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Comunicato stampa Ore 17,05 Storiella balzana con secondi fini non troppo evidenti.
Questo fine settimana alcuni sognatori
marceranno da Perugia ad Assisi per rincorrere una speranza assai
lontana: la pace.
Se qualcuno di voi ha a cuore questo
tema, si metta al più presto in contatto con me o con il
granello di Senape.
Davide.
Dario Fo e Franca Rame
7 Ottobre 2001
Appello al Presidente della Repubblica Signor Presidente,
Guerra, divisione fra gerarchie e volontariato
UNO STRACCIO DI PACE
LA ROSA BIANCA CONTRO LA GUERRA "Niente di ciò che è inefficace ha valore" Il Parlamento italiano ha votato l’entrata in guerra. In nome del realismo. Anche noi crediamo fermamente che la lotta al terrorismo islamico debba
essere realistica. Come ha detto Simone Weil: "Niente di ciò che è
inefficace ha valore." Ma proprio per questo stesso motivo,
esprimiamo il nostro più profondo dissenso per la scelta fatta. Questa
guerra non ha nessun valore perché sta dimostrando ogni giorno di più la
sua totale inidoneità a raggiungere lo scopo che dichiara di voler
perseguire.
Il realismo è contro di voi, parlamentari di destra e di sinistra cha
avete votato una guerra senza neanche ottenere qualche garanzia sui tempi
e sui modi del suo svolgimento.
Il realismo spinge di nuovo a chiedere capacità di intelligence
per arrivare a colpire i veri colpevoli, lotta all'economia illegale e ai
paradisi fiscali, creazione immediata dello Stato palestinese, superamento
delle politiche economiche liberiste. Milano, 7 novembre 2001
da Primo Piano - Venerdì 09 Novembre 2001
"Contro la guerra, contro il WTO"
No alla guerra! Non avrà mai più il mio voto elettorale chi ha sostenuto e appoggiato
la GUERRA calpestando tra l'altro (e non è poca cosa!!) l'art. 11 della
nostra Costituzione. Vi inoltro la risposta dei Democratici per l'ulivo alla mia protesta per
quei Parlamentari di Sinistra che avevano votato a favore dell'invio e
coinvolgimento dell'Italia nella guerra.
La Lega Obiettori di Coscienza, dopo il voto plebiscitario dei due rami
del parlamento del 7 novembre che ha autorizzato l'intervento militare
italiano in Afghanistan, intervento che si configura come un'azione di
guerra aggressiva che accetta come inevitabili le morti e i danni fisici,
psichici e morali inflitti alla popolazione civile, ritiene incompatibile
con il loro status il voto favorevole espresso da deputati e senatori, a
partire dal leader della coalizione dell'Ulivo Francesco Rutelli, che nel
corso degli anni hanno dichiarato la loro obiezione di coscienza al servizio
militare usufruendo della legge 772/72 e della Legge 230/98.
INCONTRO NAZIONALE PAX CHRISTI GIOVANI FIRENZE Casa per la Pace “…SENTIERI NONVIOLENTI…” 23-24-25
Novembre 2001 Questi sono i giorni della
guerra. Questi sono i giorni in cui sembra impossibile l’ascolto, il
dialogo, la costruzione di una prospettiva comune tra i popoli. Il
terrorismo da una parte e la “nostra” risposta militare dall’altra
sembra che sottilmente affermino che l’unico metodo possibile per
risolvere i conflitti sia “schiacciare” l’altro. E questa mentalità
sta drammaticamente diffondendosi non solo nel rapporto tra i popoli ma
anche sul piano delle relazioni tra le persone. Certo, tutti vogliamo la
pace ! Ma , sia ben chiaro, il realismo impone di credere che l’uso della
forza sia l’unico modo per ottenerla! ... ... In tutto questo, torna in
mente un’affermazione di Ghandi : “Il mezzo è il fine in
costruzione”. E allora le domande nascono incalzanti: potremo mai
costruire rapporti di pace con la violenza? Potremo mai costruire un mondo
di pace attraverso la violenza? Noi NON lo crediamo! Anzi, citando un
pensiero di Martin L. King quanto
mai attuale, “oggi non è più questione di scegliere tra violenza e
nonviolenza. Si tratta di scegliere: o nonviolenza o non esistenza”. Il futuro è nelle nostre mani; a noi la responsabilità e la gioia di scegliere come costruirlo! Vi aspettiamo numerosi !!!!!! ... Da tutte le parti d’Italia !!!!! SHALOM !!!!!!!!!!!!!! Programma:Venerdi 23 sera: Arrivo & accoglienza Sabato 24:
-I campi estivi di Pax Christi
-International
youth routes
-Youth hostel in London
-Marcia della pace di fine anno -Pellegrinaggio in Salvador/Guatemala -Incontro di Pax Christi International a Mainz
-Pax Christi nella Rete di Lilliput e nei Social Forum
-La voce di Pax Christi: Mosaico, “I Care”, Webpage 13:00
Pranzo 17:00-17:30
Coffee Break 20:00 Cena 21:00
!!!
Grande Festa !!! Domenica 25
9:00-11:00 Escursione a piedi nelle colline fiorentine 11:00- 13:00
Super celebrazione Eucaristica 13:00 Pranzo e bye bye…!!! Per informazioni/iscrizioni Paolo
349-6053229 Massimo
335-7023780
Lettera a Berlusconi Signor
Presidente, Con osservanza
Pax Christi Diocesi di Locri – Gerace Le violenze della globalizzazione Percorsi di liberazione a partire dai Sud del mondo 29-30-31 dicembre 2001 Teatro Salesiani –Locri Convegno Da Genova a Kabul i meccanismi perversi della
globalizzazione stanno mettendo in evidenza tutto il potenziale di
violenza e terrore che possono scatenare. Programma
Sabato 29 dicembre ore 16: apertura della segreteria, accoglienza e sistemazione ore 18,30: Concerto di Natale ore 20: Festa di convivialità con i colori, i suoni e i sapori della Calabria
Domenica 30 dicembre ore 9,30: apertura dei lavori Mons. Diego Bona Presidente di Pax Christi Italia ore 10: "Il re non si salva per un forte esercito" - Mons. Giancarlo Bregantini Vescovo di Locri - Gerace ore 11: pausa ore 11,30: dibattito ore 15,30: Gruppi di lavoro ore 18: In plenaria... ore 20,30: Recital e visita a Gerace Lunedì 31 dicembre ore 9,30: Tavola rotonda ore 11: pausa ore 11,30: dibattito ore 17: inizio Marcia per la Pace introduce Gianni Novello Comunità Santa Maria della Grazie – Rossano Calabro Note tecniche Come arrivare In auto provenendo da Nord sulla Salerno –
Reggio Calabria uscire a Rosarno In treno provenendo da Nord, seguire la
direzione Lamezia Terme – Catanzaro Lido – Locri. In aereo: aeroporto di Lamezia Terme. Proseguire in auto o in treno, secondo le indicazioni precedenti. Informazioni Pax Christi - Segreteria nazionale
Da Emergency
VITTIME DA BOMBARDAMENTI SU KABUL
NOME E COGNOME, SESSO, ETÀ, LESIONE, DATA E LUOGO DEL BOMBARDAMENTO Aihasha Abdul Malik, F, 3 anni, amputazione di gamba, lesioni multiple agli arti, intossicazione polmonare, 10 ottobre, Mikrorajon. Zarwali Almar, M,10 anni, amputazione di gamba destra e lesione dei tessuti molli alla mano destra e gamba sinistra, 10 Ottobre, Saroby. Jawed M. Alam, M, 10 anni, frattura bilaterale agli arti inferiori, 10 Ottobre, Boni-hosar Raqeba M. Jan, F, 30 anni, lesioni dei tessuti molli agli arti inferiori bilateralmente, 11 Ottobre, Tarakhel Saleha Moheb, F, 10 anni, ferita al torace, 11 Ottobre, Karte Se Ahmad Khan Janay Ahmad, M, 35 anni, frattura di caviglia destra, 12 Ottobre, Qargha M. Omar Khan, M, 10 anni, lesione ai tessuti molli gamba destra, 12 Ottobre, Qargha M. Azghar Ali Ahmad, M, 40 anni, trauma ginocchio destro, 12 Ottobre, Qargha Abdul Moqim Rahim, M, 20 anni, frattura esposta di tibia sinistra, 12 Ottobre, vicinanze aeroporto Naiheb M. Ranq, M, 4 anni, trauma cranico, 12 Ottobre, vicinanze aeroporto Nasir Ahmaed Gul M. Abd, M, 20, lesione mano sinistra,12 Ottobre, Khair Khana Abdullah Hamid Hakim, M, 24 anni, lesione mano destra, vicinanze aeroporto Wahed Abdul Jahl, M, 22 anni, lesioni alla gamba destra, 12 Ottobre, Qargha Farema M. Sarwer, F, 25 anni, lesioni gamba destra, 12 Ottobre, Mikrorajon Negena M. Salem, F, 10 anni, frattura cranica, 12 Ottobre, vicinanze aeroporto Waheda M. Nesar, F, 4 anni , ferita penetrante all'addome, 12 Ottobre, Rish Khor M. azam, M, 20 anni, frattura di gamba sinistra, 14 Ottobre, Karte Parwan Breshna M. Ghous, F, 1 anno, dispnea da inalazione, 14 Ottobre, Badam Bagh Zarmina Amanullah, F, 7 anni, lesione penetrante al fianco destro e gomito destro, 14 Ottobre, Debury (paziente deceduta) Fazela Amanullah, F, 5 anni, frattura di ginocchio destro, 14 Ottobre, Debury Parwana Amanullah, F, 11 anni, ferita alla gamba destra, 14 Ottobre, Debury Ferozan Amanullah, F, 14 anni, ferita al gluteo destro, 14 Ottobre, Debury Najibullah M. Yassir,M, 12 anni, ferita penetrante all'Addome, 14 Ottobre, Debury Latifa Allah Ghuiam, F, 25 anni, ferita al volto ed alla coscia destra, 14 Ottobre, Debury Peer Mohamad, M, 63 anni, ferita alla coscia destra, 14 Ottobre, Niaz Big Jan Sharif M. Jan, M, 35 anni, ferita penetrante al torace e addome, 15 Ottobre, Karte Parwan Abdul Bary, M, 6 anni, ferita al gluteo ed all'avambraccio, 15 Ottobre, Afshar Omel Ahmad , M, 3 anni, ferita al cranio, 15 ottobre, Afshar. Abdul Habib Abd. Qadir, M, 65 anni, ferita coscia destra, 15 Ottobre, Afshar M. Alam Allah Dad, M, 40 anni, frattura di gomito, 15 Ottobre, Qasaba M. sadiqAbd. Mazid, M, 70 anni, frattura ala iliaca sinistra, 15 Ottobre, Khair Khana Noor Aga Abd. Ghafur, M, 34 anni, ferita piede destro, 16 Ottobre, Khair Khana Nezamudin Noorudin, M, 30 anni, frattura di rotula destra, 16 Ottobre, Badam Bagh Gulbigum M. Dad, F, 40 anni, frattura cranica, 16 Ottobre, Qable Bye Khuda Dad Nowroz, M, 28 anni, ferita penetrante al torace, 17 Ottobre, Qalav Shadan Khuda Dad Rostam, M, 22 anni, ferita al dorso, 17 Ottobre, Qalav Shadan Khanabudin Mostara, M, 28 anni, ferita bilaterale alle gambe, 17 Ottobre, Qalav Shadan Morad Ali M. Mussan, M, 21 anni, frattura di bacino, 17 Ottobre, Qalav Shadan M. Raza M. Wakl, M, 13 anni, ferita penetrante all'addome, 17 Ottobre, Qalav Shan Sulaiman Agha M., 16 anni, ferita al cranio, 17 Ottobre, Khoshal Khan Shabana Agha M., F, 13 anni, ferita agli arti, 17 Ottobre, Khoshal Khan Shad M. Dad M., M, 21 anni, ferita alla gamba destra, 17 Ottobre, Khoshal Khan Najiba M. Ayub, F, 40 anni, ferita al cranio, 17 Ottobre, Shari-now Basnooa M. Afzal, F, 40 anni, frattura di bacino, 17 Ottobre, Kair Khana Abdul Wakl M. Arzal, M, 40 anni, ferita al bacino, Pz in Shock ,17 Ottobre, Kair Khana, Niaz Moh Ghulam M., M, 7 anni, ferita al cranio, Pz. In coma, 17 Ottobre, Kolola Pushta, Bakara Zar Alam, F, 45 anni, ferita al cranio, 18 Ottobre, Pushta Enihesar Mohammed Sher Mohammed, M, 23 anni, lesioni arti superiori, 18 ottobre, Microrayon. Norullah Nezamudin, M, 28 anni, ferita cerebrale, 18 ottobre, Qargha. Aminullah Momin, M, 50 anni, frattura pelvica, 18 ottobre, Badam Bagh. Sarajudin Fazudin, M, 55 anni, ferite al collo e alle corde vocali, 18 Ottobre, Khairkhana. Zamari Mirajan, M, 20 anni, fratture multiple arti inferiori, 18 ottobre, Khairkhana. Abdul Kabir Mohammed, M, 60 anni, ferite penetranti agli occhi, 18 Ottobre, Khairkhana. Haroon Agha Sherin, M, 12 anni, ferrite agli arti inferiori, 18 ottobre, Khairkhana. Shamsudin Qader, M, 22 anni, ferite multiple al volto, 18 ottobre, Khairkhana. Zaher Mohammed Alam, M, 35 anni, ferrite alla gamba destra, 18 ottobre, Khairkhana. Kamila Khoja Masod, F, 45 anni, ferite multiple al volto, 18 ottobre, Microrayon. Khosh Abdul Fatah, F, 7 anni, ferita cerebrale penetrante, 18 ottobre, Microrayon. Ahmed Osman, M, 10 anni, ferita cerebrale penetrante, 18 ottobre, Microrayon. Anisa Mohammed Gul, F, 8 anni, ferita cerebrale penetrante, 18 ottobre, Char-Qalla. Zobidullah Rahmatullah, M, 18 anni, ferite toraciche, 18 ottobre, Khairkhana. Shah Malang-Sar Baland, M, 30 anni, ferite alla gamba destra, 18 ottobre, Khairkhana. Samir Zamir, M, 13 anni, ferita cerebrale penetrante, 18 ottobre, Khairkhana. Gulam Rasul Ayub, M, 40 anni, politraumatizzato, 18 ottobre, Khairkhana. Shamsudin Mohammed Nazeer, M, 19 anni, ferrite al volto, 19 ottobre, Khairkhana. Sarwer Mohammed Ayub, M, 45 anni, ferita cerebrale penetrante, 21 ottobre, Khairkhana. Nadia Mohammed Sarwer, F, 3 anni, ferita cerebrale penetrante, 21 ottobre, Khairkhana. Hanifa Mohammed Sarwer, F, 23 anni, ferite penetranti agli occhi, 21 ottobre, Khairkhana. Zafonon Sarwer, F, 25 anni, ferita cerebrale penetrante, 21 ottobre, Khairkhana. Najia Mohammed Sarwer, F, 8 anni, trauma cranico, 21 ottobre Khairkhana. Rabia Mohammed Sarwer, F, 7 anni, trauma cranico, 21ottobre, Khairkhana. Malyar Zekria, M, 7 anni, ferita cerebrale penetrante, 21 ottobre, Khairkhana. Hasanullah Zekria, M, 8 anni, ferita cerebrale penetrante, 21 ottobre, Khairkhana. Arif Mohammed Asif, M, 5 anni, trauma cranico, 21 ottobre, Khairkhana. Nesar Qand Agha, M, 3 anni, ferita cerebrale penetrante, 21 ottobre, Khairkhana. Fin qui i feriti accertati, tutti colpiti da frammenti di bombe e/o razzi. Nel popoloso quartiere di Khairkhana, in Kabul, dove sono state bombardate numerose abitazioni, abbiamo potuto verificare i seguenti nomi di pazienti deceduti sul posto: Bilal Gulam Rasul, M, 4 anni, deceduto, 21 ottobre Khairkhana. Kaled Gulam Rasul, M, 6 anni, deceduto, 21 ottobre, Khairkhana. Wares Gulam Rasul, M, 12 anni, deceduto, 21 ottobre, Khairkhana. Samin Gulam Rasul, M, 9 anni, deceduto, 21 ottobre, Khairkhana. Said Mir-Said Jan, M, 30 anni, deceduto, 21 ottobre, Khairkhana. Said Mir-Said Mir, F, 26 anni, deceduta, 21 ottobre, Khairkhana. Nazira-Said Mir, F, 21 anni, deceduta, 21 ottobre, Khairkhana. Sofi Kasim, F, 39 anni, deceduta, 21 ottobre, Khairkhana. Aziza-Khoja Fagir, F, 23 anni, deceduta, 21 ottobre, Khairkhana. Il 18 ottobre 6 persone sono state uccise dai bombardamenti a Microrayon: non siamo per ora in grado di fornire i nomi. Il 21 ottobre altre 12 persone per ora non identificate sono state uccise dai bombardamenti a Khairkhana, dove tre case sono state completamente distrutte. Di queste famiglie sono rimasti vivi solo due bambini, secondo le verifiche fatte dal personale infermieristico di EMERGENCY a Kabul. Cercheremo di fornire aggiornamenti quanto prima. Najib e gli altri dell'Emergency Team in Kabul Aggiornamento del 1 Novembre 2001 Mohammed Hassan, M, 22 anni, ferita al braccio sinistro, 21 ottobre, Khairkana Matiullah, M, 7 anni, ferite alle gambe, 21 ottobre, Shakar Dara Bashir, M, 5 anni, ferite al fianco e alle gambe, 21 ottobre, Shakar Dara Sardar Mohammed, M, 20 anni, ferita al cervelllo, deceduto, 21 ottobre, Shakar Dara Feraidun Khak Sar, M, 22 anni, frattura cranica, 23 ottobre, Bini-Hasar Mohammed Musen, M, 45 anni, ferite al torace e alla spalle, 23 ottobre, Bini-Hasar Nabi Rohani, M, 8 anni, ferita penetrante al cervello, 23 ottobre, Khost Aareza Quadratullah, F, 7 anni, ferita cranica penetrante, 23 ottobre, Karte Nau Bibi Zarlo, F, 60 anni, ferita alla gamba, 23 ottobre, Kohi Safi Abdul Shafiq, M, 23 anni, trauma cranico, 23 ottobre, Khairkana Morsal Sheto, M, 5 anni, trauma cranico, 23 ottobre, Arzan Qimat Zabiullah, M, 10 anni, frattura esposta di gamba, 25 ottobre, Tagab Jan Aga, M, 25 anni, ferite alla testa e alle gambe, 25 ottobre, Shakar Dara Abdul Saboor, M, 7 anni, frattura esposta di gamba, 25 ottobre, Bini Hesar Shafiqa, F, 25 anni, politraumatizzata, 25 ottobre, Khairkana Gul Saheb, F, 50 anni, ferita alla mano, 25 ottobre, Logar Bistora Mohammed, F, 40, ferita alla gamba, 25 ottobre, Khairkana Farema, F, 25 anni, frattura di ginocchio, 25 ottobre, Microrayon Ragiba Marjan, F, 20 anni, ferita alla gamba, 25 ottobre, Pagman Zabiullah Abdul Rab, M, 20 anni, ferito alla testa, 25 ottobre, Khairkana Saheb Bigur Sher Aga, F, 8 anni, deceduta, 25 ottobre, Char Qala Raihan Sher Aga, F, 7 anni, deceduta, 25 ottobre, Char Qala Shenin Aga, M, 35 anni, ferite superficiali, 25 ottobre, Kabul Mohammed Anwer, M, 45 anni, ferita al braccio, 26 ottobre, Deh Khudaidad Mohammadullah, M, 14 anni, ferita penetrante l'addome, 26 ottobre, Karte Nau Farhad Mohammed Rasul, M, 18 anni, ferita alla spalla, 26 ottobre, Khairkana Shafiq Ahmad, M, 35 anni, deceduto, 26 ottobre, Yaka Toot Toryalai Bahader, M, 12 anni, ferita alla testa, 28 ottobre, Microrayon Din Mohammed, M, 50 anni, ferite alla testa e al volto, 28 ottobre, Qalai Khater E, in coda alla lista, la storia di una famiglia che non c'é più... Gul Ahmad, capofamiglia, M, 60 anni, deceduto, 28 ottobre, Qalai Khater Sima, moglie di Gul, F, 50 anni, deceduta, 28 ottobre, Qalai Khater Sidiqa Gul Ahmad, F, 17 anni, deceduta, 28 ottobre, Qalai Khater Shokria Gul Ahmad, F, 16 anni, deceduta, 28 ottobre, Qalai Khater Razia Gul Ahmad, F, 10 anni, deceduta, 28 ottobre, Qalai Khater Zakera Gul Ahmad, F, 8 anni, deceduta, 28 ottobre, Qalai Khater Fahima Gul Ahmad, F, 5 anni, deceduta, 28 ottobre, Qalai Khater Ramazan Gul Ahmad, M, 12 anni, deceduto, 28 ottobre, Qalai Khater Jaweed Gul Ahmad, M, 20 anni, ferite al volto e alle mani, 28 ottobre, Qalai Khater
SPETACLE Sonnambulo in pieno mezzogiorno Scusate tanto Il mio dovere non l’ho mai saputo fare Ho solamente una piccola pipa Non sono uno regolare Jacques Prevert, da Spetacle
LETTERA APERTA A CHI PENSA CHE
LA GUERRA SIA IL MALE MINORE
dai volontari dell’AIFO, Asssociazione Italiana Amici di Raoul Follereau Un celebre libro di dom Helder Camara, vescovo brasiliano e
compagno di strada dei più poveri, s’intitola "Mille ragioni per
vivere".
