore e odio per generazioni. Tutti affermano che non c'è scontro fra cristianesimo e islam, di fatto quasi tutti evocano la religione dell'altro per giustificare lo scontro.
Chi si appella all'Onu e alla legalità internazionale per prospettare un'alternativa realisticamente più equa ed efficace viene tacciato di buonismo e di altruismo irrazionale.
Siamo in difficoltà, sia nel comunicare con la società, che nel proporre iniziative pubbliche. Riconciliazione e perdono sono parole e proposte desuete anche per personalità della Chiesa che fanno opinione pubblica. Perfino il Papa è stato isolato. E pensare che proprio per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2001 è stato scelto il tema: Senza perdono non c'è pace!
Per questo abbiamo bisogno di andare nel profondo della nostra umanità.
Per questo proponiamo un digiuno a rotazione per tutti i giorni della guerra.
Scegliamo il digiuno per:
-   Motivare la nostra persona ad essere determinata e paziente per la pace fin nello spirito;
-   Rimanere svegli e non rassegnarci alla "normalità" della situazione;
-   Approfondire la nonviolenza, rivolgendoci sempre con fiducia e speranza a tutta la società, sapendo che siamo della
    stessa umanità delle vittime e dei terroristi, degli schiavisti e degli impoveriti;
-   Condividere con il digiuno la situazione di bisogno di chi manca del necessario;
-   Rivolgerci agli altri con l'atteggiamento di chi ha bisogno di aiuto nella sua piccolezza e fragilità;
-   Trovare il tempo e lo spazio per comunicare quello che viviamo.

Operativamente:
chiediamo alle persone di notificare la propria disponibilità a digiunare in modo da poter coprire materialmente tutte le giornate. Facciamo un invito pressante perché durante il tempo del pranzo e della cena ciascuno cerchi di scrivere i suoi sentimenti e un suo messaggio di impegno per la pace. Si potrebbe pensare di scrivere una lettera al proprio vescovo chiedendo che prenda posizione in maniera più decisa e netta per la fine delle violenze, oppure chiedere ai propri rappresentanti al Comune di adottare una delibera di presa di distanza dalla guerra, oppure predisporre un volantino da distribuire in piazza o davanti alle chiese o nelle scuole... Insomma sarebbe bello che dalla profondità del digiuno si alzasse una voce - per quanto flebile - in favore di tutte le vittime.

Sui siti delle nostre organizzazioni:

www.beati.orgwww.paxchristi.it (http://www.peacelink.it/users/paxchristi/)

abbiamo predisposto uno spazio nel quale ognuno singolarmente e a gruppi, potrà annunciare la propria adesione al digiuno e comunicare il proprio messaggio. Nello stesso tempo sarebbe utile per tutti far circolare le riflessioni e gli impegni assunti, i materiali elaborati e le date del digiuno in una lista di discussione appositamente creata e alla quale ci si può iscrivere: digiunoperlapace@yahoogroups.com

Chi non dispone di Internet è invitato a spedire il tutto tramite telefono (049/8070522 o 080/3953507) fax (049/8070699 o 080/3953450) o posta ordinaria (indirizzata a Pax Christi, via Petronelli 6, 70052 Bisceglie BA oppure a Beati i Costruttori di Pace, via Antonio da Tempo 2, 35131 Padova).

Si tratta di un'azione di resistenza spirituale al terrorismo e alla guerra.  

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"Conosciamo l'Alleanza del Nord".

Un appello dell'organizzazione di donne Afghane:
Il popolo afgano non accetta la dominazione dell'Alleanza del Nord
-E' confermata la fuga dei Taliban da Kabul e l'ingresso in città dell'Alleanza del Nord;
-Il mondo dovrebbe capire che l'Alleanza del Nord è composta da bande che hanno già dimostrato la loro vera natura criminale e disumana quando hanno governato l'Afghanistan dal 1992 al 1996.
-La cacciata dei terroristi Taliban da Kabul è uno sviluppo positivo, ma l'ingresso degli stupratori e saccheggiatori dell'Alleanza del Nord non è che una spaventosa e scioccante notizia per i circa due milioni di residenti a Kabul, le cui ferite degli anni 1992-96 non si sono affatto riemarginate.
-Migliaia di persone che hanno abbandonato Kabul negli ultimi due mesi dicevano di temere di più il ritorno al potere dell'Alleanza del Nord che la minaccia del bombardamento Usa.
-I Taliban e Al-Qaeda saranno eliminati, ma l'esistenza della forza militare dell'Alleanza del Nord manderebbe in pezzi il sogno gioioso della maggioranza di un Afghanistan libero dalle odiose catene dei barbari Taliban. L'Alleanza del Nord intensificherà orribilmente i conflitti religiosi ed etnici e non si tratterrà dall'appiccare il fuoco di una nuova brutale e infinita guerra civile, per conquistare e mantenere il potere.
Le terribili notizie di saccheggi e massacri disumani dei Taliban catturati e dei loro alleati stranieri a Mazar-i-Sharif negli ultimi giorni parlano da sole.
-Sebbene l'Alleanza del Nord abbia imparato ad atteggiarsi davanti all'Occidente come "democratica", e addirittura sostenitrice dei diritti delle donne, essa non è affatto cambiata, come un leopardo non può perdere le sue macchie.
-Rawa ha già documentato gli atroci crimini dell'Alleanza del Nord. Il tempo sta per scadere. Rawa, da parte sua, fa appello alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale perché consideri con urgente e notevole attenzione i recenti sviluppi del maltrattato destino dell'Afghanistan prima che sia troppo tardi.
-Vorremmo chiedere alle Nazioni Unite di inviare le sue forze di pace nel paese prima che l'Alleanza del Nord possa ripetere gli indimenticabili crimini che hanno commesso nel suddetto periodo.
-L'Onu dovrebbe ritirare il suo sostegno al cosiddetto governo islamico di Rabbani e aiutare l'insediamento di un governo aperto basato su valori democratici.
-L'appello di Rawa nasce dalle aspirazioni della maggioranza del popolo afgano.

Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (Rawa) November
13, 2001

http://rawasongs.fancymarketing.net/na-appeal.htm

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Pax  Christi
  Movimento cattolico internazionale per la pace
                  Punto pace di Verona
       c/o C.M.D. , via Duomo 18/a, 37121 Verona
                                                     
                                                     
        Carissimi, in questo periodo di guerra, cui partecipa anche l’Italia, è necessario moltiplicare i momenti di
comunicazione promuovendo iniziative “nostre” e partecipando a iniziative comuni. Invitiamo a partecipare all’ora di silenzio delle “donne in nero” ogni mercoledì dalle 18 alle 19 in piazza Bra  e al digiuno nazionale a rotazione per tutti i giorni di guerra, promosso da Pax Christi Italia e dai Beati Costruttori di Pace.  Tra le iniziative possibili:

               Lunedì  19 novembre,   ore 20.45, presso Cariverona, via Garibaldi, Verona
      Letizia Tomassone  parlerà sull’argomento  “Per un decennio senza violenza”

 lunedì  26 novembre,  ore  20.45   presso il C.M.D. , via Duomo 18 /a, Verona,
    incontro di Pax Christi con  Giannina Del Bosco  e con le “donne in nero”:
“Intrecciare fili di tenerezza e di solidarietà nei luoghi della violenza”.  Testimonianze di azione nonviolenta in Palestina, in Pakistan (Afghanistan) e nei Balcani.

           1-2  dicembre,  Seminario di Pax Christi, presso la  “Casa per la Pace” a Firenze,
  sul tema  “I DIRITTI MINACCIATI” con Allegretti, Ghezzi, Corsi, Pellicanò, Codrignani

 giovedì  6 dicembre,  ore 17.30,  aula 5,  Facoltà di Lettere  (Università di Verona)
  Luigi Bettazzi e Lilia Sebastiani  :  “LA PACE: TRA DILUVIO E  ARCOBALENO”,
          
     domenica  9 dicembre,   ore 16,  presso  sala della parrocchia di S.Massimo (Vr)
          Luigi Sandri  presenterà  il suo libro “Gerusalemme città santa e lacerata”

     sabato  15 dicembre,   ore 16  alla    Madonna dell’Uva Secca   (Povegliano)
 incontro di spiritualità conviviale  “Io penso pensieri di pace” coordinato da fratel  Marco Barozzi.

Shalom. Salam.
Segreteria Pax Christi-Verona-

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Alcuni mi hanno richiesto di conoscere il testo della presa di posizione che alcuni teologi moralisti hanno assunto contro la guerra già nel mese di settembre e che Avvenire ha pubblicato il 28 settembre scorso. Apparirà sul prossimo numero di Mosaico di pace (novembre) che è in distribuzione in questi giorni.

Shalom, tonio

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 INTERVENTO Lotta al terrorismo, senza arrendersi alla violenza distruttiva. Un contributo di teologi moralisti italiani
Sul crinale di guerra e giustizia
 «Il sostegno alle vittime non deve far dimenticare che sta crescendo una sensibilità contraria a risolvere i conflitti tra i popoli con le armi»
Lo scontro fra Occidente e islam dopo le tragedie di New York e Washington ci pone di fronte a due logiche di conflitto: la guerra giusta e la guerra santa. Cosa fare? E come fare giustizia? Quale lezione può venire dalla morale cattolica di fronte alla necessità di una giustizia che sembra potersi realizzare soltanto con lo scontro bellico? Ospitiamo un contributo di teologi moralisti italiani che prende posizione sul dibattito di questi giorni.
La prospettiva adeguata per capire la violenza terroristica - nelle vecchie e nuove forme - è mettersi dalla parte delle vittime. Da loro si attinge forza d'animo per non arrendersi alla violenza distruttrice della convivenza umana e, insieme, intravedere i compiti posti alle persone e alle comunità civile ed ecclesiale.
Cosa fare? Si deve fare memoria delle vittime, rendere loro giustizia anche per riparare, per quanto possibile, il debito che la società ha verso di loro per non avere saputo o potuto difenderle. Fare memoria impegna a rendere loro giustizia.
Come fare giustizia? All'esecrazione della tragedia e alla domanda di giustizia, subito si è fatto appello allo strumento-guerra, sia pure denominata con aggettivi diversi (non classica, asimmetrica, ecc.).
Come risposta agli attacchi terroristici realizzati e prevedibili, si è dato il via - dagli Usa con l'adesione della Nato - a interventi armati senza limite di spazio, di durata, di ricorso a nuovi strumenti difensivi. Si possono tralasciare, al momento, le varie questioni sul ruolo dell'Onu e sulla funzione dei parlamenti nazionali, una domanda radicale s'impone: è eticamente sostenibile e pacifico il collegamento giustizia - guerra? Nella cultura tradizionale, laica e religiosa, lo si dava per scontato, oggi è messo fortemente in questione. «Tra i segni di speranza va pure annoverata la crescita, in molti strati dell'opinione pubblica, di una nuova sensibilità sempre più contraria alla guerra, come strumento di soluzione dei conflitti tra i popoli e
sempre più orientata alla ricerca di strumenti efficaci ma non violenti per bloccare l'aggressore armato» (Evangelium vitae, n. 27).
  1.. Nella Chiesa cattolica, il momento storico di una profonda revisione del tradizionale rapporto giustizia - guerra è stato il concilio Vaticano II. La nuova posizione - in estrema sintesi - è così delineata: si abbandona la teoria della cosiddetta guerra giusta (la guerra è sempre un male); esaurito ogni altro strumento, si tollera (resta un male) il ricorso alla forza solo nel caso della legittima difesa (autodifesa), mai comunque da attuare con le armi atomiche, batteriologiche e chimiche (la condanna di queste è totale) o anche con le armi convenzionali che provocano distruzioni indiscriminate.
L'esperienza drammatica dimostra abbondantemente che le guerre moderne non soddisfano tali condizioni, sono sproporzionate a qualsiasi causa giusta. L'uso della difesa si traduce facilmente (o fatalmente) in abuso. In breve, il collegamento giustizia - guerra oggi non regge più, se pure reggeva ieri. Certo, non basta dire no alla guerra. È
necessario rendere praticabili vie alternative. In questa prospettiva, si comprende l'insistenza del pensiero cattolico che, da Pio XII a Giovanni Paolo II, indica la necessità di istituire un'autorità internazionale competente e, quindi, l'urgenza di mettere l'Onu in grado di operare per il riconoscimento, la difesa, e la riparazione dei diritti tra i popoli.
  2.. Morale e politica, di certo, non s'identificano, ma la tensione dialettica tra l'una e l'altra va mantenuta ed accentuata, per non rischiare, in teoria e nella prassi, la nefasta separazione tra idealità obbligatoria, da un lato, e realtà dall'altro. Una morale legittimista e benedicente la realpolitik, e le sue scelte di guerra, snatura se stessa, diventa inutile e perde ogni indicazione del dover essere. Dove mai la realpolitik troverà l'istanza etica a cercare vie alternative a quelle delle armi, se la stessa morale fa a gara per legittimare la forza delle armi? La Chiesa cattolica ha compreso oggi, più di ieri - con l'esplicita volontà di iniziare una nuova tradizione nella linea conciliare - che il Vangelo (e la morale che coerentemente
ne deriva) non sono spendibili per legittimare la guerra di qualsiasi tipo essa sia. La politica militare - come in passato - farà di tutto per avere la legittimazione dalla religione. Tale attesa deve andare disillusa e sarà salutare anche per la politica. La Chiesa si sente impegnata, in nome del Vangelo, ad educare la coscienza collettiva a risolvere i conflitti in modo umano e civile con il negoziato, con la diplomazia, con la politica del giusto compromesso, che segna il punto
massimo d'intesa tra i contendenti.
  3.. Nell'orizzonte globale dell'umanità, non basta perfezionare la difesa militare, è necessario promuovere la giustizia sociale. Il rafforzamento, esteso anche alle armi nucleari e allo scudo spaziale, previsto nel Nuovo concetto strategico dell'alleanza, approvato dal vertice di Washington (23/24 aprile 1990); il ricorso a qualsiasi tipo di armi, non escluse quelle nucleari, riaffermato in questi giorni, appaiono in netto contrasto con le prospettive del concilio Vaticano II e di numerose conferenze episcopali, con le esperienze non violente di persone e movimenti che, senza ricorrere ad armi devastanti, sono riuscite a liberarsi dall'oppressione con la volontà sincera di pace e di dialogo maturate nel vivo dei conflitti.
  4.. L'antico assioma «Se vuoi la pace prepara la guerra» attende dai singoli, dalle famiglie, dai popoli e dai loro governanti di essere cambiato in «Se vuoi la pace prepara la pace». È questa la sfida globale alla quale siamo chiamati a rispondere. Volere la pace globale significa oggi operare per la giustizia globale. Non basta limitarsi a dire che la globalizzazione economica e finanziaria offre possibilità per tutti, bisogna governarla in modo che lo sia di fatto. D'altra
parte, si è consapevoli che il male, purtroppo, non è del tutto estirpabile da questo mondo, ci saranno sempre gli operatori d'iniquità e i violenti omicidi, ma saranno isolati e la comunità civile li saprà isolare. I terroristi di ogni tempo e luogo non rappresentano i popoli poveri, approfittano e strumentalizzano la disperazione della gente per acquisire potere e dominio.
Luigi Lorenzetti, direttore della «Rivista di teologia morale», e consulenti alla direzione: 
A. Autiero (Germania, Trento); L. Biagi (Treviso); G. Bof (Savona); A. Bondolfi (Zurigo); E. Bosetti (Modena);
E. Chiavacci (Firenze); S. de Guidi (Verona); A. Gelardi (Bologna); G. Gualerni (Milano); F. D'Agostino (Roma); 
P.G. Grassi (Rimini); R. Levi (Roma); M. Lombardi Ricci (Savona); B. Marra (Napoli); D. Masi (Reggio Emilia); 
G. Mattai (Alassio, SV); M. Matté (Bologna); D. Mongillo (Roma); M.P. Montenmurro (Roma); P. Montini (Roma); 
B. Petrà (Prato, Firenze); G. Piana (Novara); S. Privitera (Acireale, CT); A. Rizzi (Firenze); C. Zuccaro (Roma). 
Si associano altri Teologi morali docenti nei Seminari diocesani italiani e Atenei romani: 
M. Cozzoli (Roma), A. Conci (laico, Trento); G. Coccolini (laico, Bologna); G. De Virgilio (Chieti); M. Doldi (Genova); A. Drago (laico, Napoli); A. Fumagalli (Milano); K. Golser (Bolzano-Bressanone); P. Guenzi (Novara); 
S. Leone (Palermo); G. Marsico (Livorno); G. Manzone (Roma); G. Miglietta (Roma); R. Pegoraro (Padova); 
I. Schinella (Catanzaro).

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Segnalo l'intervento del Presidente di Pax Christi
Fam Cristiana n. 46
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IN FAMIGLIA
di monsignor Diego Bona, vescovo di Saluzzo
e presidente Nazionale di Pax Christi
L¹INTERVENTO MILITARE E LA COSCIENZA DEI CREDENTI

È IL VANGELO CHE DICE NO ALLA GUERRA

Il dramma della guerra merita di essere guardato con rispetto e attenzione, senza scorciatoie semplicistiche e soluzioni sbrigative. Anche la coscienza cristiana non è mai stata indifferente rispetto a questo tema. Se ne è lasciata interrogare e provocare. La svolta costantiniana introduce sì il concetto della "guerra giusta", ma provoca di fatto la testimonianza
profetica di tanti credenti che nel corso della storia hanno affermato con la loro stessa vita la totale presa di distanza dall¹uso delle armi e della violenza. Sarà il Concilio Vaticano II a fare eco alla Pacem in Terris di Giovanni XXIII e a chiedere di «considerare l¹argomento della guerra con una mentalità completamente nuova».
La riflessione e le prese di posizione di questi giorni pagano un inevitabile tributo a questo percorso della riflessione cristiana sulla guerra. È per questo motivo che la voce dei credenti è diversificata e articolata. Ma la cosa non è nuova. A Massimiliano, disposto al martirio piuttosto che a servire l¹imperatore in armi, il proconsole obietta come nella guardia degli imperatori si trovino soldati cristiani. Massimiliano risponderà: «Essi sanno che cosa convenga loro. Tuttavia io sono cristiano e non posso fare del male».
Oggi constatiamo quanto già l¹enciclica Evangelium Vitae annotava, ovvero come in questi anni sia sorta una sensibilità nuova che rifiuta la guerra come ingiusta ed inutile. Lo indicano anche le parole coraggiose dei Pontefici. A partire da Pio XII che nel 1955, davanti alla prospettiva della guerra totale, la considera come non più giustificabile; poi, c¹è la voce
profetica di Giovanni XXIII, per il quale la pace diventa luogo teologico dell'annuncio del Vangelo nel mondo; ancora, il grido di Paolo VI all'Onu, «mai più la guerra!». Fino all'appassionata e insistente esortazione di Giovanni Paolo II sulla guerra «avventura senza ritorno», che anche di recente ha ribadito: «Nel nome di Dio ripeto ancora una volta: la violenza è per tutti solo un cammino di morte e di distruzione, che disonora la santità di Dio e la dignità dell'uomo» (21/10/2001).
La Carta delle Nazioni Unite (1945), la solenne Dichiarazione dei diritti umani (1948) e l'introduzione di Corti di giustizia internazionali per giudicare i crimini contro l'umanità non sono che le ulteriori pietre miliari poste dalla comunità civile internazionale a salvaguardia della pace e a dimostrazione di questa crescita di sensibilità.
Ma le ragioni dei credenti vengono innanzitutto dal Vangelo, che parla di «costruire la pace, non resistere al violento e amare il nemico» (Mt 6): una proposta che segna una netta alterità nei confronti della guerra e svuota ogni tentativo teologico di giustificazione.
Puntualmente, ogni guerra dimostra quanto la forza di distruzione superi di gran lunga il bisogno di risolvere la controversia e ci fa constatare come le situazioni non trovino sbocco, ma si aggravino, si pongano le premesse perché nuovi rancori possano alimentare altri conflitti nel futuro.
Viene di qui la grave preoccupazione che nutriamo per la scelta di perseguire il terrorismo con la guerra. Si tratta di un conflitto dai contorni incerti, con inquiete prospettive di spirali di violenza, con le distruzioni e la morte che colpiscono tante persone inermi, senza tener alcun conto degli organismi internazionali, che restano la via maestra.
L'apostolo Paolo esorta alla preghiera per tutti quelli che hanno autorità, affinché si possa vivere una vita tranquilla, in pace (1Tim 2), ma anche noi ne abbiamo bisogno per capire gli eventi che stiamo vivendo. Don Tonino Bello ci ricordava che «è durante il diluvio che bisogna mettere da parte la semente».

monsignor Diego Bona, vescovo di Saluzzo

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Giovedi 15 novembre 2001. I sottoscritti preti di alcune diocesi di Sicilia e Calabria desiderano offrire un contributo alla comune riflessione sui tragici fatti di queste ultime settimane, con la seguente dichiarazione:
Chiamati ad esercitare la nostra responsabilità di cittadini di fronte alle vicende che coinvolgono la vita di tutti e a dichiarare la propria convinzione di fronte alle istituzioni deputate a realizzare il bene comune, desideriamo contribuire, con alcune riflessioni, a pensare criticamente l'azione intrapresa per contrastare il terrorismo, che si è manifestato nell'attentato contro le "Torri gemelle" di New York.
  a.. La difesa della vita e delle istituzioni, che dovrebbero garantirla, richiede spesso l'uso della forza. Tuttavia la forza non significa necessariamente "guerra". Anzi questa sembra del tutto inadeguata a ristabilire un ordine fondato sulla giustizia. La guerra, infatti, non interviene sulle cause che determinano una situazione di disordine violento e di ingiustizia che l'ha provocato, ma muta semplicemente i rapporti di forza.
  b.. Le violenze esercitate sui civili inermi sono, purtroppo, una realtà di fatto che anche le guerre passate non hanno mai evitato. Colpire le popolazioni che non possono difendersi non fa altro che aumentare la spirale di odio e fanatismo che ha generato gli atti terroristici.
  c.. Pensare che ogni forma di critica all'azione intrapresa significhi necessariamente un appoggio al terrorismo vuol dire impedire ogni forma di pensiero e di approfondimento delle questioni, molte e complesse, presenti nei fatti in questione.
  d.. Per questo, coloro che hanno ancora un senso dello stato e una forte coscienza individuale, devono interrogarsi innanzitutto sulla legittimità morale, e poi anche sulla opportunità politica e sociale di una tale azione di guerra.
  e.. Non si tratta di dare o negare un appoggio incondizionato agli Stati Uniti d'America, essere filoamericani o antiamericani, ma considerare se realmente le ragioni della giustizia e della pace vengono perseguiti. Non vorremmo essere annoverati tra coloro a cui allude il profeta Michea: "Così dice il Signore contro i profeti che seducono il mio popolo, che, se hanno da mordere con i denti, proclamano: Pace! Ma a chi non mette loro nulla in bocca dichiarano guerra" (Michea 3, 5).
  f.. Come cristiani non possiamo tacere e, accogliendo l'invito delle nostre coscienze e della Parola di Dio, riteniamo di dover affermare che
  g.. la violenza e ogni altra forma di sopraffazione dell'uomo da parte dell'uomo è contraria alla dignità degli uomini, creati a immagine e somiglianza di Dio, datore della vita e autore della pace;
  h.. la violenza non si vince con la violenza, ma con la giustizia; è necessario perseguire vie diverse dalla guerra per ristabilire un ordine internazionale giusto, all'interno del quale tutti i popoli possano essere associati al progresso e al benessere dei paesi ricchi;
  i.. bisogna ristabilire - attraverso tutti gli strumenti che la ragione dell'uomo e il diritto internazionale offrono - condizioni paritetiche tra i popoli di diversa cultura religione e condizioni economiche.
  Ai nostri fratelli di fede chiediamo di considerare le loro opzioni politiche ed etiche alla luce dell'evangelo di pace che Gesù, re pacifico, ha annunciato e realizzato. In particolare a coloro che hanno assunto responsabilità pubbliche - di cui devono rendere conto a coloro che ad esse li hanno chiamati - domandiamo di non uniformarsi acriticamente ai potenti di turno, senza considerare le ragioni dei poveri e dei diseredati.
Profondamente convinti che è "fuori della razionalità (alienum est a ratione) pensare che la guerra sia uno strumento per restaurare i diritti violati" (Giovanni XXIII, Lettera enciclica "Pacem in terris"), non possiamo non dissentire dalla logica seguita nella discussione in Parlamento e, pertanto, riteniamo doveroso dissociarci dalla decisione presa di entrare in guerra.
Siamo consapevoli, così facendo, di compiere anche un gesto piccolo di adesione e accoglienza dei pressanti appelli di Giovanni Paolo II alla pace, appelli che stanno rischiando, anche all'interno della chiesa cattolica, di determinare una specie di "solitudine istituzionale" analoga a quella che in diversi momenti della sua vita ebbe a soffrire papa Giovanni.

Vinvenzo Algeri (Catania)
Maurizio Aliotta (Siracusa)
Sebastiano Amenta (Siracusa)
Aurelio Antista (Carmelitani Pozzo di Gotto - ME)
Gregorio Battaglia (Carmelitani Pozzo di Gotto - ME)
Francesco Conigliaro (Palermo)
Salvatore Consoli (Catania)
Attilio Gangemi (Acireale)
Rosario Gisana (Noto)
Giovanni Mazzillo (Catanzaro)
Salvatore Musso (Siracusa)
Giuseppe Alberto Neglia (Carmelitani Pozzo di Gotto - ME)
Egidio Palumbo (Carmelitani Pozzo di Gotto - ME)
Giuseppe Ruggieri (Catania)
Salvatore Schillaci (Catania)
Carmelo Signorello (Catania)
Gaetano Zito (Catania)

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Tratto da Repubblica-cronaca di Bari del 18.11.01

Il sacerdote del San Paolo oggi sarà a Taranto per la manifestazione pacifista nell'intervista
Don Angelo avverte "Pensate ai poveri"

Don Angelo Cassano, 34 anni, parroco del San Paolo, oggi sarà a Taranto, per manifestare contro la guerra, anziché in parrocchia per celebrare la messa. Perché?
«E' vero: qualcuno mi sostituirà per la messa delle 10 e 30, che è quella dei bambini.. Ma essere a Taranto per dire "no" alla guerra equivale ad un atto liturgico. La liturgia, d'altronde, è un momento di lode, di festa, di armonia: con delle navi che partono per una guerra, tutto questo viene a mancare...».
Se potesse parlare ad uno dei marinai oggi in partenza, cosa gli direbbe? «Gli chiederei di guardare negli occhi un bambino, uno qualunque, anche un fratello più piccolo. Oppure lo inviterei a guardarsi in una foto di quand'era ragazzino: in quegli occhi troverà certamente l'innocenza ferita, capirà che quel bambino innocente è stato educato a pensare che i problemi del mondo si risolvono uccidendo. Vorrei che potesse uscire da questa terribile illusione.
E' un invito alla diserzione?
«La pace si conquista individualmente: il primo territorio di scontro è la nostra coscienza. Un Cristiano che sceglie di non andare in guerra compie l'atto più evangelico che possa esistere. L'invito alla diserzione, per un Cristiano, è un invito alla coscienza: credo che l'umanità sia divisa tra chi ha coscienza del valore della vita e chi invece no. Chi, come noi, ha la fortuna di conoscere la bellezza della vita, deve trovare il coraggio per "incrociare la Storia": il Dio in cui ho fede è il Dio della vita».
E l'invito al patriottismo, l'amore per la bandiera, non sono altrettanto importanti?
«Le bandiere hanno un difetto alquanto pericoloso: in quei colori non sono visibili le vittime del "sistema". Parlo dei poveri, dei derelitti, degli emarginati. Se m'invitassero a sventolare la bandiera della condivisione e della comunione, lo farei volentieri. Ma non sventolerei nessun'altra bandiera se non questa».
Lei è parroco di una piccola chiesa al quartiere San Paolo, ricavata dal sottoscala di un palazzo: cosa pensa di questa guerra la gente della sua parrocchia?
«Secondo lei avrebbe senso innalzare bandiere in un posto dove manca il lavoro, dove scarseggia anche l'acqua? La mia gente è molto lontana dai dibattiti televisivi: per molti di loro la vita è da sempre una guerra quotidiana. Al San Paolo la povertà è qualcosa che respiri nell'aria e il discorso della pace si gioca proprio su questo punto, quello della povertà,
che non bisogna mai perdere di vista».
(a.m.) 

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Lettera  aperta  al  Presidente  Ciampi

Signor Presidente della Repubblica, colgo l'occasione della Sua presenza nella terra dove abito per dare continuazione alla lettera che già le avevo scritto lo scorso mese di giugno, quando venne a Verbania con altri Capi di Stato europei.
Come cittadino, come prete e come consigliere nazionale di Pax Christi, mi sento in profonda sintonia con Lei nella condanna netta e senza sconti ad ogni forma di terrorismo.
Voglio però esprimere anche la mia profonda contrarietà alla scelta della guerra.
Come si legge in un comunicato di Pax Christi, pochi giorni prima del voto parlamentare sulla partecipazione italiana alla guerra: La nostra contrarietà, oltre che ispirata dal Vangelo della Pace in cui fermamente crediamo, deriva dal dettato costituzionale che all'art, 11 "ripudia" la guerra come strumento per la risoluzione di qualsiasi controversia. Proprio in questi giorni il Capo dello Stato ha impegnato la sua parola a difesa dei valori della Costituzione. Vorremmo che, coerentemente, se ne traessero tutte le conseguenze.
Giovedì prossimo, mentre Lei sarà impegnato a Roma al Convegno Il nuovo Servizio Civile Nazionale: le forze non armate per l¹Italia di oggi  io sarò ad un¹assemblea di studenti all'Istituto Omar di Novara.
Chiedo a Lei, Signor, Presidente, in che modo dovrò rispondere a chi mi chiederà come conciliare la scelta della guerra con l'art.11 della nostra Costituzione?
E come spiegare il non coinvolgimento dell'Onu, recentemente insignito anche del Premio Nobel per la pace?
Signor Presidente, sotto il porticato della mia chiesa Parrocchiale a Cesara, da molto tempo sventola una bandiera, che vuole simboleggiare tutti i popoli del mondo, che vuole ricordare che il Dio in cui crediamo è Padre di tutti e non si identifica solo con alcuni colori, per questo sventola una bandiera con i colori dell'arcobaleno, la bandiera della pace.
Signor Presidente, sono certo che vorrà accogliere benevolmente questa mia lettera, nel solco tracciato da quanti lo hanno preceduto: dal Presidente Scalfaro, originario di questa terra novarese che sempre ha risposto alle lettere ricevute; al Presidente Sandro Pertini con la sua famosa affermazione svuotiamo gli arsenali, riempiamo i granai!
Solco a dire il vero macchiato da un pesante intervento del Presidente Cossiga che ­ oltre ad aver bocciato la legge sull'Obiezione di Coscienza nel 92 - proprio in questi giorni, ha attaccato in modo incredibilmente pesante e offensivo il Vescovo di Caserta, mons Raffaele Nogaro per il suo atteggiamento e le sue parole sullo scottante problema della guerra.
Con i migliori saluti saluti.

Cesara, 20 Novembre 2001

                                                 don Renato Sacco
                                               Parroco di Cesara  - Vb
                                       Consigliere Naz.  Pax  Christi
                                                 (0323 ­ 827120)

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Vi inoltriamo una lettera che abbiamo scritto a Guglielmo Minervini, in risposta al suo articolo "I dilemmi della pace" che i Democratici hanno inviato a padre Agostino Rota Martir.
Rosa Siciliano
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Bari, 20 novembre 2001

Carissimo Guglielmo,
abbiamo appena terminato di leggere il tuo articolo "I dilemmi della pace" che I Democratici hanno inviato in risposta a padre Agostino Rota Martir e che quest'ultimo ha pubblicato sulla lista di discussione di Pax Christi.
Abbiamo deciso di scriverti perché siamo fortemente perplessi.
Desideriamo condividere con te alcune riflessioni in considerazione della profonda stima che abbiamo nei tuoi confronti.
Non possiamo condividere quanto esprimi nel tuo articolo e non possiamo condividere la leggerezza con cui in Parlamento si arriva spesso alle decisioni anche in circostanze gravi e complesse come una guerra.
Questo non perché non sappiamo comprendere o considerare adeguatamente e con rispetto la "fatica" umana che determinate scelte comportano in alcuni parlamentari, soprattutto laddove si è chiamati a dare il proprio assenso a un intervento militare, decisione rilevante sia sul piano storico e politico sia su quello "simbolico" per ciò che un simile voto significa agli occhi degli elettori.
Da donna e da uomo, comprendiamo bene la difficoltà di scegliere in una simile situazione, le tensioni interiori e gli interrogativi senza risposta, ma è la comprensione, su un livello prettamente umano, di una donna e di uomo verso un altro uomo o un'altra donna. E soprattutto è comprensione, solo comprensione e non condivisione.
Ma oltre che uomini e donne, siamo anche elettori e in quanto tali non siamo tenuti a comprendere scelte che si dissociano dai nostri valori e dai nostri ideali. Anzi, sul piano politico, abbiamo il diritto di votare chi più crediamo rappresentativo del nostro patrimonio etico e delle nostre istanze e il dovere di chiedere che si governi il Paese avendo nella dovuta
considerazione le medesime aspirazioni degli elettori che i parlamentari rappresentano. Il voto è uno degli strumenti più importanti di democrazia e di partecipazione diretta dei cittadini al governo del proprio Paese e va difesa una reale rappresentanza in Parlamento delle istanze e delle aspirazioni degli elettori. E la pace, il non ricorso alla guerra e alla
violenza per la risoluzione dei conflitti è per noi una convinzione etica imprescindibile che chiediamo ai nostri parlamentari di non dimenticare, in nessuna circostanza e per nessun motivo. E chiediamo loro soprattutto di saper tradurre questa nostra convinzione in scelte politiche concrete, anche con l'ausilio di strumenti giuridici di mediazione e di risoluzione
non armata dei conflitti.
Ed è sul piano politico che ogni parlamentare è chiamato a rispondere delle proprie scelte nei confronti degli elettori.
In quanto elettori, non riteniamo di avere il dovere di "sostare con rispetto di fronte al travaglio" di chi ha scelto la guerra perché tale voto non è espressione delle nostre istanze etiche, delle nostre idee e dei nostri ideali.  Non ci  sentiamo rappresentati da chi ha votato in favore dell'ingresso dell'Italia in questa guerra, così come accadde in Kossovo. 
Riteniamo invece che come cittadini abbiamo il dovere di ricordare a chi governa il nostro Paese che un bagaglio culturale, storico e politico così ricco e profondo come quello contenuto nella Costituzione italiana non debba essere dimenticato con facilità, né per "non  lasciare soli gli Stati Uniti", né per alcuna altra ragione.
Abbiamo il dovere di vigilare sulle scelte dei nostri parlamentari per poter decidere, alle prossime consultazioni elettorali, chi votare, sulla base di quanto questa persona - e il gruppo a cui appartiene - sia rappresentativa delle nostre istanze.
E in questa precisa circostanza, peraltro, ci sembra che il dibattito parlamentare si sia svolto con estrema leggerezza, sia nella modalità che nei contenuti espressi dalla maggioranza dei parlamentari.
Caro Guglielmo, anche nella lettura degli avvenimenti non concordiamo con quanto dici nel tuo articolo. Secondo noi non è affatto vero che si sia limitata l'esplosione di vendetta grazie al nostro intervento, perché la guerra c'è, ed è violenta, brutale, cieca e gli afgani continuano a morire. 
Crediamo invece che sia avallato, purtroppo nel silenzio totale dell'Onu, la sete di vendetta degli Stati Uniti e si sia - senza più alcun ritegno - resa evidente la politica egemonica degli stessi Usa. Così come ci sembra evidente che il ricorso alla guerra per risolvere i conflitti è ora idea politicamente condivisa (purtroppo), a dispetto anche del diritto internazionale e degli strumenti che questo pone in alternativa alla guerra. Le armi restano ancora la soluzione ai problemi del mondo.  E
questa guerra in particolare vanifica ogni tentativo di costruzione di una convivenza umana più tollerante e che salvaguardi l'integrazione e la dignità di tutti perché fomenta istanze razziste e intolleranti, rallenta il dialogo interreligioso, contribuisce a costruire nell'immaginario collettivo l'idea dello straniero-nemico da cui occorre difendersi.
Per tutti questi motivi, non puoi chiederci di comprendere coloro che, pur teoricamente vicini al nostro patrimonio etico, hanno abbandonato ogni speranza di ricercare una alternativa concreta alla guerra, hanno rinunziato  a dire che le armi non avrebbero risolto il problema del terrorismo, hanno disatteso la Costituzione italiana che pone tra sue fondamenta la pace e il ripudio della guerra, hanno dimenticato il diritto internazionale che non da spazio alcuno alla guerra come vendetta per i torti subiti. E, ancor più grave hanno dimenticato che non siedono in aula parlamentare a titolo prettamente personale, ma in quanto "portavoce" dei loro elettori. E ci sono tanti elettori come noi che oggi ripudiano la guerra - questa guerra come tutte le altre - e chiedono che alla loro voce sia data l'importanza dovuta in una democrazia parlamentare.
Se poi, invece, vogliamo riflettere su un piano umano, possiamo sì rispettare (ma non condividere) le scelte di questo voto in favore dell'intervento militare dell'Italia e le ragioni e il travaglio che le precedono, ma sentiamo il dovere di sostare con rispetto anche, se non più, di fronte a tutta la gente che muore sotto le bombe.
E questo non perché vogliamo negare la complessità del contesto attuale e la difficoltà e le contraddizioni che si pongono a coloro che sono chiamati a decidere le sorti di un Paese o del mondo intero, ma perché crediamo che sia proprio il ricorso alle armi a eludere i reali problemi dell'umanità.
Nella parte iniziale del tuo articolo poni una domanda importante: come tradurre la doverosa riaffermazione del rifiuto della guerra nell'attuale contesto?
Questo è proprio ciò chiediamo ai nostri politici: tradurre concretamente le istanze etiche della gente, individuare le strategie migliori per trasformare i  loro sogni e aspirazioni  in politiche di governo del Paese, in scelte concrete, gestire ad ogni livello (economico, politico, finanziario, di relazioni tra Stati) la comunità umana con modalità che concretizzino e siano ispirate ai valori costituzionali.
Tutti gli interrogativi che poni nel tuo articolo, e che condividiamo, costituiscono la sfida che, secondo noi, oggi si pone alla politica e a chi decide di donare il proprio impegno in essa: fare sintesi tra le volontà della base, le istanze etiche e le possibili strade percorribili, assumere scelte politiche che non siano avulse dal contesto storico e dalla sua complessità ma neanche totalmente indifferenti e noncuranti dei bisogni della gente e dei suoi sogni e aspirazioni utopiche. Individuare e creare possibili strade perché i sogni divengano realtà. Chiediamo ai politici la capacità di sognare e di credere nell'utopia e la grandezza di tradurre quest'ultima in scelte politiche. E' questa l'abilità che ci piacerebbe avessero i  nostri governanti. Sappiamo bene quanta tensione e quanta difficoltà questo comporti, ma sappiamo anche che uomini come te sono in
grado di affrontare la sfida nuova della politica: coniugare l'utopia al governo concreto della collettività. Ed è sulla base della fiducia e della stima che abbiamo per te che ora abbiamo deciso di scriverti.
E' di parole profetiche che abbiamo bisogno, di scelte coraggiose e alternative alla logica fin troppo vecchia della violenza e degli equilibrismi. Siamo in un momento importante, in cui fa capolino un movimento nuovo che potrebbe essere l'inizio di un percorso di cambiamento di questo mondo costruito all'insegna della violenza, dell'omologazione e dell'efficienza. Finalmente, la gente, tanta gente, ha ritrovato la forza di uscire dal guscio del proprio isolamento e del proprio perbenismo e ha ritrovato la voglia di dire basta a questo sistema costruito a misura di pochi ricchi. In questo momento, c'è bisogno di cogliere germi di speranza e di abbandonare ogni prudenza ed equilibrismo; non ci basta più il tecnicismo e la perfezione nell'arte della mediazione, vorremmo qualcuno che sappia "osare di più" per scuotere le coscienze sopite e per rigenerare una speranza sempre più viva. 
Con l'auspicio di poterne parlare personalmente, un abbraccio

Rosa & Antonello
 
Antonello Rustico
Vico X°A. di Savoia,1
70057 Palese di Bari (Ba)

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Gennaro Scala

Lotta per il controllo delle risorse. Una prima analisi delle cause
della guerra in corso

L’immenso apparato produttivo integrato a livello mondiale è una macchina che per funzionare ha bisogno di energia. Nel 1999 l’energia nel mondo è stata fornita da petrolio (35%), carbone (23.5), gas (20.7%), combustibile rinnovabile e scarti (11.1%), nucleare (6,8%), energia idroelettrica (2.3%), energia geotermica, solare, eolica, termica ecc. (0,5%). Come mostra il grafico, dal 1973 al 1999 il petrolio pur non perdendo il suo ruolo centrale, ha visto una netta discesa, in favore del gas e dell’energia nucleare. (i dati e il grafico provengono da IEA,Grafici del consumo di Petrolio nel mondo International Energy Agency,  Key World Energy Statistics, edition 2001, www.iea.org)

Il controllo delle regioni in cui sono localizzate le fonti di energia e il controllo del percorso principale del loro trasporto sono decisivi per il dominio globale. Michael T. Klare ha definito “imperialismo energetico” (The Nation, July 23/30) la politica prospettata in un recente (maggio 2001) documento del governo americano, “Reliable, Affordable, and Environmentally Sound Energy for America’ Future. Report of the National Energy Policy Development Group” (membri: Dick Cheney, Colin L. Powell, Paul O’ Neill, Gale Norton e altri) , in riferimento soprattutto al suo capitolo conclusivo, nel quale viene delineata una strategia per il controllo delle risorse energetiche. http://www.whitehouse.gov/energy/National-Energy-Policy.pdf

Il documento sostiene che il petrolio delle regioni del Golfo Persico, dove tuttora sono si trovano un quarto delle riserve mondiali di petrolio, continua ad essere centrale, ma al tempo stesso sottolinea l’importanza delle regione del mar Caspio. “Il Golfo rimarrà il focus primario della politica energitica internazionale degli Stati Uniti, ma il nostro impegno dovrà essere globale (will be global), focalizzando le regioni emergenti e quelle esistenti che avranno un maggiore impatto nella bilancia energetica globale”

L’idea che questa  non sia tanto una guerra contro il terrorismo quanto una guerra per il controllo delle risorse si sta facendo sempre più strada ultimamente. Tuttavia è bene vedere precisamente in che termini, cominciando con una descrizione delle risorse della regione del mar Caspio, in base alle informazioni fornite dall’Energy Information Administration. Official Energy Statistics from the U.S. Government (EIA, http://www.eia.doe.gov):

“La prospettiva di riserve potenzialmente enormi di idrocarburi è parte del fascino delle regioni del Mar Caspio (incluso Azerbaijan, Kazakhstan, Turkmenistan, Uzbekistan, e le regioni dell’Iran e della Russia che sono vicine al Mar Caspio). Oltre ai 18-34 miliardi di barili attualmente dimostrati, le riserve possibili di petrolio della regione possono fornire altri 235 miliardi di barili. Questo è approssimativamente equivalente ad un quarto ad un quarto delle risorse totali provate (tuttavia, il Medio Oriente ha anche le proprie vaste possibili riserve). Le risorse di gas possibili sono ampie quanto le risorse di gas provate, e potrebbero fornire 328.000 miliardi di piedi cubici.”

Le riserve di petrolio sommate a quelle di gas fanno delle regione del Mar Caspio il secondo deposito energetico mondiale dopo quello del Golfo Persico, ma vi è un considerevole problema relativo al trasporto di queste risorse dalle “landlocked” regioni del Mar Caspio. La cartina mostra le tre vie principali che dovrebbero percorrere il trasporto queste risorse. In aggiunta vi è anche l’Iran, tra l’altro la soluzione più semplice, che avrebbe però la stessa destinazione finale della terza: il sud-est asiatico, ma questo percorso è escluso a causa del conflitto economico-politico con l’Iran a cui gli Usa hanno imposto delle sanzioni ormai ventennali. Riguardo alla prima via, quella occidentale verso l’Europa, secondo l’EIA “ci sono alcune questioni riguardo al fatto che l’Europa sia la giusta destinazione per il petrolio e il gas del Mar Caspio. La domanda di petrolio nei prossimi è prevista in crescita di poco meno di un milione di barili al giorno. L’esportazione di petrolio a est, d’altro canto, potrebbe servire i mercati asiatici, dove la domanda di petrolio è prevista in crescita di 10 milioni di barili al giorno nei prossimi 10-15 anni. Per alimentare tale domanda asiatica, però, potrebbe essere necessario costruire le più lunghe pipeline del mondo. Considerazioni geografiche potrebbero obbligare queste pipelines a dirigersi a nord delle intransitabili montagne del Kirgizistan e del Tagikistan attraverso le vaste, desolate steppe kazache, con ciò aggiungendo ancora più estensione (e costo) a qualsiasi pipeline diretta ad est.” (EIA) Un altro fattore che rende questo percorso poco gradito è il fatto che esso resterebbe comunque o sarebbe potenzialmeVie di comunicazione per il petrolio e il gas del Mar Caspionte sotto l’influenza della Russia.

Ma se non ad ovest e non ad est, allora verso Sud? Escluso l’Iran, questa via dovrebbe passare necessariamente per l’Afghanistan attraverso il quale raggiungere i porti pakistani sul mare Arabico, da dove petrolio e gas dovrebbero raggiungere via tanker il sud-est asiatico. Ma su questo percorso ci sono some little problems.

 “La guerra civile afghana ha impedito ai progetti in corso di procedere. Mentre tutte le principali fazioni afghane sono d’accordo in linea di principio alla costruzione delle pipeline, le pipelines non hanno probabilità di attrarre i necessari finanziamenti senza una stabilizzazione pacifica e un riconoscimento internazionale del governo afghano. Sebbene i talebani controllano il 90% del territorio afghano, solo Emirati Arabi Uniti, Pakistan e Arabia Saudita hanno riconosciuto ufficialmente il governo afghano. In seguito ai bombardamenti statunitensi delle roccaforti afghane nei raid del 20 agosto del 1998, Unolocal ha annunciato di aver sospeso i lavori della pipeline per il gas, e nel Dicembre 1998 si è ritirata dal consorzio Centgas.

Nell’aprile 1999, Pakistan, Turkmenistan and Afghanistan si sono accordati per riattivare il progetto Centgas, e per chiedere al consorzio Centgas, ora guidato dalla Delta Oil dell’Arabia Saudita, di procedere. Sebbene i combattimenti si sono allontanati dagli itinerari potenziali della pipeline, il rifiuto dei talebani di consegnare Osama bin Laden, così come la continuazione della guerra civile, ha ridotto la probabilità di attrarre finanziamenti internazionali per il progetto Centgas. Gli Stati Uniti hanno imposto delle sanzioni che vietano il commercio e gli investimenti americani nel 90% dell’Afghanistan sotto il controllo dei talebani, e nel 14 novembre 1999, anche le Nazioni Unite hanno imposto delle sanzioni contro l’Afghanistan nel tentativo di fare pressione sui Talebani perché consegnassero bin Laden.” (EIA, http://www.eia.doe.gov/cabs/caspconf.html)

Ma cosa c’entra con tutto questo Osama bin Laden, dichiaratamente il primo bersaglio di questa guerra? Cominciamo con l’esaminare come mai si trova in Afghanistan, ammesso che non abbia cambiato aria da un pezzo. Il suo rapporto con i talebani nasce al tempo della guerra contro l’URSS. “Il regno saudita forniva un finanziamento pari a quello americano, cui si aggiungevano i milioni di dollari provenienti dai patrimoni arabi privati. Ed in effetti, la combinazione di fondi sauditi pubblici e privati fu decisiva per il finanziamento della guerra. I fondi ufficiali del governo saudita diminuirono gradatamente verso la fine della guerra e furono sostituiti da quelli privati provenienti da fanatici multimiliardari come Usama bin Laden, ansioso di assistere al trionfo mondiale dell’islamismo. I finanziamenti statali furono ben presto superati e quasi dimenticati. […] La privatizzazione strisciante della jihad – perché di questo si è trattato: i responsabili di gran parte del terrorismo politico postbellico in Occidente non sono tanto i governi criminali quanti i magnati privati – fu il frutto dell’alleanza tra Arabia Saudita e Stati Uniti” (John C. Cooley, Una guerra empia, ed. it. p. 182-83). Bin Laden è stato uno dei principali organizzatori e collettore di fondi della jihad afghana, da ciò derivano i suoi rapporti all’epoca della guerra fra Afghanistan e URSS con la CIA.

Bin Laden è il rampollo di una famiglia che possiede uno dei principali gruppi economici dell’Arabia Saudita. La sua ideologia islamista sembra molto distante dal mondo occidentale, tuttavia una serie di articoli hanno ricordato i legami della sua famiglia con quella del suo attuale “nemico” George Bush. Bin Laden è un membro dell’élite borghese mondiale. Ha imbracciato mitra e Corano, ma sotto la tunica spunta il sofisticato orologio da manager. Per molti aspetti infatti questo è un conflitto tra l’élites borghesi mondializzate. Tuttavia in termini strettamente economici l’impero finanziaro della famiglia di Osama bin laden non è fondato sul petrolio ma sulle costruzioni. È meglio però evitare l’appiattimento sulle questioni economiche che pur restano decisive: la funzione che bin Laden ha voluto ritagliarsi in questi anni è stata soprattutto di tipo politico-“militare”, attraverso l’organizzazione del terrorismo e questa funzione va inquadrata nel contesto dell’Arabia Saudita e questa nel contesto del mondo arabo.

Dopo aver contribuito a sconfiggere i sovietici, si convinse che il principale nemico erano gli USA e che la monarchia saudita in quanto aveva concesso le base agli americani per l’attacco all’Iraq andava rovesciata. Nonostante che per queste dichiarazioni gli fu ritirato il passaporto saudita, i suoi legami con i vertici sauditi non sono venuti meno. In primo luogo con uno dei più potenti personaggi del regime il principe Turki al-Faisal, capo dei servizi segreti. Il rapporto fra i due, entrambi relativamente giovani, nasce ai tempi dell’università: fu Turki a favorire la sua ascesa come uno dei principali organizzatori della jihad in Afghanistan.

Anche a causa della logica dei media, sempre alla ricerca del personaggio su cui puntare i riflettori, si è prestata troppa attenzione a bin Laden. Il ruolo di figure come quella di Turki al-Faisal è altrettanto importante. Innanzitutto il suo sostegno al regime dei talebani non è stato secondario. Secondo il resoconto di Ahmed Rashid, cronista pakistano della Far Estern Economic Review, considerato, per la sua ventennale esperienza, uno dei maggiori conoscitori della questione, “nel luglio 1998 il principe Turki fece visita a Kandahar e poche settimane dopo arrivarono 400 furgoni arrivarono a Kandahar per i talebani che ancora avevano la targa di Dubai. I sauditi diedero anche denaro contante per il libretto assegni dei talebani per la conquista del nord nell’autunno. Fino al bombardamento in Africa e a dispetto delle pressioni statunitensi per la fine del sostegno ai talebani, i sauditi continuarono a  finanziare i talebani ed erano silenti sulla necessità di estradare bin Laden.” (Ahmed Rashid, Taliban, Militant Islam, Oil and Fundamentalism in Central Asia)

Turki al-Faisal è stato direttamente coinvolto nella lotta per la costruzione della pipeline che doveva attraversare l’Afghanistan. Dopo la conquista di Kabul, quando il regime talebano cominciava a dare una parvenza di stabilizzazione, sono stati in lotta per la costruzione di questa pipeline due gruppi principali: uno denominato CENTGAS formato da Unocal Corporation (U.S.A, 46.5 %), Delta Oil Company Limited (Saudi Arabia, 15 %),  The Government of Turkmenistan (7 %), Indonesia Petroleum, LTD. (INPEX) (Japan, 6.5%),  ITOCHU The Crescent Group (Pakistan, 3.5 %),  Oil Exploration Co., Ltd. (CIECO) (Japan, 6.5 %),  Hyundai Engineering & Construction Co., Ltd. (Korea), 5 %); l’altro gruppo formato da una partnership 50 a 50 fra BRIDAS, una compagnia argentina, e NINGHARCO, la quale a sua volta “è vicina al principe Turki al-Faisal”. “Ogni parte ha il supporto di potenti alleati politici. La proposta della Unocal è favorita dal Turkmenistan e dal Pakistan, mentra quella della Bridas è appoggiata dai Talebani”, e, non c’è bisogno di dirlo, da bin Laden. “Così la competizione tra Unocal e Bridas riflette anche la competizione all’interno della famiglia reale saudita (Rashid, Taliban…, 167-68). La Delta oil è considerata vicina allo schieramento che fa capo nominalmente a re Fahd. Di questi due schieramenti uno è più “conservatore”, preoccupato di non contrariare il protettore americano, l’altro più “rivoluzionario” diretto a fare una politica del petrolio più aggressiva, anche a costo di andare contro agli Stati Uniti. Quale può essere stata la strategia di questo secondo gruppo riguardo alle risorse del Mar Caspio? Gli obiettivi, fra loro non alternativi, possono essere stati due: o far cadere il trasporto di queste risorse sotto un controllo più diretto di gruppi legati all’Arabia Saudita o mettere in atto delle azioni di disturbo che ostacolassero e facessero fallire questo progetto. Alla fine la gara fu vinta nel 1998 da CENTGAS, ma, come informa anche l’EIA, Unocal subito dopo si ritirò dal progetto in seguito agli attentati attribuiti a bin Laden delle ambasciate statunitensi in Tanzania e in Kenia e alle successive ritorsioni americane attraverso il bombardamento in Afghanistan di alcuni località considerate sedi di addestramento di al Qaeda.