Ai mezzi d'informazione e ad alcuni altri destinatari
interessati
PEACELINK - TELEMATICA PER LA PACE www.peacelink.it
La dimensione globale della sofferenza come movente di una globalizzazione solidale. La guerra è iniziata, una guerra non dichiarata perché
il nemico non ha, si diceva, identità, una guerra che è tutt’altro che di intelligence
almeno fino a questo momento e anche tutt’altro che intervento chirurgico.
Come spesso avviene ci sono gruppi schierati a favore o contro e un grande
numero di persone confuse fra le varie teorie e posizioni. Essere pro o contro
la guerra è inopportunamente
interpretato come un essere pro o contro gli USA, quasi un rimasuglio di
guerra fredda. Non si può non essere solidali con quel popolo che ha subito
un così grave attacco terroristico; ciò non significa ritenere sempre
opportuno tutto ciò che essi fanno per rispondere a questo attacco. C’è da
lamentare la grande assenza dell’ONU, in crisi sì ma anche sempre
volutamente ignorata proprio dagli USA. Noi siamo di fronte ad un fatto
politico che chiede discernimento; discernimento non solo morale ma anche
politico. E’ possibile non condividere tutto ciò che viene dagli USA, né
rifiutare tutto; abbiamo probabilmente amici americani e certamente fratelli
nella fede fra di loro. La nostra libertà e
democrazia deve molto a loro, ma ciò non ci esonera da un
discernimento che tutto l’occidente deve fare, mettendosi in discussione
rispetto al resto del mondo. Questo deve avvenire anche non chiudendo gli
occhi rispetto ai rischi che frange estese ed estremiste di islamici
costituiscono per noi; di questo ormai siamo coscienti e dobbiamo uscire da un
ingenuo atteggiamento bonario. Tutti, perfino troppi, hanno insistito su una
guerra non di religione, e sembra da noi un dato recepito. Semmai noi
cristiani metteremo a confronto le logiche e dovremo accettare la sfida se
quella evangelica è più umana e convincente, una logica di misericordia, di
amore, di pace che ha orizzonti universali. Don Franco Appi
L’11 settembre: un attentato
globale cui si deve una risposta globale di giustizia Il pluriattentato agli USA è un fatto globale che ha
sconvolto l’umanità e cambiato lo scenario politico Globale. Appena a
conoscenza del fatto ho inviato un messaggio di solidarietà alla segreteria
della università St. Thomas di St Paul Minnesota, con la quale ero
occasionalmente in contatto. Le avevo ricordato la preghiera di Pio XI:
“Domine, dissipa gentes quae bella volunt” “Disperdi, Signore, coloro
che vogliono la guerra, che sperano nella violenza”. Oltre la cifra dei
morti e dei feriti, angosciante, c’è il clima d’insicurezza e la
turbativa alla vita dell’intero pianeta. Si vuole rispondere a questo con
una guerra anomala ( descritta anche sporca, lunga, difficile), fatta contro
un nemico invisibile e sconosciuto. Anche fosse individuato in Bin Laden il
capo dell’organizzazione, sarebbe comunque difficile affrontarlo con
un’azione bellica classica. Si parla, infatti, di guerra d’intelligence,
cioè fondamentalmente con l’uso di servizi segreti. Osserviamo però le
cose anche da un altro punto di vista: la sicurezza si può ottenere solo con
la forza? Non discutiamo se è morale usarla o no; non in questo momento.
Anche se Giovanni Paolo II ci ha già ricordato quanto sia poco costruttiva e
come sia più utile un dialogo inter-religioso e inter-etnico. Dobbiamo
chiederci: la sicurezza è frutto solo della difesa e della chiusura? I
ricchi, per esempio, possono stare sicuri solo facendosi delle ville blindate?
Potremo vivere prigionieri di noi stessi per la paura dei ladri, o degli
attentati? Tutto è legittimo ma è anche strategicamente l’unico mezzo e il
più efficace? Anche se questi attentati non sono operati dai poveri del
mondo, Bin Laden è, infatti, un miliardario petroliere e per giunta fanatico,
la divisione iniqua della ricchezza, lo sfruttamento del sud del mondo, che
neanche in questa occasione va dimenticato, crea una divisione politica e
debolezza nella lotta al terrorismo. La sicurezza dell’occidente ricco sarà
solo affidata agli eserciti? Dovremo chiuderci e continuare a pensarci come
padroni del mondo pur avendo bisogno dei paesi poveri e delle loro
popolazioni, delle loro risorse di materie prime e di forza lavoro? Se
anche usassimo la ricchezza per dissuadere la rivolta, essa deve essere usata
come forza, facendo regali a chi ci aiuta, invece che essere più equamente
prodotta e distribuita?
Don Franco Appi LA VOCAZIONE ALLA PACE IN UN MONDO IN GUERRA Nella prima settimana di Novembre l’Italia è entrata
in guerra. Chi ha votato contro in parlamento (e per estensione chi non è
d’accordo nel paese) è stato giudicato da molti della maggioranza, non solo
antiamericano ma favorevole al terrorismo. E’ mai possibile che non si
riesca a parlare di problemi politici e di guerra senza un ciarpame ideologico
retorico e populistico d’altri tempi, che oltretutto offende
l’intelligenza della gente italiana?
Franco Appi
Hermann Goering: come convincere la gente comune a desiderare la guerra...
Il tradizionale Convegno Giovanile della Pro Civitate Cristiana di Assisi
quest'anno viene promosso e organizzato in collaborazione con Pax Christi,
ve ne inviamo il programma.
Care amiche e cari amici, vi presento il testo di un
Appello uscito qualche giorno fa e dedicato al delicato momento del dialogo
interreligioso (in particolare fra cristiani e musulmani). E' stato firmato da
parecchie personalità del mondo del dialogo in Italia, di diverse confessioni
cristiane.
I pacifisti si preparano per Ciampi
Mariagrazia Bonollo - uff.stampa Beati i Costruttori di Pace
"Conosciamo l'Alleanza del Nord".
Pax Christi
Alcuni mi hanno richiesto di conoscere il testo della presa di posizione che
alcuni teologi moralisti hanno assunto contro la guerra già nel mese di
settembre e che Avvenire ha pubblicato il 28 settembre scorso. Apparirà sul
prossimo numero di Mosaico di pace (novembre) che è in distribuzione in
questi giorni.
Segnalo l'intervento del Presidente di Pax Christi
Giovedi 15 novembre 2001. I sottoscritti preti di alcune diocesi di Sicilia
e Calabria desiderano offrire un contributo alla comune riflessione sui
tragici fatti di queste ultime settimane, con la seguente dichiarazione:
Tratto da Repubblica-cronaca di Bari del 18.11.01
Lettera aperta al Presidente Ciampi
Vi inoltriamo una lettera che abbiamo scritto a Guglielmo Minervini, in
risposta al suo articolo "I dilemmi della pace" che i Democratici
hanno inviato a padre Agostino Rota Martir.
Gennaro
Scala
Lotta
per il controllo delle risorse. Una prima analisi delle cause
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da "Gazzetta d'Alba" n.44 - 21 novembre 2001
Riflessioni di mons. Sebastiano Dho, a proposito di conflitti
"giusti" e di vittime innocenti
OGNI GUERRA AVVENTURA SENZA RITORNO
di mons. SEBASTIANO DHO (vescovo di Alba)
Avventura senza ritorno: questa definizione lapidaria delle guerre, di ogni
guerra, data da Giovanni Paolo II fin dai tempi dell'intervento militare
americano nel Golfo, dovrebbe risuonare quale richiamo martellante e
ineludibile, almeno per i cattolici tutti, pastori e fedeli laici, in questi
drammatici momenti in cui stranamente sembrano prevalere dubbi al riguardo o
un imbarazzante silenzio che finisce per attutire i rinnovati moniti del
Pontefice.
Non pochi credenti, più attenti e sensibili alle problematiche della
giustizia e della pace, si chiedono come mai, a livello di responsabili
pastorali italiani, non si faccia debita eco alle prese di posizione chiare
e coraggiose non di ideologi o estremisti politici, ma del Papa. Si
interrogano e soffrono perché sinceramente pensano che la Chiesa debba
essere più profetica e meno preoccupata di allinearsi alle scelte, peraltro
legittime, di questo o quel governo.
Si tratta infatti di responsabilità diverse per cui, senza negare le
competenze di chi rappresenta la pubblica autorità, non si può dimenticare
che la Chiesa, a livello di annuncio e di denuncia, è chiamata a
pronunciarsi, quando necessario, in modo diverso dalla logica mondana del
potere, soprattutto in difesa della vita degli innocenti, che hanno tutti lo
stesso valore e la stessa dignità, dalle vittime di New York a quelle
dell'Afghanistan e a tante altre.
In effetti, parecchi diocesani, sacerdoti e laici, hanno richiesto una
parola semplice, ma chiara, a chi porta la responsabilità di guidare la
Chiesa, non solo a proposito della strage operata dai terroristi in Usa, ma
pure sulla reazione, in primo tempo autoproclamatasi "giustizia
infinita", da parte degli americani e dei loro alleati, con i
bombardamenti e i massacri delle povere e innocenti popolazioni afghane.
Credo sia giusto tentare di dare una risposta onesta a queste attese, senza
alcuna pretesa di infallibilità, ma pure senza timore di scontentare
qualcuno.
1. Innanzitutto mi pare importante denunciare la capziosità del dilemma
molto gridato: «Chi non accetta la guerra proclamata dagli Usa sta con i
terroristi». Si può e si deve condannare ogni forma di terrorismo, non
solo quello contro l'America, e nel tempo stesso dissentire legittimamente
dal modo con cui si vuole eliminare il gravissimo pericolo.
2. Ma possono esistere (ancora) guerre "giuste"? Prescindendo da
ogni discussione storica, ci limitiamo a ciò che oggi emerge a livello di
magistero e di riflessione teologica ecclesiale. È vero che il Vaticano II,
quando nella costituzione pastorale Gaudium et Spes tratta il problema della
guerra, al n. 79 ammette che, «finché non vi sarà un'autorità
internazionale competente munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte
le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai
governi il diritto alla legittima difesa», ma, subito dopo, il Concilio
continua con altre affermazioni, tali da rendere praticamente impossibile
l'applicazione concreta di questa possibilità teorica. Infatti, dopo aver
brevemente
descritto, e solo in parte (siamo nel 1965!), l'inumana tecnica bellica
moderna, sostiene che comunque «ogni atto di guerra che indiscriminatamente
mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro
abitanti è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e
senza esitazione deve essere condannato» (n. 80).
Il Vaticano II condanna perciò la guerra "totale" che di fatto
mira a far vincere non importa come (è il caso dell'uso di armi nucleari,
già tristemente collaudato proprio dagli Usa in Giappone). E per questo
recentemente il cardinale Ratzinger ha dichiarato che «le risposte
elaborate dalla tradizione cristiana, a proposito della guerra di difesa,
devono essere aggiornate sulla base delle nuove possibilità di distruzione,
dei nuovi pericoli. Provocare, ad esempio, con una bomba atomica la
distruzione dell'umanità, può forse anche escludere ogni difesa».
3. Ma si impone un'ulteriore precisazione. È nella natura intrinseca della
guerra che l'uomo sia armato per colpire e uccidere un altro uomo. Ciò
senza alcun rapporto diretto con un avversario, come avviene in caso di
legittima difesa. La quale, peraltro, anche quando è giustificabile, lascia
sempre un segno indelebile e traumatizzante in una coscienza sensibile.
4. L'assurdità e l'immoralità della guerra consistono esattamente in
questo: essa fa delle vittime non solo in coloro che sono colpiti a morte
senza essere responsabili di alcun crimine e quindi innocenti, ma, con una
logica perversa intrinseca alla natura della guerra stessa, fa delle vittime
pure in coloro che colpiscono, perché diventano uomini costretti a uccidere
altri uomini, a togliere la vita a fratelli e a ferire la propria per
sempre.
Questa pare essere la verità scomoda, ma autentica, al di là di ogni
desueta retorica.
5. Senza pretendere affatto di giudicare o condannare alcuno, specie coloro
che devono decidere della vita degli altri, a cominciare dai propri
cittadini mandati a morire, non si può sottacere la perplessità che nasce
dal fatto che in tanti altri casi di conflitti e di veri e propri massacri
ci si sia ben guardati dall'intervenire, dando così l'impressione che
alcune
vittime siano più vittime di altre.
6. In ogni caso, pare che sia da ricordare un vecchio principio morale,
sempre valido, per cui altro è sopportare il male fatto da altri e tentare
di difendersi; altro è positivamente e direttamente causarne uno peggiore
da parte nostra. Dimenticare questo significa cadere dalla logica della
giustizia a quella della vendetta o rappresaglia, tipica del dramma
israeliano e palestinese. Se vogliamo essere minimamente coerenti con il
Vangelo, il magistero del Vaticano II e di Giovanni Paolo II, questa
dovrebbe essere l'indicazione cristiana per un retto giudizio di coscienza
di tutti coloro i quali dicono di riferirsi a questo insegnamento, compresi
i parlamentari italiani che hanno votato per la guerra in grande
maggioranza, a parte le (troppo) poche eccezioni.
7. Non possiamo concludere questa riflessione senza ricordare che, al di là
delle decisioni dei potenti di turno, per noi esiste sempre un modo tipico
di impegno: la preghiera a Dio, l'unico capace di toccare menti e cuori per
costruire progetti di pace per tutti; naturalmente invocandolo non perché
ci dia ragione («Dio è con noi!»), ma perché ci converta. Dio, infatti,
non sta dalla parte di nessuno, se non dei più deboli e degli ultimi.
Soprattutto, non benedice mai la guerra, ma la pace. Sempre!
+Sebastiano Dho,
vescovo
CHIESE CRISTIANE USA E GUERRA: UN APPELLO PER COSTRUIRE LA PACE E
RISTABILIRE LA GIUSTIZIA
L'Assemblea del Consiglio delle chiese USA approva un Documento sui fatti
dell'11 settembre
(da NEV, Notizie Evangeliche, n. 47, 21 novembre 2001)
Roma (NEV), 21 novembre 2001 - Un forte appello per pace e giustizia
caratterizza il documento sui fatti dell'11 settembre e sull'intervento
militare in Afghanistan, approvato il 15 novembre dalle chiese cristiane
riunite nell'Assemblea generale del Consiglio nazionale delle chiese USA (NCCCUSA),
il maggiore organismo ecumenico del paese, che raggruppa 36 denominazioni
protestanti e ortodosse, per un totale di 50 milioni di aderenti in 140.000
comunità locali.
"Out of the ashes and tragedy of September 11, 2001": questo il
titolo del documento, approvato a conclusione dell'Assemblea generale
svoltasi a Oakland (California) dal 13 al 15 novembre. I delegati del
Consiglio nazionale chiedono la cessazione dei bombardamenti in Afghanistan
ed auspicano la collaborazione fra tutte le parti in causa, "per
individuare strategie nonviolente che consentano di portare davanti alla
giustizia coloro che terrorizzano le nazioni del mondo". Le chiese
americane chiedono al governo USA e agli altri governi di "assicurare
la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali e di trattare
tutte le persone con dignità, rispetto e tolleranza, al di là della
religione, della razza,
etnia o colore"; auspicano inoltre che gli Stati Uniti giochino un
ruolo costruttivo, nella cornice delle Nazioni Unite, nella creazione di un
governo afghano, a conclusione della guerra, che sia largamente
rappresentativo, rispettoso delle tradizioni e accettabile per la
popolazione del paese". Agli Stati Uniti si chiede anche un
"impegno a lungo termine" nella regione, per promuovere relazioni
armoniose fra le parti, sviluppo economico e pace duratura. Le comunità di
fede sono
incoraggiate dai delegati delle chiese americane a "intraprendere un
dialogo aperto sulle questioni di pace e giustizia, per costruire comunità
multireligiose più forti e promuovere la tolleranza e la comprensione
reciproca". L'Assemblea generale chiede inoltre alle chiese e alla
società tutta di rispondere con generosità all'appello lanciato
dall'agenzia umanitaria Church World Service (CWS), legata al Consiglio
nazionale delle chiese USA e già impegnata nel paese, che si è posta
l'obiettivo di raccogliere 6,28 milioni di dollari per il soccorso dei
profughi in Afghanistan e Pakistan. (lni)
LETTERA APERTA A PAOLO GIUNTELLA
13 Novembre 2001.
Caro Paolo,
ti ringrazio molto per la tua lettera. La tua accorata tristezza mi ha molto
commosso. La tua analisi dei valori della cultura
occidentale è pienamente condivisa. La tua apertura agli altri aderenti di
Pax Christi è un segno di amicizia che apprezzo molto.
Vorrei dirti innanzitutto che siamo molti a condividere incertezze, dubbi e
angoscia in questo periodo, anche se poi molti, io per primo, ce li teniamo
dentro, lasciando che altri parlino, non necessariamente dicendo cose più
sensate.
Per questo oggi non voglio tacere e voglio metterti umilmente a disposizione
i miei pensieri, maturati in almeno due mesi di
sofferenza. Non intendo parlare di convinzioni definitive: è semplicemente
quel che penso oggi, che mi son costruito per farmi una ragione e calmare
l'angoscia, pronto a cambiare idea se altri fatti o approfondimenti di cui
sono in continua ricerca me lo faranno fare.
Ti esprimo perciò le mie conclusioni e i rimedi che personalmente ho
trovato su una serie di punti.
L'informazione italiana: ritengo che sia assolutamente carente di
professionalità, come lo è la nostra politica. Non giudico le persone e
non escludo le eccezioni, ma mi sento di esprimere il mio disagio su una
funzione sociale fondamentale che non mi soddisfa. Da Tortora a Bruno Vespa,
passando per Striscia la Notizia, i conduttori italiani sembrano essere
coloro che risolvono i problemi fondamentali del Paese.
Peccato che poi non si riesca ad avere in modo chiaro le informazioni vitali
per capire ciò che succede, perchè troppo spesso deformate da ignoranza o
dalla mania di forzare un'interpretazione personale.
Forse qualche eccezione c'è. Comunque dall'11 settembre leggo il meno
possibile i giornali italiani e guardo il meno possibile le televisioni
nazionali. Guardo le Tv internazionali, oggi ricevo solo quelle
anglosassoni, e leggo i quotidiani e agenzie su Internet, che oggi mi porta
in casa dai quotidiani occidentali alle agenzie cinesi, passando per il
resto del mondo. Quando li ho girati tutti riesco a farmi un'idea. Il
giornalista anglosassone (proprio oggi bisogna dire anche francese) è
pronto a rischiare la vita per adempiere al suo compito. Nelle trasmissioni
viene rispettato, distinguendo
accuratamente l'informazione dal commento. La prima viene studiata per dare
obiettività (non per questo senza condizionamenti culturali). Il commento
è distinto e firmato (v. Cronkite). Per cui il lettore e lo spettatore sa
cosa pensa chi propone. Di fronte a questa possibilità, penso non valga la
pena di sprecare lacrime per i nostri disorientati e supponenti pseudo
professionisti.