I legami di bin Laden con il potere saudita non si limitano a Turki al-Faisal. “La verità riguardo al silenzio saudita era ancora più complicata. I sauditi preferivano lasciare bin Laden solo in Afghanistan perché il suo arresto e processo da parte degli americani potrebbe rivelare le profonde relazioni che bin Laden continua ad avere con membri comprensivi della Famiglia Reale. I sauditi vogliono bin Laden morto o prigioniero dei talebani – non lo vogliono catturato dagli americani.” (Ahmed Rashid, Taliban …)

Klare sostiene che “il vero centro del conflitto è l'Arabia Saudita, non l'Afghanistan". Il suo saggio Geopolitic of War (The Nation, 5/11/01) è molto utile per un inquadramento storico e “geopolitico”, ma è piuttosto singolare che Klare, che pur conosce la questione delle pipelines (esposta sinteticamente e con precisione nel suo libro Resource Wars) non entri nei particolari riguardo alla funzione che le risorse del Mar Caspio possono aver svolto nel suscitare il conflitto più o meno latente con l’Arabia Saudita, mentre invece centra l’attenzione sul progetto di bin Laden di conquistare il potere il Arabia Saudita.

Che le cose non andassero come sempre con il vecchio alleato saudita è apparso chiaro a tutti con la vicenda del rifiuto saudita di concedere le basi per gli attacchi aerei all’Afghanistan. I fatti sono stati sintetizzati in un articolo del U.S news & world report (9/28/01), uno dei settimanali a più ampia tiratura degli stati uniti. L’articolo dal titolo “Relazioni pericolose. Quanto il nostro amico saudita ci sta aiutando?” rileva la contraddizione fra la successione la notizia riportate il 22/7 dal Washinghton Post secondo cui i sauditi avevano respinto la richiesta statunitense della Prince Sultan Air Base (una grande base statunitense costruita recentemente alle porte di Riyadh) e quella riportata due giorni dopo dallo stesso giornale secondo cui il Pentagono aveva pieno accesso alla base di Riyadh. Secondo il settimanale questa “apparente contraddizione” denota “le difficoltose e ambigue relazioni fra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita”. Fra parentesi: il settimanale ha scoperto anche che l’amico saudita “è profondamente antidemocratico e il maggior propagatore del Wahabbismo, la forma più estrema di fondamentalismo islamico”. È interessante riportare come, secondo il settimanale, il ministro degli esteri avrebbe risolto il problema. “È possibile che Powell ha evitato la richiesta di usare la base fino al 23 settembre e che l’ha chiesta immediatamente dopo – o che gli Stati Uniti hanno deciso di andare avanti e di usarla senza permesso. Dopotutto, è la nostra base. Ma sembra del tutto probabile che i leader sauditi non vogliono far apparire di cooperare con gli Stati Uniti anche mentre lo stanno facendo”.

Sebbene la questione del rapporto con l’Arabia Saudita non abbia fatto tanto clamore nei media statunitensi, essa è diventata apertamente un problema da essere affrontato, almeno per qualche analista politico americano. In un articolo del Washington Post (22/10/01) di Simon Henderson, esperto del “The Washington Institute for Near East Policy”, dal significativo titolo “Arabia Saudita: amico o nemico?” si scrive che “il coinvolgimento del terrorista bin Laden, nato in Arabia Saudita, negli eventi dell’11 settembre rende le dimissioni di Turki un problema che deve essere risolto. La versione che attualmente va per la maggiore è probabilmente un racconto barocco, che combina le tensioni dinastiche all’interno di una famiglia reale forte di 30.000 membri, le relazioni saudite con i talebani, le relazioni saudite con gli USA, e l’implicazione che i sauditi conoscevano o sospettavano che bin Laden avrebbe potuto eseguire l’oltraggio del dirottamento aereo da qualche parte nel mondo a settembre.” “La data (timing, vuol dire anche scelta del momento opportuno, tempestività, tempismo) della rimozione di Turki – 31 agosto – e i suoi legami con i talebani sollevano la questione: conoscevano i sauditi che bin Laden stava progettando il suo attacco contro gli Stati Uniti? L’opinione corrente tra i gli osservatori del regime saudita è probabilmente no, ma la la casa saudita potrebbe aver sentito delle voci che qualcosa si stava progettando, sebbene senza conoscere dove e quando”

L’esperto suggerisce (fra le righe) che Turki alla fine si sarebbe ravveduto, avrebbe inteso quali sono i reali interessi sauditi, avrebbe abbandonato i suoi precedenti legami con talebani e bin Laden e avrebbe scelto alla fine decisamente i vecchi alleati. Ma la questione resta aperta: il ruolo di Turki potrebbe essere stato sino alla fine più ambiguo. Mi sento autorizzato a fare questa osservazione, pur non essendo un esperto, dal fatto che Henderson indica come motivo di conflitto soltanto i debiti contratti dal regno saudita nei confronti degli USA, ma ignora il conflitto più ampio e che coinvolge più profondamente la struttura del regno saudita (sicuramente ha coinvolto in prima persona Turki al-Faisal) che può suscitare la scelta del governo statunitense di puntare sulle risorse del Mar Caspio. Finora ho citato di proposito giornali e settimanali autorevoli (o presunti tali) come il Washington Post o l’U.S news & world report, ma c’è anche chi come Peter Dale Scott (pacifista americano di vecchia data, il cui sito consiglio vivamente di visitare http://ist-socrates.berkeley.edu/~pdscott/q.html ) osserva che “ci sono molte congetture in Europa se le improvvise dimissioni di Turki da parte di Abdullah nel tardo agosto sia stato un fattore che ha fatto precipitare l’attacco del 9/11 pochi giorni più tardi”

La causa centrale di questo conflitto potrebbe essere l’opposizione che incontra in alcuni settori dell’Arabia Saudita la decisione americana di “dedicare attenzione” alle risorse petrolifere del Mar Caspio. È certo che l’Arabia Saudita non vede di buon occhio la piena introduzione sul mercato di questo grosso concorrente. Ciò che rende il conflitto ancora più acuto è la profonda crisi economica e politica che da qualche anno attraversa il paese degli sceicchi.

L’Arabia è uno degli orrori, sul piano politico, creati dalla politica estera statunitense, la cui protezione militare e politica è essenziale alla sua conservazione: è un paese che basa le sue entrate per tre quarti sul petrolio, ed è un’economia praticamente a scadenza basata sulle riserve di petrolio (per altri 20 o 30 anni?), un paese in cui non esiste parlamento, in cui un’interminabile coorte di principi (e relative famiglie) corrotta e crapulona batte continuamente cassa, la stessa che ha sperperato gran parte di queste immense ricchezze senza creare una reale struttura produttiva, in cui gran parte dei capitali ricavati dal petrolio risiedono all’estero, e che si regge sul consenso dovuto alla pura e semplice distribuzione del denaro proveniente dal petrolio.

Il progetto politico di bin Laden  è davvero così “rivoluzionario”? Intende davvero sconvolgere gli equilibri mondiali rovesciando il regime saudita e mettendolo contro gli USA? O gli attacchi terroristici sono il modo in cui una parte consistente della classe dominante saudita, da cui provenivano diversi attentatori, si fa, diciamo così, sentire? Sicuramente molti degli attentati dei gruppi islamici in Cecenia erano diretti a rendere insicure le zone di transito delle pipeline russe, attualmente principale concorrente sul mercato del petrolio dell’Arabia Saudita. Sicuramente attorno alle risorse petrolifere sono sorti dei conflitti insanabili, il che rende la lotta estremamente aspra.

Quando bin Laden fa appello alla difesa del petrolio, “questa risorsa del mondo arabo”, potenzialmente, in un società impoverita come quella araba, questa forma di demagogia può fare presa su ampie masse, ma gli interessi reali che difende sono quelli di élites piuttosto ristrette. Inoltre, la strategia terroristica messa in atto da al Qaeda sembra essere l’unica capace di ottenere dei “risultati”, quali che siano, contro gli Usa che hanno dimostrato di aver raggiunto una superiorità militare schiacciante, mentre tanti arabi hanno ottime ragioni per considerare gli USA nemici. Tuttavia se gli USA riusciranno a sconfiggere la rete di bin Laden questo sarà un fatto positivo, ma non sarà una vittoria come non lo è stata la sconfitta dei talebani. Infatti gli USA prima hanno dato un contributo decisivo ad insediarli e in seguito hanno dovuto toglierli, raddoppiando le sofferenze della sventurata popolazione afghana, una delle tante vittime della fallimentare e caotica politica estera americana.

Negli ultimi anni sono comparsi tutta una serie di Frankestein creati dagli USA che poi gli si sono rivoltati contro a partire da Saddam Hussein, poi bin Laden, poi i Talebani, in parte anche l’Arabia Saudita. La storia del dopoguerra ha visto gli USA impegnati dovunque, ma soprattutto negli stati arabi, a favorire i governi più reazionari, così alla fine dopo la sconfitta di Nasser, la cui lotta è stata il principale progetto di emancipazione e modernizzazione del mondo arabo, abbiamo bin Laden sorto dalla reazione estrema proveniente dall’Arabia Saudita. Magdi Allam, un cronista di Repubblica di origine araba, scrive: “Parla da consumato statista il Bin Laden che prefigura il possesso del più ricco forziere naturale della Terra. E' lui l'erede dell'egiziano Nasser che per primo osò sfidare la superpotenza americana e incitò le masse saudite a rivoltarsi contro la famiglia reale, legando il riscatto della nazione araba al controllo delle risorse petrolifere. Nasser la sua battaglia la perse e sulla scia della cocente sconfitta del 1967 esplose il movimento islamico di cui Bin Laden è il nuovo profeta. Ora tocca a Bin Laden, anche per lui è giunta l'ora della resa dei conti” (Repubblica 24/10/01). Per quanto grossolano e sostanzialmente falso sia definire bin Laden l’erede di Nasser, ritengo il concetto generale abbastanza giusto.

Siamo già entrati nell’era della fine dell’egemonia americana nel mondo. Secondo la concezione gramsciana il governo duraturo è sempre una combinazione di dominio e consenso. L’incapacità del modello americano, e in generale occidentale, di risolvere invece di peggiorare i problemi vitali di ampie zone del mondo segna la fine del consenso e dell’attrazione che questo modello poteva suscitare. Viene ora l’era del solo dominio, magari attraverso l’utopia di una assoluta superiorità tecnologica, ma un governo mondiale fondato soltanto sul dominio non è destinato a durare.

Come abbiamo visto le cause del conflitto sono reali, molto probabilmente è stato realmente bin Laden uno dei principali organizzatori dell’attentato, tuttavia bisogna tenere conto anche degli aspetti oscuri questa vicenda, dietro cui si intravvede un intrigo di servizi segreti a dir poco inquietante, da far impallidire quello emerso in relazione all’assassinio di Kennedy. Sono troppe le voci che indicano che servizi segreti americano hanno trescato con bin Laden fino a poco tempo fa e forse anche dopo gli attentati. Si tenga conto che le diramazioni degli interessi contrastanti delle compagnie petrolifere arrivano fino ai vertici del governo e del potere statunitense (Bush jr. stesso viene indicato come un rappresentante delle compagnie petrolifere). Bisognerebbe avere una mappa dettagliata delle varie compagnie petrolifere statunitensi e della loro politica petrolifera, ma può essere benissimo che alcune di queste possano essere allineate al vecchio alleato saudita e che questi interessi possono essere implicati in qualche modo nell’attentato. Siamo nel regno dell’ipotetico e del possibile, ma come non porsi queste domande? La questione è sempre la stessa: come è stato possibile? Com’è stato possibile che due aerei a distanza di quasi mezz’ora uno dall’altro si siano schiantati contro i grattacieli della principale città statunitense? Altri sostengono che l’attentato sia stato se non creato almeno non ostacolato per creare il casus belli per farla finita con bin Laden e talebani e per risolvere definitivamente la questione dell’Afghanistan. È molto probabile che c’è stato un fortissimo conflitto occulto fra i vertici del potere americano. La vicenda resta sicuramente in gran parte oscura: in questo groviglio l’analisi del conflitto per le risorse energetiche può fornire uno strumento per sbrogliare o’ gliuommero (matassa ingarbugliata inestricabilmente, ma anche peso sullo stomaco, metafora gaddiana del fascismo).

 guerraincorso@email.it

 

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da "Gazzetta d'Alba"  n.44 - 21 novembre 2001
Riflessioni di mons. Sebastiano Dho, a proposito di conflitti "giusti" e di vittime innocenti

OGNI GUERRA AVVENTURA SENZA RITORNO   
di mons. SEBASTIANO DHO (vescovo di Alba)

Avventura senza ritorno: questa definizione lapidaria delle guerre, di ogni guerra, data da Giovanni Paolo II fin dai tempi dell'intervento militare americano nel Golfo, dovrebbe risuonare quale richiamo martellante e ineludibile, almeno per i cattolici tutti, pastori e fedeli laici, in questi drammatici momenti in cui stranamente sembrano prevalere dubbi al riguardo o
un imbarazzante silenzio che finisce per attutire i rinnovati moniti del Pontefice.
Non pochi credenti, più attenti e sensibili alle problematiche della giustizia e della pace, si chiedono come mai, a livello di responsabili pastorali italiani, non si faccia debita eco alle prese di posizione chiare e coraggiose non di ideologi o estremisti politici, ma del Papa. Si interrogano e soffrono perché sinceramente pensano che la Chiesa debba essere più profetica e meno preoccupata di allinearsi alle scelte, peraltro legittime, di questo o quel governo.
Si tratta infatti di responsabilità diverse per cui, senza negare le competenze di chi rappresenta la pubblica autorità, non si può dimenticare che la Chiesa, a livello di annuncio e di denuncia, è chiamata a pronunciarsi, quando necessario, in modo diverso dalla logica mondana del potere, soprattutto in difesa della vita degli innocenti, che hanno tutti lo stesso valore e la stessa dignità, dalle vittime di New York a quelle dell'Afghanistan e a tante altre.
In effetti, parecchi diocesani, sacerdoti e laici, hanno richiesto una parola semplice, ma chiara, a chi porta la responsabilità di guidare la Chiesa, non solo a proposito della strage operata dai terroristi in Usa, ma pure sulla reazione, in primo tempo autoproclamatasi "giustizia infinita", da parte degli americani e dei loro alleati, con i bombardamenti e i massacri delle povere e innocenti popolazioni afghane. Credo sia giusto tentare di dare una risposta onesta a queste attese, senza alcuna pretesa di infallibilità, ma pure senza timore di scontentare qualcuno.
1. Innanzitutto mi pare importante denunciare la capziosità del dilemma molto gridato: «Chi non accetta la guerra proclamata dagli Usa sta con i terroristi». Si può e si deve condannare ogni forma di terrorismo, non solo quello contro l'America, e nel tempo stesso dissentire legittimamente dal modo con cui si vuole eliminare il gravissimo pericolo.
2. Ma possono esistere (ancora) guerre "giuste"? Prescindendo da ogni discussione storica, ci limitiamo a ciò che oggi emerge a livello di magistero e di riflessione teologica ecclesiale. È vero che il Vaticano II, quando nella costituzione pastorale Gaudium et Spes tratta il problema della guerra, al n. 79 ammette che, «finché non vi sarà un'autorità internazionale competente munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto alla legittima difesa», ma, subito dopo, il Concilio continua con altre affermazioni, tali da rendere praticamente impossibile l'applicazione concreta di questa possibilità teorica. Infatti, dopo aver brevemente
descritto, e solo in parte (siamo nel 1965!), l'inumana tecnica bellica moderna, sostiene che comunque «ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato» (n. 80).
Il Vaticano II condanna perciò la guerra "totale" che di fatto mira a far vincere non importa come (è il caso dell'uso di armi nucleari, già tristemente collaudato proprio dagli Usa in Giappone). E per questo recentemente il cardinale Ratzinger ha dichiarato che «le risposte elaborate dalla tradizione cristiana, a proposito della guerra di difesa, devono essere aggiornate sulla base delle nuove possibilità di distruzione, dei nuovi pericoli. Provocare, ad esempio, con una bomba atomica la distruzione dell'umanità, può forse anche escludere ogni difesa».
3. Ma si impone un'ulteriore precisazione. È nella natura intrinseca della guerra che l'uomo sia armato per colpire e uccidere un altro uomo. Ciò senza alcun rapporto diretto con un avversario, come avviene in caso di legittima difesa. La quale, peraltro, anche quando è giustificabile, lascia sempre un segno indelebile e traumatizzante in una coscienza sensibile.
4. L'assurdità e l'immoralità della guerra consistono esattamente in questo: essa fa delle vittime non solo in coloro che sono colpiti a morte senza essere responsabili di alcun crimine e quindi innocenti, ma, con una logica perversa intrinseca alla natura della guerra stessa, fa delle vittime pure in coloro che colpiscono, perché diventano uomini costretti a uccidere altri uomini, a togliere la vita a fratelli e a ferire la propria per sempre.
Questa pare essere la verità scomoda, ma autentica, al di là di ogni desueta retorica.
5. Senza pretendere affatto di giudicare o condannare alcuno, specie coloro che devono decidere della vita degli altri, a cominciare dai propri cittadini mandati a morire, non si può sottacere la perplessità che nasce dal fatto che in tanti altri casi di conflitti e di veri e propri massacri ci si sia ben guardati dall'intervenire, dando così l'impressione che alcune
vittime siano più vittime di altre.
6. In ogni caso, pare che sia da ricordare un vecchio principio morale, sempre valido, per cui altro è sopportare il male fatto da altri e tentare di difendersi; altro è positivamente e direttamente causarne uno peggiore da parte nostra. Dimenticare questo significa cadere dalla logica della giustizia a quella della vendetta o rappresaglia, tipica del dramma
israeliano e palestinese. Se vogliamo essere minimamente coerenti con il Vangelo, il magistero del Vaticano II e di Giovanni Paolo II, questa dovrebbe essere l'indicazione cristiana per un retto giudizio di coscienza di tutti coloro i quali dicono di riferirsi a questo insegnamento, compresi i parlamentari italiani che hanno votato per la guerra in grande
maggioranza, a parte le (troppo) poche eccezioni.
7. Non possiamo concludere questa riflessione senza ricordare che, al di là delle decisioni dei potenti di turno, per noi esiste sempre un modo tipico di impegno: la preghiera a Dio, l'unico capace di toccare menti e cuori per costruire progetti di pace per tutti; naturalmente invocandolo non perché ci dia ragione («Dio è con noi!»), ma perché ci converta. Dio, infatti, non sta dalla parte di nessuno, se non dei più deboli e degli ultimi. Soprattutto, non benedice mai la guerra, ma la pace. Sempre!

    +Sebastiano Dho,
            vescovo

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CHIESE CRISTIANE USA E GUERRA: UN APPELLO PER COSTRUIRE LA PACE E
RISTABILIRE LA GIUSTIZIA
L'Assemblea del Consiglio delle chiese USA approva un Documento sui fatti dell'11 settembre

(da NEV, Notizie Evangeliche, n. 47, 21 novembre 2001)

Roma (NEV), 21 novembre 2001 - Un forte appello per pace e giustizia caratterizza il documento sui fatti dell'11 settembre e sull'intervento militare in Afghanistan, approvato il 15 novembre dalle chiese cristiane riunite nell'Assemblea generale del Consiglio nazionale delle chiese USA (NCCCUSA), il maggiore organismo ecumenico del paese, che raggruppa 36 denominazioni protestanti e ortodosse, per un totale di 50 milioni di aderenti in 140.000 comunità locali.
"Out of the ashes and tragedy of September 11, 2001": questo il titolo del documento, approvato a conclusione dell'Assemblea generale svoltasi a Oakland (California) dal 13 al 15 novembre. I delegati del Consiglio nazionale chiedono la cessazione dei bombardamenti in Afghanistan ed auspicano la collaborazione fra tutte le parti in causa, "per individuare strategie nonviolente che consentano di portare davanti alla giustizia coloro che terrorizzano le nazioni del mondo". Le chiese americane chiedono al governo USA e agli altri governi di "assicurare la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali e di trattare tutte le persone con dignità, rispetto e tolleranza, al di là della religione, della razza,
etnia o colore"; auspicano inoltre che gli Stati Uniti giochino un ruolo costruttivo, nella cornice delle Nazioni Unite, nella creazione di un governo afghano, a conclusione della guerra, che sia largamente rappresentativo, rispettoso delle tradizioni e accettabile per la popolazione del paese". Agli Stati Uniti si chiede anche un "impegno a lungo termine" nella regione, per promuovere relazioni armoniose fra le parti, sviluppo economico e pace duratura. Le comunità di fede sono
incoraggiate dai delegati delle chiese americane a "intraprendere un dialogo aperto sulle questioni di pace e giustizia, per costruire comunità multireligiose più forti e promuovere la tolleranza e la comprensione reciproca". L'Assemblea generale chiede inoltre alle chiese e alla società tutta di rispondere con generosità all'appello lanciato dall'agenzia umanitaria Church World Service (CWS), legata al Consiglio nazionale delle chiese USA e già impegnata nel paese, che si è posta l'obiettivo di raccogliere 6,28 milioni di dollari per il soccorso dei profughi in Afghanistan e Pakistan. (lni)

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LETTERA APERTA A PAOLO GIUNTELLA
 
13 Novembre 2001.
 
Caro Paolo,
ti ringrazio molto per la tua lettera. La tua accorata tristezza mi ha molto commosso. La tua analisi dei valori della cultura
occidentale è pienamente condivisa. La tua apertura agli altri aderenti di Pax Christi è un segno di amicizia che apprezzo molto.
Vorrei dirti innanzitutto che siamo molti a condividere incertezze, dubbi e angoscia in questo periodo, anche se poi molti, io per primo, ce li teniamo dentro, lasciando che altri parlino, non necessariamente dicendo cose più sensate.
Per questo oggi non voglio tacere e voglio metterti umilmente a disposizione i miei pensieri, maturati in almeno due mesi di
sofferenza. Non intendo parlare di convinzioni definitive: è semplicemente quel che penso oggi, che mi son costruito per farmi una ragione e calmare l'angoscia, pronto a cambiare idea se altri fatti o approfondimenti di cui sono in continua ricerca me lo faranno fare.
Ti esprimo perciò le mie conclusioni e i rimedi che personalmente ho trovato su una serie di punti.
L'informazione italiana: ritengo che sia assolutamente carente di professionalità, come lo è la nostra politica. Non giudico le persone e non escludo le eccezioni, ma mi sento di esprimere il mio disagio su una funzione sociale fondamentale che non mi soddisfa. Da Tortora a Bruno Vespa, passando per Striscia la Notizia, i conduttori italiani sembrano essere coloro che risolvono i problemi fondamentali del Paese.
Peccato che poi non si riesca ad avere in modo chiaro le informazioni vitali per capire ciò che succede, perchè troppo spesso deformate da ignoranza o dalla mania di forzare un'interpretazione personale.
Forse qualche eccezione c'è. Comunque dall'11 settembre leggo il meno possibile i giornali italiani e guardo il meno possibile le televisioni nazionali. Guardo le Tv internazionali, oggi ricevo solo quelle anglosassoni, e leggo i quotidiani e agenzie su Internet, che oggi mi porta in casa dai quotidiani occidentali alle agenzie cinesi, passando per il resto del mondo. Quando li ho girati tutti riesco a farmi un'idea. Il giornalista anglosassone (proprio oggi bisogna dire anche francese) è pronto a rischiare la vita per adempiere al suo compito. Nelle trasmissioni viene rispettato, distinguendo
accuratamente l'informazione dal commento. La prima viene studiata per dare obiettività (non per questo senza condizionamenti culturali). Il commento è distinto e firmato (v. Cronkite). Per cui il lettore e lo spettatore sa cosa pensa chi propone. Di fronte a questa possibilità, penso non valga la pena di sprecare lacrime per i nostri disorientati e supponenti pseudo professionisti.
Il terrorismo: dico sopra disorientati perchè questo mi appare un obiettivo voluto e raggiunto dai terroristi. L'attacco alle Twin Towers è avvenuto nei nostri salotti, dove tutte le televisioni hanno ripetuto all'infinito quelle agghiaccianti sequenze.
Poi il vuoto.
Il vuoto delle rivendicazioni.
Il vuoto delle spiegazioni.
Il vuoto delle informazioni. Dalla seconda guerra mondiale in poi siamo stati abituati ad avere resoconti espliciti, prima per radio, poi per televisione.
Oggi niente.
Anche dall'Afghanistan fino a pochi giorni fa solo immagini allucinanti di bombardamenti notturni.
Poi tanta disinformazione o malinformazione. Le teste vuote fanno sempre del chiasso, dice un vecchio motto. Oppure parafrasando una frase importante di Tonino Bello: chi non ha maturità adeguata, non sa sopportare il silenzio . E allora fa baccano, aiutando con la confusione i terroristi.
La guerra. Una persona laica ha detto: " è una guerra tanto inevitabile quanto inutile". Può essere una definizione acuta. Per me pacifico pacifista cristiano, la guerra non è mai inevitabile. Forse c'è una questione di tempi per far qualcosa ed evitarla. Mi vien da pensare ad una valanga in montagna. Prima che parta, si può cercare di far qualcosa. Dopo non la si ferma. Si può solo stare sul bordo urlando per mettere in guardia gli altri. Ma quest'ultima è un'esperienza pesante e frustrante. Ammiro e rispetto molto chi segue questa strada, ma non la sento mia. Non partecipo alle marce Perugia-
Assisi e di Capodanno per altre ragioni, di tipo fisico. Lo farei se potessi, perchè sono eventi con grande valore intrinseco, che non dipende dalla capacità o meno di di molti politici di appropriarsene.
Molte altre proteste mi fanno sentire impotente, perchè non si riesce a fermare la valanga.
Altri dubbi mi vengono quando mi si chiede quando è incominciata la guerra. C'è chi dice con i bombardamenti di ottobre in Afghanistan.
C'è chi dice l'11 settembre. Io penso che sia iniziata nel 1973, quando qualcuno ha innalzato nel giro di pochi giorni il prezzo del petrolio a cinque volte il valore precedente. Per poi raddoppiarlo ancora in tempi successivi.
Non è stato certo un atto gentile verso i paesi industriali (anche se gli USA hanno accettato senza fiatare: dovendo, volendo o chissà!?). Ma anche i paesi più poveri sono stati toccati, perchè il costo dei trasporti per loro è molto rilevante. Poi, per vari fatti susseguenti, è iniziato il loro tragico indebitamento cui assistiamo oggi.
Allora mi viene la forte tentazione di dire che stiamo vedendo un ennesimo episodio della guerra tra i signori dell'energia, che ci coinvolge profondamente, senza farci intravedere facili possibilità di agire, oltre a protestare, che è comunque importante.
Che fare?  mi sono riletto un po' la storia di Pax Christi e ho scoperto che è nata dopo la guerra mondiale per ricreare un po' di armonia tra tedeschi e francesi lacerati dal conflitto. Forse possiamo anche noi fare qualcosa di simile: se mentre in vari posti si combatte crudelmente, cercassimo di avviare un dialogo con i mussulmani presenti in Italia? nel gruppo di discussione è comparsa nelle scorse settimane la domanda: "come si fa a dialogare se l'altro non vuole?". Domanda molto bella per la sua concretezza. Mi sento di rispondere: cerchiamo di parlare con gli islamici che si sono dichiarati pacifici. Evitiamo i gruppi che hanno applaudito la violenza. A Milano, a Padova e forse anche altrove si sono tenute manifestazioni interconfessionali cui hanno partecipato anche musulmani. Perchè non condividiamo con loro i nostri dubbi? Perchè non cerchiamo di capire i loro dubbi? Probabilmente possiamo fare un po' di strada assieme e sarà tanto di guadagnato per rimettere ordine quando la valanga si sarà fermata.
Cosa fare per evitare la prossima valanga?  se una volta partita non si riesce più a fermarla, forse dovremmo cercare già oggi provvedimenti per evitare di farne partire un'altra. Mi vengono in mente alcuni temi da aggiungere a quelli di cui già si parla e che propongo a te e agli amici di Pax Christi.
La base degli strumenti legali. Nei giorni scorsi abbiamo visto andare in crisi le basi dei due sistemi legali usati nel mondo
occidentale. La "Common law" dei paesi anglosassoni, che risale all'inizio del secondo millennio, va in crisi nel cercare di scovare e contenere i depositi finanziari off-shore dei terroristi. La legge scritta, che risale alle tavole di bronzo dell'antica Roma, va in crisi nella sentenza sull'inquinamento di Marghera. Sentenza tecnicamente giusta e dovuta, secondo la legge vigente. Ma che in un sistema di "common law " sarebbe stata del tutto opposta. Il diritto coranico è già in crisi da qualche secolo e ha causato il mancato sviluppo delle comunità islamiche, una volta fiorenti. Nell'epoca dell'affermazione delle aziende come strumento prima commerciale e poi industriale, l'Islam si è fermato. Non conosco il diritto russo e
quello cinese e su questi mi astengo. Dove si va a finire? Su cosa baseremo il rafforzamento delle istituzioni giudiziarie
internazionali che auspichiamo? La corte dell'Aja ha qualcosa di più oltre alla "Dichiarazione dei diritti dell'uomo" come base su cui giudicare? E se si rifacesse al processo di Norimberga in base ai principi di "Common Law" chi lo accetterebbe? Sono tutte cose che mi piacerebbe sapere e su cui penso che potremmo avviare approfondimenti.
Il diritto di proprietà del territorio. Il  Vangelo ci dice di utilizzare i propri talenti, di dare i propri bene ai poveri e di
rispettare la proprietà altrui. C'è chi ci vede un'apparente grande contraddizione. Che non è più tale se interpretiamo correttamente il messaggio indirizzato ai singoli uomini, che nel loro spirito possono rispettare i tre consigli. Non è messaggio per Cesare, per prescrivere ciò che a lui spetta decidere. Anche se il "sale della terra" deve far di tutto per ispirarlo. Oggi vediamo che un diritto di proprietà del suolo, di probabile derivazione dalle civiltà agricole, permette alle tribù nomadi della penisola araba di diventare sedentarie ed arricchire (almeno i loro capi) con il petrolio che altri hanno trovato sotto la loro tenda. Mentre i Tuareg meno fortunati (o più fortunati?) continuano la loro grama esistenza
nell'ovest sahariano. Questo mentre a New York il privato non ha diritto di proprietà del suolo, ma solo diritto di superficie per, credo, 99 anni. Dove stiamo andando? Dove dovremmo andare?
Il diritto di proprietà intellettuale (brevetti). Forse proprio oggi in Qatar, al congresso del WTO, si decide una deroga al diritto brevettuale a favore dei paesi poveri, per i prodotti medicinali. E' la conseguenza del fatto che tra le ultime 14.000 specialità medicinali farmaceutiche introdotte sul mercato, solo 14 erano destinate a malattie proprie dei paesi poveri. Questo non è un risultato del libero mercato o della globalizzazione. E' il risultato della stupidità, avidità e miopia dei dirigenti delle società farmaceutiche. Ma di fronte a questa eccezione importante e finalmente realistica, la normalità dove dovrebbe andare? l'esistenza dei brevetti ha stimolato la ricerca e permesso attraverso di essa di realizzare importanti conquiste: penso al genoma umano e non alla conquista della Luna. Cosa dovremmo fare per la normalità futura?
Non credo sia facile dare risposte serie a questi problemi che ho in mente e ad altri ancora inespressi.
Anzi credo sia molto difficile. Ma mi sento di chiedere a te e a tutto Pax Christi, almeno di cominciare a compilare l'elenco delle cause possibili della prossima valanga. Poi potremo trovare le sedi e gli aiuti per costruirne la risposte.
Almeno guarderemo in faccia la realtà e spero che questo ci aiuti a sconfiggere le angosce in cui i terroristi vorrebbero cacciarci e in cui comunque le altre violenze ci cacciano.
Con amicizia
 