Il terrorismo: dico sopra disorientati perchè questo mi appare un obiettivo
voluto e raggiunto dai terroristi. L'attacco alle Twin Towers è avvenuto
nei nostri salotti, dove tutte le televisioni hanno ripetuto all'infinito
quelle agghiaccianti sequenze.
Poi il vuoto.
Il vuoto delle rivendicazioni.
Il vuoto delle spiegazioni.
Il vuoto delle informazioni. Dalla seconda guerra mondiale in poi siamo
stati abituati ad avere resoconti espliciti, prima per radio, poi per
televisione.
Oggi niente.
Anche dall'Afghanistan fino a pochi giorni fa solo immagini allucinanti di
bombardamenti notturni.
Poi tanta disinformazione o malinformazione. Le teste vuote fanno sempre del
chiasso, dice un vecchio motto. Oppure parafrasando una frase importante di
Tonino Bello: chi non ha maturità adeguata, non sa sopportare il silenzio .
E allora fa baccano, aiutando con la confusione i terroristi.
La guerra. Una persona laica ha detto: " è una guerra tanto
inevitabile quanto inutile". Può essere una definizione acuta. Per me
pacifico pacifista cristiano, la guerra non è mai inevitabile. Forse c'è
una questione di tempi per far qualcosa ed evitarla. Mi vien da pensare ad
una valanga in montagna. Prima che parta, si può cercare di far qualcosa.
Dopo non la si ferma. Si può solo stare sul bordo urlando per mettere in
guardia gli altri. Ma quest'ultima è un'esperienza pesante e frustrante.
Ammiro e rispetto molto chi segue questa strada, ma non la sento mia. Non
partecipo alle marce Perugia-
Assisi e di Capodanno per altre ragioni, di tipo fisico. Lo farei se
potessi, perchè sono eventi con grande valore intrinseco, che non dipende
dalla capacità o meno di di molti politici di appropriarsene.
Molte altre proteste mi fanno sentire impotente, perchè non si riesce a
fermare la valanga.
Altri dubbi mi vengono quando mi si chiede quando è incominciata la guerra.
C'è chi dice con i bombardamenti di ottobre in Afghanistan.
C'è chi dice l'11 settembre. Io penso che sia iniziata nel 1973, quando
qualcuno ha innalzato nel giro di pochi giorni il prezzo del petrolio a
cinque volte il valore precedente. Per poi raddoppiarlo ancora in tempi
successivi.
Non è stato certo un atto gentile verso i paesi industriali (anche se gli
USA hanno accettato senza fiatare: dovendo, volendo o chissà!?). Ma anche i
paesi più poveri sono stati toccati, perchè il costo dei trasporti per
loro è molto rilevante. Poi, per vari fatti susseguenti, è iniziato il
loro tragico indebitamento cui assistiamo oggi.
Allora mi viene la forte tentazione di dire che stiamo vedendo un ennesimo
episodio della guerra tra i signori dell'energia, che ci coinvolge
profondamente, senza farci intravedere facili possibilità di agire, oltre a
protestare, che è comunque importante.
Che fare? mi sono riletto un po' la storia di Pax Christi e ho
scoperto che è nata dopo la guerra mondiale per ricreare un po' di armonia
tra tedeschi e francesi lacerati dal conflitto. Forse possiamo anche noi
fare qualcosa di simile: se mentre in vari posti si combatte crudelmente,
cercassimo di avviare un dialogo con i mussulmani presenti in Italia? nel
gruppo di discussione è comparsa nelle scorse settimane la domanda:
"come si fa a dialogare se l'altro non vuole?". Domanda molto
bella per la sua concretezza. Mi sento di rispondere: cerchiamo di parlare
con gli islamici che si sono dichiarati pacifici. Evitiamo i gruppi che
hanno applaudito la violenza. A Milano, a Padova e forse anche altrove si
sono tenute manifestazioni interconfessionali cui hanno partecipato anche
musulmani. Perchè non condividiamo con loro i nostri dubbi? Perchè non
cerchiamo di capire i loro dubbi? Probabilmente possiamo fare un po' di
strada assieme e sarà tanto di guadagnato per rimettere ordine quando la
valanga si sarà fermata.
Cosa fare per evitare la prossima valanga? se una volta partita non si
riesce più a fermarla, forse dovremmo cercare già oggi provvedimenti per
evitare di farne partire un'altra. Mi vengono in mente alcuni temi da aggiungere
a quelli di cui già si parla e che propongo a te e agli amici di Pax
Christi.
La base degli strumenti legali. Nei giorni scorsi abbiamo visto andare in
crisi le basi dei due sistemi legali usati nel mondo
occidentale. La "Common law" dei paesi anglosassoni, che risale
all'inizio del secondo millennio, va in crisi nel cercare di scovare e
contenere i depositi finanziari off-shore dei terroristi. La legge scritta,
che risale alle tavole di bronzo dell'antica Roma, va in crisi nella
sentenza sull'inquinamento di Marghera. Sentenza tecnicamente giusta e
dovuta, secondo la legge vigente. Ma che in un sistema di "common law
" sarebbe stata del tutto opposta. Il diritto coranico è già in crisi
da qualche secolo e ha causato il mancato sviluppo delle comunità
islamiche, una volta fiorenti. Nell'epoca dell'affermazione delle aziende
come strumento prima commerciale e poi industriale, l'Islam si è fermato.
Non conosco il diritto russo e
quello cinese e su questi mi astengo. Dove si va a finire? Su cosa baseremo
il rafforzamento delle istituzioni giudiziarie
internazionali che auspichiamo? La corte dell'Aja ha qualcosa di più oltre
alla "Dichiarazione dei diritti dell'uomo" come base su cui
giudicare? E se si rifacesse al processo di Norimberga in base ai principi
di "Common Law" chi lo accetterebbe? Sono tutte cose che mi
piacerebbe sapere e su cui penso che potremmo avviare approfondimenti.
Il diritto di proprietà del territorio. Il Vangelo ci dice di
utilizzare i propri talenti, di dare i propri bene ai poveri e di
rispettare la proprietà altrui. C'è chi ci vede un'apparente grande
contraddizione. Che non è più tale se interpretiamo correttamente il
messaggio indirizzato ai singoli uomini, che nel loro spirito possono
rispettare i tre consigli. Non è messaggio per Cesare, per prescrivere ciò
che a lui spetta decidere. Anche se il "sale della terra" deve far
di tutto per ispirarlo. Oggi vediamo che un diritto di proprietà del suolo,
di probabile derivazione dalle civiltà agricole, permette alle tribù
nomadi della penisola araba di diventare sedentarie ed arricchire (almeno i
loro capi) con il petrolio che altri hanno trovato sotto la loro tenda.
Mentre i Tuareg meno fortunati (o più fortunati?) continuano la loro grama
esistenza
nell'ovest sahariano. Questo mentre a New York il privato non ha diritto di
proprietà del suolo, ma solo diritto di superficie per, credo, 99 anni.
Dove stiamo andando? Dove dovremmo andare?
Il diritto di proprietà intellettuale (brevetti). Forse proprio oggi in
Qatar, al congresso del WTO, si decide una deroga al diritto brevettuale a
favore dei paesi poveri, per i prodotti medicinali. E' la conseguenza del
fatto che tra le ultime 14.000 specialità medicinali farmaceutiche
introdotte sul mercato, solo 14 erano destinate a malattie proprie dei paesi
poveri. Questo non è un risultato del libero mercato o della
globalizzazione. E' il risultato della stupidità, avidità e miopia dei
dirigenti delle società farmaceutiche. Ma di fronte a questa eccezione
importante e finalmente realistica, la normalità dove dovrebbe andare?
l'esistenza dei brevetti ha stimolato la ricerca e permesso attraverso di
essa di realizzare importanti conquiste: penso al genoma umano e non alla
conquista della Luna. Cosa dovremmo fare per la normalità futura?
Non credo sia facile dare risposte serie a questi problemi che ho in mente e
ad altri ancora inespressi.
Anzi credo sia molto difficile. Ma mi sento di chiedere a te e a tutto Pax
Christi, almeno di cominciare a compilare l'elenco delle cause possibili
della prossima valanga. Poi potremo trovare le sedi e gli aiuti per
costruirne la risposte.
Almeno guarderemo in faccia la realtà e spero che questo ci aiuti a
sconfiggere le angosce in cui i terroristi vorrebbero cacciarci e in cui
comunque le altre violenze ci cacciano.
Con amicizia
Bruno Borca
AFGHANISTAN, 29 NOV 2001 (9:24)
CONTRIBUTO ITALIANO ALLA CROCIATA CONTRO IL TERRORISMO,
INNOVATIVO SISTEMA DI GUIDA PER BOMBE
Le bombe che gli angloamericani stanno utilizzando in Afghanistan hanno un
sistema di guida made in Italy. Si tratta, stando alle dichiarazioni degli
esperti, di un contributo qualificato alla cosiddetta OCrociata contro il
terrorismo. L'Alenia Marconi System, del gruppo Finmeccanica, ha infatti
perfezionato la OJoint direct attack munition (Jdam) della nordamericana
Boeing. In tal modo è possibile lanciare le bombe da una distanza molto
maggiore, 38 chilometri anziché 13, con notevole precisione. La bomba che
ha un margine di errore di 13-30 metri rispetto al centro del bersaglio è
stata
studiata per distruggere infrastrutture in cemento armato, ad esempio dighe
e ponti, ma per colpire obiettivi di questo genere è facile che si
verifichino quelli che i militari chiamano eufemisticamente effetti
collaterali. Nell'estate scorsa, per l'esattezza il 18 luglio, le predette
società hanno firmato un accordo in base al quale l'Alenia commercializzerà
- si legge in un comunicato della Boeing - le Jdam in gran parte dell'Europa
e del Medio Oriente e potrà anche assemblare le Jdam e armi derivate, che i
suoi clienti acquisteranno commercialmente. Gli ordini non sono mancati. Il
primo è stato da parte di Israele, che ha comprato il kit di modifica per
gli ordigni Mk-84 da 900 chilogrammi che armano i suoi aerei F-16. L'onere
complessivo è pari a 45 milioni di dollari e la prima rata di 8,2 milioni
di dollari è stata addirittura pagata, sempre secondo un comunicato della
Boeing, dall'aviazione di Washington. Sarebbe interessante conoscere come
sia stato possibile vendere armi ad un Paese in guerra e che viola
quotidianamente i diritti umani, in evidente violazione dello spirito della
legge 185 del 1990 che regolamenta tale fondamentale aspetto della politica
estera italiana. Anche l¹Italia non si è fatta pregare ed ha comprato le
bombe in questione. D'altra parte come si fa a non acquistare un prodotto
così competitivo realizzato dalla propria industria militare? Il migliore
certificato per altri potenziali clienti è dato dal marchio combat-proven,
essendo stata testata in guerre vere nella ex-Yugoslavia prima ed in
Afghanistan, non soltanto al computer, quindi una sorta di garanzia di
qualità. Va ricordato che i Paesi occidentali spendono ogni anno 500
miliardi di dollari per la difesa e il debito estero. Si tratta di una cifra
esorbitante se si considera che il debito estero dell'Africa Subsahariana
ammonta a circa 260 miliardi di dollari. (di Luciano Bertozzi ©) (CO)
FAMIGLIA CRISTIANA n.47
Sabbah Vescovo di Gerusalemme:
di Michel Sabbah, Patriarca Latino di Gerusalemme
e Presidente Internazionale di Pax Christi
LA CULTURA DEL DIALOGO CONTRO LA LOGICA DELLE ARMI
GUERRA E VIOLENZA NON SONO INEVITABILI
Abbiamo davanti agli occhi gli attacchi agli Usa dell'11 settembre,
seguiti da campagne antiterroristiche e, dal 7 ottobre, dalla guerra in
Afghanistan. Nello stesso tempo sappiamo che il nostro mondo è interessato
da tanti conflitti. Alcuni sono ben documentati dai media internazionali, ma
nella maggior parte dei casi ci vengono fornite notizie scarne, o vengono
completamente dimenticati. Come fronteggiare le sfide del futuro?
Gli attacchi dell'11 settembre sono "crimini contro l'umanità".
I responsabili devono essere arrestati e condannati mediante un processo. La
giustizia, e non la vendetta, deve essere il nostro scopo. Nel prossimo
futuro sarà necessario istituire il Tribunale penale internazionale. I
responsabili di genocidi e di altri atti criminali dovrebbero essere puniti
secondo le leggi internazionali.
Noi facciamo pressione su tutti i Governi, e specialmente sull'amministrazione
Bush, affinché ratifichino lo Statuto di Roma e rendano il Tribunale penale
internazionale una realtà nel 2002.
La paura e la rabbia che ho già menzionato sono principalmente
dovute a insicurezza. La globalizzazione dell'insicurezza è divenuta una
realtà. Nessun sistema di armamenti, nessuna strategia militare può
fermare questo tipo di attacchi terroristici. Neppure alcuna strategia
offensiva né difensiva risolverà il problema del terrorismo.
L'unica soluzione sta nella giustizia sociale. Constatiamo che la
globalizzazione dell'economia aggrava la divisione tra chi ha e chi non ha.
Cito Aristotele: «La povertà è la madre della rivoluzione e del crimine».
Poiché la povertà e le ingiustizie sociali e politiche imposte ai poveri
sono la causa maggiore del terrorismo, non possiamo contrastare con successo
il terrorismo se non correggiamo le ingiustizie. Dobbiamo riconoscere che la
disparità globale è incompatibile con la sicurezza globale.
Per l'esperienza della mia terra, il Medio Oriente, so dove conduce l'escalation
della violenza. Sparatorie e uccisioni da entrambe le parti non fanno che
acuire l'odio e gli atti di vendetta. Quando sarà pronta la comunità
internazionale, e noi, a eliminare gli elementi di base che fanno germinare
i semi dell'odio e della violenza? La povertà, insieme ad altre situazioni
di emarginazione, compresa la negazione della dignità umana, il non
rispetto per i diritti umani e le libertà fondamentali, le esclusioni
sociali, situazioni intollerabili di rifugiati, profughi interni ed esterni
e oppressioni fisiche e psicologiche, sono terreni pronti per essere
sfruttati.
Speriamo che un giorno finisca l¹occupazione dei Territori,
giustizia sia resa al popolo palestinese, e che gli israeliani e i
palestinesi possano vivere insieme in pace. Non c'è alternativa. Questa è
la condizione per prevenire ulteriori conflitti nei prossimi decenni. Questo
tempo di dolore ci deve insegnare che la violenza e la guerra non sono
inevitabili. Uno scontro tra civiltà non è un destino ineluttabile. La
guerra e la violenza di massa di solito sono il risultato di deliberate
decisioni politiche.
Piuttosto che intervenire nei conflitti violenti dopo che essi sono
scoppiati, e poi essere coinvolti nella costruzione della pace post
conflitto, è più umano e più efficace prevenire tali violenze lavorando
sulle loro radici. Questa è l¹essenza di una cultura che porta alla pace.
La cultura del dialogo è uno stile di vita caratterizzato da
profonde relazioni di amore, comprensione, solidarietà, unità e pace fra i
popoli di differenti culture e religioni. Chi è coinvolto in questo dialogo
stabilisce un rapporto profondo e significativo con Dio, con sé stesso, con
gli altri e con l'intera creazione, nel desiderio di avere pace per tutti.
Il dialogo diventa cultura quando molte persone dalla mente e dal
cuore sincero ci credono e lo praticano, e lo promuovono a tutti i livelli.
Possiamo definirla "spiritualità del dialogo". Il dialogo e la
pace sono le risposte ai segni dei tempi, l¹appello all'unità nella
diversità, nel pluralismo del mondo d'oggi.
<< Come sara' il mondo dopo l'11 settembre ? Il panico per l'economia
e la sicurezza hanno totalmente rimosso dall'agenda politica i tragici
problemi di larga parte dell'umanita'.
Pensiamo davvero che i pericoli maggiori per la "civilta'
occidentale" derivino da una multinazionale del terrore (intrisa di
fanatismo religioso e di chissa' quali altre inconfessabili motivazioni) e
non dalle abissali ingiustizie globali che umiliano le popolazioni piu'
povere del pianeta e "gridano vendetta al cospetto di Dio" ?
>>
Queste parole sono tratte dall'editoriale del CUAMM, acronimo che sta per
Collegio Aspiranti Medici Missionari. Il CUAMM e' un organismo che da oltre
50 anni forma, invia e sostiene medici volontari per l'Africa. (http://www.cuamm.org)
Osservare la realta' da questo punto di vista ci fa comprendere la
complessita' del dramma affiorato l'11 settembre, le cui radici vanno
cercate, anche, in decenni di ingiustizia economica e in secoli di
sfruttamento.
Il ciclo di incontri che il Centro Donati ha iniziato nel mese di ottobre si
conclude con l'appuntamento di
martedi' 4 Dicembre ore 21
presso l'Aula di Istologia
via Belmeloro 8 - Bologna
"I miei figli hanno fame"
Dalla globalizzazione del profitto
alla globalizzazione dei diritti
Tu da che parte stai?
Testimonianze, itinerari, proposte sui rapporti Nord-Sud
In quest'ultima parte, che vuole essere la prima tappa di un cammino e un
impegno personale e sociale, parleremo di... soldi.
O meglio, di scelte che cambiano la nostra vita e quella, forse, degli
altri.
A partire dalle ore 19 padre Mose' dei missionari comboniani sara' con noi
presso la Chiesa di S.Sigismondo in via S.Sigismondo 7 a Bologna.
Dopo la Messa ci si sposteremo nell'Aula di Istologia per l'incontro con
alcuni ospiti.
Naturalmente piu' siamo, meglio e'.
Come introduzione riportiamo in forma "grafica" quanto e come
hanno speso i paesi ricchi ultimamente. (dati ufficiali)
(e' meglio allargare al massimo la finestra nello schermo)
****************************************************************
= 77.000 miliardi di lire = spesa USA per le prime operazioni di guerra in
Afghanistan
e per (circa la meta') il sostegno delle compagnie aeree
*******************************************************
= 210.000 miliardi di lire = spesa USA preventivata per lo scudo spaziale
*******************************************************
= 1.050.000 miliardi di lire = spesa militare annuale NATO
************************************************************
= 2.520 miliardi di lire = spesa destinata dai G8 alla lotta di AIDS,
malaria, TBC
-------------------------------------------------------
A cura del Centro Studi "Donati"
Tel. 328.687.50.91
E-mail: gdonati@iperbole.bologna.it
-------------------------------------------------------
Ai tanti tragici paradossi della guerra in corso così come di tutte le
guerre... aggiungeteci anche ciò che si legge su La Repubblica di questa
mattina.
Shalom, tonio
--------------------------------------------------------------------------------
Washington, 07:16
Guerra: Usa sospende lanci di grandi carichi di cibo
L'esercito statunitense ha deciso di sospendere i lanci di grandi
contenitori di derrate alimentari in Afghanistan, dopo che uno di questi è
piombato su una casa e ha ucciso una donna. Lo ha annunciato oggi il
Pentagono, precisando che gli aerei americani continueranno comunque a
paracadutare le razioni alimentari giornaliere.
"Certamente è un fatto molto increscioso e noi siamo profondamente
rammaricati per la perdita di vite umane", ha detto la portavoce del
Pentagono Victoria Clarke, dopo l'incidente avvenuto ieri notte a nordest di
Mazar-i-Sharif. "Il comando centrale per il momento ha cessato questa
particolare distribuzione", ha aggiunto Clarke, precisando che sono in
corso
verifiche e che all'incidente di ieri è sopravvissuto un bambino, dato per
morto in un primo momento. (Red)
(breve spiegazione per la Pax Christi tedesca alla quale invio una copia;
Inhaltsangabe für die deutsche Sektion: Dieses Mail enthält eine
italienische Übersetzung vom Interview mit Bischof Mixa vom 13.11.2001)
Cari amici, tempo fa vi ho segnalato un'intervista in cui l'ordinario
militare tedesco mons. Mixa, che è anche vescovo diocesano di Eichstätt,
mostrava perplessità sull'intervento armato in Afghanistan.