Bruno Borca

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AFGHANISTAN, 29 NOV 2001 (9:24)
CONTRIBUTO ITALIANO ALLA CROCIATA CONTRO IL TERRORISMO, 
INNOVATIVO SISTEMA DI GUIDA PER BOMBE

Le bombe che gli angloamericani stanno utilizzando in Afghanistan hanno un sistema di guida made in Italy. Si tratta, stando alle dichiarazioni degli esperti, di un contributo qualificato alla cosiddetta OCrociata contro il terrorismo. L'Alenia Marconi System, del gruppo Finmeccanica, ha infatti perfezionato la OJoint direct attack munition (Jdam) della nordamericana Boeing. In tal modo è possibile lanciare le bombe da una distanza molto maggiore, 38 chilometri anziché 13, con notevole precisione. La bomba che ha un margine di errore di 13-30 metri rispetto al centro del bersaglio è stata
studiata per distruggere infrastrutture in cemento armato, ad esempio dighe e ponti, ma per colpire obiettivi di questo genere è facile che si verifichino quelli che i militari chiamano eufemisticamente effetti collaterali. Nell'estate scorsa, per l'esattezza il 18 luglio, le predette società hanno firmato un accordo in base al quale l'Alenia commercializzerà - si legge in un comunicato della Boeing - le Jdam in gran parte dell'Europa e del Medio Oriente e potrà anche assemblare le Jdam e armi derivate, che i suoi clienti acquisteranno commercialmente. Gli ordini non sono mancati. Il primo è stato da parte di Israele, che ha comprato il kit di modifica per gli ordigni Mk-84 da 900 chilogrammi che armano i suoi aerei F-16. L'onere complessivo è pari a 45 milioni di dollari e la prima rata di 8,2 milioni di dollari è stata addirittura pagata, sempre secondo un comunicato della Boeing, dall'aviazione di Washington. Sarebbe interessante conoscere come sia stato possibile vendere armi ad un Paese in guerra e che viola quotidianamente i diritti umani, in evidente violazione dello spirito della legge 185 del 1990 che regolamenta tale fondamentale aspetto della politica estera italiana. Anche l¹Italia non si è fatta pregare ed ha comprato le bombe in questione. D'altra parte come si fa a non acquistare un prodotto così competitivo realizzato dalla propria industria militare? Il migliore certificato per altri potenziali clienti è dato dal marchio combat-proven, essendo stata testata in guerre vere nella ex-Yugoslavia prima ed in Afghanistan, non soltanto al computer, quindi una sorta di garanzia di qualità. Va ricordato che i Paesi occidentali spendono ogni anno 500 miliardi di dollari per la difesa e il debito estero. Si tratta di una cifra esorbitante se si considera che il debito estero dell'Africa Subsahariana ammonta a circa 260 miliardi di dollari. (di Luciano Bertozzi ©) (CO)

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FAMIGLIA   CRISTIANA n.47

Sabbah Vescovo di Gerusalemme:
di Michel Sabbah, Patriarca Latino di Gerusalemme
e Presidente Internazionale di Pax Christi
LA CULTURA DEL DIALOGO CONTRO LA LOGICA DELLE ARMI

  GUERRA E VIOLENZA NON SONO INEVITABILI

  Abbiamo davanti agli occhi gli attacchi agli Usa dell'11 settembre, seguiti da campagne antiterroristiche e, dal 7 ottobre, dalla guerra in Afghanistan. Nello stesso tempo sappiamo che il nostro mondo è interessato da tanti conflitti. Alcuni sono ben documentati dai media internazionali, ma nella maggior parte dei casi ci vengono fornite notizie scarne, o vengono completamente dimenticati. Come fronteggiare le sfide del futuro?
  Gli attacchi dell'11 settembre sono "crimini contro l'umanità". I responsabili devono essere arrestati e condannati mediante un processo. La giustizia, e non la vendetta, deve essere il nostro scopo. Nel prossimo futuro sarà necessario istituire il Tribunale penale internazionale. I responsabili di genocidi e di altri atti criminali dovrebbero essere puniti secondo le leggi internazionali.
Noi facciamo pressione su tutti i Governi, e specialmente sull'amministrazione Bush, affinché ratifichino lo Statuto di Roma e rendano il Tribunale penale internazionale una realtà nel 2002.
  La paura e la rabbia che ho già menzionato sono principalmente dovute a insicurezza. La globalizzazione dell'insicurezza è divenuta una realtà. Nessun sistema di armamenti, nessuna strategia militare può fermare questo tipo di attacchi terroristici. Neppure alcuna strategia offensiva né difensiva risolverà il problema del terrorismo.
  L'unica soluzione sta nella giustizia sociale. Constatiamo che la globalizzazione dell'economia aggrava la divisione tra chi ha e chi non ha. Cito Aristotele: «La povertà è la madre della rivoluzione e del crimine». Poiché la povertà e le ingiustizie sociali e politiche imposte ai poveri sono la causa maggiore del terrorismo, non possiamo contrastare con successo il terrorismo se non correggiamo le ingiustizie. Dobbiamo riconoscere che la disparità globale è incompatibile con la sicurezza globale.
  Per l'esperienza della mia terra, il Medio Oriente, so dove conduce l'escalation della violenza. Sparatorie e uccisioni da entrambe le parti non fanno che acuire l'odio e gli atti di vendetta. Quando sarà pronta la comunità internazionale, e noi, a eliminare gli elementi di base che fanno germinare i semi dell'odio e della violenza? La povertà, insieme ad altre situazioni di emarginazione, compresa la negazione della dignità umana, il non rispetto per i diritti umani e le libertà fondamentali, le esclusioni sociali, situazioni intollerabili di rifugiati, profughi interni ed esterni e oppressioni fisiche e psicologiche, sono terreni pronti per essere sfruttati.
  Speriamo che un giorno finisca l¹occupazione dei Territori, giustizia sia resa al popolo palestinese, e che gli israeliani e i
palestinesi possano vivere insieme in pace. Non c'è alternativa. Questa è la condizione per prevenire ulteriori conflitti nei prossimi decenni. Questo tempo di dolore ci deve insegnare che la violenza e la guerra non sono inevitabili. Uno scontro tra civiltà non è un destino ineluttabile. La guerra e la violenza di massa di solito sono il risultato di deliberate decisioni politiche.
  Piuttosto che intervenire nei conflitti violenti dopo che essi sono scoppiati, e poi essere coinvolti nella costruzione della pace post conflitto, è più umano e più efficace prevenire tali violenze lavorando sulle loro radici. Questa è l¹essenza di una cultura che porta alla pace.
  La cultura del dialogo è uno stile di vita caratterizzato da profonde relazioni di amore, comprensione, solidarietà, unità e pace fra i popoli di differenti culture e religioni. Chi è coinvolto in questo dialogo stabilisce un rapporto profondo e significativo con Dio, con sé stesso, con gli altri e con l'intera creazione, nel desiderio di avere pace per tutti.
  Il dialogo diventa cultura quando molte persone dalla mente e dal cuore sincero ci credono e lo praticano, e lo promuovono a tutti i livelli. Possiamo definirla "spiritualità del dialogo". Il dialogo e la pace sono le risposte ai segni dei tempi, l¹appello all'unità nella diversità, nel pluralismo del mondo d'oggi.

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<< Come sara' il mondo dopo l'11 settembre ? Il panico per l'economia e la sicurezza hanno totalmente rimosso dall'agenda politica i tragici problemi di larga parte dell'umanita'.
Pensiamo davvero che i pericoli maggiori per la "civilta' occidentale" derivino da una multinazionale del terrore (intrisa di fanatismo religioso e di chissa' quali altre inconfessabili motivazioni) e non dalle abissali ingiustizie globali che umiliano le popolazioni piu' povere del pianeta e "gridano vendetta al cospetto di Dio" ? >>
Queste parole sono tratte dall'editoriale del CUAMM, acronimo che sta per Collegio Aspiranti Medici Missionari. Il CUAMM e' un organismo che da oltre 50 anni forma, invia e sostiene medici volontari per l'Africa. (http://www.cuamm.org)
Osservare la realta' da questo punto di vista ci fa comprendere la complessita' del dramma affiorato l'11 settembre, le cui radici vanno cercate, anche, in decenni di ingiustizia economica e in secoli di sfruttamento.

Il ciclo di incontri che il Centro Donati ha iniziato nel mese di ottobre si conclude con l'appuntamento di

martedi' 4 Dicembre ore 21
presso l'Aula di Istologia
via Belmeloro 8 - Bologna

"I miei figli hanno fame"

Dalla globalizzazione del profitto
alla globalizzazione dei diritti

Tu da che parte stai?

Testimonianze, itinerari, proposte sui rapporti Nord-Sud

In quest'ultima parte, che vuole essere la prima tappa di un cammino e un impegno personale e sociale, parleremo di... soldi.
O meglio, di scelte che cambiano la nostra vita e quella, forse, degli altri.

A partire dalle ore 19 padre Mose' dei missionari comboniani sara' con noi presso la Chiesa di S.Sigismondo in via S.Sigismondo 7 a Bologna.
Dopo la Messa ci si sposteremo nell'Aula di Istologia per l'incontro con alcuni ospiti.

Naturalmente piu' siamo, meglio e'.

Come introduzione riportiamo in forma "grafica" quanto e come hanno speso i paesi ricchi ultimamente. (dati ufficiali)
(e' meglio allargare al massimo la finestra nello schermo)

****************************************************************
= 77.000 miliardi di lire = spesa USA per le prime operazioni di guerra in Afghanistan
e per (circa la meta') il sostegno delle compagnie aeree

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= 210.000 miliardi di lire = spesa USA preventivata per lo scudo spaziale

*******************************************************
= 1.050.000 miliardi di lire = spesa militare annuale NATO

************************************************************
= 2.520 miliardi di lire = spesa destinata dai G8 alla lotta di AIDS, malaria, TBC


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A cura del Centro Studi "Donati"
Tel. 328.687.50.91
E-mail: gdonati@iperbole.bologna.it
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Ai tanti tragici paradossi della guerra in corso così come di tutte le guerre... aggiungeteci anche ciò che si legge su La Repubblica di questa mattina.

Shalom, tonio

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Washington, 07:16

Guerra: Usa sospende lanci di grandi carichi di cibo
L'esercito statunitense ha deciso di sospendere i lanci di grandi contenitori di derrate alimentari in Afghanistan, dopo che uno di questi è piombato su una casa e ha ucciso una donna. Lo ha annunciato oggi il Pentagono, precisando che gli aerei americani continueranno comunque a paracadutare le razioni alimentari giornaliere.
"Certamente è un fatto molto increscioso e noi siamo profondamente rammaricati per la perdita di vite umane", ha detto la portavoce del Pentagono Victoria Clarke, dopo l'incidente avvenuto ieri notte a nordest di Mazar-i-Sharif. "Il comando centrale per il momento ha cessato questa particolare distribuzione", ha aggiunto Clarke, precisando che sono in corso
verifiche e che all'incidente di ieri è sopravvissuto un bambino, dato per morto in un primo momento. (Red)

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(breve spiegazione per la Pax Christi tedesca alla quale invio una copia;
Inhaltsangabe für die deutsche Sektion: Dieses Mail enthält eine italienische Übersetzung vom Interview mit Bischof Mixa vom 13.11.2001)

Cari amici, tempo fa vi ho segnalato un'intervista in cui l'ordinario militare tedesco mons. Mixa, che è anche vescovo diocesano di Eichstätt, mostrava perplessità sull'intervento armato in Afghanistan.
Penso che sia particolarmente interessante, perché in Italia ed in Austria non ho mai sentito parole simili da un vescovo militare, uno che in fondo non discute la necessità dell'esercito. La settimana scorsa ho sentito una relazione del segretario della sezione tedesca di Pax Christi che, riferendosi a queste dichiarazioni, commentava che, grazie al cielo, non ci sono più i fronti anacronistici di un tempo (soldati contro pacifisti).  Proprio l'associazione dei soldati cattolici, diceva, ha studiato e preso sul serio il documento episcopale "Pace giusta" come nessun altro in Germania.
Vi prego di farmi conoscere le vostre reazioni, anche privatamente e in forma succinta, se non altro per sapere se è valsa la pena di tradurre questo testo.

Saluti
Giovanni Seccia


Intervista dell'ordinario militare cattolico dr. Walter Mixa per il giornale "Die Tagespost"
pubblicata il 13 novembre 2001

La "spirale della violenza" impedisce una pace giusta

Dall'inizio delle azioni militari statunitensi in Afghanistan proprio l'ordinario militare cattolico della Bundeswehr (esercito) tedesca, il vescovo di Eichstätt Walter Mixa solleva notevoli perplessità contro l'impiego delle forze armate, sorprendendo l'opinione pubblica, e propende per l'uso di mezzi pacifici ed il dialogo delle culture e delle religioni. La TAGESPOST ha chiesto al prelato, che è considerato conservatore, quali siano le sue ragioni e le sue argomentazioni.

Tagespost: mons. Mixa, l'opinione pubblica viene a sapere con una certa sorpresa che Lei ha ripetutamente criticato la conduzione della guerra da parte degli USA e si è espresso contro una partecipazione della Bundeswehr. In quale funzione parla: come vescovo di Eichstätt o come ordinario militare?

Mons. Mixa: Parlo come vescovo cattolico del nostro Paese. In questo non c'è un ruolo particolare dell'ordinario militare. È compito di tutti i vescovi, come pastori della Chiesa, esortare alla pace e, come maestri della Chiesa, ricordare alle coscienze dei responsabili politici e militari l'insegnamento ecclesiale della pace giusta, che è vincolante.

Ma l'ordinario militare non ha qui una responsabilità particolare?

È vero, ce l’ha. I soldati della Bundeswehr hanno il diritto di ricevere l'aiuto necessario per formarsi concretamente la coscienza di fronte a quei piani e quelle azioni di cui devono rispondere concretamente.
Lo stesso vale per i politici responsabili nel governo e nel parlamento. I pastori della Chiesa in una simile decisione come quella che bisogna prendere in questi giorni nel nostro Paese non possono quindi accontentarsi di richiamare a principi morali generici e norme, ma, nella loro preoccupazione pastorale come ammonitori o, in caso di necessità, - come si è espresso recentemente un grande giornale tedesco - anche come "portatori di perplessità", devono spingere
perché scopi, motivi e metodi dell'agire politico e militare vengano discussi davanti a tutta l'opinione pubblica.

Allora vuole davvero intromettersi nella politica? Non può essere un ostacolo per i Suoi compiti pastorali nella Bundeswehr?

Viviamo in una democrazia. In questo contesto non si dovrebbe parlare di "intromissione". Rammento le tante
iniziative di noi vescovi per la difesa della vita dal concepimento, per una responsabile consulenza delle gravidanze oppure - negli ultimi tempi - a proposito di questioni etiche fondamentali della medicina.
L'autonomia del settore politico, riconosciuta espressamente anche dal Concilio Vaticano II. ha i suoi limiti nella legge morale, la cui tutela ed affermazione sono state affidate soprattutto al magistero ecclesiale. Ma la dignità della persona
umana ed il fondamentale comandamento divino dell'amore vengono feriti molto gravemente proprio con l'impiego sistematico della violenza. Perciò noi vescovi non possiamo tacere sulle questioni della guerra e della pace.

Ma nella storia della pastorale militare del nostro Paese è una novità il fatto che il vescovo militare trattenga lo Stato, per cosi dire, quando questi vuole prendere la spada per difendere diritto e ordine.

Ma la storia mostra piuttosto il contrario: per esempio all'inizio della 1a Guerra Mondiale i vescovi cattolici tedeschi non avrebbero avuto nessuna possibilità di confrontarsi criticamente con i motivi e gli obiettivi della guerra, neanche se avessero voluto, meno che tutti i due vicari castrensi di Prussia e Baviera. Nel Guglielminismo di stampo protestante sarebbe apparso come un tradimento della nazione. Il nazionalismo tedesco dell'epoca era pronto, anche con il vago richiamo ad una "fedeltà nibelungica" dovuta all'alleato, ad osare l'ingresso nella Grande Guerra. Allora entrambe le Chiese hanno "benedetto le armi", non in senso liturgico, ma senz'altro in senso politico-etico-legittimante, fra l'altro non solo in Germania. Nella Guerra Mondiale della dittatura di Hitler una resistenza, cosa che a posteriori è stata ripetutamente richiesta, o anche solo una critica ad obiettivi e metodi della condotta di guerra dei dominatori da parte della pastorale militare avrebbe portato certamente alla fine di questa stessa pastorale. Nella democrazia della nostra
repubblica la situazione deve essere diversa, anche per la credibilità dell'ordinario militare e dei suoi cappellani fra i soldati.

In che cosa consistono allora le Sue perplessità nei confronti della condotta di guerra delle truppe statunitensi e britanniche in Afghanistan?

Stando a ciò che tramite i media è stato reso noto sulla conduzione delle operazioni (il che è davvero poco): con attacchi aerei concentrati contro città abitate devono essere limitate le possibilità militari del regime talebano e al nord devono essere migliorate le opportunità offensive dell'altro partito in guerra civile. La conseguenza inevitabile di questo è la
morte di numerosi civili innocenti e l'effettivo ostacolo agli aiuti per le masse di profughi e senzatetto nel Paese.
Questo non si può accettare. Lo ha fatto notare ripetutamente il papa Giovanni Paolo II in queste settimane. Intanto i vescovi americani hanno chiesto per questo una cessazione di queste azioni militari.
Solo la violazione di queste norme etiche di guerra, che noi vescovi tedeschi abbiamo richiamato fortemente nel nostro documento "Pace giusta" del settembre del 2000, fa porre la domanda se la Germania possa partecipare con le sue forze armate a tutta questa operazione, perché così ci si dovrebbe assumere naturalmente una maggiore responsabilità anche in senso morale.

Il presidente della Conferenza episcopale tedesca, card. Karl Lehmann, nella sua dichiarazione dell'8 novembre si mostra convinto che il governo ed il parlamento prenderanno le prossime decisioni "con tutta la cura necessaria" e pondereranno accortamente gli argomenti a favore e contro un impiego della Bundeswehr. A Lei manca questa fiducia nelle nostre istituzioni politiche?

Non accetto una domanda posta così! Naturalmente non ho motivi per dubitare della competenza e dell'integrità di chi prende decisioni politiche. Ma in fondo non è questione di persone, ma di margini di azione ed obiettivi realizzabili all'interno e all'esterno, senza dimenticare l'indispensabile accettazione da parte della gente del nostro Paese delle decisioni prese. Perciò ora bisogna esporre questioni, argomenti e risposte. Il nostro parlamento ed i media si trovano davvero di fronte ad una grande sfida.

Che significa concretamente?

Nomino un aspetto. Se ulteriori operazioni militari dovessero essere irrinunciabili - ma noi tutti non lo sappiamo sufficientemente - per impedire ai protettori dei terroristi fra i talebani ed ai terroristi stessi di commettere altri crimini, allora il nostro Paese dovrebbe essere anche pronto ad impiegare i mezzi appropriati. Ma se l'attuale guerra aerea non è
eticamente accettabile, a causa dei danni provocati a troppi innocenti, e se inoltre non avesse successo dal punto di vista degli obiettivi politico-militari, allora bisognerebbe mettere in conto anche rilevanti perdite proprie in termini di vite umane, per raggiungere gli scopi necessari. Ma di questo, giustamente, abbiamo paura. Ma se le cose stanno così
bisogna considerare e preparare già adesso delle alternative alle soluzioni militari.

Evidentemente ha riserve di fondo nei confronti di soluzioni militari, così come al momento stanno in primo piano?

Una reazione e risposta violenta contro la violenza nasconde sempre il pericolo che alla fine ne scaturisca una "spirale di violenza" che non può più essere spezzata. Ce lo ha ricordato continuamente il nostro Santo Padre, anche in queste settimane, questo tema lo abbiamo enucleato nel nostro documento episcopale "Pace giusta", non solo dal punto di vista
politico, ma anche antropologico e biblico-teologico. E la realtà attuale sottolinea questa consapevolezza.
La respinta efficace di una guerra terroristica contro il mondo occidentale legittimata in maniera pseudo-musulmana può riuscire solo insieme ai Paesi ed ai popoli musulmani. Gli sviluppi attuali sembrano piuttosto portare ad una indesiderata solidarizzazione di molti musulmani con gli auto-proclamati eroi della "gihad". Perciò bisogna coraggiosamente attraversare e rafforzare i ponti del dialogo che esistono già. Per questo sono convinto che occorra anche da parte musulmana il riconoscimento e la disponibilità ad accettare le culture e società occidentali concrete
come partner dialogico. Alle Chiese, a noi cristiani tutti spetterà in questo un ruolo importante, perché abbiamo legami e punti in comune con i musulmani; innanzitutto nella fede in un solo Dio, poi, cosa non secondaria, a causa di lunghe tradizioni di una convivenza pacifica, non raramente anche fruttuosa nel Vicino Oriente, soprattutto in Terra Santa, in Africa ed Asia orientale e, non ultimo, anche nella stessa Germania.

È difficile riconoscere come possa essere efficace a breve termine un approccio del genere. Un politico potrebbe avere l'impressione che il vescovo lo lasci solo con la necessità di respingere immediatamente i pericoli e si ritiri su un'"isola dell'etica della convinzione". Che cosa può rispondere?

Non voglio negare il problema dell'urgenza di diversi livelli di soluzioni. Sono per la contemporaneità di sforzi concomitanti. Soprattutto si dovrebbe evidenziare nella consapevolezza pubblica la portata limitata di strategie "poliziesche" e militari di fronte alle reali cause dei problemi. Il "divario di giustizia" in campo politico e soprattutto economico fra il Nord ed il Sud, a cui accenno sempre, va affrontato pubblicamente ed offensivamente nella situazione attuale. Ricordo la richiesta di un condono del debito, che il papa Giovanni Paolo II ha ripetuto nel suo recente incontro con il presidente Bush. Rimettere adesso all'ordine del giorno questa questione avrebbe anche un grande significato
simbolico a livello mondiale. Diventerebbe tangibile che "l'Occidente" prende sul serio un riequilibrio globale. Accenno al processo di pace nel Vicino Oriente che sta crollando. Non è un caso, se sia il papa che altri pastori ecclesiali della zona coinvolta mettono in guardia contro un'escalation di violenza e chiedono trattative immediate e mirate fra Israele ed i Palestinesi per distendere la situazione. Anche sulla questione di Gerusalemme andrebbero ridiscusse le soluzioni di compromesso proposte da tempo dalla Santa Sede con tanta pazienza. Il tempo stringe! Un altro giro nella "spirale di violenza" renderebbe impossibile una pace giusta nel Vicino Oriente e fra musulmani e società occidentali.

Il parlamento tedesco discute in questi giorni sul mandato che vuole dare al governo per l'impiego della Bundeswehr nel respingere il terrorismo a sostegno degli Stati Uniti. Che cosa si aspetta dal parlamento il vescovo dei soldati e delle soldate cattolici e delle loro famiglie?