Penso che sia particolarmente interessante, perché in Italia ed in Austria
non ho mai sentito parole simili da un vescovo militare, uno che in fondo
non discute la necessità dell'esercito. La settimana scorsa ho sentito una
relazione del segretario della sezione tedesca di Pax Christi che,
riferendosi a queste dichiarazioni, commentava che, grazie al cielo, non ci
sono più i fronti anacronistici di un tempo (soldati contro
pacifisti). Proprio l'associazione dei soldati cattolici, diceva, ha
studiato e preso sul serio il documento episcopale "Pace giusta"
come nessun altro in Germania.
Vi prego di farmi conoscere le vostre reazioni, anche privatamente e in
forma succinta, se non altro per sapere se è valsa la pena di tradurre
questo testo.
Saluti
Giovanni Seccia
Intervista dell'ordinario militare cattolico dr. Walter Mixa per il giornale
"Die Tagespost"
pubblicata il 13 novembre 2001
La "spirale della violenza" impedisce una pace giusta
Dall'inizio delle azioni militari statunitensi in Afghanistan proprio
l'ordinario militare cattolico della Bundeswehr (esercito) tedesca, il
vescovo di Eichstätt Walter Mixa solleva notevoli perplessità contro
l'impiego delle forze armate, sorprendendo l'opinione pubblica, e propende
per l'uso di mezzi pacifici ed il dialogo delle culture e delle religioni.
La TAGESPOST ha chiesto al prelato, che è considerato conservatore, quali
siano le sue ragioni e le sue argomentazioni.
Tagespost: mons. Mixa, l'opinione pubblica viene a sapere con una certa
sorpresa che Lei ha ripetutamente criticato la conduzione della guerra da
parte degli USA e si è espresso contro una partecipazione della Bundeswehr.
In quale funzione parla: come vescovo di Eichstätt o come ordinario
militare?
Mons. Mixa: Parlo come vescovo cattolico del nostro Paese. In questo non
c'è un ruolo particolare dell'ordinario militare. È compito di tutti i
vescovi, come pastori della Chiesa, esortare alla pace e, come maestri della
Chiesa, ricordare alle coscienze dei responsabili politici e militari
l'insegnamento ecclesiale della pace giusta, che è vincolante.
Ma l'ordinario militare non ha qui una responsabilità particolare?
È vero, ce l’ha. I soldati della Bundeswehr hanno il diritto di ricevere
l'aiuto necessario per formarsi concretamente la coscienza di fronte a quei
piani e quelle azioni di cui devono rispondere concretamente.
Lo stesso vale per i politici responsabili nel governo e nel parlamento. I
pastori della Chiesa in una simile decisione come quella che bisogna
prendere in questi giorni nel nostro Paese non possono quindi accontentarsi
di richiamare a principi morali generici e norme, ma, nella loro
preoccupazione pastorale come ammonitori o, in caso di necessità, - come si
è espresso recentemente un grande giornale tedesco - anche come
"portatori di perplessità", devono spingere
perché scopi, motivi e metodi dell'agire politico e militare vengano
discussi davanti a tutta l'opinione pubblica.
Allora vuole davvero intromettersi nella politica? Non può essere un
ostacolo per i Suoi compiti pastorali nella Bundeswehr?
Viviamo in una democrazia. In questo contesto non si dovrebbe parlare di
"intromissione". Rammento le tante
iniziative di noi vescovi per la difesa della vita dal concepimento, per una
responsabile consulenza delle gravidanze oppure - negli ultimi tempi - a
proposito di questioni etiche fondamentali della medicina.
L'autonomia del settore politico, riconosciuta espressamente anche dal
Concilio Vaticano II. ha i suoi limiti nella legge morale, la cui tutela ed
affermazione sono state affidate soprattutto al magistero ecclesiale. Ma la
dignità della persona
umana ed il fondamentale comandamento divino dell'amore vengono feriti molto
gravemente proprio con l'impiego sistematico della violenza. Perciò noi
vescovi non possiamo tacere sulle questioni della guerra e della pace.
Ma nella storia della pastorale militare del nostro Paese è una novità il
fatto che il vescovo militare trattenga lo Stato, per cosi dire, quando
questi vuole prendere la spada per difendere diritto e ordine.
Ma la storia mostra piuttosto il contrario: per esempio all'inizio della 1a
Guerra Mondiale i vescovi cattolici tedeschi non avrebbero avuto nessuna
possibilità di confrontarsi criticamente con i motivi e gli obiettivi della
guerra, neanche se avessero voluto, meno che tutti i due vicari castrensi di
Prussia e Baviera. Nel Guglielminismo di stampo protestante sarebbe apparso
come un tradimento della nazione. Il nazionalismo tedesco dell'epoca era
pronto, anche con il vago richiamo ad una "fedeltà nibelungica"
dovuta all'alleato, ad osare l'ingresso nella Grande Guerra. Allora entrambe
le Chiese hanno "benedetto le armi", non in senso liturgico, ma
senz'altro in senso politico-etico-legittimante, fra l'altro non solo in
Germania. Nella Guerra Mondiale della dittatura di Hitler una resistenza,
cosa che a posteriori è stata ripetutamente richiesta, o anche solo una
critica ad obiettivi e metodi della condotta di guerra dei dominatori da
parte della pastorale militare avrebbe portato certamente alla fine di
questa stessa pastorale. Nella democrazia della nostra
repubblica la situazione deve essere diversa, anche per la credibilità
dell'ordinario militare e dei suoi cappellani fra i soldati.
In che cosa consistono allora le Sue perplessità nei confronti della
condotta di guerra delle truppe statunitensi e britanniche in Afghanistan?
Stando a ciò che tramite i media è stato reso noto sulla conduzione delle
operazioni (il che è davvero poco): con attacchi aerei concentrati contro
città abitate devono essere limitate le possibilità militari del regime
talebano e al nord devono essere migliorate le opportunità offensive
dell'altro partito in guerra civile. La conseguenza inevitabile di questo è
la
morte di numerosi civili innocenti e l'effettivo ostacolo agli aiuti per le
masse di profughi e senzatetto nel Paese.
Questo non si può accettare. Lo ha fatto notare ripetutamente il papa
Giovanni Paolo II in queste settimane. Intanto i vescovi americani hanno
chiesto per questo una cessazione di queste azioni militari.
Solo la violazione di queste norme etiche di guerra, che noi vescovi
tedeschi abbiamo richiamato fortemente nel nostro documento "Pace
giusta" del settembre del 2000, fa porre la domanda se la Germania
possa partecipare con le sue forze armate a tutta questa operazione, perché
così ci si dovrebbe assumere naturalmente una maggiore responsabilità
anche in senso morale.
Il presidente della Conferenza episcopale tedesca, card. Karl Lehmann, nella
sua dichiarazione dell'8 novembre si mostra convinto che il governo ed il
parlamento prenderanno le prossime decisioni "con tutta la cura
necessaria" e pondereranno accortamente gli argomenti a favore e contro
un impiego della Bundeswehr. A Lei manca questa fiducia nelle nostre
istituzioni politiche?
Non accetto una domanda posta così! Naturalmente non ho motivi per dubitare
della competenza e dell'integrità di chi prende decisioni politiche. Ma in
fondo non è questione di persone, ma di margini di azione ed obiettivi
realizzabili all'interno e all'esterno, senza dimenticare l'indispensabile
accettazione da parte della gente del nostro Paese delle decisioni prese.
Perciò ora bisogna esporre questioni, argomenti e risposte. Il nostro
parlamento ed i media si trovano davvero di fronte ad una grande sfida.
Che significa concretamente?
Nomino un aspetto. Se ulteriori operazioni militari dovessero essere
irrinunciabili - ma noi tutti non lo sappiamo sufficientemente - per
impedire ai protettori dei terroristi fra i talebani ed ai terroristi stessi
di commettere altri crimini, allora il nostro Paese dovrebbe essere anche
pronto ad impiegare i mezzi appropriati. Ma se l'attuale guerra aerea non è
eticamente accettabile, a causa dei danni provocati a troppi innocenti, e se
inoltre non avesse successo dal punto di vista degli obiettivi
politico-militari, allora bisognerebbe mettere in conto anche rilevanti
perdite proprie in termini di vite umane, per raggiungere gli scopi
necessari. Ma di questo, giustamente, abbiamo paura. Ma se le cose stanno
così
bisogna considerare e preparare già adesso delle alternative alle soluzioni
militari.
Evidentemente ha riserve di fondo nei confronti di soluzioni militari, così
come al momento stanno in primo piano?
Una reazione e risposta violenta contro la violenza nasconde sempre il
pericolo che alla fine ne scaturisca una "spirale di violenza" che
non può più essere spezzata. Ce lo ha ricordato continuamente il nostro
Santo Padre, anche in queste settimane, questo tema lo abbiamo enucleato nel
nostro documento episcopale "Pace giusta", non solo dal punto di
vista
politico, ma anche antropologico e biblico-teologico. E la realtà attuale
sottolinea questa consapevolezza.
La respinta efficace di una guerra terroristica contro il mondo occidentale
legittimata in maniera pseudo-musulmana può riuscire solo insieme ai Paesi
ed ai popoli musulmani. Gli sviluppi attuali sembrano piuttosto portare ad
una indesiderata solidarizzazione di molti musulmani con gli auto-proclamati
eroi della "gihad". Perciò bisogna coraggiosamente attraversare e
rafforzare i ponti del dialogo che esistono già. Per questo sono convinto
che occorra anche da parte musulmana il riconoscimento e la disponibilità
ad accettare le culture e società occidentali concrete
come partner dialogico. Alle Chiese, a noi cristiani tutti spetterà in
questo un ruolo importante, perché abbiamo legami e punti in comune con i
musulmani; innanzitutto nella fede in un solo Dio, poi, cosa non secondaria,
a causa di lunghe tradizioni di una convivenza pacifica, non raramente anche
fruttuosa nel Vicino Oriente, soprattutto in Terra Santa, in Africa ed Asia
orientale e, non ultimo, anche nella stessa Germania.
È difficile riconoscere come possa essere efficace a breve termine un
approccio del genere. Un politico potrebbe avere l'impressione che il
vescovo lo lasci solo con la necessità di respingere immediatamente i
pericoli e si ritiri su un'"isola dell'etica della convinzione".
Che cosa può rispondere?
Non voglio negare il problema dell'urgenza di diversi livelli di soluzioni.
Sono per la contemporaneità di sforzi concomitanti. Soprattutto si dovrebbe
evidenziare nella consapevolezza pubblica la portata limitata di strategie
"poliziesche" e militari di fronte alle reali cause dei problemi.
Il "divario di giustizia" in campo politico e soprattutto
economico fra il Nord ed il Sud, a cui accenno sempre, va affrontato
pubblicamente ed offensivamente nella situazione attuale. Ricordo la
richiesta di un condono del debito, che il papa Giovanni Paolo II ha
ripetuto nel suo recente incontro con il presidente Bush. Rimettere adesso
all'ordine del giorno questa questione avrebbe anche un grande significato
simbolico a livello mondiale. Diventerebbe tangibile che
"l'Occidente" prende sul serio un riequilibrio globale. Accenno al
processo di pace nel Vicino Oriente che sta crollando. Non è un caso, se
sia il papa che altri pastori ecclesiali della zona coinvolta mettono in
guardia contro un'escalation di violenza e chiedono trattative immediate e
mirate fra Israele ed i Palestinesi per distendere la situazione. Anche
sulla questione di Gerusalemme andrebbero ridiscusse le soluzioni di
compromesso proposte da tempo dalla Santa Sede con tanta pazienza. Il tempo
stringe! Un altro giro nella "spirale di violenza" renderebbe
impossibile una pace giusta nel Vicino Oriente e fra musulmani e società
occidentali.
Il parlamento tedesco discute in questi giorni sul mandato che vuole dare al
governo per l'impiego della Bundeswehr nel respingere il terrorismo a
sostegno degli Stati Uniti. Che cosa si aspetta dal parlamento il vescovo
dei soldati e delle soldate cattolici e delle loro famiglie?
I soldati devono poter adempiere con la coscienza tranquilla al compito che
lo Stato affida loro. Per questo richiamo una questione etica centrale che
va chiarita sufficientemente nell'impiego delle forze armate: la questione
dell'uso militare della forza come "ultima ratio". Questo punto di
vista gioca una parte importante sia nella dichiarazione del card.
Lehmann che nella decisione del Sinodo di Amberg della Chiesa evangelica.
Non basta sostenere semplicemente che non siano possibili altre vie per
assicurare la pace. La regola dell'onere della prova è - dal punto di vista
etico - quasi capovolta: la mancanza di alternative deve essere plausibile,
gli obiettivi politici e quelli militari corrispondenti devono
essere chiaramente definiti, il "campo d'azione" deve essere
chiaramente definito dal punto di vista temporale, spaziale, personale ed
organizzativo (ed anche dal punto di vista del diritto internazionale),
così come deve essere preparata (quand'anche solo "in segreto")
una strategia di ripiego. Anche la cornice politica deve essere consona. I
soldati devono poter contare su un mandante che si basi sulla maggioranza
del parlamento. Soprattutto è necessario che il parlamento decida in
maniera tale che il nostro popolo sostenga davvero le misure ed i programmi
necessari.
Soldati senza il sostegno della patria combattono una battaglia perduta!
Un'ultima domanda: tempi duri attendono i soldati della nostra Bundeswehr ed
i loro pastori?
Non lo escluderei. L'incertezza sui prossimi sviluppi che caratterizza la
situazione attuale pesa ulteriormente su tutti noi. In ciò vedo prima di
tutto un invito per noi cristiani a tornare nella preghiera e nella liturgia
alle fonti della fede. Occorre in ogni caso fermezza, che è il nocciolo del
coraggio, come c'insegna S. Tommaso d'Aquino, anche per i
cappellani militari dei nostri soldati all'interno e all'estero. I soldati e
le loro famiglie che restano a casa e sono esposte a particolari pressioni
emotive possono essere certi che noi chierici militari li accompagneremo
pastoralmente nelle prossime missioni, anche lo stesso ordinario militare,
per quanto gli è possibile.
Cari amici, vi invio la traduzione di un articolo del foglio settimanale
Christ in der Gegenwart, uno dei più stimati (e neutrali) mezzi di
informazione cattolici della Germania, sulle posizioni controverse assunte
da rappresentanti delle varie conferenze episcopali e della chiesa
protestante tedesca a proposito della guerra in Afghanistan.
Per Pax Christi trovo interessante sia la controversia nella Chiesa tedesca,
che ha portato (grazie al cielo!) al rifiuto del presidente designato della
sezione nazionale di PX, sia quello che si dice sul pacifismo "realpolitico"
e non solo idealistico del papa, tanto più che la citata Frankfurter
Allgemeine è un giornale piuttosto conservatore. Interessante anche che la
CEI sia riuscita a non far parlare di sé (vabbe', non potevano starci tutti
i vescovi del mondo!).
Shalom
Giovanni Seccia
Le Chiese e la guerra: dichiarazioni di vescovi sul terrorismo e
sull'Afghanistan da: Christ in der Gegenwart 53 (2001), 393 (n°47 del
25/11)
La guerra contro i talebani in Afghanistan ha provocato reazioni molto
contrapposte anche nelle Chiese. Certo, si sottolinea sempre che un'azione
militare in ogni caso dev'essere l'ultima fra tutte le possibilità e che la
preoccupazione per la popolazione civile ha assoluta priorità. Ma nella
valutazione concreta risultano notevoli differenze. In una
dichiarazione del presidente della Conferenza episcopale tedesca, card. Karl
Lehmann, si dice: "Approviamo la solidarietà con gli Stati Uniti ...
Riconosciamo che la Germania nell'ora del pericolo non si può sottrarre
agli impegni che il nostro Paese ha contratto nell'Alleanza Atlantica".
Come limitazione si aggiunge che ogni impegno militare resta un male e si può
giustificare solo nell'ambito di una concezione politica più ampia. D'altro
canto l'ordinario militare
Walter Mixa, vescovo diocesano di Eichstätt, ha posto fortemente in
questione la missione bellica in Afghanistan, diversamente da quanto ci si
aspetterebbe dal suo ufficio nelle forze armate, suscitando clamore. Anche
la Chiesa in questa situazione importante non può accontentarsi di
"richiamare generici principi morali". Soprattutto non è stato
chiarito se davvero non ci siano e non ci fossero alternative all'uso della
forza. Il conflitto sulla guerra in Afghanistan è anche il motivo per cui
il vescovo ausiliare di Amburgo Hans-Jochen Jaschke non diventa presidente
della sezione tedesca del movimento pacifista cattolico Pax Christi, come
era invece previsto. In un'intervista Jaschke ha detto che le
azioni militari americane "non sono cieca vendetta, ma un contributo di
civiltà, un procedimento adeguato contro l'ingiustizia".
Anche in America ci sono diverse valutazioni nell'episcopato. Dopo l'avvio
dei bombardamenti i vescovi cattolici definirono gli attacchi deplorevoli,
ma "forse necessari per proteggere degli innocenti".
Alcuni parlarono addirittura di un "obbligo morale" alla difesa.
Ma i combattimenti prolungati hanno suscitato sempre più dubbi. Il
presidente uscente della Conferenza episcopale, Joseph Fiorenza, ha detto di
essere "estremamente preoccupato" per l'uccisione di civili.
I vescovi francesi hanno detto: "È ora di cercare altri mezzi per non
aggiungere male a male e violenza a violenza". I vescovi austriaci si
sono espressi piuttosto vagamente.
Nel sinodo della Chiesa evangelica di Germania il presidente del consiglio,
il renano Manfred Kock, si è mostrato dubbioso sul fatto che il terrorismo
venga davvero sconfitto con le azioni militari. Invece di intervenire
miratamene contro i terroristi ricercati, dice, si è innescata una guerra
che rischia di superare la proporzionalità dei mezzi.
Il papa Giovanni Paolo II di fronte agli sviluppi della guerra non ha posto
richieste dirette, ma la sua decisa posizione contro la campagna in
Afghanistan è fuori dubbio. Ha comunicato la sua partecipazione alle
"care etnie dell'Afghanistan". Il corrispondente della "Frankfurter
Allgemeine" che ha raccolto gli ultimi messaggi del Papa per la
giornata mondiale della pace del 1° gennaio giunge alla seguente
conclusione: il Papa nel corso del suo pontificato è diventato pacifista,
"non nel senso biblico di porgere l'altra guancia all'aggressore, ma
per esperienza politica e
storica". Così c'è scritto nel messaggio per l'anno 2000: "Il
secolo XX ci lascia in eredità soprattutto un monito: le guerre sono spesso
causa di altre guerre, perché alimentano odi profondi, creano situazioni di
ingiustizia e calpestano la dignità e i diritti delle persone. Esse, in
genere, non risolvono i problemi per i quali vengono combattute e pertanto,
oltre ad essere spaventosamente dannose, risultano anche inutili. Con la
guerra, è l'umanità a perdere".
AFGHANISTAN: 177 MORTI DI FAME E FREDDO IN CAMPO KUNDUZ, OIM
RISERVE VIVERI ESAURITE,SERVONO AIUTI URGENTI A 238.000 PERSONE
(ANSA) - GINEVRA, 07 DIC - Almeno 177 persone sono morte di
fame e di freddo nel corso delle ultime quattro settimane nel campo per
sfollati nei pressi di Kunduz, nel nord dell'Afghanistan. Lo ha affermato
oggi a Ginevra l'Oim
(Organizzazione mondiale delle migrazioni), presente nel paese.
I deceduti son in maggioranza bambini ed anziani, ha
precisato il portavoce dell'Oim Jean-Philippe Chauzy
rendendo noto il macabro bilancio. I decessi sono stati comunicati ieri agli
impiegati locali dell'Oim al loro ritorno
nel campo di Baghe Sherkat dopo un mese di assenza. L'accesso al campo era
stato loro vietato dai taleban dall'11 novembre scorso.
Nella regione di Kunduz - ha detto una portavoce del Programma
alimentare mondiale (Pam) - le riserve di viveri sono
esaurite e le persone che hanno immediato bisogno di aiuti sono circa
238mila. Negli ultimi giorni e per la prima volta dal mese di settembre
l'organizzazione ha potuto trasportarvi 100 tonnellate di viveri. Un secondo
convoglio è già previsto.
"Il Pam spera che questo sia solo l'inizio e che le condizioni di
sicurezza consentano di trasportare altri aiuti in questa
regione particolarmente vulnerabile", ha detto la portavoce del Pam
Christiane Berthiaume.
(ANSA).
XBV
07-DIC-01 14:45 NNNN
"Osama bin Laden guida un islam millenarista".
Torino, 13 novembre 2001 - Mentre si moltiplicano gli instant book sulle
armi, i nascondigli e perfino la vita privata di Osama bin Laden, il CESNUR
(Centro Studi sulle Nuove Religioni), che dal 1988 analizza con molteplici
iniziative i fenomeni religiosi in Italia e nel mondo, propone una prima
ricerca per interpretare il fenomeno al-Qa'ida alla luce di
categorie socio-religiose piu` ampie. Esce oggi per i tipi della Elledici il
libro di Massimo Introvigne, direttore del CESNUR, Osama bin Laden.
Apocalisse sull'Occidente, mentre lo stesso CESNUR annuncia per il 3
dicembre un convegno all'Unione Industriale di Torino sulla sfida
fondamentalista cui parteciperanno fra l'altro, con Introvigne, lo
storico delle religioni svizzero Jean-François Mayer (docente all'Universita`
di Friburgo), il teologo protestante Pietro Bolognesi e il sottosegretario
alla Giustizia Michele Vietti.
La ricerca del CESNUR si avvale di collaborazioni scientifiche in Europa,
negli Stati Uniti e in Israele e analizza in particolare gli scritti di
al-Qa'ida e dei suoi fiancheggiatori. "Analizzare e capire afferma
PierLuigi Zoccatelli, vice-direttore del CESNUR è essenziale per evitare
sia l'intolleranza verso chi è altro da noi, sia il 'buonismo'
disinformato secondo cui nelle religioni tutti vogliono solo e sempre
l'amore e la pace". Introvigne insiste anzitutto sul fatto che
"non tutti i musulmani sono fondamentalisti" proponendo una
mappa di chi nell'islam non è fondamentalista (i conservatori, i
nazionalisti, i sufi moderati e i modernisti) e anche "non tutti i
fondamentalisti sono terroristi": molte organizzazioni fondamentaliste
sono ostili all'Occidente ma non amano neppure bin Laden. Nello stesso
tempo, la
ricerca insiste sul fatto che "i fondamentalisti sono musulmani" e
costituiscono una componente non unica, ma importante ed estesa, dell'islam
contemporaneo; e che "questi terroristi sono fondamentalisti", nel
senso che traggono dalla storia e dalle dottrine del fondamentalismo idee
che appaiono persuasive a migliaia di persone. "Bin Laden nel mondo
fondamentalista è minoritario, ma non isolato sostiene Introvigne : èanzi
punto di riferimento per un'ala millenarista rivoluzionaria che considera
imminente la lotta finale tra l'Anticristo (il Dajjal della tradizione
islamica) e il mahdi che guiderà i musulmani a sconfiggerlo, e intende
partecipare attivamente a questa lotta, non limitarsi a fare da
spettatrice". "Le dottrine di al-Qa'ida conclude la ricerca
si ricollegano a una tradizione, ancora una volta, minoritaria ma antica e
significativa nel mondo dell'islam radicale. Considerarle un semplice
fenomeno criminale non aiuta a combatterle". La ricerca analizza anche
il ruolo di Roma nei testi dell'islam radicale sulla lotta ultima fra
l'Anticristo e il mahdi, e afferma che per il suo significato simbolico la
sede del Papato è indicata da molti testi non a caso, insieme a New York
come obiettivo prioritario. "Naturalmente i libri non sono bombe
affermano al CESNUR : l'allarmismo a proposito di Roma sarebbe
ingiustificato, ma la vigilanza messa in opera dal governo è del tutto
ragionevole".
amDg
Ignazio
Terrorismo, ritorsione, legittima difesa, guerra e pace
Discorso per la vigilia di s. Ambrogio 2001
Milano, 6.12.2001
INTRODUZIONE
I temi indicati nel titolo di questo discorso hanno accompagnato da sempre
l'umanità, da quando Caino alzò la mano proditoriamente su Abele e lo
uccise (Gen 4,8) e da quando Dio dichiarò: "Però chiunque ucciderà
Caino subirà la
vendetta sette volte" (Gen 4,15), fino alla parola di Gesù: "Vi
lascio la pace, vi do la mia pace" (Gv 14,27).
Ma in questi mesi, a partire dall'11 settembre, tali temi sono ritornati di
bruciante attualità.
I fatti sono noti: gravissimi attentati terroristici che rivelano una
capacità inaudita di odio e fanatismo, che si serve di tecnologie raffinate
e si nutre di forme finora inedite di fondamentalismo civile e religioso
(pensiamo a tutti gli aspiranti suicidi). Agli attentati è seguita
un'azione di caccia ai terroristi che è sfociata in una guerra in
Afghanistan. In questi ultimi giorni poi si sono ancora moltiplicati
vergognosi attentati suicidi contro cittadini inermi in Israele, a cui hanno
fatto seguito ritorsioni e azioni militari in Palestina, in luoghi
dove ormai da anni c'è un crescendo di violenza di cui non si vede la fine.
1. UNO SGUARDO AL VANGELO (Lc 13,1-5)
Questi fatti ci addolorano, ci interpellano, ci sconvolgono. Pensiamo con
dolore agli innumerevoli morti, ai feriti che porteranno per tutta la vita
il segno della tragedia, alle famiglie distrutte, ai milioni di profughi, al
pianto dei bambini mutilati. Nascono molte domande, ipotesi, inquietudini.
Domande di carattere umano e religioso e anche di carattere politico. Si
vorrebbe capire, giudicare, vedere come agire per farla finita con il
terrorismo, la paura, la guerra, come operare seriamente per una pace
duratura.
Certamente la situazione è ancora troppo complessa e fluida per descriverla
in maniera adeguata. Ogni giorno poi aggiunge la sua sorpresa, per lo più
dolorosa. Avevo iniziato queste riflessioni partendo anzitutto
dall'attentato alle torri gemelle, ma poi gli eventi in Afghanistan e in
questi ultimi giorni la recrudescenza degli eccidi in Medio Oriente hanno
via via allargato il mio campo di discernimento. Del resto è innegabile che
nella preparazione della tragedia dell'11 settembre abbia avuto un
ruolo non secondario il risentimento accumulato nell'annoso conflitto
israeliano - palestinese. Per questo mi sono chiesto con insistenza e ho
chiesto al Signore: in questo turbine della nostra storia, ha ancora senso
parlare di pace? E in che modo, e a quale prezzo?
Parlando, leggendo e ascoltando molto in queste settimane mi sono accorto di
come anche i pareri siano tanto divergenti. Sono molteplici i punti di
vista, gli angoli di visuale; fortissime sono le passioni, i coinvolgimenti
emotivi; resistenti a sgretolarsi le precomprensioni, soprattutto quelle
inconsce. Sembrerebbe più saggio attendere, pregare, e per intanto sanare e
medicare in quanto si può le ferite, come in emergenza. Ma sant'Ambrogio
non si è sottratto alla riflessione e al tentativo di giudizio su fatti
assai gravi, pubblici e controversi del suo tempo. Così il suo umile
successore chiede, per l'intercessione del nostro Patrono e con l'aiuto
delle preghiere e dei suggerimenti di tanti, la grazia di poter parlare a
voce alta di queste cose di fronte a Dio, al vangelo e alla coscienza
dell'umanità.
Sono molte le pagine bibliche che sono state evocate in questi mesi per
cercare luce nella parola di Dio. Io vorrei partire dal passo evangelico di
Luca (13,1-5) che è stato letto durante questa preghiera vespertina. Si
tratta di due affermazioni o reazioni di Gesù, posto di fronte a gravi
fatti di sangue di origine politica e a dolorose calamità naturali.
Dice il testo «In quello stesso tempo si presentarono a Gesù alcuni a
riferirgli circa quei Galilei il cui sangue Pilato aveva mescolato con
quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola Gesù rispose: Credete che
quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale
sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso
modo. O quei diciotto sopra i quali rovinò la torre di Siloe e li uccise,
credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No,
vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Noto un particolare curioso. S. Ambrogio, che pure commenta con accuratezza
e talora anche con pedanteria l'intero terzo vangelo, su questo punto è
reticente. Sorvolando su qualunque sentimento antiromano che poteva
risultare dal crimine di Pilato, si limita a un'affermazione marginale,
ipotizzando, per il massacro di Gerusalemme, una colpa rituale dei Galilei
uccisi, per farne un caso esemplare di punizione "per coloro che su
istigazione diabolica non offrono il sacrificio con animo puro" (Esp.
del Vang. Sec. Luca, VII, 159). Evita quindi di lasciarsi coinvolgere dalle
ardue domande politiche e teologiche che emergono da tali fatti e lascia
senza commento lo sconcertante e inedito comportamento di Gesù. Ma noi non
riusciamo a fare altrettanto.
Gesù si trova infatti qui di fronte a un groviglio di problemi etici,
teologici e politici. Gli interrogativi che emergono sono analoghi
ma superiori per gravità a quello sul quale sarà poi interrogato a
proposito del tributo da pagare a Cesare (Lc 20,20-26): interrogazione
quest'ultima - nota l'evangelista Luca - propostagli "da informatori
che si fingevano
persone oneste, per coglierlo in fallo colle sue parole poi consegnarlo
all'autorità e al potere del governatore" (Lc 20,20).
Qui si tratta ugualmente di domande a trappola, ma a proposito di fatti ben
più sconvolgenti. V'è in questione ciò che noi chiameremmo una
"strage di Stato", voluta dal rappresentante dell'Imperatore e per
di più perpetrata nel luogo sacro del tempio: quindi un massacro avvenuto
probabilmente durante le festività pasquali, nel quale dovevano essere
state trucidate molte persone, forse terroristi disposti al sacrificio
supremo. Non sappiamo quanti fossero, ma è sufficiente ricordare che alcuni
anni prima il predecessore di Pilato aveva ucciso in una sola occasione
tremila ebrei.
Gesù viene dunque provocato ad esprimersi e a dare un giudizio: condannerà
l'assassinio politico, voluto per umiliare ulteriormente gli Ebrei e
profanare il tempio?, griderà contro la crudeltà e il cinismo del regime
dominante? Oppure, come altri in Israele, che ritenevano la dominazione
straniera comunque un minor male di fronte a un possibile caos, dirà che si
è trattato di una dolorosa operazione di legittima difesa, di una
repressione inevitabile per evitare nuove stragi da parte di un terrorismo
suicida e senza sbocchi? Non aveva forse un tempo lo stesso profeta Geremia
sconsigliato atti di inutile resistenza al conquistatore babilonese?
Immagino che Gesù si sarà sentito addosso la domanda che un giorno gli
rivolgeranno i Giudei nel tempio: "Fino a quando terrai l'animo nostro
sospeso?". Se tu sei davvero il Cristo, dillo a noi apertamente".
Cioè, in questo caso, facci sapere, tu che sai tutto, da che parte sta la
verità e da che parte sta l'ingiustizia.
Anche la seconda situazione narrata da Luca 13,1-5 richiama domande attuali.
Essa riguarda una calamità naturale, la caduta di una torre a Gerusalemme
che travolge diciotto persone (e qui pensiamo agli incidenti e drammi di
questi ultimi tempi: i disastri dei trafori del Monte Bianco e del Gottardo,
il tragico incidente di Linate, gli incidenti aerei di queste ultime
settimane, le stragi per le fughe di gaz..). Anche allora come ora questi
incidenti suscitavano tante domande: si tratta di calamità inevitabili o
sono frutto di negligenza, di errore umano o di incoscienza o di imprudenze
inescusabili? Chi è colpevole? Chi doveva vigilare? Quale autorità ha
omesso i dovuti controlli, ha sottovalutato gli appelli ecc.?
I due episodi sono proposti a Gesù perché prenda posizione. Molti
aspettano, come ho già sopra indicato, che Gesù si dichiari contro il
tiranno Pilato; altri vorrebbero che criticasse i Galilei come terroristi
insipienti. A proposito della caduta della torre ci si attende che denunci
con parole di fuoco l'incuria dei governanti o al contrario rimproveri
l'imprudenza colpevole della gente.
Ma qui si verifica l'imprevisto. Gesù non prende posizione né pro né
contro nessuna delle persone coinvolte, non si esprime su chi degli
immediati protagonisti sia da ritenersi colpevole. Proclama, è vero, un suo
giudizio, che dovremo approfondire. Ma la sua voce sta al di sopra di tutti
i temi sia pur gravi di politica corrente. Ciò ci può sorprendere,
deludere e turbare.
Vedremo che cosa ciò voglia dire per l'oggi. Ma notiamo fin da ora che si
verifica anche qui ciò che notava un recente storico delle origini
cristiane: "In confronto ai profeti classici di Israele, il Gesù
storico è notevolmente silenzioso a proposito di molte scottanti questioni
sociali e politiche del suo tempo..Il Gesù storico sovverte non solo
alcune
ideologie, ma tutte le ideologie" (J.P.Meier, Un ebreo marginale:
Ripensare il Gesù storico, Brescia 2001, p.189).
2. LE DOMANDE DI OGGI
Qualcosa di simile avviene oggi. Le domande sui fatti della storia e
soprattutto sui drammatici fatti dei nostri giorni sono tante e
comprensibilmente cariche di sofferte emozioni, di precomprensioni affettive
e anche di pregiudizi. E non di rado si invocano da qualche autorità morale
risposte immediate e chiarificatrici (per lo più nell'attesa di essere
confermati in ciò che ciascuno ha già giudicato dentro di sé!).
Molte sono in particolare le interrogazioni gravi che si pone oggi l'uomo
della strada di fronte alle notizie e alle immagini televisive di questi
mesi e di questi giorni.
La prima riguarda gli autori dei gesti di terrorismo, a partire dai più
clamorosi e micidiali, in particolare quelli connessi col suicidio
dell'attentatore, ed è la domanda sul perché. Perché un essere umano può
giungere a tanta crudeltà e cecità? Ci si chiede in quali oscuri meandri
della coscienza possano albergare tali sentimenti di odio, di fanatismo
politico e
religioso, quali risentimenti personali e sensi di umiliazione collettiva
possano essere alla radice di simili folli decisioni. Nulla e nessuno potrà
mai giustificare questi atti o dare loro una qualunque parvenza anche
larvata di legittimazione. Ma ci dobbiamo anche chiedere: ci siamo noi tutti
davvero resi conto nel passato, rispetto ad altre persone e popoli, quanto
grandi ed esplosivi potessero a poco a poco divenire questi risentimenti e
quanto nei nostri comportamenti potesse contribuire e contribuisse di fatto
ad attizzare nel silenzio vampate di ribellione e di odio?
Ma non posso, a proposito di questa prima domanda, non sottolineare anche la
tremenda responsabilità di chi, magari dotato di grandi mezzi di fortuna,
ha imparato a sfruttare questi risentimenti e li fornisce di strumenti di
morte, finanziando, armando e organizzando i terroristi in ogni parte del
mondo, forse anche vicino a noi. Anche per costoro non v'è nessuna ragione
o benché minima legittimazione per il loro agire. Valgono piuttosto le
parole di Gesù per chi sfrutta in tal modo la debolezza di persone
semplici: "Sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una
macina girata da un asino, e fosse gettato negli abissi del mare! (Mt 18,1).
E non posso neppure dimenticare qui quanto ancora Gesù diceva nel discorso
della Montagna proibendo anche una parola offensiva perché contenente già
i germi dell'odio e dell'omicidio (Mt 5,22..."Chi dice al fratello 'pazzo'!,
sarà sottoposto al fuoco della Geenna".) Chi di noi ha l'età per
ricordare i primi tempi della contestazione (fine anni '60 - inizio anni
'70) sa che la noncuranza e la leggerezza, ostentata anche da chi avrebbe
avuto la responsabilità di giudicare e di punire, rispetto ad atti minori
di vandalismo e disprezzo del bene pubblico, ha aperto la via a gesti ben più
gravi e mortiferi. Chi getta oggi il sasso e si sente impunito domani potrà
buttare la bomba o impugnare la pistola. La "tolleranza zero" è,
per ogni parola o gesto di odio, supportata anche da una regola evangelica.
Ma oltre alla domanda di un giudizio umano e morale severo su ogni anche
piccola radice di disprezzo e di odio - da qualunque parte provenga e contro
chiunque si eserciti, per smascherarla e in quanto possibile per
esorcizzarla e disarmarla - emerge con insistenza in queste settimane nel
cuore della gente anche una seconda domanda, questa di natura piuttosto
politica e militare: il tipo di operazioni che si vanno facendo contro il
terrorismo sarà efficace? Servirà davvero a scoraggiare i terroristi, a
chiudere gli episodi macabri degli uomini-bomba, a creare le condizioni per
un superamento delle cause di tante inquietudini? Ben pochi di noi hanno
risposte certe e articolate a tutte queste questioni, anche per la loro
complessità e per gli scenari e episodi diversi e mutevoli a cui esse si
riferiscono. Ma ciò non toglie che esse gravino pesantemente sulle
coscienze di tutti, in particolare di coloro che sono più direttamente
responsabili di
programmare le operazioni contro il terrorismo, di determinare le misure
politiche, economiche, giudiziarie, culturali che si ritengono necessarie.
Essi soli conoscono da vicino le circostanze e l'efficacia, positiva e
negativa, dei bombardamenti e di altre azioni di guerra, dato anche che i
mass media non sembrano aver un accesso se non limitato alle fonti dirette
dei dati e delle strategie militari. Anche a questa domanda non osiamo
dare qui una risposta. Essa è però connessa strettamente con la seguente.
La terza domanda è di tipo etico: ciò che si è fatto e si sta facendo
contro il terrorismo specialmente a livello bellico rimane nei limiti della
legittima difesa, o presenta la figura, almeno in alcuni casi, della
ritorsione, dell'eccesso di violenza, della vendetta? E' chiaro che il
diritto di legittima difesa non si può negare a nessuno, neppure in nome di
un principio evangelico. Ma occorre una continua vigilanza e un costante
dominio su di sé e delle proprie passioni individuali e collettive per far
sì che nella necessaria azione di prevenzione e di giustizia non si insinui
la voluttà della rivalsa e la dismisura della vendetta. Si era avuta
l'impressione che questi principi di cautela fossero presenti nei primi
giorni della reazione ai terribili attentati dell'11 settembre. Ma ora a che
punto siamo? Non ha forse l'ansia di vittoria e il dinamismo della violenza
preso la mano diminuendo la soglia di vigilanza sulle azioni di guerra che
potrebbero essere non strettamente necessarie rispetto agli obiettivi
originari e soprattutto colpire popolazioni inermi? E' qui che il
principio della legittima difesa viene messo gravemente in questione: esso
non può essere impunemente scavalcato senza creare più odi e
conflitti di quanto non pretenda risolverne. Sembra questo in particolare il
caso, è doloroso
dirlo, di quanto continua a succedere in maniera crescente in Medio Oriente.
Da una parte un terrorismo folle e suicida contro cittadini pacifici e anche
tanti bambini, un terrorismo che non conduce da nessuna parte e che suscita
un crescendo di ira, indignazione e orrore. Dall'altra atti di rappresaglia,
che è difficile definire ancora come operazioni di legittima difesa, che
colpiscono popolazioni inermi, e anche qui tanti bambini. Vi si aggiungono
in più vere e proprie azioni belliche, di fronte alle quali anche
l'osservatore più imparziale e sinceramente desideroso e convinto del
bisogno di una piena sicurezza per il paese che così agisce, non riesce più
a cogliere quale sia quella strategia della pace e della sicurezza che pure
è sempre nel desiderio di tutto quel popolo la cui sopravvivenza è
essenziale per il futuro della pace nella regione e nel mondo intero.
Queste domande sono nel cuore di tanta gente e su di esse vi sarebbe ancora
tanto da discutere. Ma esse, pur facendo riferimento a elementi etici di
estrema gravità, non sono di competenza solo e spesso neanche in prima
istanza della Chiesa. Non spetta alla Chiesa dare l'ultimo giudizio pratico
su atti di cui solo pochi conoscono le modalità ultime e precise.