I soldati devono poter adempiere con la coscienza tranquilla al compito che lo Stato affida loro. Per questo richiamo una questione etica centrale che va chiarita sufficientemente nell'impiego delle forze armate: la questione dell'uso militare della forza come "ultima ratio". Questo punto di vista gioca una parte importante sia nella dichiarazione del card.
Lehmann che nella decisione del Sinodo di Amberg della Chiesa evangelica. Non basta sostenere semplicemente che non siano possibili altre vie per assicurare la pace. La regola dell'onere della prova è - dal punto di vista etico - quasi capovolta: la mancanza di alternative deve essere plausibile, gli obiettivi politici e quelli militari corrispondenti devono
essere chiaramente definiti, il "campo d'azione" deve essere chiaramente definito dal punto di vista temporale, spaziale, personale ed organizzativo (ed anche dal punto di vista del diritto internazionale), così come deve essere preparata (quand'anche solo "in segreto") una strategia di ripiego. Anche la cornice politica deve essere consona. I soldati devono poter contare su un mandante che si basi sulla maggioranza del parlamento. Soprattutto è necessario che il parlamento decida in maniera tale che il nostro popolo sostenga davvero le misure ed i programmi necessari.
Soldati senza il sostegno della patria combattono una battaglia perduta!

Un'ultima domanda: tempi duri attendono i soldati della nostra Bundeswehr ed i loro pastori?

Non lo escluderei. L'incertezza sui prossimi sviluppi che caratterizza la situazione attuale pesa ulteriormente su tutti noi. In ciò vedo prima di tutto un invito per noi cristiani a tornare nella preghiera e nella liturgia alle fonti della fede. Occorre in ogni caso fermezza, che è il nocciolo del coraggio, come c'insegna  S. Tommaso d'Aquino, anche per i
cappellani militari dei nostri soldati all'interno e all'estero. I soldati e le loro famiglie che restano a casa e sono esposte a particolari pressioni emotive possono essere certi che noi chierici militari li accompagneremo pastoralmente nelle prossime missioni, anche lo stesso ordinario militare, per quanto gli è possibile.

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Cari amici, vi invio la traduzione di un articolo del foglio settimanale Christ in der Gegenwart, uno dei più stimati (e neutrali) mezzi di informazione cattolici della Germania, sulle posizioni controverse assunte da rappresentanti delle varie conferenze episcopali e della chiesa protestante tedesca a proposito della guerra in Afghanistan.
Per Pax Christi trovo interessante sia la controversia nella Chiesa tedesca, che ha portato (grazie al cielo!) al rifiuto del presidente designato della sezione nazionale di PX, sia quello che si dice sul pacifismo "realpolitico" e non solo idealistico del papa, tanto più che la citata Frankfurter Allgemeine è un giornale piuttosto conservatore. Interessante anche che la CEI sia riuscita a non far parlare di sé (vabbe', non potevano starci tutti i vescovi del mondo!).

Shalom
Giovanni Seccia


Le Chiese e la guerra: dichiarazioni di vescovi sul terrorismo e sull'Afghanistan da: Christ in der Gegenwart 53 (2001), 393 (n°47 del 25/11)

La guerra contro i talebani in Afghanistan ha provocato reazioni molto contrapposte anche nelle Chiese. Certo, si sottolinea sempre che un'azione militare in ogni caso dev'essere l'ultima fra tutte le possibilità e che la preoccupazione per la popolazione civile ha assoluta priorità. Ma nella valutazione concreta risultano notevoli differenze. In una
dichiarazione del presidente della Conferenza episcopale tedesca, card. Karl Lehmann, si dice: "Approviamo la solidarietà con gli Stati Uniti ... Riconosciamo che la Germania nell'ora del pericolo non si può sottrarre agli impegni che il nostro Paese ha contratto nell'Alleanza Atlantica". Come limitazione si aggiunge che ogni impegno militare resta un male e si può giustificare solo nell'ambito di una concezione politica più ampia. D'altro canto l'ordinario militare
Walter Mixa, vescovo diocesano di Eichstätt, ha posto fortemente in questione la missione bellica in Afghanistan, diversamente da quanto ci si aspetterebbe dal suo ufficio nelle forze armate, suscitando clamore. Anche la Chiesa in questa situazione importante non può accontentarsi di "richiamare generici principi morali". Soprattutto non è stato
chiarito se davvero non ci siano e non ci fossero alternative all'uso della forza. Il conflitto sulla guerra in Afghanistan è anche il motivo per cui il vescovo ausiliare di Amburgo Hans-Jochen Jaschke non diventa presidente della sezione tedesca del movimento pacifista cattolico Pax Christi, come era invece previsto. In un'intervista Jaschke ha detto che le
azioni militari americane "non sono cieca vendetta, ma un contributo di civiltà, un procedimento adeguato contro l'ingiustizia".
Anche in America ci sono diverse valutazioni nell'episcopato. Dopo l'avvio dei bombardamenti i vescovi cattolici definirono gli attacchi deplorevoli, ma "forse necessari per proteggere degli innocenti".
Alcuni parlarono addirittura di un "obbligo morale" alla difesa. Ma i combattimenti prolungati hanno suscitato sempre più dubbi. Il presidente uscente della Conferenza episcopale, Joseph Fiorenza, ha detto di essere "estremamente preoccupato" per l'uccisione di civili.
I vescovi francesi hanno detto: "È ora di cercare altri mezzi per non aggiungere male a male e violenza a violenza". I vescovi austriaci si sono espressi piuttosto vagamente.
Nel sinodo della Chiesa evangelica di Germania il presidente del consiglio, il renano Manfred Kock, si è mostrato dubbioso sul fatto che il terrorismo venga davvero sconfitto con le azioni militari. Invece di intervenire miratamene contro i terroristi ricercati, dice, si è innescata una guerra che rischia di superare la proporzionalità dei mezzi.
Il papa Giovanni Paolo II di fronte agli sviluppi della guerra non ha posto richieste dirette, ma la sua decisa posizione contro la campagna in Afghanistan è fuori dubbio. Ha comunicato la sua partecipazione alle "care etnie dell'Afghanistan". Il corrispondente della "Frankfurter Allgemeine" che ha raccolto gli ultimi messaggi del Papa per la giornata mondiale della pace del 1° gennaio giunge alla seguente conclusione: il Papa nel corso del suo pontificato è diventato pacifista, "non nel senso biblico di porgere l'altra guancia all'aggressore, ma per esperienza politica e
storica". Così c'è scritto nel messaggio per l'anno 2000: "Il secolo XX ci lascia in eredità soprattutto un monito: le guerre sono spesso causa di altre guerre, perché alimentano odi profondi, creano situazioni di ingiustizia e calpestano la dignità e i diritti delle persone. Esse, in genere, non risolvono i problemi per i quali vengono combattute e pertanto,
oltre ad essere spaventosamente dannose, risultano anche inutili. Con la guerra, è l'umanità a perdere".

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AFGHANISTAN: 177 MORTI DI FAME E FREDDO IN CAMPO KUNDUZ, OIM
RISERVE VIVERI ESAURITE,SERVONO AIUTI URGENTI A 238.000 PERSONE

   (ANSA) - GINEVRA, 07 DIC - Almeno 177 persone sono morte di fame e di freddo nel corso delle ultime quattro settimane nel campo per sfollati nei pressi di Kunduz, nel nord dell'Afghanistan. Lo ha affermato oggi a Ginevra l'Oim
(Organizzazione mondiale delle migrazioni), presente nel paese.
   I deceduti son in maggioranza bambini ed anziani, ha  precisato il portavoce dell'Oim Jean-Philippe Chauzy
rendendo noto il macabro bilancio. I decessi sono stati comunicati ieri agli impiegati locali dell'Oim al loro ritorno
nel campo di Baghe Sherkat dopo un mese di assenza. L'accesso al campo era stato loro vietato dai taleban dall'11 novembre scorso.
   Nella regione di Kunduz - ha detto una portavoce del Programma alimentare mondiale (Pam) - le riserve di viveri sono
esaurite e le persone che hanno immediato bisogno di aiuti sono circa 238mila. Negli ultimi giorni e per la prima volta dal mese di settembre l'organizzazione ha potuto trasportarvi 100 tonnellate di viveri. Un secondo convoglio è già previsto.
"Il Pam spera che questo sia solo l'inizio e che le condizioni di sicurezza consentano di trasportare altri aiuti in questa
regione particolarmente vulnerabile", ha detto la portavoce del Pam Christiane Berthiaume.

(ANSA).
  XBV

07-DIC-01 14:45 NNNN

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"Osama bin Laden guida un islam millenarista".

Torino, 13 novembre 2001 - Mentre si moltiplicano gli instant book sulle armi, i nascondigli e perfino la vita privata di Osama bin Laden, il CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), che dal 1988 analizza con molteplici iniziative i fenomeni religiosi in Italia e nel mondo, propone una prima ricerca per interpretare il fenomeno al-Qa'ida alla luce di
categorie socio-religiose piu` ampie. Esce oggi per i tipi della Elledici il libro di Massimo Introvigne, direttore del CESNUR, Osama bin Laden. Apocalisse sull'Occidente, mentre lo stesso CESNUR annuncia per il 3 dicembre un convegno all'Unione Industriale di Torino sulla sfida fondamentalista cui parteciperanno fra l'altro, con Introvigne, lo
storico delle religioni svizzero Jean-François Mayer (docente all'Universita` di Friburgo), il teologo protestante Pietro Bolognesi e il sottosegretario alla Giustizia Michele Vietti.
La ricerca del CESNUR si avvale di collaborazioni scientifiche in Europa, negli Stati Uniti e in Israele e analizza in particolare gli scritti di al-Qa'ida e dei suoi fiancheggiatori. "Analizzare e capire ­ afferma PierLuigi Zoccatelli, vice-direttore del CESNUR ­ è essenziale per evitare sia l'intolleranza verso chi è altro da noi, sia il 'buonismo'
disinformato secondo cui nelle religioni tutti vogliono solo e sempre l'amore e la pace". Introvigne insiste anzitutto sul fatto che "non tutti i musulmani sono fondamentalisti" ­ proponendo una mappa di chi nell'islam non è fondamentalista (i conservatori, i nazionalisti, i sufi moderati e i modernisti) ­ e anche "non tutti i fondamentalisti sono terroristi": molte organizzazioni fondamentaliste sono ostili all'Occidente ma non amano neppure bin Laden. Nello stesso tempo, la
ricerca insiste sul fatto che "i fondamentalisti sono musulmani" e costituiscono una componente non unica, ma importante ed estesa, dell'islam contemporaneo; e che "questi terroristi sono fondamentalisti", nel senso che traggono dalla storia e dalle dottrine del fondamentalismo idee che appaiono persuasive a migliaia di persone. "Bin Laden nel mondo
fondamentalista è minoritario, ma non isolato ­ sostiene Introvigne ­: èanzi punto di riferimento per un'ala millenarista rivoluzionaria che considera imminente la lotta finale tra l'Anticristo (il Dajjal della tradizione islamica) e il mahdi che guiderà i musulmani a sconfiggerlo, e intende partecipare attivamente a questa lotta, non limitarsi a fare da spettatrice". "Le dottrine di al-Qa'ida ­ conclude la ricerca ­ si ricollegano a una tradizione, ancora una volta, minoritaria ma antica e
significativa nel mondo dell'islam radicale. Considerarle un semplice fenomeno criminale non aiuta a combatterle". La ricerca analizza anche il ruolo di Roma nei testi dell'islam radicale sulla lotta ultima fra l'Anticristo e il mahdi, e afferma che per il suo significato simbolico la sede del Papato è indicata da molti testi ­ non a caso, insieme a New York ­ come obiettivo prioritario. "Naturalmente i libri non sono bombe ­  affermano al CESNUR ­: l'allarmismo a proposito di Roma sarebbe ingiustificato, ma la vigilanza messa in opera dal governo è del tutto ragionevole".

amDg
     Ignazio

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Terrorismo, ritorsione, legittima difesa, guerra e pace
Discorso per la vigilia di s. Ambrogio 2001
Milano, 6.12.2001