Sollevando interrogativi come quelli espressi sopra non ho voluto tanto
esprimer giudizi definitivi quanto aiutare me e voi a riflettere seriamente
e soprattutto stimolare i competenti e i responsabili a pesare ogni
loro opinione e azione su una bilancia di rigorosa giustizia e di
rispetto dei diritti umani di ognuno. Tali responsabili veramente competenti
non sono probabilmente molti. Certamente assai meno di quanto non si pensi o
non appaia dal numero e dalla molteplicità delle opinioni che vengono
espresse, spesso con tanta sicurezza. Sono pochi infatti a conoscere a fondo
tutti i dati disponibili sui terroristi, i loro progetti, le loro risorse.
Poche sono le notizie che realmente filtrano sugli atti di guerra e le loro
conseguenze, la natura delle resistenze e gli ambiti delle strategie. Le
autorità politiche e militari responsabili - me ne rendo conto - pagano qui
una misura ardua di solitudine a fronte di decisioni che coinvolgono la vita
di milioni di persone.
Per questo è tanto più prezioso il controllo democratico stabile e
metodico esercitato dai Parlamenti e da una opinione pubblica
intelligente e non faziosa, correttamente informata prima sul varo e poi
sulla conduzione degli eventuali interventi.
3. L'ATTEGGIAMENTO DI GESU'
A causa di tutto ciò ci impressiona e ci scuote ancora di più
l'atteggiamento di Gesù nel brano di Luca da cui siamo partiti e al quale
ora vorrei ritornare. C'è infatti un'ulteriore domanda oltre alle quattro
che abbiamo sin qui richiamato a proposito dei fatti attuali di terrorismo e
di guerra. E' una domanda molto semplice, di natura evangelica. Suona così:
che cosa ci direbbe oggi Gesù su quanto abbiamo evocato fin qui? Che cosa
ci suggerirebbe nello spirito del Discorso della Montagna, nel quadro delle
beatitudini dei misericordiosi e degli operatori di pace?
Abbiamo visto sopra nelle pagina di Luca 13,1-5 che Gesù non entra in
nessuno dei problemi che hanno in mente i suoi interlocutori e che
riguardavano l'attribuzione delle colpevolezze per gravi fatti di sangue, la
ricerca di capri espiatori. Superando ogni giudizio morale categoriale
sulle azioni di singoli o di gruppi, Gesù rimanda alla radice profonda di
tutti questi mali, cioè alla peccaminosità di tutti, alla connivenza
interiore di ciascuno con la violenza e il male, ripetendo per ben due
volte: «se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Egli
invita a cercare in ciascuno di noi i segni della nostra complicità con
l'ingiustizia. Ci ammonisce a non limitarsi a sradicarla qui o là, ma a
cambiare scala di valori, a cambiare vita.
Ciò in un primo momento ci sorprende. Ci sembra una fuga dal presente, un
volare troppo alto di fronte a eventi che richiedono con urgenza decisioni e
giudizi. Ci sembra un generalizzare un problema che rischia di confondere
torti e ragioni, carnefici e vittime, tutti accomunati sotto un unico
denominatore.
Ma Gesù non intende per nulla togliere a ciascuno la sua concreta
responsabilità. Ognuno è responsabile delle sue azioni e ne porta le
conseguenze. Per questo Gesù disse a Pietro che tentava di difenderlo con
la forza quando vennero per arrestarlo: "Rimetti la spada nel fodero,
perché tutti quelli che metteranno mano alla spada periranno di spada"
(Mt 26,52). Gesù sa che ciascuno deve prendere le sue decisioni morali di
fronte alle singole situazioni. Ma gli importa molto di più segnalare che
tutti gli sforzi umani di distruggere il male con la forza delle armi non
avranno mai un effetto duraturo se non si prenderà seriamente coscienza di
come le cause profonde del male stanno dentro, nel cuore e nella vita di
ogni persona, etnia, gruppo, nazione, istituzione che è connivente con
l'ingiustizia. Se non si mette mano a questi più ambiti più profondi
mutando la nostra scala di valori tra breve ci ritroveremo di fronte a quei
mali che abbiamo cercato con ogni sforzo esteriore di eliminare.
E' così che i Vescovi provenienti da tutto il mondo e riuniti in Sinodo nel
mese di ottobre 2001 hanno valutato la situazione odierna. Hanno detto nel
loro messaggio finale: "La nostra assemblea, in comunione con il santo
Padre, ha espresso la più viva sofferenza per le vittime degli attentati
del 11 settembre e per le loro famiglie. Preghiamo per loro e per tutte le
vittime del terrorismo nel mondo. Condanniamo in maniera assoluto il
terrorismo, che nulla può giustificare. D'altronde non abbiamo potuto non
ascoltare, nel corso del Sinodo, l'eco di tanti altri drammi collettivi....
Secondo osservatori competenti dell'economia mondiale, l'80% della
popolazione del pianeta vive con il 20% delle sue risorse e un miliardo e
duecento milioni di persone sono costretti a vivere con meno di un dollaro
al giorno. Si impone un cambiamento di ordine morale". (nn.9-10). Più
sotto (n. 11) i vescovi elencano alcuni " mali endemici, troppo a lungo
sottovalutati, che possono portare alla disperazione intere popolazioni.
Come tacere di fronte al dramma persistente della fame e della povertà
estrema, in un'epoca in cui l'umanità ha a disposizione come non mai gli
strumenti per un equa condivisione? Non possiamo non esprimere la nostra
solidarietà con la massa dei rifugiati e degli immigrati che, a causa di
guerra, in conseguenza di oppressione politica o di discriminazione
economica, sono costretti ad abbandonare la propria terra...".
Sono tanti i mali da deplorare e da sconfiggere: oltre il terrorismo e la
violenza va condannata ogni ingiustizia e va eliminato ogni affronto alla
dignità umana Ci chiediamo: sarà possibile una tale inversione di
tendenza?
Osiamo affermare di sì anzitutto perché un simile raddrizzamento della
scala dei valori è necessario per il superamento di quella conflittualità
crescente che mira alla distruzione reciproca dei contendenti. In secondo
luogo perché contiamo sulla grazia di Dio e sulla ragionevolezza di fondo
dell'uomo. In terzo luogo perché come cristiani (e anche in questo ci
distinguiamo da un mondo Occidentale fino a poco fa sicuro di sé ma ora
molto più incerto e sempre più povero di speranza trascendente) abbiamo la
certezza che se il male abbonda è perché sovrabbondi la grazia della
conversione e del perdono. Anche se lasciamo al Signore della storia il
calcolo dei tempi, sappiamo che è ben possibile che maturi di nuovo in
Occidente, forse proprio sotto la spinta di eventi così drammatici, la
percezione che è necessario un cambio di vita, l'adozione di una nuova
scala di valori. In un articolo recente si parlava, a proposito di tale
riconoscimento, di "Apocalisse", nel senso etimologico di un
"alzare il velo" di "una rivelazione" (Enzo
Bianchi, Le apocalissi dell'11 settembre, La Repubblica 27.10.01). In questo
contesto si tratta di una rivelazione del male in cui siamo immersi,
dell'assurdità di una società il cui dio è il denaro, la cui legge è il
successo e il cui tempo è scandito dagli orari di
apertura delle borse mondiali. Una società che giunge quasi al ridicolo
nella sua ricerca affannosa di investimenti virtuali, di transazioni
puramente mediatiche e che pretende di esportare messianicamente questo modo
di vedere in tutto il mondo. E' questa la globalizzazione che è giusto
rifiutare. Come ha scritto recentemente Tommaso Padoa Schioppa "la
strada che porta alla sicurezza è assai più lunga di quella che ha portato
a Kabul.
La strada è anche assai più faticosa, perché su di essa siamo noi a dover
camminare, non militari o Paesi lontani. E camminare vuol dire modificare
nostri modi di vivere, nostri pensieri, nostri sistemi politici.
Possiamo chiederci: abbiamo incominciato?" (Corriere della Sera,
18.11.01). Ma se ciò vale per l'economia e la politica, perché non
dovrebbero aprirsi anche nel campo della moralità nuovi spazi per un
rinnovato impegno di serietà e di giustizia, per una ricerca del
significato profondo della vita, per una maggiore apertura sul mistero di
Dio? Non ha forse Dio "rinchiuso tutti nella disobbedienza" di
conflitti senza via di uscita "per usare a tutti misericordia?" (Cfr
Rom 11,32).
Ma non è così importante sapere se ciò si avvererà presto. In fondo,
come diceva Bonhoeffer "per chi è responsabile la domanda ultima non
è: come me la cavo eroicamente in questo affare, ma: quale potrà essere la
vita per la generazione che viene? Solo da questa domanda storicamente
responsabile possono nascere soluzioni feconde" (Resistenza e Resa, p.
64). Ciò che dunque urge è dirci che se non avviene un cambio radicale
nella scala dei valori, se non vengono messi al primo posto la pace, la
solidarietà, la mutua convivenza, l'accoglienza reciproca, l'ascolto e la
stima dell'altro,
l'accettazione, il perdono, la riconciliazione delle differenze, il dialogo
fraterno e quello politico e diplomatico, mentre vengono contemporaneamente
messe al bando le rappresaglie della guerra, se non vengono disarmate non
solo le mani ma anche le coscienze e ci cuori, noi avremo sempre a che fare
con nuove forme di violenza e anche di terrorismo. Riusciremo magari a
spegnerle per un momento ma per vederle poi risorgere impietosamente
altrove.
Come ha ripetuto ancora il 4 dicembre 2001 il Papa a proposito del conflitto
in Medio Oriente: "La violenza non risolve mai i conflitti, ma soltanto
ne accresce le drammatiche conseguenze". Ha perciò lanciato "un
nuovo pressante appello alla comunità internazionale , affinché con sempre
maggiore determinazione e coraggio aiuti israeliani e palestinesi a spezzare
questa inutile spirale di morte. Siano ripresi immediatamente i negoziati,
perché si possa giungere finalmente alla tanto desiderata pace".
Inoltre il Papa ha stimolato, con un gesto assolutamente nuovo nella storia
del rapporto
Cristianesimo - Islam, tutti i cattolici a unirsi spiritualmente il 14
dicembre prossimo alla conclusione del solenne digiuno musulmano del Ramadam,
per affermare che c'è e ci deve essere un clima di rispetto tra le due
religioni. Di qui avrà inizio un particolare tempo di conversione, di
ritorno al Signore nel cammino faticoso della storia verso la pienezza della
verità e della carità, che culminerà il 24 gennaio 2002 in una grande
preghiera interreligiosa per la pace ad Assisi con la partecipazione del
Papa. Sono gesti che intendono affermare a tutto il mondo che mai per nessun
motivo le religioni devono divenire fonte di conflitto, ma al contrario
occasione e strumento di pace.
4. APERTURE NUOVE
Devo avviarmi a concludere questo discorso, che inevitabilmente rischia di
coinvolgerci in sempre nuove direzioni, perché la violenza e il male sono
dappertutto e stanno alla radice di tutto. Ma il bene zampilla da una
sorgente ancora più profonda e innaffia, risana e rigenera
continuamente questa radice di male e di amarezza. E' importante però che
riconosciamo che dobbiamo fare ciascuno la nostra parte e ascoltare
l'appello che ci raggiunge. Il momento drammatico che stiamo vivendo
è un forte richiamo alla conversione e al riconoscimento della nostra
connivenza con i mali del
mondo. Sottolineo: con i mali di tutti, sotto ogni latitudine e non del solo
mondo occidentale. Certamente esso ha i suoi gravissimi torti, le sue cecità,
i suoi idoli, i suoi deliri di onnipotenza. Per questo la Chiesa, neppure
quella Occidentale, che cioè ha vissuto storicamente e tuttora vive in
questo ambito e si è sempre sforzata di dargli un'anima , non si è mai
riconosciuta né identificata del tutto con esso né tanto meno si
identifica ora in un ambito nel quale gloriose tradizioni di libertà
e dignità umana convivono - in un clima crescente di compromissione - con
un individualismo senza regole, con il culto del denaro, del successo,
dell'immagine e della potenza. Ma pur con tutto ciò non dobbiamo ritenere
che sia solo il nostro mondo occidentale quello chiamato da Gesù a cambiar
vita. Il Signore afferma due volte, nel testo di Luca da cui siamo partiti
(13,3.5): "se non cambierete vita, perirete tutti!". La follia
dell'autodistruzione, che assume nelle odierne culture innumerevoli forme,
minaccia tutti quanti. Gli spettri della corruzione, del malgoverno, del
prevalere dell'interesse privato e tribale su quello pubblico, della
dittatura e del primato della forza e delle armi, stanno succhiando il
sangue di innumerevoli poveri della terra.. Sarebbe troppo facile trovare un
solo capro espiatorio e una
sola vittima. Zizzania e buon grado sono intrecciati profondamente in ogni
angolo del pianeta. Gesù sa che il male è nascosto nel cuore di ogni uomo
e di ogni cultura, sa che siamo "generazione incredula e perversa"
(Mt 17,17).
Dobbiamo in altre parole renderci conto che di certe pesti che ammorbano il
mondo (e di cui i conflitti bellici e gli attentati sono una delle
manifestazioni) non è soltanto colpevole l'uno o l'altro individuo o popolo
lontano da noi o vicino a noi, ma ne siamo tutti in qualche modo, ciascuno
per la sua parte, conniventi e corresponsabili.
Se, spinti da eventi tragici che mai avremmo voluto neppure immaginare,
l'invito di Gesù a cambiare scala di valori e criteri di giudizio
cominciasse a venire accolto, ne emergerebbe una società più pensosa, una
gioventù meno dissipata e meno avida di divertimenti, conscia delle proprie
responsabilità per il futuro del pianeta; pronta anche ad ascoltare il
richiamo per aprirsi a esistenze consacrate al servizio totale di Dio e del
prossimo. E di tutto questo inizio di cammino positivo noi, grazie a Dio,
siamo anche i gioiosi testimoni, per poco che sappiamo guardarci intorno con
gli occhi della
speranza.
5. IL GRANDE BENE DELLA PACE
Ma non potrei concludere questo discorso senza ritornare a quella che ne fu
la sua ispirazione principale fin dall'inizio, cioè il grande bene della
pace: se abbiamo infatti cominciato con l'ascoltare Gesù che parlava della
violenza (Lc 113,1-5), ciò era solo perché a Lui - e oggi alla sua Chiesa
- una cosa sta sommamente a cuore: la pace!
Infatti la pace è il più grande bene umano, perché è la somma di
tutti i beni messianici. Come la pace è sintesi e simbolo di tutti i beni,
così la guerra è sintesi e simbolo di tutti i mali. Non si può mai volere
la guerra per se stessa, perché è sistematica violazione di sostanziali
diritti umani.
Vi saranno al limite casi di legittima difesa di beni irrinunciabili. Però
il contrasto all'azione ingiusta, non di rado doveroso e meritorio,
deve restare nei limiti strettamente necessari per difendersi efficacemente.
Potranno anche essere necessarie coraggiose azioni di "ingerenza
umanitaria" e interventi volti alla restituzione e al mantenimento
della pace in situazioni a gravissimo rischio. Ma non saranno ancora la
pace.
Pace non è solo assenza di conflitto, cessazione delle ostilità,
armistizio.
Non è neppure soltanto la rimozione di parole e gesti offensivi (Mt
5,21-24), neppure solo perdono e rinuncia alla vendetta, o saper cedere pur
di non entrare in lite (Cfr. Mt 5,38-47). Pace è frutto di alleanze
durature e sincere, (enduring covenants e non solo enduring freedom), a
partire dall'Alleanza che Dio fa in Cristo perdonando l'uomo, riabilitandolo
e dandogli se stesso come partner di amicizia e di dialogo, in vista
dell'unità di tutti coloro che Egli ama. In virtù di questa unità e di
questa alleanza ciascuno vede nell'altro anzitutto uno simile a sé, come
lui amato e perdonato, e se è cristiano legge nel suo volto il riflesso
della gloria di Cristo e lo splendore della Trinità. Può dire al fratello:
tu sei sommamente importante per me, ciò che è mio è tuo. Ti amo più di
me stesso, le tue cose mi importano più delle mie. E poiché mi
importa sommamente il bene tuo, mi importa il bene di tutti, il bene
dell'umanità nuova: non più solo il bene della famiglia, del clan, della
tribù, della razza, dell'etnia, del movimento, del partito, della nazione,
ma il bene dell'umanità intera: questa è la pace.
Ogni azione contro questo "bene comune", questo
"interesse generale" affonda le radici nella paura, nell'invidia e
nella diffidenza. Genera i conflitti e nutre gli odi che causano le
guerre.Ci vorrà una intera storia e superstoria di grazia per compiere
questo cammino. Ma è questa la pace che è meta della vicenda umana.
6. ALCUNI IMPERATIVI IMMEDIATI
1. Abbiamo anzitutto un grande bisogno di
percepire dentro di noi una fontana zampillante di pace che ci apra
alla fiducia nella possibilità di passi concreti e semplici verso un
cambiamento di stile di vita e di criteri di giudizio, unica via a un
cammino serio di pace. Evitiamo di lasciarci intorpidire da un clima
consumistico prenatalizio che rischia di farci rimuovere le domande serie
emerse da questi fatti drammatici.
2. Per evitare di essere trascinati, anche non
intenzionalmente, in uno scontro di civiltà, occorrerà esercitarsi
nell'arte del dialogo, che parte da una chiara coscienza della propria
identità e della ricchezza dei linguaggi con cui esprimerla e renderla
accessibile smontando i pregiudizi, i cavilli e le false comprensioni.
3. Per questo sarà importante imparare a
conoscere le altre religioni, in particolare l'Ebraismo e l'Islam,
scrutando di ciascuna la storia, letteratura, le ricchezze spirituali, le
profondità mistiche, il pluralismo espressivo, anche quello sociale e
politico.
4. Ma soprattuto occorrerà educare a gesti,
pensieri e parole di perdono, di comprensione e di pace, usando tolleranza
zero per ogni azioni che esprima sentimenti di xenofobia, di antisemitismo,
di minor rispetto di qualunque sentimento e tradizione religiosa. Questo
richiede che anche gli altri rispettino e apprezzino quei segni religiosi
che sono stati e sono
tuttora per noi la via e il simbolo che ci permette oggi di offrire a tutti
ospitalità e pace.
5. E superfluo ricordare quanto la scuola e
l'università siano chiamate a educare al dialogo, al confronto sereno, per
aiutare a riflettere motivatamente sui gravi problemi in discussione a
livello internazionale ma anche nazionale e regionale (e non soltanto perciò
sui temi della pace e della guerra, ma anche oggi su temi per noi gravi e
urgenti come la
giustizia e la sanità) . Grande sarà in questo senso il compito e la
responsabilità dell'autonomia scolastica.
Ci
conforta e ci fa ben sperare l'anniversario che si ricorderà domani, quello
dell'apertura, 80 anni fa, proprio a pochi metri da questa Basilica di
sant'Ambrogio, in via Sant'Agnese, dei corsi della neonata Università
Cattolica del Sacro Cuore. Incominciò con 68 iscritti. Oggi sono oltre
40.000. Auguriamo ad essi e a tutti i giovani del mondo di essere, per il
millennio che inizia, come le "sentinelle del mattino" che
annunciano il giorno della tanto desiderata pace.
+ Carlo Maria Martini
Vi giriamo una lettera che ci ha inviato Guglielmo Minervini in riposta alla
nostra di qualche settimana fa. Rosa
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Carissimi Rosa & Antonello,
Vi ringrazio davvero di cuore per la Vostra lettera intensa e appassionata.
Ovviamente, ne condivido lo spirito, la tensione morale che l'anima, le
scelte di fondo che la caratterizzano. Sono radici che, per molti versi,
affondano in comuni esperienze di vita e di impegno.
E sono contento, tutto sommato, che il mio articolo abbia suscitato delle
reazioni e, quindi, un dialogo. Questo è un tempo in cui dominano i
monologhi, piuttosto. Ecco, ho scritto mosso dalla preoccupazione che anche
quello della pace possa accettare di ridursi ad un monologo, splendido,
puro, profetico, entusiasmante ma irrilevante.
Entriamo nel merito. Non ho titolo né la voglia di fare il difensore
dell'Ulivo né tantomeno del parlamento italiano. Giusto per intenderci, se
ci fossi stato, avrei ribadito la mia obiezione alla guerra. Però, questo
non mi esime dal confronto con chi, avvertendo nella sua coscienza il
medesimo imperativo della pace (e ce ne sono), è stato costretto a
misurarlo, lealmente, con lo spazio angusto delle decisioni possibili.