INTRODUZIONE
I temi indicati nel titolo di questo discorso hanno accompagnato da sempre l'umanità, da quando Caino alzò la mano proditoriamente su Abele e lo uccise (Gen 4,8) e da quando Dio dichiarò: "Però chiunque ucciderà Caino subirà la
vendetta sette volte" (Gen 4,15), fino alla parola di Gesù: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace" (Gv 14,27).
Ma in questi mesi, a partire dall'11 settembre, tali temi sono ritornati di bruciante attualità.
I fatti sono noti: gravissimi attentati terroristici che rivelano una capacità inaudita di odio e fanatismo, che si serve di tecnologie raffinate e si nutre di forme finora inedite di fondamentalismo civile e religioso (pensiamo a tutti gli aspiranti suicidi). Agli attentati è seguita un'azione di caccia ai terroristi che è sfociata in una guerra in Afghanistan. In questi ultimi giorni poi si sono ancora moltiplicati vergognosi attentati suicidi contro cittadini inermi in Israele, a cui hanno fatto seguito ritorsioni e azioni militari  in Palestina, in luoghi dove ormai da anni c'è un crescendo di violenza di cui non si vede la fine.
1. UNO SGUARDO AL VANGELO (Lc 13,1-5)
Questi fatti ci addolorano, ci interpellano, ci sconvolgono. Pensiamo con dolore agli innumerevoli morti, ai feriti che porteranno per tutta la vita il segno della tragedia, alle famiglie distrutte, ai milioni di profughi, al pianto dei bambini mutilati. Nascono molte domande, ipotesi, inquietudini.
Domande di carattere umano e religioso e anche di carattere politico. Si vorrebbe capire, giudicare, vedere come agire per farla finita con il terrorismo, la paura, la guerra, come operare seriamente per una pace duratura.
Certamente la situazione è ancora troppo complessa e fluida per descriverla in maniera adeguata. Ogni giorno poi aggiunge la sua sorpresa, per lo più dolorosa. Avevo iniziato queste riflessioni partendo anzitutto dall'attentato alle torri gemelle, ma poi gli eventi in Afghanistan e in questi ultimi giorni la recrudescenza degli eccidi in Medio Oriente hanno via via allargato il mio campo di discernimento. Del resto è innegabile che nella preparazione della  tragedia dell'11 settembre abbia avuto un ruolo non secondario il risentimento accumulato nell'annoso conflitto israeliano - palestinese. Per questo mi sono chiesto con insistenza e ho chiesto al Signore: in questo turbine della nostra storia, ha ancora senso parlare di pace? E in che modo, e a quale prezzo?
Parlando, leggendo e ascoltando molto in queste settimane mi sono accorto di come anche i pareri siano tanto divergenti. Sono molteplici i punti di vista, gli angoli di visuale; fortissime sono le passioni, i coinvolgimenti emotivi; resistenti a sgretolarsi le precomprensioni, soprattutto quelle inconsce. Sembrerebbe più saggio attendere, pregare, e per intanto sanare e medicare in quanto si può le ferite, come in emergenza. Ma sant'Ambrogio non si è sottratto alla riflessione e al tentativo di giudizio su fatti assai gravi, pubblici e controversi del suo tempo. Così il suo umile successore chiede, per l'intercessione del nostro Patrono e con l'aiuto delle preghiere e dei suggerimenti di tanti, la grazia di poter parlare a voce alta di queste cose di fronte a Dio, al vangelo e alla coscienza dell'umanità.
Sono molte le pagine bibliche che sono state evocate in questi mesi per cercare luce nella parola di Dio. Io vorrei partire dal passo evangelico di Luca (13,1-5) che è stato letto durante questa preghiera vespertina. Si tratta di due affermazioni o reazioni di Gesù, posto di fronte a gravi fatti di sangue di origine politica e a dolorose calamità naturali.
Dice il testo «In quello stesso tempo si presentarono a Gesù alcuni a riferirgli circa quei Galilei il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola Gesù rispose: Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto sopra i quali rovinò la torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Noto un particolare curioso. S. Ambrogio, che pure commenta con accuratezza e talora anche con pedanteria l'intero terzo vangelo, su questo punto è reticente. Sorvolando su qualunque sentimento antiromano che poteva risultare dal crimine di Pilato, si limita a un'affermazione marginale, ipotizzando, per il massacro di Gerusalemme, una colpa rituale dei Galilei uccisi, per farne un caso esemplare di punizione "per coloro che su istigazione diabolica non offrono il sacrificio con animo puro" (Esp. del Vang. Sec. Luca, VII, 159). Evita quindi di lasciarsi coinvolgere dalle ardue domande politiche e teologiche che emergono da tali fatti e lascia senza commento lo sconcertante e inedito comportamento di Gesù. Ma noi non riusciamo a fare altrettanto.
Gesù si trova infatti qui di fronte a un groviglio di problemi etici, teologici e politici. Gli interrogativi che emergono  sono analoghi  ma superiori per gravità a quello sul quale sarà poi interrogato a proposito del tributo da pagare a Cesare (Lc 20,20-26): interrogazione quest'ultima - nota l'evangelista Luca - propostagli "da informatori che si fingevano
persone oneste, per coglierlo in fallo colle sue parole poi consegnarlo all'autorità e al potere del governatore" (Lc 20,20).
Qui si tratta ugualmente di domande a trappola, ma a proposito di fatti ben più sconvolgenti. V'è in questione  ciò che noi chiameremmo una "strage di Stato", voluta dal rappresentante dell'Imperatore e per di più perpetrata nel luogo sacro del tempio: quindi un massacro avvenuto probabilmente durante le festività pasquali, nel quale dovevano essere state trucidate molte persone, forse terroristi disposti al sacrificio supremo. Non sappiamo quanti fossero, ma è sufficiente ricordare che alcuni anni prima il predecessore di Pilato aveva ucciso in una sola occasione tremila ebrei.
Gesù viene dunque provocato ad esprimersi e a dare un giudizio: condannerà l'assassinio politico, voluto per umiliare ulteriormente gli Ebrei e profanare il tempio?, griderà contro la crudeltà e il cinismo del regime dominante? Oppure, come altri in Israele, che ritenevano la dominazione straniera comunque un minor male di fronte a un possibile caos, dirà che si è trattato di una dolorosa operazione di legittima difesa, di una repressione inevitabile per evitare nuove stragi da parte di un terrorismo suicida e senza sbocchi? Non aveva forse un tempo lo stesso profeta Geremia
sconsigliato atti di inutile resistenza al conquistatore babilonese?
Immagino che Gesù si sarà sentito addosso la domanda che un giorno gli rivolgeranno i Giudei nel tempio: "Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso?". Se tu sei davvero il Cristo, dillo a noi apertamente". Cioè, in questo caso, facci sapere, tu che sai tutto, da che parte sta la verità e da che parte sta l'ingiustizia.
Anche la seconda situazione narrata da Luca 13,1-5 richiama domande attuali.
Essa riguarda una calamità naturale, la caduta di una torre a Gerusalemme che travolge diciotto persone (e qui pensiamo agli incidenti e drammi di questi ultimi tempi: i disastri dei trafori del Monte Bianco e del Gottardo, il tragico incidente di Linate, gli incidenti aerei di queste ultime settimane, le stragi per le fughe di gaz..). Anche allora come ora questi
incidenti suscitavano tante domande: si tratta di calamità inevitabili o sono frutto di negligenza, di errore umano o di incoscienza o di imprudenze inescusabili? Chi è colpevole? Chi doveva vigilare? Quale autorità ha omesso i dovuti controlli, ha sottovalutato gli appelli ecc.?
I due episodi sono proposti a Gesù perché prenda posizione. Molti aspettano, come ho già sopra indicato, che Gesù si dichiari contro il tiranno Pilato; altri vorrebbero che criticasse i Galilei come terroristi insipienti. A proposito della caduta della torre ci si attende che denunci con parole di fuoco l'incuria dei governanti o al contrario rimproveri l'imprudenza colpevole della gente.
Ma qui si verifica l'imprevisto. Gesù non prende posizione né pro né contro nessuna delle persone coinvolte, non si esprime  su chi degli immediati protagonisti sia da ritenersi colpevole. Proclama, è vero, un suo giudizio, che dovremo approfondire. Ma la sua voce sta al di sopra di tutti i temi sia pur gravi di politica corrente. Ciò ci può sorprendere, deludere e turbare.
Vedremo che cosa ciò voglia dire per l'oggi. Ma notiamo fin da ora che si verifica anche qui ciò che notava un recente storico delle origini cristiane: "In confronto ai profeti classici di Israele, il Gesù storico è notevolmente silenzioso a proposito di molte scottanti questioni sociali e politiche del suo tempo..Il Gesù storico  sovverte non solo alcune
ideologie, ma tutte le ideologie" (J.P.Meier, Un ebreo marginale: Ripensare il Gesù storico, Brescia 2001, p.189).
2. LE DOMANDE DI OGGI
Qualcosa di simile avviene oggi. Le domande sui fatti della storia e soprattutto sui drammatici fatti dei nostri giorni sono tante e comprensibilmente cariche di sofferte emozioni, di precomprensioni affettive e anche di pregiudizi. E non di rado si invocano da qualche autorità morale risposte immediate e chiarificatrici (per lo più nell'attesa di essere confermati in ciò che ciascuno ha già giudicato dentro di sé!).
Molte sono in particolare le interrogazioni gravi che si pone oggi l'uomo della strada di fronte alle notizie e alle immagini televisive di questi mesi e di questi giorni.
La prima riguarda gli autori dei gesti di terrorismo, a partire dai più clamorosi e micidiali, in particolare quelli connessi col suicidio dell'attentatore, ed è la domanda sul perché. Perché un essere umano può giungere a tanta crudeltà e cecità? Ci si chiede in quali oscuri meandri della coscienza possano albergare tali sentimenti di odio, di fanatismo politico e
religioso, quali risentimenti personali e sensi di umiliazione collettiva possano essere alla radice di simili folli decisioni. Nulla e nessuno potrà mai giustificare questi atti o dare loro una qualunque parvenza anche larvata di legittimazione. Ma ci dobbiamo anche chiedere: ci siamo noi tutti davvero resi conto nel passato, rispetto ad altre persone e popoli, quanto grandi ed esplosivi potessero a poco a poco divenire questi risentimenti e quanto nei nostri comportamenti potesse contribuire e contribuisse di fatto ad attizzare nel silenzio vampate di ribellione e di odio?
Ma non posso, a proposito di questa prima domanda, non sottolineare anche la tremenda responsabilità di chi, magari dotato di grandi mezzi di fortuna, ha imparato a sfruttare questi risentimenti e li fornisce di strumenti di morte, finanziando, armando e organizzando i terroristi in ogni parte del mondo, forse anche vicino a noi. Anche per costoro non v'è nessuna ragione o benché minima legittimazione per il loro agire. Valgono piuttosto le parole di Gesù per chi sfrutta in tal modo la debolezza di persone semplici: "Sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da un asino, e fosse gettato negli abissi del mare! (Mt 18,1). E non posso neppure dimenticare qui quanto ancora Gesù diceva nel discorso della Montagna proibendo anche una parola offensiva perché contenente già i germi dell'odio e dell'omicidio (Mt 5,22..."Chi dice al fratello 'pazzo'!, sarà sottoposto al fuoco della Geenna".) Chi di noi ha l'età per ricordare i primi tempi della contestazione (fine anni '60 - inizio anni '70) sa che la noncuranza e la leggerezza, ostentata anche da chi avrebbe avuto la responsabilità di giudicare e di punire, rispetto ad atti minori di vandalismo e disprezzo del bene pubblico, ha aperto la via a gesti ben più gravi e mortiferi. Chi getta oggi il sasso e si sente impunito domani potrà buttare la bomba o impugnare la pistola. La "tolleranza zero" è, per ogni parola o gesto di odio, supportata anche da una regola evangelica.
Ma oltre alla domanda di un giudizio umano e morale severo su ogni anche piccola radice di disprezzo e di odio - da qualunque parte provenga e contro chiunque si eserciti, per smascherarla e in quanto possibile per esorcizzarla e disarmarla - emerge con insistenza in queste settimane nel cuore della gente anche una seconda domanda, questa di natura piuttosto politica e militare: il tipo di operazioni che si vanno facendo contro il terrorismo sarà efficace? Servirà davvero a scoraggiare i terroristi, a chiudere gli episodi macabri degli uomini-bomba, a creare le condizioni per un superamento delle cause di tante inquietudini? Ben pochi di noi hanno risposte certe e articolate a tutte queste questioni, anche per la loro complessità e per gli scenari e episodi diversi e mutevoli a cui esse si riferiscono. Ma ciò non toglie che esse gravino pesantemente sulle coscienze di tutti, in particolare di coloro che sono più direttamente responsabili di
programmare le operazioni contro il terrorismo, di determinare le misure politiche, economiche, giudiziarie, culturali che si ritengono necessarie.
Essi soli conoscono da vicino le circostanze e l'efficacia, positiva e negativa, dei bombardamenti e di altre azioni di guerra, dato anche che i mass media non sembrano aver un accesso se non limitato alle fonti dirette dei dati e delle strategie militari.  Anche a questa domanda non osiamo dare qui una risposta. Essa è però connessa strettamente con la seguente.
La terza domanda è di tipo etico: ciò che si è fatto e si sta facendo contro il terrorismo specialmente a livello bellico rimane nei limiti della legittima difesa, o presenta la figura, almeno in alcuni casi, della ritorsione, dell'eccesso di violenza, della vendetta? E' chiaro che il diritto di legittima difesa non si può negare a nessuno, neppure in nome di
un principio evangelico. Ma occorre una continua vigilanza e un costante dominio su di sé e delle proprie passioni individuali e collettive per far sì che nella necessaria azione di prevenzione e di giustizia non si insinui la voluttà della rivalsa e la dismisura della vendetta. Si era avuta l'impressione che questi principi di cautela fossero presenti nei primi giorni della reazione ai terribili attentati dell'11 settembre. Ma ora a che punto siamo? Non ha forse l'ansia di vittoria e il dinamismo della violenza preso la mano diminuendo la soglia di vigilanza sulle azioni di guerra che potrebbero essere non strettamente necessarie rispetto agli obiettivi originari  e soprattutto colpire popolazioni inermi? E' qui che il principio della legittima difesa viene messo gravemente in questione: esso non può essere impunemente scavalcato senza  creare più odi e conflitti di quanto non pretenda risolverne. Sembra questo in particolare il caso, è doloroso
dirlo, di quanto continua a succedere in maniera crescente in Medio Oriente.
Da una parte un terrorismo folle e suicida contro cittadini pacifici e anche tanti bambini, un terrorismo che non conduce da nessuna parte e che suscita un crescendo di ira, indignazione e orrore. Dall'altra atti di rappresaglia, che è difficile definire ancora come operazioni di legittima difesa, che colpiscono popolazioni inermi, e anche qui tanti bambini. Vi si aggiungono in più vere e proprie azioni belliche, di fronte alle quali anche l'osservatore più imparziale e sinceramente desideroso e convinto del bisogno di una piena sicurezza per il paese che così agisce, non riesce più a cogliere quale sia quella strategia della pace e della sicurezza che pure è sempre nel desiderio di tutto quel popolo la cui sopravvivenza è essenziale per il futuro della pace nella regione e nel mondo intero.
Queste domande sono nel cuore di tanta gente e su di esse vi sarebbe ancora tanto da discutere. Ma esse, pur facendo riferimento a elementi etici di estrema gravità, non sono di competenza solo e spesso neanche in prima istanza della Chiesa. Non spetta alla Chiesa dare l'ultimo giudizio pratico su atti di cui solo pochi conoscono le modalità ultime e precise. Sollevando interrogativi come quelli espressi sopra non ho voluto tanto esprimer giudizi definitivi quanto aiutare me e voi a riflettere seriamente e soprattutto stimolare i competenti e i responsabili  a pesare ogni loro opinione e azione su una bilancia di rigorosa giustizia e  di rispetto dei diritti umani di ognuno. Tali responsabili veramente competenti non sono probabilmente molti. Certamente assai meno di quanto non si pensi o non appaia dal numero e dalla molteplicità delle opinioni che vengono espresse, spesso con tanta sicurezza. Sono pochi infatti a conoscere a fondo tutti i dati disponibili sui terroristi, i loro progetti, le loro risorse. Poche sono le notizie che realmente filtrano sugli atti di guerra e le loro conseguenze, la natura delle resistenze e gli ambiti delle strategie. Le autorità politiche e militari responsabili - me ne rendo conto - pagano qui una misura ardua di solitudine a fronte di decisioni che coinvolgono la vita di milioni di persone.
Per questo è tanto più prezioso il controllo democratico stabile  e metodico esercitato dai Parlamenti  e da una opinione pubblica intelligente e non faziosa, correttamente informata prima sul varo e poi sulla conduzione degli eventuali interventi.
3. L'ATTEGGIAMENTO DI GESU'
A causa di tutto ciò ci impressiona e ci scuote ancora di più l'atteggiamento di Gesù nel brano di Luca da cui siamo partiti e al quale ora vorrei ritornare. C'è infatti un'ulteriore domanda oltre alle quattro che abbiamo sin qui richiamato a proposito dei fatti attuali di terrorismo e di guerra. E' una domanda molto semplice, di natura evangelica. Suona così: che cosa ci direbbe oggi Gesù su quanto abbiamo evocato fin qui? Che cosa ci suggerirebbe nello spirito del Discorso della Montagna, nel quadro delle beatitudini dei misericordiosi e degli operatori di pace?
Abbiamo visto sopra nelle pagina di Luca 13,1-5 che Gesù non entra in nessuno dei problemi che hanno in mente i suoi interlocutori e che riguardavano l'attribuzione delle colpevolezze per gravi fatti di sangue, la ricerca di capri espiatori.  Superando ogni giudizio morale categoriale sulle azioni di singoli o di gruppi, Gesù rimanda alla radice profonda di
tutti questi mali, cioè alla peccaminosità di tutti, alla connivenza interiore di ciascuno con la violenza e il male, ripetendo per ben due volte: «se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Egli invita a cercare in ciascuno di noi i segni della nostra complicità con l'ingiustizia. Ci ammonisce a non limitarsi a sradicarla qui o là, ma a cambiare scala di valori, a cambiare vita.
Ciò in un primo momento ci sorprende. Ci sembra una fuga dal presente, un volare troppo alto di fronte a eventi che richiedono con urgenza decisioni e giudizi. Ci sembra un generalizzare un problema che rischia di confondere torti e ragioni, carnefici e vittime, tutti accomunati sotto un unico denominatore.
Ma Gesù non intende per nulla togliere a ciascuno la sua concreta responsabilità. Ognuno è responsabile delle sue azioni e ne porta le conseguenze. Per questo Gesù disse a Pietro che tentava di difenderlo con la forza quando vennero per arrestarlo: "Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che metteranno mano alla spada periranno di spada" (Mt 26,52). Gesù sa che ciascuno deve prendere le sue decisioni morali di fronte alle singole situazioni. Ma gli importa molto di più segnalare che tutti gli sforzi umani di distruggere il male con la forza delle armi non avranno mai un effetto duraturo se non si prenderà seriamente coscienza di come le cause profonde del male stanno dentro, nel cuore e nella vita di ogni persona, etnia, gruppo, nazione, istituzione che è connivente con l'ingiustizia. Se non si mette mano a questi più ambiti più profondi mutando la nostra scala di valori tra breve ci ritroveremo di fronte a quei mali che abbiamo cercato con ogni sforzo esteriore di eliminare.
E' così che i Vescovi provenienti da tutto il mondo e riuniti in Sinodo nel mese di ottobre 2001 hanno valutato la situazione odierna. Hanno detto nel loro messaggio finale: "La nostra assemblea, in comunione con il santo Padre, ha espresso la più viva sofferenza per le vittime degli attentati del 11 settembre e per le loro famiglie. Preghiamo per loro e per tutte le vittime del terrorismo nel mondo. Condanniamo in maniera assoluto il terrorismo, che nulla può giustificare. D'altronde non abbiamo potuto non ascoltare, nel corso del Sinodo, l'eco di tanti altri drammi collettivi....
Secondo osservatori competenti dell'economia mondiale, l'80% della popolazione del pianeta vive con il 20% delle sue risorse e un miliardo e duecento milioni di persone sono costretti a vivere con meno di un dollaro al giorno. Si impone un cambiamento di ordine morale". (nn.9-10). Più sotto (n. 11) i vescovi elencano alcuni " mali endemici, troppo a lungo sottovalutati, che possono portare alla disperazione intere popolazioni.
Come tacere di fronte al dramma persistente della fame e della povertà estrema, in un'epoca in cui l'umanità ha a disposizione come non mai gli strumenti per un equa condivisione? Non possiamo non esprimere la nostra solidarietà con la massa dei rifugiati e degli immigrati che, a causa di guerra, in conseguenza di oppressione politica o di discriminazione economica, sono costretti ad abbandonare la propria terra...".
Sono tanti i mali da deplorare e da sconfiggere: oltre il terrorismo e la violenza va condannata ogni ingiustizia e va eliminato ogni affronto alla dignità umana Ci chiediamo: sarà possibile una tale inversione di tendenza?
Osiamo affermare di sì anzitutto perché un simile raddrizzamento della scala dei valori è necessario per il superamento di quella conflittualità crescente che mira alla distruzione reciproca dei contendenti. In secondo luogo perché contiamo sulla grazia di Dio e sulla ragionevolezza di fondo dell'uomo. In terzo luogo perché come cristiani (e anche in questo ci
distinguiamo da un mondo Occidentale fino a poco fa sicuro di sé ma ora molto più incerto e sempre più povero di speranza trascendente) abbiamo la certezza che se il male abbonda è perché sovrabbondi la grazia della conversione e del perdono. Anche se lasciamo al Signore della storia il calcolo dei tempi, sappiamo che è ben possibile che maturi di nuovo in Occidente, forse proprio sotto la spinta di eventi così drammatici, la percezione che è necessario un cambio di vita, l'adozione di una nuova scala di valori. In un articolo recente si parlava, a proposito di tale riconoscimento, di "Apocalisse", nel senso etimologico di un "alzare il  velo" di "una rivelazione" (Enzo Bianchi, Le apocalissi dell'11 settembre, La Repubblica 27.10.01). In questo contesto si tratta di una rivelazione del male in cui siamo immersi, dell'assurdità di una società il cui dio è il denaro, la cui legge è il successo e il cui tempo è scandito dagli orari di
apertura delle borse mondiali. Una società che giunge quasi al ridicolo nella sua ricerca affannosa di investimenti virtuali, di transazioni puramente mediatiche e che pretende di esportare messianicamente questo modo di vedere in tutto il mondo. E' questa la globalizzazione che è giusto rifiutare. Come ha scritto recentemente Tommaso Padoa Schioppa "la strada che porta alla sicurezza è assai più lunga di quella che ha portato a Kabul.
La strada è anche assai più faticosa, perché su di essa siamo noi a dover camminare, non militari o Paesi lontani. E camminare vuol dire modificare nostri modi di vivere, nostri pensieri, nostri  sistemi politici. Possiamo chiederci: abbiamo incominciato?" (Corriere della Sera, 18.11.01). Ma se ciò vale per l'economia e la politica, perché non dovrebbero aprirsi anche nel campo della moralità nuovi spazi per un rinnovato impegno di serietà e di giustizia, per una ricerca del significato profondo della vita, per una maggiore apertura sul mistero di Dio? Non ha forse Dio "rinchiuso tutti nella disobbedienza" di conflitti senza via di uscita "per usare a tutti misericordia?" (Cfr Rom 11,32).
Ma non è così importante sapere se ciò si avvererà presto. In fondo, come diceva Bonhoeffer "per chi è responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in questo affare, ma: quale potrà essere la vita per la generazione che viene? Solo da questa domanda storicamente responsabile possono nascere soluzioni feconde" (Resistenza e Resa, p. 64). Ciò che dunque urge è dirci che se non avviene un cambio radicale nella scala dei valori, se non vengono messi al primo posto la pace, la solidarietà, la mutua convivenza, l'accoglienza reciproca, l'ascolto e la stima dell'altro,
l'accettazione, il perdono, la riconciliazione delle differenze, il dialogo fraterno e quello politico e diplomatico, mentre vengono contemporaneamente messe al bando le rappresaglie della guerra, se non vengono disarmate non solo le mani ma anche le coscienze e ci cuori, noi avremo sempre a che fare con nuove forme di violenza e anche di terrorismo. Riusciremo magari a spegnerle per un momento ma per vederle poi risorgere impietosamente altrove.
Come ha ripetuto ancora il 4 dicembre 2001 il Papa a proposito del conflitto in Medio Oriente: "La violenza non risolve mai i conflitti, ma soltanto ne accresce le drammatiche conseguenze". Ha perciò lanciato "un nuovo pressante appello alla comunità internazionale , affinché con sempre maggiore determinazione e coraggio aiuti israeliani e palestinesi a spezzare questa inutile spirale di morte. Siano ripresi immediatamente i negoziati, perché si possa giungere finalmente alla tanto desiderata pace". Inoltre il Papa ha stimolato, con un gesto assolutamente nuovo nella storia del rapporto
Cristianesimo - Islam, tutti i cattolici a unirsi spiritualmente il 14 dicembre prossimo alla conclusione del solenne digiuno musulmano del Ramadam, per affermare che c'è e ci deve essere un clima di rispetto tra le due religioni. Di qui avrà inizio un particolare tempo di conversione, di ritorno al Signore nel cammino faticoso della storia verso la pienezza della verità e della carità, che culminerà il 24 gennaio 2002 in una grande preghiera interreligiosa per la pace ad Assisi con la partecipazione del Papa. Sono gesti che intendono affermare a tutto il mondo che mai per nessun motivo le religioni devono divenire fonte di conflitto, ma al contrario occasione e strumento di pace.
4. APERTURE NUOVE
Devo avviarmi a concludere questo discorso, che inevitabilmente rischia di coinvolgerci in sempre nuove direzioni, perché la violenza e il male sono dappertutto e stanno alla radice di tutto. Ma il bene zampilla da una sorgente ancora più profonda e innaffia, risana e  rigenera continuamente questa radice di male e di amarezza. E' importante però che riconosciamo che dobbiamo fare ciascuno la nostra parte e ascoltare l'appello che ci raggiunge. Il momento drammatico che stiamo vivendo è  un forte richiamo alla conversione e al riconoscimento della nostra connivenza con i mali del
mondo. Sottolineo: con i mali di tutti, sotto ogni latitudine e non del solo mondo occidentale. Certamente esso ha i suoi gravissimi torti, le sue cecità, i suoi idoli, i suoi deliri di onnipotenza. Per questo la Chiesa, neppure quella Occidentale, che cioè ha vissuto storicamente e tuttora vive in questo ambito e si è sempre sforzata di dargli un'anima , non si è mai
riconosciuta né identificata del tutto con esso né tanto meno si identifica ora in un ambito nel quale gloriose tradizioni di  libertà e dignità umana convivono - in un clima crescente di compromissione - con un individualismo senza regole, con il culto del denaro, del successo, dell'immagine e della potenza. Ma pur con tutto ciò non dobbiamo ritenere che sia solo il nostro mondo occidentale quello chiamato da Gesù a cambiar vita. Il Signore afferma due volte, nel testo di Luca da cui siamo partiti (13,3.5): "se non cambierete vita, perirete tutti!". La follia dell'autodistruzione, che assume nelle odierne culture innumerevoli forme, minaccia tutti quanti. Gli spettri della corruzione, del malgoverno, del prevalere dell'interesse privato e tribale su quello pubblico, della dittatura e del primato della forza e delle armi,  stanno succhiando il sangue di innumerevoli poveri della terra.. Sarebbe troppo facile trovare un solo capro espiatorio e una
sola vittima. Zizzania e buon grado sono intrecciati profondamente in ogni angolo del pianeta. Gesù sa che il male è nascosto nel cuore di ogni uomo e di ogni cultura, sa che siamo "generazione incredula e perversa" (Mt 17,17).
Dobbiamo in altre parole renderci conto che di certe pesti che ammorbano il mondo (e di cui i conflitti bellici e gli attentati sono una delle manifestazioni) non è soltanto colpevole l'uno o l'altro individuo o popolo lontano da noi o vicino a noi, ma ne siamo tutti in qualche modo, ciascuno per la sua parte, conniventi e corresponsabili.
Se, spinti da eventi tragici che mai avremmo voluto neppure immaginare, l'invito di Gesù a cambiare scala di valori e criteri di giudizio cominciasse a venire accolto, ne emergerebbe una società più pensosa, una gioventù meno dissipata e meno avida di divertimenti, conscia delle proprie responsabilità per il futuro del pianeta; pronta anche ad ascoltare il richiamo per aprirsi a esistenze consacrate al servizio totale di Dio e del prossimo. E di tutto questo inizio di cammino positivo noi, grazie a Dio, siamo anche i gioiosi testimoni, per poco che sappiamo guardarci intorno con gli occhi della
speranza.
5. IL GRANDE BENE DELLA PACE
Ma non potrei concludere questo discorso senza ritornare a quella che ne fu la sua ispirazione principale fin dall'inizio, cioè il grande bene della pace: se abbiamo infatti cominciato con l'ascoltare Gesù che parlava della violenza (Lc 113,1-5), ciò era solo perché a Lui - e oggi alla sua Chiesa - una cosa sta sommamente a cuore: la pace!
Infatti la pace  è il più grande bene umano, perché è la somma di tutti i beni messianici. Come la pace è sintesi e simbolo di tutti i beni, così la guerra è sintesi e simbolo di tutti i mali. Non si può mai volere la guerra per se stessa, perché è sistematica violazione di sostanziali diritti umani.
Vi saranno al limite casi di legittima difesa di beni irrinunciabili. Però il contrasto all'azione ingiusta, non di rado doveroso e meritorio,  deve restare nei limiti strettamente necessari per difendersi efficacemente.
Potranno anche essere necessarie coraggiose azioni di "ingerenza umanitaria" e interventi volti alla restituzione e al mantenimento della pace in situazioni a gravissimo rischio. Ma non saranno ancora la pace.
Pace non è solo assenza di conflitto, cessazione delle ostilità, armistizio.
Non è neppure soltanto la rimozione di parole e gesti offensivi (Mt 5,21-24), neppure solo perdono e rinuncia alla vendetta, o saper cedere pur di non entrare in lite (Cfr. Mt 5,38-47).  Pace è frutto di alleanze durature e sincere, (enduring covenants e non solo enduring freedom), a partire dall'Alleanza che Dio fa in Cristo perdonando l'uomo, riabilitandolo e dandogli se stesso come partner di amicizia e di dialogo, in vista dell'unità di tutti coloro che Egli ama. In virtù di questa unità e di questa alleanza ciascuno vede nell'altro anzitutto uno simile a sé, come lui amato e perdonato, e se è cristiano legge nel suo volto il riflesso della gloria di Cristo e lo splendore della Trinità. Può dire al fratello: tu sei sommamente importante per me, ciò che è mio è tuo. Ti amo più di me stesso, le tue cose mi importano più delle mie.  E poiché mi importa sommamente il bene tuo, mi importa il bene di tutti, il bene dell'umanità nuova: non più solo il bene della famiglia, del clan, della tribù, della razza, dell'etnia, del movimento, del partito, della nazione, ma il bene dell'umanità intera: questa è la pace.
Ogni azione contro questo  "bene comune", questo "interesse generale" affonda le radici nella paura, nell'invidia e nella diffidenza. Genera i conflitti e nutre gli odi che causano le guerre.Ci vorrà una intera storia e superstoria di grazia per compiere questo cammino. Ma è questa la pace che è meta della vicenda umana.
6. ALCUNI IMPERATIVI IMMEDIATI
1.      Abbiamo anzitutto un grande bisogno di percepire dentro di noi una fontana  zampillante di pace che ci apra alla fiducia nella possibilità di passi concreti e semplici verso un cambiamento di stile di vita e di criteri di giudizio, unica via a un cammino serio di pace. Evitiamo di lasciarci intorpidire da un clima consumistico prenatalizio che rischia di farci rimuovere le domande serie emerse da questi fatti drammatici.
2.      Per evitare di essere trascinati, anche non intenzionalmente, in uno scontro di civiltà, occorrerà esercitarsi nell'arte del dialogo, che parte da una chiara coscienza della propria identità e della ricchezza dei linguaggi con cui esprimerla e renderla accessibile smontando i pregiudizi, i cavilli e le false comprensioni.
3.      Per questo sarà importante imparare a conoscere le altre religioni, in particolare  l'Ebraismo e l'Islam, scrutando di ciascuna la storia, letteratura, le ricchezze spirituali, le profondità mistiche, il pluralismo espressivo, anche quello sociale e politico.
4.      Ma soprattuto occorrerà educare a gesti, pensieri e parole di perdono, di comprensione e di pace, usando tolleranza zero per ogni azioni che esprima sentimenti di xenofobia, di antisemitismo, di minor rispetto di qualunque sentimento e tradizione religiosa. Questo richiede che anche gli altri rispettino e apprezzino quei segni religiosi che sono stati e sono
tuttora per noi la via e il simbolo che ci permette oggi di offrire a tutti ospitalità e pace.
5.      E superfluo ricordare quanto la scuola e l'università siano chiamate a educare al dialogo, al confronto sereno, per aiutare a riflettere motivatamente sui gravi problemi in discussione a livello internazionale ma anche nazionale e regionale (e non soltanto perciò sui temi della pace e della guerra, ma anche oggi su temi per noi gravi e urgenti come la
giustizia e la sanità) . Grande sarà in questo senso il compito e la responsabilità dell'autonomia scolastica.
            Ci conforta e ci fa ben sperare l'anniversario che si ricorderà domani, quello dell'apertura, 80 anni fa, proprio a pochi metri da questa Basilica di sant'Ambrogio, in via Sant'Agnese, dei corsi della neonata Università Cattolica del Sacro Cuore. Incominciò con 68 iscritti. Oggi sono oltre 40.000. Auguriamo ad essi e a tutti i giovani del mondo di essere, per il millennio che inizia, come le "sentinelle del mattino" che annunciano il giorno della tanto desiderata pace.
 + Carlo Maria Martini

 

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Vi giriamo una lettera che ci ha inviato Guglielmo Minervini in riposta alla nostra di qualche settimana fa. Rosa
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Carissimi Rosa & Antonello,
Vi ringrazio davvero di cuore per la Vostra lettera intensa e appassionata.
Ovviamente, ne condivido lo spirito, la tensione morale che l'anima, le scelte di fondo che la caratterizzano. Sono radici che, per molti versi, affondano in comuni esperienze di vita e di impegno.
E sono contento, tutto sommato, che il mio articolo abbia suscitato delle reazioni e, quindi, un dialogo. Questo è un tempo in cui dominano i monologhi, piuttosto. Ecco, ho scritto mosso dalla preoccupazione che anche quello della pace possa accettare di ridursi ad un monologo, splendido, puro, profetico, entusiasmante ma irrilevante.
Entriamo nel merito. Non ho titolo né la voglia di fare il difensore dell'Ulivo né tantomeno del parlamento italiano. Giusto per intenderci, se ci fossi stato, avrei ribadito la mia obiezione alla guerra. Però, questo non mi esime dal confronto con chi, avvertendo nella sua coscienza il medesimo imperativo della pace (e ce ne sono), è stato costretto a misurarlo, lealmente, con lo spazio angusto delle decisioni possibili.
Il movimento per la pace fa bene a conficcare la spina di questo imperativo nel fianco della politica. Ma se non percepisce la differenza tra l'espressione della volontà e gli accidentati percorsi della responsabilità, non diventa adulto. Separare la testimonianza dalla politica non serve a nessuno, nemmeno ai politici, perché esalta l'anima cinica e di potere.
Gli eventi si stanno evolvendo rapidamente. Non sappiamo ancora quale piega prenderanno. Mentre vi scrivo, in Europa si sta facendo un difficile tentativo di composizione dei gruppi afgani, per evitare lo scontro totale.
Nonostante non smetta di scorrere il sangue, l'Europa continua a spingere con determinazione (con  l'unico strumento di cui dispone che è la promessa dell'inclusione nel comune sviluppo) per la soluzione politica del conflitto israeliano-palestinese. Infine, i paesi europei (tranne, come al solito, l'Italia berlusconiana) stanno, per il momento almeno, battendo i pugni per impedire l'allargamento dell'azione militare all'Irak e agli altri paesi "sospetti" (con il rischio assolutamente reale di degenerazione).
Nessuna di queste azioni sarebbe stata accettata, secondo la cruda sintassi della politica, se i paesi europei si fossero mantenuti fuori dalla mischia.
Cosa sarebbe avvenuto se gli Stati Uniti fossero stati lasciati soli? 
Sarebbe andata meglio o peggio per gli afgani, il medioriente, il mondo e tutti noi? Detto a bruciapelo, ci saremmo allontanati ancora di più da prospettive di pace oppure sarebbe andato tutto nello stesso modo? Questa è la domanda che si sono posti coloro che, votando, avevano la possibilità di condizionare (certo, non impedire né invertire) il corso degli eventi. Non è la costruzione della pace, ma fare quello che è dato per impedire che ci si allontani troppo. La logica del male minore? Forse, ma nello spazio impervio della politica, questa logica è l'unica possibile in una grande quantità di situazioni. Certo, queste domande non è detto che abbiano una risposta positiva. Possiamo, tra non molto, scoprire che ha prevalso, ancora una volta, la logica del dominio e non quella della politica e che nulla di strutturale sia cambiato. Nessuno ha il possesso della verità.
Eppure quello spazio angusto dove la testimonianza e la responsabilità, la coscienza e la realtà si congiungono lo dobbiamo frequentare. Perché lì dentro soltanto, passo dopo passo, è possibile costruire, concretamente, il cambiamento.
Credo che a questo tempo si addica meglio una profezia silenziosa, di chi, mentre tutti fuggono nella stupidità degli stereotipi, è ancora disposto ad assumersi responsabilità non tanto delle sue idee ma della loro traduzione effettiva nella realtà.
Insomma, non auspico un movimento pacifista meno radicale ma più consapevole dell'estrema complessità della situazione che stiamo vivendo, meno assertivo e più problematico. Meno rituale e più efficace. Ad esempio, dopo la marcia di Assisi c'è stato letargo e, invece, ci sarebbe bisogno di incalzare in modo forte la politica affinché non tradisca, anche questa volta, il suo impegno nel conflitto mediorientale.
Credo che in questo momento la coscienza della necessità di una svolta dalla guerra alla politica, di fronte al problema globale di un'ingiustizia planetaria incontenibile, stia complessivamente crescendo. E' sempre meno minoritaria. Ma l'inversione, il cambio, se volete la frenata dalla paranoia del consumo ad uno stile più sobrio ma anche più felice, non è
indolore. Se si genera panico, si può sbandare, finire catastroficamente fuori strada. Ecco perché occorrono i movimenti per incalzare nuovi orizzonti per il futuro, ma è altrettanto indispensabile la politica per gestire i passaggi possibili. Nel mio articolo volevo solo esprimere questo. Dire che un pacifismo narcisista che si accontenta di affermare le proprie ragione non serve a nessuno. Soprattutto, non serve alla speranza.
Sono d'accordo in ogni caso, parliamone.
Con affetto
Guglielmo Minervini

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14 dicembre preghiera e digiuno per la pace
 nel
tempo opportuno” di avvento