Il movimento per la pace fa bene a conficcare la spina di questo imperativo
nel fianco della politica. Ma se non percepisce la differenza tra
l'espressione della volontà e gli accidentati percorsi della responsabilità,
non diventa adulto. Separare la testimonianza dalla politica non serve a
nessuno, nemmeno ai politici, perché esalta l'anima cinica e di potere.
Gli eventi si stanno evolvendo rapidamente. Non sappiamo ancora quale piega
prenderanno. Mentre vi scrivo, in Europa si sta facendo un difficile
tentativo di composizione dei gruppi afgani, per evitare lo scontro totale.
Nonostante non smetta di scorrere il sangue, l'Europa continua a spingere
con determinazione (con l'unico strumento di cui dispone che è la
promessa dell'inclusione nel comune sviluppo) per la soluzione politica del
conflitto israeliano-palestinese. Infine, i paesi europei (tranne, come al
solito, l'Italia berlusconiana) stanno, per il momento almeno, battendo i
pugni per impedire l'allargamento dell'azione militare all'Irak e agli altri
paesi "sospetti" (con il rischio assolutamente reale di
degenerazione).
Nessuna di queste azioni sarebbe stata accettata, secondo la cruda sintassi
della politica, se i paesi europei si fossero mantenuti fuori dalla mischia.
Cosa sarebbe avvenuto se gli Stati Uniti fossero stati lasciati soli?
Sarebbe andata meglio o peggio per gli afgani, il medioriente, il mondo e
tutti noi? Detto a bruciapelo, ci saremmo allontanati ancora di più da
prospettive di pace oppure sarebbe andato tutto nello stesso modo? Questa è
la domanda che si sono posti coloro che, votando, avevano la possibilità di
condizionare (certo, non impedire né invertire) il corso degli eventi. Non
è la costruzione della pace, ma fare quello che è dato per impedire che ci
si allontani troppo. La logica del male minore? Forse, ma nello spazio
impervio della politica, questa logica è l'unica possibile in una grande
quantità di situazioni. Certo, queste domande non è detto che abbiano una
risposta positiva. Possiamo, tra non molto, scoprire che ha prevalso, ancora
una volta, la logica del dominio e non quella della politica e che nulla di
strutturale sia cambiato. Nessuno ha il possesso della verità.
Eppure quello spazio angusto dove la testimonianza e la responsabilità, la
coscienza e la realtà si congiungono lo dobbiamo frequentare. Perché lì
dentro soltanto, passo dopo passo, è possibile costruire, concretamente, il
cambiamento.
Credo che a questo tempo si addica meglio una profezia silenziosa, di chi,
mentre tutti fuggono nella stupidità degli stereotipi, è ancora disposto
ad assumersi responsabilità non tanto delle sue idee ma della loro
traduzione effettiva nella realtà.
Insomma, non auspico un movimento pacifista meno radicale ma più
consapevole dell'estrema complessità della situazione che stiamo vivendo,
meno assertivo e più problematico. Meno rituale e più efficace. Ad
esempio, dopo la marcia di Assisi c'è stato letargo e, invece, ci sarebbe
bisogno di incalzare in modo forte la politica affinché non tradisca, anche
questa volta, il suo impegno nel conflitto mediorientale.
Credo che in questo momento la coscienza della necessità di una svolta
dalla guerra alla politica, di fronte al problema globale di un'ingiustizia
planetaria incontenibile, stia complessivamente crescendo. E' sempre meno
minoritaria. Ma l'inversione, il cambio, se volete la frenata dalla paranoia
del consumo ad uno stile più sobrio ma anche più felice, non è
indolore. Se si genera panico, si può sbandare, finire catastroficamente
fuori strada. Ecco perché occorrono i movimenti per incalzare nuovi
orizzonti per il futuro, ma è altrettanto indispensabile la politica per
gestire i passaggi possibili. Nel mio articolo volevo solo esprimere questo.
Dire che un pacifismo narcisista che si accontenta di affermare le proprie
ragione non serve a nessuno. Soprattutto, non serve alla speranza.
Sono d'accordo in ogni caso, parliamone.
Con affetto
Guglielmo Minervini
14 dicembre
preghiera e digiuno per la pace
nel “tempo
opportuno” di avvento
Il Santo Padre ci ha
invitati ripetutamente a pregare per la pace; il 19/09 ha detto: “Vi
invito a pregare in questi giorni affinché Dio Onnipotente guidi la mente e
il cuore dei responsabili del mondo in modo che prevalgano le vie della
giustizia e della pace.” Ciò prima della reazione bellica all’attentato
e il papa spera che non vi sia alcuna rappresaglia generalizzata. Ma non lo
chiede semplicemente a Dio, piuttosto chiede nella preghiera che questi
responsabili si aprano a Dio e lo ascoltino, senza presumere di sapere già
cosa egli desidera. E’ infatti questa presunzione che determina in gran
parte i fondamentalismi. Ciò implica una conversione ed una capacità di
ascolto di Dio che parla nelle coscienze. Se qui prevalgono interessi e
risentimenti invece che amore e ricerca della giustizia e della pace, Dio
stesso diventa impotente, egli infatti non scavalca mai la libertà umana.
Tutto ciò dà una importanza particolare alla preghiera e all’invito del
papa: ce li fa comprendere come punto di partenza per una conversione
all’ascolto di Dio e come necessità di testimonianza attiva e incisiva
nella opinione pubblica. Il papa, infatti, ha chiesto successivamente,
nell’Angelus del 18/11, una giornata di preghiera e di digiuno a tutti i
cattolici: “In questo tempo opportuno (=tempo di salvezza n.r.) chiedo ai
cattolici che il prossimo 14 dicembre sia vissuto come giorno di digiuno,
durante il quale pregare con fervore Dio perché conceda al mondo una pace
stabile, fondata sulla giustizia, e faccia sì che si possano trovare
adeguate soluzioni ai molti conflitti che travagliano il mondo: ciò di cui
ci si priva nel digiuno potrà essere messo a disposizione dei poveri, in
particolare di chi soffre in questo momento le conseguenze del terrorismo e
della guerra.” Annuncia poi l’intenzione di invitare i rappresentanti
delle religioni “ad Assisi il
24 gennaio 2002 a pregare per il superamento delle contrapposizioni e per la
promozione dell’autentica pace.”
Digiuno e preghiera sono le armi che Gesù indica per sconfiggere il
maligno, per la resistenza al male e per la conversione; l’amore al
prossimo, di cui l’elemosina è un segno, è caratterizzante della fede
cristiana: l’amore liberante di Dio è l’annuncio evangelico.
Dunque ci chiede preghiera e azione per la pace; non solo preghiera come
rifugio in tempo di angoscia. Ma quale azione per la pace? Innanzitutto
occorre sfuggire ai luoghi comuni e alla cultura sloganistica di parte. Il
bisogno di conoscere i problemi e le culture poste a confronto è stato un
primo frutto nato da questa situazione. Occorre liberarsi dai ricorrenti
“buonismi” dei benpensanti che non vedono i problemi, o da
semplificazioni che li rendono irrisolvibili. Né pare intelligente
rinunciare alla propria identità religiosa, alla propria storia, alla
propria cultura e alle sue radici, per accogliere coloro che provengono da
altre culture, storie, religioni. Anzi proprio per non disprezzare le altre
religioni occorre rispetto per la propria, o almeno quella che ha informato
e formato la nostra cultura. In ogni modo l’occidente è sfidato dalla
presenza dell’Islam, e non solo, a riscoprire almeno il senso della
propria. Ci possono essere difficoltà reali di dialogo fra religioni: la
storia ne è piena. Ciò non significa che non sia arrivata l’ora di un
confronto nella tolleranza, necessaria da tutte le parti, e nella fraternità
che a noi cristiani è chiesta dalla fede. Il confronto esige però una
disponibilità a mettere in discussione almeno i modelli di realizzazione
storica della propria fede. Lo scopo non è solo parlarsi ma costruire un
mondo di pace. Evangelizzare la pace, l’amore e la giustizia fa parte
della missione della Chiesa e dei cristiani; oggi questo a noi è finalmente
chiaro.
La cultura sloganistica che ha caratterizzato la campagna elettorale ultima
e la discussione in parlamento sulla partecipazione alla guerra-non guerra
(non dichiarata a nessuno…di intelligence, ... di polizia globale…) è
segno di ulteriore sconfitta della ragione e della capacità di fare
politica. Tutto ciò non serve alla causa della pace. Occorrerà imparare a
discutere dei problemi politici che sono di tutto il pianeta; occorrerà
stare al corrente dei fatti al di là delle semplificazioni del sistema
mass-mediale, quello che chiama no-global i contestatori violenti
e anche coloro che invece vorrebbero una globalizzazione di pace, nel
rispetto dei diritti umani.
Certamente emerge un mondo globalizzato e diviso. Cosa globalizza e cosa
divide? Occorrerà mettere mano a questo.
Ciò che è successo dall’11/9 ha portato scompiglio in una visione del
mondo unito dal commercio e dalla rincorsa al benessere, che si doveva
allargare automaticamente: la pace costruita dal mercato! Sono tornati
importanti valori come la religione, la cultura, le identità, le
tradizioni. C’è la necessità di tornare alla politica nel senso più
alto, sottraendola alla egemonia della economia. E’ necessario tornare ai
discorsi sui diritti e loro fondamenti, sulla giustizia non solo come
petizione di principi.
I vescovi americani hanno scritto un documento: “Vivere con fede e
speranza dopo l’11 settembre” in cui, pur dichiarandosi vicini ai loro
militari, chiedono attenzione a ciò che accadrà dopo e
attenzione a salvaguardare gli innocenti, ad aver come scopo il bene
comune universale; evocano, dopo la situazione attuale di guerra, la
necessità di una pace giusta e cioè di una giustizia globale da costruire,
di una pace per i palestinesi, per gli afgani, per l’Iraq. “Nessuna
ingiustizia può legittimare l’orrore che abbiamo sperimentato. Ma un
mondo più giusto sarà un mondo più pacifico. Ci saranno sempre figli
dell’odio e della violenza, ma avranno meno sostenitori e risorse per
commettere le loro azioni atroci.” Oltre all’orgoglio di aver anticipato
le stesse argomentazioni, nella mia prima riflessione sui fatti, colgo
questa sintonia come fondata sulle stesse radici cristiane ed occidentali,
quelle soprattutto dalla cui riflessione nacque la teoria dei diritti umani
fin dal ‘500.
La forza del diritto e della giustizia costruisce la pace e la
sicurezza. Invece non lo fa la teoria della anarchia strutturata di
Luttwack, che vediamo spesso nella nostra TV, e prima di lui di
Kennet Waltz, consigliere di Reagan e di Bush padre, per la quale prevale il
diritto della forza in una situazione naturale di guerra fra gli
stati che si relazionano solo con rapporti di forza; in base a questo si
determina una gerarchia fra stati. Tutto ciò però espone alla violenza e
la produce.
Il papa allora quando invita a digiuno, preghiera ed elemosina il 14/12 fa
insieme molte cose: chiede la conversione e un’azione di pace, qualcosa
che ci coinvolge in tutto ciò che sopra ho ricordato; compie un gesto di
comunione con gli islamici che in quel giorno concludono il Ramadan, un
periodo di preghiera digiuno ed elemosina, e quindi compie un gesto di pace
e fraternità nel rispetto delle identità; ci chiede di prepararci alla
festa di Natale e all’appuntamento alla giornata della pace non
semplicemente con sentimentalismo ma con desideri attivi di pace, operando
nel cuore e nella mente, sentimenti e ragione, e inducendo pensieri di pace
e giustizia. Seguiamo la preghiera del papa dell11/10: “Dal cuore
dell’uomo il Signore sradichi ogni traccia di astio, di inimicizia e di
odio e lo renda disponibile alla riconciliazione, alla solidarietà e alla
pace.”
Ravaldino in monte 29/11/2001
Don Franco Appi
Care amiche e cari amici,
come sicuramente molti di voi avranno già letto nei giorni passati (mailing
list di Bazzocchi, Il Manifesto etc), sta circolando l'appello "Dalla
guerra non nasce giustizia" promosso da varie personalita'.
Stiamo raccogliendo le adesioni e naturalmente siete tutti invitati a
partecipare all' iniziativa che si terrà il 17 dicembre alla sala della
Protomoteca - Comune di Roma.
Potete rinviarmela via email.
grazie e a presto.
Barbara Slamic
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“Dalla guerra non nasce giustizia”
Ogni vittima è una parte di noi che muore. Ogni vita strappata all’odio
della guerra è il nostro futuro che sorge.
Siamo uomini e donne che hanno un sogno in comune: un mondo più giusto.
Questa necessità per l’umanità si allontana ogni volta che la comunità
internazionale si illude di risolvere i problemi di pace e di sicurezza
mettendo in campo la guerra e gli armamenti.
La metà dei soldi usati nel primo mese di guerra sull’Afghanistan
avrebbero consentito a 20 milioni di esseri umani di quel paese di vivere in
prosperità e ricchezza per tutto il resto della loro vita. Con il 3% dei
fondi destinati alla militarizzazione dei soli e delle stelle, il cosiddetto
scudo spaziale, potremmo dare acqua potabile a chi oggi vede
preclusa questa vitale possibilità. La guerra non è solo ciò che
distrugge od uccide con le armi : è tanta intelligenza, tanta cultura
scientifica, tante risorse finanziarie bruciate per la morte anziché per la
vita.
Il terrorismo è nostro nemico. Solo la pace può sconfiggerlo.
Esso si annida e si nutre nelle tante aree di sofferenza prodotte da un
sistema ingiusto. Esso è protetto nei paradisi fiscali, nel riciclaggio di
denaro sporco, dai trafficanti di armi, dai rialzi e dai crolli delle borse.
Esso si è istruito nelle
principali scuole militari dei paesi che contano, ha imparato a colpire con
ferocia nella tante guerre per procura combattute per impedire la libertà e
la dignità dei popoli.
Esso non teme la guerra; che ne è il brodo di cottura. Teme
l’edificazione di un sistema di pace, dove la ricchezza del mondo sia
distribuita più equamente, dove la convivenza sia non solo possibile ma
divenga l’essenza stessa della comunità umana. All’orrore dell’11
Settembre non si può rispondere con la sospensione dei diritti civili, con
la restrizione delle libertà democratiche, con la riabilitazione della
tortura e l’istituzione di tribunali speciali senza diritto di difesa. La
democrazia che snatura se stessa per combattere i propri nemici, finisce per
negare se stessa.
Fermiamo la fabbrica dell’odio, mobilitiamoci per la pace. Talebani ed
Alleanza del Nord, il rischio di cadere dalla padella alla brace è
altissimo. In mezzo vi è un popolo di profughi che viaggia senza meta, tra
campi pieni di mine e bande di armati e di sciacalli. E’ a loro, che hanno
conosciuto 25 anni di guerra, che va il nostro pensiero. E’ alle donne
afghane , sepolte nel burqa e dall’oscurantismo, che resistono e si
battono per la pace, i diritti, la democrazia che va il nostro sostegno e
solidarietà. E’ alle organizzazioni umanitarie, alle Ong, ai tanti ed
alle tante che in condizioni difficili difendono la dignità dell’umanità
che va tutto il nostro appoggio.
Di loro c’è bisogno. Non di portaerei, truppe e di altre armi. Contro
ogni guerra di civiltà, difendiamo il valore della convivenza, i diritti
dei migranti e dei rifugiati, battiamoci perché le nostre comunità siano
accoglienti e libere da ogni forma di razzismo.Perché il frutto della pace
sarà la giustizia. Quello della guerra ancora altra guerra. Mobilitiamoci
per
la pace. Il 10 dicembre, 53° anniversario della dichiarazione dei diritti
umani saremo a fianco di tutti quelli che ogni giorno –e ovunque- si
impegnano per i diritti umani. Come in Palestina e in Israele dove andremo a
fine anno a sostenere chi si impegna per la pace. E ricordiamo, inoltre, la
scelta di chi il 14 dicembre, rispondendo all’appello del Papa farà una
giornata di digiuno per sostenere i valori della pace.
Invitiamo tutti coloro che condividono questo appello ad incontrarsi il
prossimo 17 dicembre alle 16.00 a Roma alla Sala della Protomoteca del
Comune di Roma per discutere come portare avanti il nostro impegno per la
pace e la
giustizia.
Dall'Afghanistan al Medio Oriente
"DALLA GUERRA NON NASCE GIUSTIZIA"
Rilanciare l'impegno e l'iniziativa:
* Per la pace e contro ogni guerra
* Per il rispetto dei diritti umani
* Per la giustizia e la solidarietà
17 dicembre, Roma
ore 16.00 presentazione dell'iniziativa
Aula Facoltà di Lettere, Università di Roma
Intervengono, insieme ai firmatari:
Fulvia Bandoli - Direzione DS
Tom Benetollo - Presidente ARCI
Fausto Bertinotti - Segretario PRC
Candido Grzybrowski- Comit. Prom. Forum Sociale Mondiale di Porto
Alegre
Flavio Lotti - Coord. Tavola della pace
Giulio Marcon - Presidente ICS
Francesco Martone - Deputato dei Verdi
Alessandra Mecozzi - FIOM-Cgil
Luisa Morgantini - Europarlamentare - Donne in Nero
Ali Rashid - Delegazione Palestinese in Italia
L'appello delle iniziative è promosso da:
Alex Zanotelli, Pietro Ingrao, Vittorio Agnoletto, Fabio Alberti,
Fulvia Bandoli, Riccardo Barenghi, Tom Benetollo, Marco Bersani, Fausto
Bertinotti, Luigi Bettazzi, Luca Casarini, Luigi Ciotti, Alessandro Curzi,
Peppe De Cristofaro, Tonio Dell’Olio, Domenico Gallo, Maurizio
Gubbiotti, Flavio Lotti, Fabio Lucchesi, Francesco Martone,
Giulio Marcon, Alessandra Mecozzi, Lidia Menapace, Piero Maestri, Roberto
Minervino, Luisa Morgantini,
Luciano Muhlbauer, Gianni Rocco, Giorgio Nebbia, Claudio Sabattini, Cesare
Salvi, Sabina Siniscalchi, Pierluigi Sullo
Per adesioni e informazioni: tel. 0685355081 fax 0685355083, email: icsuffroma@tin.it
===============================================================================
@
@ Barbara Slamic
@ Ufficio di Presidenza
@ ICS Consorzio italiano di Solidarietà
@ via Salaria 89 00198 Roma
@ tel ++39 0685355081
@ fax ++39 0685355083
@
Mi è arrivata stamattina da un amico. Non conosco la fonte
originale, ma mi sembrava meritasse di essere diffusa.
Andrea
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Andrea Guerrizio
Associazione ONLUS
"Satyagraha - la forza della Verità"
via Panisperna 159 00184 Roma
http:\\web.tiscalinet.it/satyagraha
Pochi decidono per tutti, in questo mondo. Gli altri tacciono e subiscono.
Siamo tutti uguali, il sangue scorre rosso, il dolore si esprime in grida e
lacrime. Per tutti.
Io sono nata a Kandahar 22 anni fa, sono stata in Italia per quasi tutta
l'infanzia e di questo non smetterò mai di ringraziare mio padre che ha
voluto che io vedessi un mondo diverso di pace, poi sono tornata in
Afghanistan, dove c'era tutta la mia gente. Ho conosciuto gli italiani, sono
come noi. Ho amato la capacità degli italiani di capire, di non giudicare,
di commuoversi. Così a questo popolo che ho amato invio la mia preghiera.
In Italia c'è la mafia che si è diffusa come un cancro in tutto il mondo,
facendo male e tanto.
Sono felice che nessuno per questo abbia mai pensato di bombardare l'Italia,
di darla da governare a stranieri, di riempirla di bombe, mine e pianto.
Sono felice perché la mafia non avrebbe perso mentre gli italiani avrebbero
visto i loro sogni trasformarsi in orrore e incubi. Ero a Kandahar quando
sono cominciati i bombardamenti occidentali. Ero là con il mio bimbo e il
mio giovane uomo. E così il mio giovane uomo è andato a combattere. Non
volontario, non terrorista. E' partito perché i giovani ragazzi vengono
arruolati dagli eserciti in tutto il mondo quando c'è guerra. Aveva 20 anni
e se n'è andato senza guardare il suo bimbo che piangeva. Forse immaginava
che non l'avrebbe visto più, non voleva ricordarlo in lacrime.