Il Santo Padre ci ha invitati ripetutamente a pregare per la pace; il 19/09 ha detto: “Vi invito a pregare in questi giorni affinché Dio Onnipotente guidi la mente e il cuore dei responsabili del mondo in modo che prevalgano le vie della giustizia e della pace.” Ciò prima della reazione bellica all’attentato e il papa spera che non vi sia alcuna rappresaglia generalizzata. Ma non lo chiede semplicemente a Dio, piuttosto chiede nella preghiera che questi responsabili si aprano a Dio e lo ascoltino, senza presumere di sapere già cosa egli desidera. E’ infatti questa presunzione che determina in gran parte i fondamentalismi. Ciò implica una conversione ed una capacità di ascolto di Dio che parla nelle coscienze. Se qui prevalgono interessi e risentimenti invece che amore e ricerca della giustizia e della pace, Dio stesso diventa impotente, egli infatti non scavalca mai la libertà umana. Tutto ciò dà una importanza particolare alla preghiera e all’invito del papa: ce li fa comprendere come punto di partenza per una conversione all’ascolto di Dio e come necessità di testimonianza attiva e incisiva nella opinione pubblica. Il papa, infatti, ha chiesto successivamente, nell’Angelus del 18/11, una giornata di preghiera e di digiuno a tutti i cattolici: “In questo tempo opportuno (=tempo di salvezza n.r.) chiedo ai cattolici che il prossimo 14 dicembre sia vissuto come giorno di digiuno, durante il quale pregare con fervore Dio perché conceda al mondo una pace stabile, fondata sulla giustizia, e faccia sì che si possano trovare adeguate soluzioni ai molti conflitti che travagliano il mondo: ciò di cui ci si priva nel digiuno potrà essere messo a disposizione dei poveri, in particolare di chi soffre in questo momento le conseguenze del terrorismo e della guerra.” Annuncia poi l’intenzione di invitare i rappresentanti delle religioni  “ad Assisi il 24 gennaio 2002 a pregare per il superamento delle contrapposizioni e per la promozione dell’autentica pace.”
Digiuno e preghiera sono le armi che Gesù indica per sconfiggere il maligno, per la resistenza al male e per la conversione; l’amore al prossimo, di cui l’elemosina è un segno, è caratterizzante della fede cristiana: l’amore liberante di Dio è l’annuncio evangelico.
Dunque ci chiede preghiera e azione per la pace; non solo preghiera come rifugio in tempo di angoscia. Ma quale azione per la pace? Innanzitutto occorre sfuggire ai luoghi comuni e alla cultura sloganistica di parte. Il bisogno di conoscere i problemi e le culture poste a confronto è stato un primo frutto nato da questa situazione. Occorre liberarsi dai ricorrenti “buonismi” dei benpensanti che non vedono i problemi, o da semplificazioni che li rendono irrisolvibili. Né pare intelligente rinunciare alla propria identità religiosa, alla propria storia, alla propria cultura e alle sue radici, per accogliere coloro che provengono da altre culture, storie, religioni. Anzi proprio per non disprezzare le altre religioni occorre rispetto per la propria, o almeno quella che ha informato e formato la nostra cultura. In ogni modo l’occidente è sfidato dalla presenza dell’Islam, e non solo, a riscoprire almeno il senso della propria. Ci possono essere difficoltà reali di dialogo fra religioni: la storia ne è piena. Ciò non significa che non sia arrivata l’ora di un confronto nella tolleranza, necessaria da tutte le parti, e nella fraternità che a noi cristiani è chiesta dalla fede. Il confronto esige però una disponibilità a mettere in discussione almeno i modelli di realizzazione storica della propria fede. Lo scopo non è solo parlarsi ma costruire un mondo di pace. Evangelizzare la pace, l’amore e la giustizia fa parte della missione della Chiesa e dei cristiani; oggi questo a noi è finalmente chiaro.
La cultura sloganistica che ha caratterizzato la campagna elettorale ultima e la discussione in parlamento sulla partecipazione alla guerra-non guerra (non dichiarata a nessuno…di intelligence, ... di polizia globale…) è segno di ulteriore sconfitta della ragione e della capacità di fare politica. Tutto ciò non serve alla causa della pace. Occorrerà imparare a discutere dei problemi politici che sono di tutto il pianeta; occorrerà stare al corrente dei fatti al di là delle semplificazioni del sistema mass-mediale, quello che chiama no-global  i contestatori violenti  e anche coloro che invece vorrebbero una globalizzazione di pace, nel rispetto dei diritti umani.
Certamente emerge un mondo globalizzato e diviso. Cosa globalizza e cosa divide? Occorrerà mettere mano a questo.
Ciò che è successo dall’11/9 ha portato scompiglio in una visione del mondo unito dal commercio e dalla rincorsa al benessere, che si doveva allargare automaticamente: la pace costruita dal mercato! Sono tornati importanti valori come la religione, la cultura, le identità, le tradizioni. C’è la necessità di tornare alla politica nel senso più alto, sottraendola alla egemonia della economia. E’ necessario tornare ai discorsi sui diritti e loro fondamenti, sulla giustizia non solo come petizione di principi.
I vescovi americani hanno scritto un documento: “Vivere con fede e speranza dopo l’11 settembre” in cui, pur dichiarandosi vicini ai loro militari, chiedono attenzione a ciò che accadrà dopo e  attenzione a salvaguardare gli innocenti, ad aver come scopo il bene comune universale; evocano, dopo la situazione attuale di guerra, la necessità di una pace giusta e cioè di una giustizia globale da costruire, di una pace per i palestinesi, per gli afgani, per l’Iraq. “Nessuna ingiustizia può legittimare l’orrore che abbiamo sperimentato. Ma un mondo più giusto sarà un mondo più pacifico. Ci saranno sempre figli dell’odio e della violenza, ma avranno meno sostenitori e risorse per commettere le loro azioni atroci.” Oltre all’orgoglio di aver anticipato le stesse argomentazioni, nella mia prima riflessione sui fatti, colgo questa sintonia come fondata sulle stesse radici cristiane ed occidentali, quelle soprattutto dalla cui riflessione nacque la teoria dei diritti umani fin dal ‘500.
La forza del diritto e della giustizia costruisce la pace e la sicurezza. Invece non lo fa la teoria della anarchia strutturata di  Luttwack, che vediamo spesso nella nostra TV, e prima di lui di Kennet Waltz, consigliere di Reagan e di Bush padre, per la quale prevale il diritto della forza in una situazione naturale di guerra fra gli stati che si relazionano solo con rapporti di forza; in base a questo si determina una gerarchia fra stati. Tutto ciò però espone alla violenza e la produce.
Il papa allora quando invita a digiuno, preghiera ed elemosina il 14/12 fa insieme molte cose: chiede la conversione e un’azione di pace, qualcosa che ci coinvolge in tutto ciò che sopra ho ricordato; compie un gesto di comunione con gli islamici che in quel giorno concludono il Ramadan, un periodo di preghiera digiuno ed elemosina, e quindi compie un gesto di pace e fraternità nel rispetto delle identità; ci chiede di prepararci alla festa di Natale e all’appuntamento alla giornata della pace non semplicemente con sentimentalismo ma con desideri attivi di pace, operando nel cuore e nella mente, sentimenti e ragione, e inducendo pensieri di pace e giustizia. Seguiamo la preghiera del papa dell11/10: “Dal cuore dell’uomo il Signore sradichi ogni traccia di astio, di inimicizia e di odio e lo renda disponibile alla riconciliazione, alla solidarietà e alla pace.”

Ravaldino in monte 29/11/2001

                                                                    Don Franco Appi

 

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Care amiche e cari amici,
come sicuramente molti di voi avranno già letto nei giorni passati (mailing list di Bazzocchi, Il Manifesto etc), sta circolando l'appello "Dalla guerra non nasce giustizia" promosso da varie personalita'.
Stiamo raccogliendo le adesioni e naturalmente siete tutti invitati a partecipare all' iniziativa che si terrà il 17 dicembre alla sala della Protomoteca - Comune di Roma.
Potete rinviarmela via email.
grazie e a presto.
Barbara Slamic
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“Dalla guerra non nasce giustizia”

Ogni vittima è una parte di noi che muore. Ogni vita strappata all’odio della guerra è il nostro futuro che sorge.
Siamo uomini e donne che hanno un sogno in comune: un mondo più giusto.
Questa necessità per l’umanità si allontana ogni volta che la comunità internazionale si illude di risolvere i problemi di pace e di sicurezza mettendo in campo la guerra e gli armamenti.
La metà dei soldi usati nel primo mese di guerra sull’Afghanistan avrebbero consentito a 20 milioni di esseri umani di quel paese di vivere in prosperità e ricchezza per tutto il resto della loro vita. Con il 3% dei fondi destinati alla militarizzazione dei soli e delle stelle, il cosiddetto scudo spaziale, potremmo dare acqua potabile a chi oggi vede
preclusa questa vitale possibilità. La guerra non è solo ciò che distrugge od uccide con le armi : è tanta intelligenza, tanta cultura scientifica, tante risorse finanziarie bruciate per la morte anziché per la vita.
Il terrorismo è nostro nemico. Solo la pace può sconfiggerlo.
Esso si annida e si nutre nelle tante aree di sofferenza prodotte da un sistema ingiusto. Esso è protetto nei paradisi fiscali, nel riciclaggio di denaro sporco, dai trafficanti di armi, dai rialzi e dai crolli delle borse. Esso si è istruito nelle
principali scuole militari dei paesi che contano, ha imparato a colpire con ferocia nella tante guerre per procura combattute per impedire la libertà e la dignità dei popoli.
Esso non teme la guerra; che ne è il brodo di cottura. Teme l’edificazione di un sistema di pace, dove la ricchezza del mondo sia distribuita più equamente, dove la convivenza sia non solo possibile ma divenga l’essenza stessa della comunità umana. All’orrore dell’11 Settembre non si può rispondere con la sospensione dei diritti civili, con la restrizione delle libertà democratiche, con la riabilitazione della tortura e l’istituzione di tribunali speciali senza diritto di difesa. La democrazia che snatura se stessa per combattere i propri nemici, finisce per negare se stessa.
Fermiamo la fabbrica dell’odio, mobilitiamoci per la pace. Talebani ed Alleanza del Nord, il rischio di cadere dalla padella alla brace è altissimo. In mezzo vi è un popolo di profughi che viaggia senza meta, tra campi pieni di mine e bande di armati e di sciacalli. E’ a loro, che hanno conosciuto 25 anni di guerra, che va il nostro pensiero. E’ alle donne
afghane , sepolte nel burqa e dall’oscurantismo, che resistono e si battono per la pace, i diritti, la democrazia che va il nostro sostegno e solidarietà. E’ alle organizzazioni umanitarie, alle Ong, ai tanti ed alle tante che in condizioni difficili difendono la dignità dell’umanità che va tutto il nostro appoggio.
Di loro c’è bisogno. Non di portaerei, truppe e di altre armi. Contro ogni guerra di civiltà, difendiamo il valore della convivenza, i diritti dei migranti e dei rifugiati, battiamoci perché le nostre comunità siano accoglienti e libere da ogni forma di razzismo.Perché il frutto della pace sarà la giustizia. Quello della guerra ancora altra guerra. Mobilitiamoci per
la pace. Il 10 dicembre, 53° anniversario della dichiarazione dei diritti umani saremo a fianco di tutti quelli che ogni giorno –e ovunque- si impegnano per i diritti umani. Come in Palestina e in Israele dove andremo a fine anno a sostenere chi si impegna per la pace. E ricordiamo, inoltre, la scelta di chi il 14 dicembre, rispondendo all’appello del Papa farà una giornata di digiuno per sostenere i valori della pace.
Invitiamo tutti coloro che condividono questo appello ad incontrarsi il prossimo 17 dicembre alle 16.00 a Roma alla Sala della Protomoteca del Comune di Roma per discutere come portare avanti il nostro impegno per la pace e la
giustizia.

Dall'Afghanistan al Medio Oriente

"DALLA GUERRA NON NASCE GIUSTIZIA"

Rilanciare l'impegno e l'iniziativa:

* Per la pace e contro ogni guerra

* Per il rispetto dei diritti umani

* Per la giustizia e la solidarietà


17 dicembre, Roma
ore 16.00 presentazione dell'iniziativa

Aula Facoltà di Lettere, Università di Roma

Intervengono, insieme ai firmatari:

Fulvia Bandoli - Direzione DS

 Tom Benetollo - Presidente ARCI

 Fausto Bertinotti - Segretario PRC

 Candido Grzybrowski- Comit. Prom. Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre

Flavio Lotti - Coord. Tavola della pace

 Giulio Marcon - Presidente ICS

Francesco Martone - Deputato dei Verdi

Alessandra Mecozzi - FIOM-Cgil

Luisa Morgantini - Europarlamentare - Donne in Nero

Ali Rashid - Delegazione Palestinese in Italia


L'appello delle iniziative è promosso da:

Alex  Zanotelli, Pietro Ingrao, Vittorio Agnoletto, Fabio Alberti,  Fulvia Bandoli, Riccardo Barenghi, Tom Benetollo, Marco Bersani, Fausto Bertinotti, Luigi Bettazzi, Luca Casarini, Luigi Ciotti, Alessandro Curzi, Peppe De Cristofaro, Tonio Dell’Olio, Domenico  Gallo, Maurizio Gubbiotti, Flavio Lotti, Fabio Lucchesi, Francesco  Martone,
Giulio Marcon, Alessandra Mecozzi, Lidia Menapace, Piero Maestri, Roberto Minervino, Luisa Morgantini,
Luciano Muhlbauer, Gianni Rocco, Giorgio Nebbia, Claudio Sabattini, Cesare Salvi, Sabina Siniscalchi, Pierluigi Sullo

Per adesioni e informazioni: tel. 0685355081 fax 0685355083, email: icsuffroma@tin.it
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@ Barbara Slamic
@ Ufficio di Presidenza
@ ICS  Consorzio italiano di Solidarietà
@ via Salaria 89  00198  Roma
@ tel ++39 0685355081
@ fax ++39 0685355083
@

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Mi è arrivata stamattina da un amico. Non conosco la fonte originale, ma mi sembrava meritasse di essere diffusa.
Andrea
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Andrea Guerrizio
Associazione ONLUS
"Satyagraha - la forza della Verità"
via Panisperna 159  00184 Roma
http:\\web.tiscalinet.it/satyagraha


Pochi decidono per tutti, in questo mondo. Gli altri tacciono e subiscono.
Siamo tutti uguali, il sangue scorre rosso, il dolore si esprime in grida e lacrime.  Per tutti.
Io sono nata a Kandahar 22 anni fa, sono stata in Italia per quasi tutta l'infanzia e di questo non smetterò mai di ringraziare mio padre che ha voluto che io vedessi un mondo diverso di pace, poi sono tornata in Afghanistan, dove c'era tutta la mia gente. Ho conosciuto gli italiani, sono come noi. Ho amato la capacità degli italiani di capire, di non giudicare,
di commuoversi. Così a questo popolo che ho amato invio la mia preghiera.
In Italia c'è la mafia che si è diffusa come un cancro in tutto il mondo, facendo male e tanto.
Sono felice che nessuno per questo abbia mai pensato di bombardare l'Italia, di darla da governare a stranieri, di riempirla di bombe, mine e pianto.
Sono felice perché la mafia non avrebbe perso mentre gli italiani avrebbero visto i loro sogni trasformarsi in orrore e incubi. Ero a Kandahar quando sono cominciati i bombardamenti occidentali. Ero là con il mio bimbo e il mio giovane uomo. E così il mio giovane uomo è andato a combattere. Non volontario, non terrorista. E' partito perché i giovani ragazzi vengono arruolati dagli eserciti in tutto il mondo quando c'è guerra. Aveva 20 anni e se n'è andato senza guardare il suo bimbo che piangeva. Forse immaginava che non l'avrebbe visto più, non voleva ricordarlo in lacrime.
Cadevano le bombe l'ultima volta che l'ho visto vivo, il rumore era assordante e la gente gridava e correva in cerca di rifugi che non ci sono.
Così non so se ha sentito il mio saluto. L'ho accompagnato per alcuni metri lungo la strada e per una volta ho gioito di indossare il burqa. Non ha visto lacrime ed erano tante, ha portato il mio ricordo mentre gli dicevo che nessuna bomba e nessun nemico può uccidere chi è protetto da un amore grande, come il mio per lui. Ma l'amore in Afghanistan ha perso da tempo. E il mondo è piccolo e se l'amore perde, perde per tutti. La notte ho stretto forte il mio bimbo che non dormiva più. Chiedeva perché,  ma io non so che rispondergli. Non si può dire a un bimbo che il mondo odia il terrorismo, che significa uccidere gli innocenti, e così, per risposta, bombarda noi.
Tutto quello che quella notte, quella dopo e quelle prima gli dicevo era "mamma è qui con te, non piangere, mamma è qui con te". E ora vorrei morire perché in una di quelle notti da incubo la casa è esplosa su noi abbracciati. E che ha potuto fare mamma per il suo bimbo? Gli avevo promesso protezione, la bomba è caduta e lui nel terrore mi ha guardata come a
ricordarmi la promessa. Non ha urlato, questo lo ricordo. Io l'ho fatto ed era un grido animale che mi risuona nelle orecchie in ogni istante, sono saltata sul corpo del mio piccolo come un'aquila sulla preda. Sentivo del sangue scivolarmi lungo le gambe e tra il dolore e l'angoscia non capivo di chi fosse, continuavo a pregare Dio che fosse il mio, a implorarlo che fosse il mio. Non lo era. Come vorrei spiegare a tutte le mamme... ma le mamme, lo so, non hanno bisogno di altre spiegazioni. Alzi gli occhi al cielo e vorresti solo morire, perché tutto il resto non importa, perché non c'è niente che può consolarti, perché la morte è nulla per una madre quando ha suo figlio che grida tra le braccia. Ho chiesto a Dio di mandare un'altra bomba a uccidermi, sentivo di non farcela. Invece stavo già correndo, cercando aiuto, tra le bombe e le fiamme e altre mamme con fagottini sanguinanti tra le braccia. Il mio bimbo vivrà senza le gambe, urla tutto il giorno, si lamenta tutta notte. Ho affidato la mia lettera a un'amica che è corsa via per salvare i suoi, io da qui non posso scappare, il mio bambino è steso in un letto. Aspettiamo la fine, le bombe continuano a cadere e io spesso chiedo ad una di colpirci per non vedere il resto, per non dover dire a lui che gli ho dato una vita senza futuro, per non dovergli dire che lo
aspetta solo il dolore.
Spero che ci colpisca e ci porti via insieme, in un posto nel quale io possa proteggerlo, solo questo sarebbe il mio Paradiso. Ho affidato così la lettera a un'amica che è scappata in Europa. E' per gli italiani, popolo che ho amato e nel quale credo ancora. Non credo che nessuna delle belle persone che ho incontrato lì da voi avrebbe voluto pagare con le sue tasse la bomba che ha tolto le gambe e la speranza a mio figlio. Eppure quella bomba l'avete pagata voi, tutti voi, togliendo i soldi alle pensioni dei vostri vecchi o i soldi per i vostri malati e dandoli invece per colpire i nostri bimbi. Se favorire involontariamente chi uccide innocenti è terrorismo allora gli italiani sono terroristi? Non lo sono, come non lo sono io. Siamo le vittime di questa guerra. Non cestinate la mia preghiera, voglio immaginare che esiste una speranza, che chi non ha soldi o interessi possa dire non uccideteci più. Non cestinate la mia speranza. Penso che magari se ci stringiamo tutti potrebbe non succedere più e altri bimbi come il mio correranno ancora, con le loro gambe, davanti ai loro genitori orgogliosi.
Vi prego mandate a tutti questa mia. Spedite a tutti la mia storia, che almeno a qualcun altro possa servire, ho in mente questa lettera mentre sto vicino a mio figlio aspettando.
Quando cadrà Kandahar pensate anche a noi.

Anna

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Natale di guerra

Non credo di essere il solo a vivere con senso di grave disagio questo Natale di guerra.
      Di fronte alla esplosione della bomba di Hiroshima Gandhi si domandò e domandò come era possibile continuare ad avere fede: fede nell'uomo, nell'amore come anima del mondo, nella non-violenza come forza spirituale che abita tutti gli esseri umani. Le stesse domande scuotono oggi le nostre coscienze o quantomeno rendono inquieti i nostri dormiveglia.
      Non c'è bisogno di essere cristiani o credenti per giudicare anche laicamente la inconciliabilità fra il “Natale-festa della vita” e questa attuale festa di morte che accompagna ormai la nostra vita quotidiana.
     
Semmai per i cristiani tale inconciliabilità è più radicale. Un testimone della pace, il cardinale Giacomo Lercaro, dopo la sua abdicazione-rimozione dall'ufficio di vescovo di Bologna, avvenuta nel febbraio 1968, voluta fra gli altri dal presidente Usa Johnson e dalla Cia a causa dalla forte condanna dell’intervento militare americano contro il Vietnam, lasciava quasi come testamento spirituale ai cristiani l'impegno a opporsi “con rigore e intransigenza proprio in nome della fedeltà a Cristo” al “sistema di guerra in cui viviamo”, perché “oggi l'obbedienza allo Spirito passa attraverso il rifiuto del sistema di guerra e la riscoperta gioiosa della pace come condizione umana di sviluppo e di adempimento della intera creazione”.

      Tre anni prima don Lorenzo Milani, nel 1965, scrivendo la sua autodifesa, nel processo per aver difeso l'obiezione di coscienza per cui fu condannato in Corte d'appello, condensava lo stesso messaggio di Lercaro nella frase “L'obbedienza non è più una virtù”.
     
La disobbedienza dei pacifisti di oggi ha salde radici storiche in ogni area culturale. Lo sapevamo, ma è bene ricordarlo. Non basta dire “pace”, bisogna dire e fare “disobbedienza” per vivere con un minimo di coerenza il Natale in tempo di guerra.
    
“Disobbedienza” è non-collaborazione alla guerra in tutte le forme possibili come ad esempio l'obiezione fiscale alle spese militari proposta da Carta in forma nuova e più facilmente praticabile da tutti.
    
“Disobbedienza” è opporsi alle cause della guerra, seminagione di non-violenza attiva, apertura alla solidarietà universale, tolleranza come accoglienza del “diverso”, riscoperta del senso del limite del nostro progresso e della nostra corsa al privilegio, rinuncia esplicita e attiva agli assoluti religiosi, valorizzazione dell'incontro e della fecondazione reciproca fra le diversità culturali e religiose.
    
Questi semi di “disobbedienza creativa” diffusi ovunque, ma così poco visibili perché oscurati da un clima di omologazione montante verso i modelli di vita e il pensiero unico imposti dai poteri che dominano il mondo, questi semi di speranza sono oggi, io credo, l'essenza del Natale.

 

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L'Italia riesuma le leggi di guerra
Un comandante italiano a Kabul che fa passare per le armi una presunta spia è un assassino o un legittimo combattente? Picchiare un taleban è un crimine o un atto non punibile per mancanza di "reciprocità dello Stato nemico" sul trattamento dei prigionieri? Diffondere notizie diverse da quelle ufficiali o scrivere che la guerra fa schifo è libertà di stampa o reato militare?
Questione di interpretazione: in onore di Enduring Freedom torna il codice penale militare di guerra sepolto nel '45
DOMENICO GALLO

Per la prima volta dal 1945, nell'ordinamento giuridico italiano è entrato di nuovo in vigore il Codice penale militare di guerra. Sotto il profilo istituzionale, è questa la vera novità che emerge dalla partecipazione di un corpo di spedizione italiano alla "guerra contro il terrorismo".
Per tutte le precedenti missioni all'estero compiute dalle forze armate italiane, dalla guerra del Golfo, all'intervento in Somalia, a quello in Bosnia e a quello nel Kosovo, è stata sempre emanata una norma speciale che, in deroga a quanto previsto dall'articolo 9 del Codice penale militare di guerra, prevedeva che alla missione militare italiana all'estero dovessero applicarsi le norme del codice penale militare di pace. Molti giorni dopo il voto del Parlamento sulla partecipazione italiana, nel silenzio generale, è stato emanato un decreto legge (1 dicembre 2001 n. 421), che contiene norme urgenti per la partecipazione di personale militare all'operazione multinazionale denominata "Enduring Freedom".
Gli articoli 8 e 9 del decreto prevedono che "al corpo di spedizione italiano" si applica il codice penale militare di guerra, con esclusione delle disposizioni di natura processuale. In parole povere, i reati previsti dal codice penale militare di guerra non saranno giudicati dagli speciali Tribunali militari di guerra (che non esistono più) ma dalla ordinaria giustizia penale militare. Nello stesso giorno il governo ha presentato al Senato un disegno di legge che conteneva modifiche al codice penale militare di guerra. Queste modifiche si riducono a ben poca cosa e lasciano interamente in piedi l'impianto normativo e ideologico del codice penale militare di guerra, compresa la giurisdizione dei Tribunali speciali militari, che - invece - il decreto legge ha disapplicato, considerandola incostituzionale. Ma introducono due peggioramenti significativi. Il primo è che viene ampliata la portata dell'articolo 9, prevedendo che in caso di missioni all'estero (anche in tempo di pace), le disposizioni del codice penale militare di guerra si applicano non solo al Corpo di spedizione, ma anche al personale militare che svolge compiti di supporto nel territorio nazionale. Il secondo è che viene reintrodotto il cosiddetto "reato militarizzato", che nell'ordinamento italiano era stato cancellato nel lontano 1956: i Tribunali militari tornano ad avere competenza su molti reati comuni, purché commessi in divisa. Peraltro il "reato militarizzato" viene introdotto con una ampiezza molto più estesa di quella vigente durante la seconda guerra mondiale.
Non è un caso che il disegno di legge per la conversione del decreto legge Enduring Freedom e il disegno di legge per le modifiche al codice penale militare di guerra siano stati presentati contestualmente. Sono funzionali l'uno all'altro ed esprimono un unico indirizzo in tema di recupero e riutilizzabilità di leggi di guerra che affondano le loro radici nella notte
della storia.
Non si può negare che quando si compie una missione con contenuto bellico sorga la necessità che le operazioni militari siano disciplinate da un corpo di norme specifiche, che nel codice penale militare di pace mancano. Ci sono di mezzo parecchie convenzioni internazionali relative al diritto umanitario di guerra, che tutelano la popolazione civile e i prigionieri, convenzioni che vanno rese pienamente operative. Nel codice penale militare di guerra esiste un intero capitolo (il titolo IV) che disciplina i reati contro le leggi e gli usi di guerra, rendendo punibili comportamenti che normalmente sono interdetti dalle Convenzioni internazionali, come le sevizie e i maltrattamenti ai prigionieri. Gli esempi si sprecano, uno per tutti i cappucci, i tranquillanti, le catene e le gabbie di filo spinato impiegati dalle forze armate americane sui prigionieri di al Qaeda.
Per rendere operativa tale disciplina, però, la strada maestra non era quella di riesumare tutto il codice penale militare di guerra, ma quella di richiamare la disciplina specifica relativa ai reati contro le leggi e gli usi di guerra, dichiarandola applicabile all'operazione "Enduring Freedom".
La strada seguita, paradossalmente, rende invece tale disciplina inoperante.
E' stato infatti riesumato anche l'articolo 165 che prevede che i reati contro le leggi e gli usi di guerra sono punibili "in seguito a disposizione del Comandante Supremo e solo in quanto lo Stato nemico garantisca parità di tutela penale allo Stato italiano ed ai suoi cittadini". E' evidente che, nel caso della missione Enduring Freedom, questa condizione di punibilità potrebbe non verificarsi mai, per una semplice ragione: i "terroristi" non sono uno Stato nemico. Il disegno di legge di modifica del codice penale militare di guerra prevede infatti l'abrogazione di questa disposizione, perché contrasta con gli obblighi internazionali assunti dall'Italia e derivanti dalle Convenzioni e dal Protocollo di Ginevra. Ma la disciplina
del decreto legge è pienamente vigente, mentre le proposte modifiche del codice penale militare di guerra non si sa se e quando saranno trasformate in legge. Pertanto il decreto legge fallisce completamente l'obiettivo - ammesso che l'abbia mai avuto - di rendere operanti ed applicabili a Enduring Freedom le norme del diritto umanitario che l'Italia ha l'obbligo
di osservare.
Tuttavia questa riesumazione delle leggi di guerra non è priva di effetti collaterali. Per esempio, credete che la pena di morte sia stata abolita?
Nei fatti potrebbe non essere del tutto vero: è stata richiamata in vita una norma, l'articolo 183, che consente ai comandanti militari di passare immediatamente per le armi le spie o i combattenti che non indossino l'uniforme. Fatto anche più grave, sono state riesumate delle norme che non si applicano soltanto ai militari ma a "chiunque", come l'articolo 76 che punisce la divulgazione di notizie diverse da quelle ufficiali, o l'articolo 80 che punisce la pubblicazione di critiche o scritti polemici sulle operazioni militari o sull'andamento della guerra, o l'articolo 87 che punisce la denigrazione della guerra.
Ovviamente, dalla riesumazione del codice penale militare di guerra effettuata con il decreto legge non deriva automaticamente che tali norme siano concretamente operanti. A questo punto la questione diventa un problema di interpretazione. E' interessante, però, notare che queste disposizioni contengono una sorta di codice deontologico dell'informazione di guerra al quale tutti i mass media americani si attengono scrupolosamente, e al quale si attengono spontaneamente una buona parte dei mass media italiani, dai quali, anzi, cominciano a piovere intimazioni a tacere. Si va dal grido silete sociologi, lanciato da Panebianco sul Corriere della Sera del 6 novembre, alla simpatica copertina di Libero che l'8 novembre ha pubblicato le foto dei parlamentari traditori che "stanno con il nemico", alle esternazioni del generale Fabio Mini che sul numero 4/2001 di Limes ha invocato una "lotta istituzionale" contro "la spazzatura
propagandistica e di disinformazione che ci viene propinata sotto le nobili vesti del diritto al dissenso", aggiungendo con tono minaccioso che essa "non sarà né semplice né indolore" (cfr il manifesto del 21 dicembre).
Insomma non è stato riesumato solo un codice condannato dalla storia, ma è stata riesumata anche una cultura ante seconda guerra mondiale, che credevamo sparita per sempre: tacete, il nemico vi ascolta.

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SE IRROMPE UNA FORZA PIÙ POTENTE (Avvenire 23 gennaio 2002)


Diego Bona


      Una domanda si sente circolare con sempre maggior insistenza: è ancora possibile, oggi, la pace?
      Questo desiderio del cuore dell'uomo, questa invocazione costante che sale a Dio dalla fede dei credenti e dalla tribolazione degli afflitti, questa promessa di Dio che illumina la notte di Betlemme e tutte le notti dell'umanità, sembra farsi sempre più lontana, come un miraggio, in questo tempo inquieto che ci è dato di vivere.
      Nella nostra memoria, breve come lo è la vita dell'uomo, riaffiorano due momenti in cui la pace sembrava vicina, quasi a portata di mano: la stagione della "Pacem in terris" che si saldava alla Carta delle Nazioni unite, quando l'arma nucleare rendeva evidente la follia e l'assurdità di una guerra capace di distruggere la vita sulla faccia della terra e l'anno 1989, quando la caduta dei muri di divisione e la fine dei blocchi contrapposti hanno aperto orizzonti di universalità e di casa comune.
      Ma nell'una e nell'altra occasione altre nubi si sono poi addensate minacciose, quali l'equilibrio del terrore e la repressione spietata prima e la frammentazione degli scontri etnici in seguito, insieme alla crescente ingiustizia nell'accesso e nell'uso dei beni della terra.
      Dopo l'11 settembre 2001 la prospettiva è diventata anche più oscura con la minaccia del terrorismo ovunque possibile ed una «guerra» in corso che non si sa fin dove possa arrivare.
      Ripetendo un gesto di quindici anni fa, che aveva sorpreso la gente semplice come gli osservatori più attenti, proprio perché inedito e fuori dalle nostre visioni abituali, il Papa ha invitato le religioni del mondo, le tante Confessioni che riuniscono masse di credenti, ad un incontro "religioso" ad Assisi, la terra di Francesco fratello universale.
      Non ad un colloquio tra le religioni, che pure nelle migliori intenzioni nasconde l'insidia delle incomprensioni e contrapposizioni; neppure ad una preghiera "comune" nel senso di una formula sincretista che possa essere accetta a tutti come un comune denominatore, ma a pregare per la pace: uniti dalla contemporaneità del tempo e in qualche modo dello spazio, la città di Francesco che della pace ha fatto il suo saluto, la sua benedizione e la sua regola di azione.
      Vogliamo leggere in questo gesto innanzitutto una forte affermazione di speranza, di fede e di coraggio: che la pace è
possibile, che questa appassionata ricerca del cuore non è destinata al fallimento, che l'intelligenza e la buona volontà degli uomini sono capaci di costruire pacifica convivenza, che la promessa del Signore non si è allontanata.
      Un gesto che costituisce insieme occasione, richiamo ed invito a tutte le religioni, ed a ognuna di esse in particolare, a riscoprire la propria identità profonda e il ruolo e servizio nei confronti dell'umanità.
      Perché se per loro natura le religioni sono e devono essere vie alla pace in quanto, accompagnando l'uomo nella ricerca, conoscenza ed adorazione del Creatore e facendo riferimento alla paternità di Dio, aprono orizzonti di universalità e fraternità alla famiglia umana, elementi e fattori capaci di costruire una pacifica convivenza, di fatto non poche volte sono state ed ancora continuano ad essere fonte di conflitto, supporto della violenza. È chiaro che si tratta di
deformazione e patologia del senso religioso, e se le religioni sono arrivate a tanto ciò non è dovuto al loro messaggio autentico ma all'infedeltà dei loro membri a tale messaggio.
      Occorre percorrere la strada della ritrovata autenticità ed è una strada che ha bisogno di conversione.
      Invitarle alla preghiera, insieme, nel silenzio e nella interiorità, ancora più se accompagnata dal digiuno che stacca dai
condizionamenti mondani, è occasione per metterle a nudo di fronte a Dio che è l'unico Signore, fonte della verità e della giustizia, perché cadano le incrostazioni particolari, guariscano le infezioni patologiche e si raddrizzino le deviazioni interessate.
      Un gesto, infine, che evidenzia la debolezza dell'uomo che bussa al cuore di Dio perché "quanto più insormontabili sembrano le difficoltà ed oscure le prospettive" è necessario ricorrere alla preghiera "e pregare per la pace apre il cuore alla irruzione della potenza rinnovatrice di Dio" (Giovanni Paolo II).
      In tanti nel mondo intero, giovedì 24 gennaio, guarderanno ad Assisi come a una luce nella oscurità di un momento grave per la storia ed appare quanto mai vero quello che osservava Dante, ragionando sul nome della città "non dica Ascesi che direbbe corto, ma Oriente, se proprio dir vuole".
      Eppure non basta guardare, occorre condividere ed unire la nostra voce a quelle di tanti sinceri cercatori della giustizia e della pace.
      Pax Christi ritrova in questa chiamata alla preghiera la stessa autentica intuizione che fu all'origine della sua storia quando, nel dicembre del '44, una donna del popolo e un Pastore attento proposero una crociata di preghiera per la riconciliazione dei due popoli, francese e tedesco, in lotta.
      Il Dio della pace ha ascoltato quella invocazione e su questa ferma fiducia nella sua benevolenza arrendiamo l'apparire
dell'arcobaleno della pace.

      Diego Bona

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IL DISCORSO SULLO STATO DELL'UNIONE: BUSH DICHIARA GUERRA AL MONDO

http://www.wsws.org/
http://www.wsws.org/articles/2002/jan2002/bush-j31.shtml

Il Discorso sullo stato dell'unione pronunciato da George W. Bush  giovedì sera è tra i più minacciosi e bellicosi della storia americana.
Il presidente statunitense traccia un programma di guerra perpetua e illimitata in ogni continente e contro ogni regime che si trova fra i piedi dell'avida classe dominante americana.
Bush ha minacciato di attaccare l'Iran, l'Iraq e la Corea del Nord - menzionando le tre nazioni per nome. A dispetto dei suoi apocalittici ammonimenti riguardo alle «migliaia di pericolosi assassini, addestrati all'assassinio, spesso supportati da regimi fuorilegge», queste nazioni non hanno nulla a che fare che gli attacchi terroristici dell'11settembre, un fatto riconosciuto dal governo statunitense stesso.
Invece Bush traccia una nuova giustificazione per l'azione militare, sostenendo che Iran, Iraq e Corea del Nord stiano cercando di sviluppare armi nucleari, biologiche e chimiche. Egli ha dichiarato che «attraverso la ricerca di armi di distruzione di massa, questi regimi pongono un grave e crescente pericolo».
«Stati come questi», egli dice, «e i loro alleati terroristi, costituiscono un asse del male che si arma per minacciare la pace nel mondo»
A dispetto del tentativo di Bush di resuscitare la retorica della IIª Guerra Mondiale, nel suo riferimento all'«asse del male», è il governo statunitense e Bush stesso che sta seguendo le orme dei Nazisti.
Bisogna tornare indietro alle tirate di Adolf Hitler per trovare una equivalente bellicosità nelle dichiarazioni pubbliche di una delle maggiori potenze mondiali, e un equivalente cinismo nelle menzogne e provocazioni impiegate per giustificare l'aggressione miliatare.
Un programma di conquista mondiale
Il paragone è adatto perché, come Hitler e i nazisti, il militarismo americano si è avventurato in una campagna di conquista e dominazione mondiale. Il Discorso sullo stato dell'unione è una dichiarazione degli appetiti senza freno dei militari e della più spietata, corrotta e criminale sezione dell'élite dominante americana, che ha trovato il suo
diretto rappresentante in George W. Bush.
Come Hitler, Bush presenta una visione del mondo capovolta in cui piccoli e deboli stati costituiscono delle minacce mortali per il più potente e pesantemente armato. Nel 1938-39 Hitler demonizzò prima la Cecoslovacchia e poi la Polonia come minacce per la sicurezza nazionale della Germania, prima di muoversi a devastare entrambe. Nel 2002 Bush prende di mira la Corea del Nord, l'Iran e l'Iraq, dichiarando: «Gli Stati Uniti d'America non permetteranno ai più pericolosi regimi del mondo di minacciarci con le armi più distruttive del mondo».
In realtà, queste nazioni hanno solo due cose in comune: una disperata povertà e una vittimizzazione di vecchia data da parte dell'imperialismo americano. Così come dovrebbe essere ovvia l'identità del «più pericoloso regime del mondo»: è il governo degli Stati Uniti stesso, una nazione il cui budget militare supera quello delle nove potenze successive agli Stati Uniti combinate, una nazione che ha, nel corso dei passati 12 anni, invaso, occupato o attaccato una sequela di
nazioni più piccole: Panama, Haiti, Yugoslavia, Iraq, Somalia, Sudan e adesso l'Afghanistan.
Ci sono delle ragioni precise alla base della scelta dei tre regimi che Bush ha nominato giovedì notte. La Corea del Nord è stata per lungo tempo oggetto dell'ossessiva ostilità da parte degli elementi di estrema destra che costituiscono la base politica di Bush, in quanto uno degli ultimi residui della Guerra Fredda con il blocco sovietico.
L'Iraq, probabilmente il più bersagliato tra paesi arabi produttori di petrolio, rappresenta il lavoro incompiuto del regime di Bush padre, il cui fallimento nella conquista di Baghdad e nell'installazione di un regime fantoccio appoggiato dagli Stati Uniti ha irritato a lungo Washington. L'Iran è entrato in conflitto con gli Stati Uniti dalla rivoluzione del 1978-79 che ha rovesciato la dittatura dello Shah appoggiata dagli Stati Uniti.
Ma ci sono due maggiori preoccupazioni strategiche che contribuiscono alla presa di mira di queste tre nazioni da parte dell'azione militare americana: il petrolio e la preparazione di una guerra statunitense contro la Cina, la potenza che Washington vede come il suo principale concorrente per l'influenza nelle regioni a nord e a est dell'Asia.
Il Medioriente e l'Asia Centrale posseggono, tra queste, oltre due terzi delle riserve mondiali di petrolio e di gas naturale. Gli Usa hanno attaccato l'Afghanistan come primo passo di una campagna per stabilire delle posizioni militari nell'Asia Centrale. L'Iran è entrato in diretto conflitto con questa offensiva perseguendo i propri interessi nelle regioni di lingua persiana dell'Afghanistan occidentale. Iran e Iraq sono di per se stessi il secondo e il terzo produttore di petrolio della regione e vengono dopo soltanto l'Arabia Saudita.
Da un punto di vista militare, la rete di basi e transiti che gli Usa hanno stabilito proprio dopo l'11 settembre rassomiglia sempre di più ad un cappio stretto attorno alla Cina: Uzbekistan, Tajikistan, Kyrgyzstan, Pakistan, India, e Filippine, e adesso la minaccia di guerra verso la penisola coreana.
Come notava giovedì il quotidiano britannico Guardian: «Ogni svolta nella guerra al terrorismo sembra assegnare un nuovo avamposto al Pentagono nella regione del Pacifico asiatico, dall'ex Unione Sovietica alle Filippine. Una delle più durevoli conseguenze della guerra potrebbe essere il livello di accerchiamento militare della Cina». Il giornale citava la Pentagon's Quadrennial Defense Review che, senza nominare la Cina, avvertiva del pericolo che «un concorrente militare con risorse formidabili potrebbe emergere nella regione», e domandava una politica che «mettesse al primo posto l'assicurarsi di accessi addizionali e accordi sulle infrastrutture».
The scale of US military ambitions is demonstrated by the gargantuan increase in the Pentagon budget that Bush proposed, a staggering $48 billion, an increase larger than the total military budget of any other country. And his call for every American to sacrifice two years in public service clearly suggests the logic of this program of unbridled
militarism-the restoration of compulsory military service for the new generation of American youth.
Il livello delle ambizioni militari degli Usa è dimostrato dal gigantesco incremento nel bilancio del Pentagono che Bush ha proposto, degli sbalorditivi 48mila miliardi di dollari, un incremento più grande del bilancio militare totale di ogni  altra nazione. E il suo appello ad ogni americano a sacrificare due anni nel servizio pubblico fa capire chiaramente la logica di questo programma di militarismo senza freno: la restaurazione del servizio militare obbligatorio per la nuova
generazione dei giovani americani.
La crisi interna e la spinta alla guerra
La politica di brigantaggio internazionale nella quale gli Usa si sono avventurati è l'espressione, in ultima analisi, dei conflitti sociali insolubili all'interno dei propri confini. Come giustificare altrimenti la frenetica impellenza della spinta alla guerra: come Bush ha detto al Congresso giovedì sera, «il tempo non è dalla nostra parte. Non sarò in attesa degli eventi mentre i pericoli si accumulano. Non starò con le mani in mano mentre i pericoli si fanno sempre più vicini».
Ci sono dei pericoli reali a cui si trova di fronte il capitalismo americano, ma questi non provengono da una piccola banda di terroristi o dai governi di deboli e impoverite nazioni dall'altra parte del mondo. Questi pericoli provengono dalla sempre più profonda crisi del capitalismo mondiale, dalle sempre più intese contraddizioni all'interno degli Stati Uniti tra l'élite straricca e la vasta maggioranza dei lavoratori.
Bush ammette che l'economia statunitense è entrata in recessione, ma non ha rimedi per la crescita di disoccupazione, povertà e deprivazione sociale e propone soltanto un'estensione del suo programma di taglio delle tasse per i ricchi e la grande impresa. Egli fa soltanto un riferimento di passaggio nel Discorso sullo stato dell'unione a bisogni sociali come l'educazione e la cura della salute e il suo Bilancio di previsione che sarà rilasciato la prossima settimana incanalerà quasi tutte le nuove spese alle forze armate e alla «sicurezza nazionale».
Il Discorso sullo stato dell'unione giunge all'ombra del collasso di Enron, la settima società statunitense e fra quella che avevano i più stretti legami con Bush e il partito repubblicano, così come una serie di altre bancarotte aziendali: Kmart, Global Crossing, Sunbeam, l'intera industria dell'acciaio. Ma Bush non può proporre nulla sulla questione del lavoro e del livello di vita eccetto maggiori largizioni statali alle imprese.
La politica interna di Bush è centrata sulla repressione interna, basata sulla polizia e sulle forze armate. Mentre la «guerra al terrorismo» è il pretesto, il proposito reale è di preparsi ad affrontare massicce rivolte sociali attraverso l'uso della forza. Un governo installato non dal voto popolare, ma da una maggioranza 5 a 4 della Suprema Corte statunitense, l'amministrazione Bush confida sempre di più sull'esercito e sulla polizia e si libera dei fronzoli della
democrazia.
A dispetto della glorificazione di Bush da parte di media cinici e imtimiditi, e della prostrazione del partito democratico, questa amministrazione è isolata e profondamente impaurita di qualsiasi autentica opposizione. Così come i sondaggi e le pretese degli esperti che Bush sia senza eccezione popolare tra il popolo americano sono soltanto degli strumenti per l'intimidazione politica. Nelle fabbriche e negli uffici, o nei quartieri operai, la reazione generale a Bush è di indifferenza , sospetto o disprezzo. La guerra in Afghanistan è difficilmente oggetto di conversazione e scarsamente sentita tra le larghe masse del popolo americano.
Non c'è spazio per la compiacenza. L'oppozione all'amministrazione Bush e al capitalismo americano emergerà inevitabilmente, ma per essere efficace dovrà essere basata sullo sviluppo della coscienza politica tra le masse dei lavoratori.

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BAGHDAD: PATRIARCA,"NON BOMBARDATE LA NOSTRA GENTE" (STANDARD, CHURCH/RELIGIOUS AFFAIRS) 
       
      "Tutti gli uomini di buona volontà devono impegnarsi contro una possibile ripresa delle ostilità nei confronti dell'Iraq". A parlare è il patriarca di Babilonia dei Caldei (Baghdad), Raphël I Bidawid. Il presule ha dichiarato alla MISNA, senza mezzi termini, che un eventuale attacco contro il suo Paese si trasformerebbe in una vera e propria catastrofe per la popolazione civile. "Il terrore a Baghdad è forte, la gente conosce benissimo l'orrore dei bombardamenti". Ancora ricorda bene le bombe intelligenti sbagliare stupidamente bersaglio. Nella capitale irachena, spiega il patriarca, la paura s'è diffusa a macchia d'olio quando oggi "l'urlo delle sirene ha riportato tutti indietro di dieci anni. Non importa che si sia trattato di un'esercitazione. Quelle sirene erano foriere di sventure: l'Iraq sembra prepararsi al peggio". In effetti solo ieri il quotidiano inglese 'The Guardian' ha scritto che Cia e Pentagono hanno iniziato a studiare un'offensiva con lo scopo di abbattere il governo del presidente Saddam Hussein. "Bisogna evitare che una nuova guerra scoppi, ma soprattutto occorre scongiurare le ripercussioni non solo nella regione mediorientale ma anche su scala planetaria", ha spiegato monsignor Bidawid. "In questo contesto - prosegue - c'è un popolo umiliato, distrutto fisicamente e psicologicamente da un embargo che, giusto o non giusto, doveva e poteva avere forme diverse". Il risultato è che continua a crescere la rabbia e l'odio verso gli Stati Uniti, anche se non si possono dimenticare le responsabilità del regime iracheno. "Se non riusciamo ad evitare questa guerra, se non riusciamo a sentire la voce di queste persone, le più povere e abbandonate che all'unisono invocano la pace, allora non siamo più degni di essere chiamati uomini.(ED IO AGGIUNGO CRISTIANI!) Dobbiamo sforzarci di fare del nostro mondo, un mondo nuovo di amore e di benessere. Occorre saggezza, sapienza e soprattutto dialogo per scongiurare inutili e inumane spirali di violenza, frutto di un odio irrefrenabile", conclude il patriarca. In Iraq vivono 22 milioni di musulmani e un milione di cristiani di varie tradizioni e confessioni religiose, l'80 per cento dei quali cattolici.

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NO ALLA GUERRA, SENZA "SE" E SENZA "MA"
Marcia per la pace da Genova a La Spezia
Siamo di fronte ad un nuovo e più aggressivo modello di società, che vede nella guerra una modalità di regolazione dei rapporti internazionali ed un motore di sviluppo occupazionale ed economico.
In questo contesto, per la terza volta in dieci anni, l'Italia è coinvolta direttamente in una guerra:

INUTILE, perchè inadeguata a colpire il terrorismo internazionale
CRIMINALE, perchè moltiplica ogni giorno le vittime innocenti
ILLEGALE, perchè esplicitamente vietata dalla nostra Costituzione.
Vogliamo far risuonare forte e chiaro il nostro NO a questa ed a tutte le guerre, in qualunque modo vengano definite.
Per questo proponiamo una marcia di tre giorni,  che parta dal palazzo ducale di Genova e raggiunga l'arsenale di La Spezia; che tocchi le fabbriche d'armi della regione e che comprenda contestuali iniziative in  tutte le province liguri.
Durante il percorso  intendiamo dialogare con il maggior numero possibile di persone, proponendo la nostra fiducia in una cultura e una pratica di pace e nonviolenza. Intendiamo queste parole non come simboli di accettazione dell'iniquo ordine esistente, ma come  tentativo di  rendere reale, anche nei metodi di lotta, la nostra volontà di costruire  rapporti più giusti tra gli uomini e tra i popoli.
I punti di partenza e di arrivo  sono luoghi simbolici del volto aggressivo della politica internazionale. Il palazzo ducale è il luogo dove i potenti della terra si sono riuniti nel luglio scorso: dichiarando di voler costruire un mondo migliore, volevano in realtà solo ribadire e rendere evidente il proprio potere, fondato sulla forza delle armi e del denaro.
L'arsenale militare della Spezia è il principale  simbolo della presenza militare nella regione ed una delle principali installazioni italiane e NATO del Tirreno. In questi luoghi, ed in tutti quelli toccati dalla marcia vogliamo ribadire la nostra volontà di ricercare un'alternativa possibile alla violenza ed alla guerra.
In questo senso, la nostra presenza fuori dalle fabbriche non deve essere vista come contrapposizione a chi in esse lavora: nostro obiettivo è la comune ricerca e proposta di una diversificazione produttiva che non penalizzi occupazione e retribuzioni.

Itinerario

Mercoledì 27 febbraio-
ore 18/19 : ora in silenzio per la pace sui gradini del palazzo ducale.
L'iniziativa, che  si ripete ogni settimana dal settembre scorso , sarà dedicata  all'informazione sulle motivazioni della  marcia

giovedì 28 febbraio
ore 18: simbolico via alla marcia dal palazzo ducale, con musica ed interventi  politici

venerdì 1° marzo
ore 14 : Partenza dal porto di Nervi, i marciatori a piedi, ed i canoisti di "canoa verde " via mare.
ore 15    arrivo a Bogliasco stazione FS ;  discesa sulla spiaggia ed incontro con i canoisti.
Si prosegue lungo la via Aurelia per  Pieve Ligure, Sori, Mulinetti,  Recco. Sosta per un volantinaggio sul lungomare  Marinai d'Italia ;
ore 17,30 prosecuzione per Via Romagneno fino alla passeggiata a mare di Camogli; discesa al porto,  volantinaggio e risalita in paese davanti al municipio
ore 21 iniziativa politico musicale in via di definizione.
Pernottamento presso la società pesca sportiva di Camogli

sabato 2 marzo
ore 9. partenza dalla stazione ferroviaria di Camogli e risalita sulla Via Aurelia fino alla Ruta; prosecuzione per S.Lorenzo dalla Costa
ore 12 . arrivo a  Rapallo;  sosta per volantinaggio e pranzo,
ore 14  risalita sulla Via Aurelia di Levante, ,Zoagli e prosecuzione per le Grazie
ore 18 fiaccolata dalle Grazie a Chiavari ed a Lavagna
ore 21:arrivo Lavagna cena, concerto.
Ospitalità presso famiglie di Sestri Levante e Lavagna

Domenica 3 marzo
ore 9,30  Partenza da Sestri Levante e attravesamento della città
ore 11. arrivo a Riva Trigoso ed incontro con Canoa Verde sulla spiaggia.
ore 12 Catena umana intorno al cantiere di Riva Trigoso, pranzo e partenza in treno per La Spezia.
Contemporaneamente gli spezzini percorreranno il tratto da Riomaggiore alla Spezia
ore 17: arrivo alla Spezia e congiungimento tra i due spezzoni della staffetta.
Dibattito in un teatro cittadino sull'industria militare in Italia e le possibilità di riconversione  nel civile. Festa - concerto e conclusione della marcia


Hanno aderito i seguenti gruppi ed associazioni:
Associazione Progetto Drim ; Attac -Genova; Berretti bianchi; Canoa verde; Centro Ligure di documentazione per la pace; Città aperta, Genova ; Comunità S. Benedetto al porto - Genova; Emergency Liguria; Forum ambientalista; Forum Sociale Genovese;Forum Sociale La Spezia;  Forum sociale Novi Ligure; Forum Sociale Ponente genovese; Forum Sociale Valbisagno; Forum Sociale Valpolcevera; Pax Christi; Rete controg8 per la globalizzazione dei diritti ; Rete Lilliput, nodo di Genova ; Rifondazione Comunista; Sinistra Verde; Zucchero Amaro, associazione del commercio equosolidale - Tigullio; Andrea Agostini, legambiente Genova;  Giovanni Alioti, del Centro Ligure di documentazione per la pace; Enrico Amprimo, del Comitato per la verità sulla Baia delle Favole;  Franca Balsamo,Genova;  Edoardo Baraldi,di Attac Tigullio; Franco Barchi, Genova ; Adriana Barontini, di Pax Christi;  Mimmo Barisone, Sestri Levant; , Tom Behan, Londra, di Global Resistence;  Norma Bertullacelli, della rete controg8 per la globalizzazione dei diritti; Pippo Bizzi, Foligno, pres. Progetto Drim; Paola Bobbe, Genova;  Gianni Borsa, del Partito Rifondazione Comunista del Tigullio; Carlo Brizi, della CGIL FP Liguria ;  Antonio Bruno, del Forum Ambientalista ; Laura Caligaris, del Comitato per la verità sulla baia delle favole; Elisabetta Canepa, Genova, del forum sociale della Valpolcevera; Francesco Castracane, Roma;  Livio Cresti, del forum sociale del ponente genovese ; Edda Cicogna, Genova, di Transcultura donna ,;  Giacomo Conti, consigliere comunale PRC Sestri Levante ;  Giuseppe Coscione, del movimento delle comunità cristiane di base;  Stefano Delbene, Genova ; Chiara De Poli, commercio equosolidale Tigullio;  Roberto Demontis, Città aperta;  Sabina Eandi, Genova; Renato Fancello, ambientalista; Fabio Fazio, artista; Gianni Ferretti, consigliere comunale Genova del PRC , ; Graziella Gaggero ,della rete controg8 per la globalizzazione dei diritti ; Angelo Gandolfi, ass. Berretti bianchi ; Valerio Gennaro,dei medici per l'ambiente; Fabio Giunti, di Pax Christi-Genova; Giuseppe Gonella, del forum sociale del ponente genovese ; Fernanda La Camera, rete contrgo8 per la globalizzazione dei diritti; Monica Lanfranco, dir. rivista "Marea";  Pietro Lazagna, rappr.del circolo Dossetti alla Tavola per la pace-Spezia;Roberto Leone, del Forum sociale della Valbisagno   Antonio Lupo, ambientalista ; Deborah Lucchetti, rete Lilliput Genova ,;  M.Lodovica Marini, circoli Lea Arte cinema e Lamaca Gioconda ;  Paola Manduca, della rete controg8 per la globalizzazione dei diritti;Francesco Martone, senatore Verdi;   Luca Moro,rete controg8 per la globalizzazione dei diritti;  Davide Motto,del forum sociale di Novi Ligure;  Fabio Nardini, dello Spezia Social Forum ; Pino Parisi, del Centro Italiano Aiuto all'Infanzia ;  Ornella Petrachi, portavoce Attac Tigullio; Lorenzo Podestà,  del gruppo di affinità Macondo; ,Gino Ramezzano, presid. commercio equo e solidale del Tigullio; Attilio Ratto, del PRC e delle Rappres. Sind. di base; Marinella Ravettino di Attac Tigullio; Gianni Russotto, del Forum Sociale della Valpolcevera ; ,Piero Sarolli, dei Cobas scuola; Aldina Schiaffino, , rete per la globalizzazione dei diritti ; Carlo Schenone, Genova,  Pierluigi Scotto,  Legambiente; Gianluca Secco, Rete Lilliput della Spezia; Valter Seggi, assessore PRC del Comune di Genova; Laura Solari, ambientalista; Sergio Tedeschi, della rete controg8 per la globalizzazione dei diritti e del CLDP;  Mariella Todaro, della Compagnia del Libro Parlante; Gianna Valsuani, Sestri Levante; Giorgio Viale, Chiavari; Gianni Volonté,Fenegrò (CO); Alex Zanotelli, missionario comboniano; Alberto Zoratti,  rete Lilliput/roba dell'altromondo ; Franco Zunino, del PRC Liguria
 
Norma - Genova   adesioni: marciagespe@controg8.org  

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