Cadevano le bombe l'ultima volta che l'ho visto vivo, il rumore era
assordante e la gente gridava e correva in cerca di rifugi che non ci sono.
Così non so se ha sentito il mio saluto. L'ho accompagnato per alcuni metri
lungo la strada e per una volta ho gioito di indossare il burqa. Non ha
visto lacrime ed erano tante, ha portato il mio ricordo mentre gli dicevo
che nessuna bomba e nessun nemico può uccidere chi è protetto da un amore
grande, come il mio per lui. Ma l'amore in Afghanistan ha perso da tempo. E
il mondo è piccolo e se l'amore perde, perde per tutti. La notte ho stretto
forte il mio bimbo che non dormiva più. Chiedeva perché, ma io non
so che rispondergli. Non si può dire a un bimbo che il mondo odia il
terrorismo, che significa uccidere gli innocenti, e così, per risposta,
bombarda noi.
Tutto quello che quella notte, quella dopo e quelle prima gli dicevo era
"mamma è qui con te, non piangere, mamma è qui con te". E ora
vorrei morire perché in una di quelle notti da incubo la casa è esplosa su
noi abbracciati. E che ha potuto fare mamma per il suo bimbo? Gli avevo
promesso protezione, la bomba è caduta e lui nel terrore mi ha guardata
come a
ricordarmi la promessa. Non ha urlato, questo lo ricordo. Io l'ho fatto ed
era un grido animale che mi risuona nelle orecchie in ogni istante, sono
saltata sul corpo del mio piccolo come un'aquila sulla preda. Sentivo del
sangue scivolarmi lungo le gambe e tra il dolore e l'angoscia non capivo di
chi fosse, continuavo a pregare Dio che fosse il mio, a implorarlo che fosse
il mio. Non lo era. Come vorrei spiegare a tutte le mamme... ma le mamme, lo
so, non hanno bisogno di altre spiegazioni. Alzi gli occhi al cielo e
vorresti solo morire, perché tutto il resto non importa, perché non c'è
niente che può consolarti, perché la morte è nulla per una madre quando
ha suo figlio che grida tra le braccia. Ho chiesto a Dio di mandare un'altra
bomba a uccidermi, sentivo di non farcela. Invece stavo già correndo,
cercando aiuto, tra le bombe e le fiamme e altre mamme con fagottini
sanguinanti tra le braccia. Il mio bimbo vivrà senza le gambe, urla tutto
il giorno, si lamenta tutta notte. Ho affidato la mia lettera a un'amica che
è corsa via per salvare i suoi, io da qui non posso scappare, il mio
bambino è steso in un letto. Aspettiamo la fine, le bombe continuano a
cadere e io spesso chiedo ad una di colpirci per non vedere il resto, per
non dover dire a lui che gli ho dato una vita senza futuro, per non dovergli
dire che lo
aspetta solo il dolore.
Spero che ci colpisca e ci porti via insieme, in un posto nel quale io possa
proteggerlo, solo questo sarebbe il mio Paradiso. Ho affidato così la
lettera a un'amica che è scappata in Europa. E' per gli italiani, popolo
che ho amato e nel quale credo ancora. Non credo che nessuna delle belle
persone che ho incontrato lì da voi avrebbe voluto pagare con le sue tasse
la bomba che ha tolto le gambe e la speranza a mio figlio. Eppure quella
bomba l'avete pagata voi, tutti voi, togliendo i soldi alle pensioni dei
vostri vecchi o i soldi per i vostri malati e dandoli invece per colpire i
nostri bimbi. Se favorire involontariamente chi uccide innocenti è
terrorismo allora gli italiani sono terroristi? Non lo sono, come non lo
sono io. Siamo le vittime di questa guerra. Non cestinate la mia preghiera,
voglio immaginare che esiste una speranza, che chi non ha soldi o interessi
possa dire non uccideteci più. Non cestinate la mia speranza. Penso che
magari se ci stringiamo tutti potrebbe non succedere più e altri bimbi come
il mio correranno ancora, con le loro gambe, davanti ai loro genitori
orgogliosi.
Vi prego mandate a tutti questa mia. Spedite a tutti la mia storia, che
almeno a qualcun altro possa servire, ho in mente questa lettera mentre sto
vicino a mio figlio aspettando.
Quando cadrà Kandahar pensate anche a noi.
Anna
Non credo di essere il solo a vivere con senso di
grave disagio questo Natale di guerra.
Di fronte alla esplosione della bomba di Hiroshima
Gandhi si domandò e domandò come era possibile continuare ad avere fede:
fede nell'uomo, nell'amore come anima del mondo, nella non-violenza come
forza spirituale che abita tutti gli esseri umani. Le stesse domande
scuotono oggi le nostre coscienze o quantomeno rendono inquieti i nostri
dormiveglia.
Non c'è bisogno di essere cristiani o credenti
per giudicare anche laicamente la inconciliabilità fra il “Natale-festa
della vita” e questa attuale festa di morte che accompagna ormai la
nostra vita quotidiana.
Semmai
per i cristiani tale inconciliabilità è più radicale. Un testimone della
pace, il cardinale Giacomo Lercaro, dopo la sua abdicazione-rimozione
dall'ufficio di vescovo di Bologna, avvenuta nel febbraio 1968, voluta fra
gli altri dal presidente Usa Johnson e dalla Cia a causa dalla forte
condanna dell’intervento militare americano contro il Vietnam, lasciava
quasi come testamento spirituale ai cristiani l'impegno a opporsi “con
rigore e intransigenza proprio in nome della fedeltà a Cristo” al “sistema
di guerra in cui viviamo”, perché “oggi l'obbedienza allo
Spirito passa attraverso il rifiuto del sistema di guerra e la riscoperta
gioiosa della pace come condizione umana di sviluppo e di adempimento della
intera creazione”.
L'Italia riesuma le leggi di guerra
Un comandante italiano a Kabul che fa passare per le armi una presunta spia
è un assassino o un legittimo combattente? Picchiare un taleban è un
crimine o un atto non punibile per mancanza di "reciprocità dello
Stato nemico" sul trattamento dei prigionieri? Diffondere notizie
diverse da quelle ufficiali o scrivere che la guerra fa schifo è libertà
di stampa o reato militare?
Questione di interpretazione: in onore di Enduring Freedom torna il codice
penale militare di guerra sepolto nel '45
DOMENICO GALLO
Per la prima volta dal 1945, nell'ordinamento giuridico italiano è entrato
di nuovo in vigore il Codice penale militare di guerra. Sotto il profilo
istituzionale, è questa la vera novità che emerge dalla partecipazione di
un corpo di spedizione italiano alla "guerra contro il
terrorismo".
Per tutte le precedenti missioni all'estero compiute dalle forze armate
italiane, dalla guerra del Golfo, all'intervento in Somalia, a quello in
Bosnia e a quello nel Kosovo, è stata sempre emanata una norma speciale
che, in deroga a quanto previsto dall'articolo 9 del Codice penale militare
di guerra, prevedeva che alla missione militare italiana all'estero
dovessero applicarsi le norme del codice penale militare di pace. Molti
giorni dopo il voto del Parlamento sulla partecipazione italiana, nel
silenzio generale, è stato emanato un decreto legge (1 dicembre 2001 n.
421), che contiene norme urgenti per la partecipazione di personale militare
all'operazione multinazionale denominata "Enduring Freedom".
Gli articoli 8 e 9 del decreto prevedono che "al corpo di spedizione
italiano" si applica il codice penale militare di guerra, con
esclusione delle disposizioni di natura processuale. In parole povere, i
reati previsti dal codice penale militare di guerra non saranno giudicati
dagli speciali Tribunali militari di guerra (che non esistono più) ma dalla
ordinaria giustizia penale militare. Nello stesso giorno il governo ha
presentato al Senato un disegno di legge che conteneva modifiche al codice
penale militare di guerra. Queste modifiche si riducono a ben poca cosa e
lasciano interamente in piedi l'impianto normativo e ideologico del codice
penale militare di guerra, compresa la giurisdizione dei Tribunali speciali
militari, che - invece - il decreto legge ha disapplicato, considerandola
incostituzionale. Ma introducono due peggioramenti significativi. Il primo
è che viene ampliata la portata dell'articolo 9, prevedendo che in caso di
missioni all'estero (anche in tempo di pace), le disposizioni del codice
penale militare di guerra si applicano non solo al Corpo di spedizione, ma
anche al personale militare che svolge compiti di supporto nel territorio
nazionale. Il secondo è che viene reintrodotto il cosiddetto "reato
militarizzato", che nell'ordinamento italiano era stato cancellato nel
lontano 1956: i Tribunali militari tornano ad avere competenza su molti
reati comuni, purché commessi in divisa. Peraltro il "reato
militarizzato" viene introdotto con una ampiezza molto più estesa di
quella vigente durante la seconda guerra mondiale.
Non è un caso che il disegno di legge per la conversione del decreto legge
Enduring Freedom e il disegno di legge per le modifiche al codice penale
militare di guerra siano stati presentati contestualmente. Sono funzionali
l'uno all'altro ed esprimono un unico indirizzo in tema di recupero e
riutilizzabilità di leggi di guerra che affondano le loro radici nella
notte
della storia.
Non si può negare che quando si compie una missione con contenuto bellico
sorga la necessità che le operazioni militari siano disciplinate da un
corpo di norme specifiche, che nel codice penale militare di pace mancano.
Ci sono di mezzo parecchie convenzioni internazionali relative al diritto
umanitario di guerra, che tutelano la popolazione civile e i prigionieri,
convenzioni che vanno rese pienamente operative. Nel codice penale militare
di guerra esiste un intero capitolo (il titolo IV) che disciplina i reati
contro le leggi e gli usi di guerra, rendendo punibili comportamenti che
normalmente sono interdetti dalle Convenzioni internazionali, come le
sevizie e i maltrattamenti ai prigionieri. Gli esempi si sprecano, uno per
tutti i cappucci, i tranquillanti, le catene e le gabbie di filo spinato
impiegati dalle forze armate americane sui prigionieri di al Qaeda.
Per rendere operativa tale disciplina, però, la strada maestra non era
quella di riesumare tutto il codice penale militare di guerra, ma quella di
richiamare la disciplina specifica relativa ai reati contro le leggi e gli
usi di guerra, dichiarandola applicabile all'operazione "Enduring
Freedom".
La strada seguita, paradossalmente, rende invece tale disciplina inoperante.
E' stato infatti riesumato anche l'articolo 165 che prevede che i reati
contro le leggi e gli usi di guerra sono punibili "in seguito a
disposizione del Comandante Supremo e solo in quanto lo Stato nemico
garantisca parità di tutela penale allo Stato italiano ed ai suoi
cittadini". E' evidente che, nel caso della missione Enduring Freedom,
questa condizione di punibilità potrebbe non verificarsi mai, per una
semplice ragione: i "terroristi" non sono uno Stato nemico. Il
disegno di legge di modifica del codice penale militare di guerra prevede
infatti l'abrogazione di questa disposizione, perché contrasta con gli
obblighi internazionali assunti dall'Italia e derivanti dalle Convenzioni e
dal Protocollo di Ginevra. Ma la disciplina
del decreto legge è pienamente vigente, mentre le proposte modifiche del
codice penale militare di guerra non si sa se e quando saranno trasformate
in legge. Pertanto il decreto legge fallisce completamente l'obiettivo -
ammesso che l'abbia mai avuto - di rendere operanti ed applicabili a
Enduring Freedom le norme del diritto umanitario che l'Italia ha l'obbligo
di osservare.
Tuttavia questa riesumazione delle leggi di guerra non è priva di effetti
collaterali. Per esempio, credete che la pena di morte sia stata abolita?
Nei fatti potrebbe non essere del tutto vero: è stata richiamata in vita
una norma, l'articolo 183, che consente ai comandanti militari di passare
immediatamente per le armi le spie o i combattenti che non indossino
l'uniforme. Fatto anche più grave, sono state riesumate delle norme che non
si applicano soltanto ai militari ma a "chiunque", come l'articolo
76 che punisce la divulgazione di notizie diverse da quelle ufficiali, o
l'articolo 80 che punisce la pubblicazione di critiche o scritti polemici
sulle operazioni militari o sull'andamento della guerra, o l'articolo 87 che
punisce la denigrazione della guerra.
Ovviamente, dalla riesumazione del codice penale militare di guerra
effettuata con il decreto legge non deriva automaticamente che tali norme
siano concretamente operanti. A questo punto la questione diventa un
problema di interpretazione. E' interessante, però, notare che queste
disposizioni contengono una sorta di codice deontologico dell'informazione
di guerra al quale tutti i mass media americani si attengono
scrupolosamente, e al quale si attengono spontaneamente una buona parte dei
mass media italiani, dai quali, anzi, cominciano a piovere intimazioni a
tacere. Si va dal grido silete sociologi, lanciato da Panebianco sul
Corriere della Sera del 6 novembre, alla simpatica copertina di Libero che
l'8 novembre ha pubblicato le foto dei parlamentari traditori che
"stanno con il nemico", alle esternazioni del generale Fabio Mini
che sul numero 4/2001 di Limes ha invocato una "lotta
istituzionale" contro "la spazzatura
propagandistica e di disinformazione che ci viene propinata sotto le nobili
vesti del diritto al dissenso", aggiungendo con tono minaccioso che
essa "non sarà né semplice né indolore" (cfr il manifesto del
21 dicembre).
Insomma non è stato riesumato solo un codice condannato dalla storia, ma è
stata riesumata anche una cultura ante seconda guerra mondiale, che
credevamo sparita per sempre: tacete, il nemico vi ascolta.
SE IRROMPE UNA FORZA PIÙ POTENTE (Avvenire 23 gennaio 2002)
Diego Bona
Una domanda si sente circolare con sempre
maggior insistenza: è ancora possibile, oggi, la pace?
Questo desiderio del cuore dell'uomo, questa
invocazione costante che sale a Dio dalla fede dei credenti e dalla
tribolazione degli afflitti, questa promessa di Dio che illumina la notte di
Betlemme e tutte le notti dell'umanità, sembra farsi sempre più lontana,
come un miraggio, in questo tempo inquieto che ci è dato di vivere.
Nella nostra memoria, breve come lo è la
vita dell'uomo, riaffiorano due momenti in cui la pace sembrava vicina,
quasi a portata di mano: la stagione della "Pacem in terris" che
si saldava alla Carta delle Nazioni unite, quando l'arma nucleare rendeva
evidente la follia e l'assurdità di una guerra capace di distruggere la
vita sulla faccia della terra e l'anno 1989, quando la caduta dei muri di
divisione e la fine dei blocchi contrapposti hanno aperto orizzonti di
universalità e di casa comune.
Ma nell'una e nell'altra occasione altre nubi
si sono poi addensate minacciose, quali l'equilibrio del terrore e la
repressione spietata prima e la frammentazione degli scontri etnici in
seguito, insieme alla crescente ingiustizia nell'accesso e nell'uso dei beni
della terra.
Dopo l'11 settembre 2001 la prospettiva è
diventata anche più oscura con la minaccia del terrorismo ovunque possibile
ed una «guerra» in corso che non si sa fin dove possa arrivare.
Ripetendo un gesto di quindici anni fa, che
aveva sorpreso la gente semplice come gli osservatori più attenti, proprio
perché inedito e fuori dalle nostre visioni abituali, il Papa ha invitato
le religioni del mondo, le tante Confessioni che riuniscono masse di
credenti, ad un incontro "religioso" ad Assisi, la terra di
Francesco fratello universale.
Non ad un colloquio tra le religioni, che
pure nelle migliori intenzioni nasconde l'insidia delle incomprensioni e
contrapposizioni; neppure ad una preghiera "comune" nel senso di
una formula sincretista che possa essere accetta a tutti come un comune
denominatore, ma a pregare per la pace: uniti dalla contemporaneità del
tempo e in qualche modo dello spazio, la città di Francesco che della pace
ha fatto il suo saluto, la sua benedizione e la sua regola di azione.
Vogliamo leggere in questo gesto innanzitutto
una forte affermazione di speranza, di fede e di coraggio: che la pace è
possibile, che questa appassionata ricerca del cuore non è destinata al
fallimento, che l'intelligenza e la buona volontà degli uomini sono capaci
di costruire pacifica convivenza, che la promessa del Signore non si è
allontanata.
Un gesto che costituisce insieme occasione,
richiamo ed invito a tutte le religioni, ed a ognuna di esse in particolare,
a riscoprire la propria identità profonda e il ruolo e servizio nei
confronti dell'umanità.
Perché se per loro natura le religioni sono
e devono essere vie alla pace in quanto, accompagnando l'uomo nella ricerca,
conoscenza ed adorazione del Creatore e facendo riferimento alla paternità
di Dio, aprono orizzonti di universalità e fraternità alla famiglia umana,
elementi e fattori capaci di costruire una pacifica convivenza, di fatto non
poche volte sono state ed ancora continuano ad essere fonte di conflitto,
supporto della violenza. È chiaro che si tratta di
deformazione e patologia del senso religioso, e se le religioni sono
arrivate a tanto ciò non è dovuto al loro messaggio autentico ma
all'infedeltà dei loro membri a tale messaggio.
Occorre percorrere la strada della ritrovata
autenticità ed è una strada che ha bisogno di conversione.
Invitarle alla preghiera, insieme, nel
silenzio e nella interiorità, ancora più se accompagnata dal digiuno che
stacca dai
condizionamenti mondani, è occasione per metterle a nudo di fronte a Dio
che è l'unico Signore, fonte della verità e della giustizia, perché
cadano le incrostazioni particolari, guariscano le infezioni patologiche e
si raddrizzino le deviazioni interessate.
Un gesto, infine, che evidenzia la debolezza
dell'uomo che bussa al cuore di Dio perché "quanto più insormontabili
sembrano le difficoltà ed oscure le prospettive" è necessario
ricorrere alla preghiera "e pregare per la pace apre il cuore alla
irruzione della potenza rinnovatrice di Dio" (Giovanni Paolo II).
In tanti nel mondo intero, giovedì 24
gennaio, guarderanno ad Assisi come a una luce nella oscurità di un momento
grave per la storia ed appare quanto mai vero quello che osservava Dante,
ragionando sul nome della città "non dica Ascesi che direbbe corto, ma
Oriente, se proprio dir vuole".
Eppure non basta guardare, occorre
condividere ed unire la nostra voce a quelle di tanti sinceri cercatori
della giustizia e della pace.
Pax Christi ritrova in questa chiamata alla
preghiera la stessa autentica intuizione che fu all'origine della sua storia
quando, nel dicembre del '44, una donna del popolo e un Pastore attento
proposero una crociata di preghiera per la riconciliazione dei due popoli,
francese e tedesco, in lotta.
Il Dio della pace ha ascoltato quella
invocazione e su questa ferma fiducia nella sua benevolenza arrendiamo
l'apparire
dell'arcobaleno della pace.
Diego Bona
IL DISCORSO SULLO STATO DELL'UNIONE: BUSH DICHIARA GUERRA AL MONDO
http://www.wsws.org/
http://www.wsws.org/articles/2002/jan2002/bush-j31.shtml
Il Discorso sullo stato dell'unione pronunciato da George W. Bush giovedì
sera è tra i più minacciosi e bellicosi della storia americana.
Il presidente statunitense traccia un programma di guerra perpetua e
illimitata in ogni continente e contro ogni regime che si trova fra i piedi
dell'avida classe dominante americana.
Bush ha minacciato di attaccare l'Iran, l'Iraq e la Corea del Nord -
menzionando le tre nazioni per nome. A dispetto dei suoi apocalittici
ammonimenti riguardo alle «migliaia di pericolosi assassini, addestrati
all'assassinio, spesso supportati da regimi fuorilegge», queste nazioni non
hanno nulla a che fare che gli attacchi terroristici dell'11settembre, un
fatto riconosciuto dal governo statunitense stesso.
Invece Bush traccia una nuova giustificazione per l'azione militare,
sostenendo che Iran, Iraq e Corea del Nord stiano cercando di sviluppare
armi nucleari, biologiche e chimiche. Egli ha dichiarato che «attraverso la
ricerca di armi di distruzione di massa, questi regimi pongono un grave e
crescente pericolo».
«Stati come questi», egli dice, «e i loro alleati terroristi,
costituiscono un asse del male che si arma per minacciare la pace nel mondo»
A dispetto del tentativo di Bush di resuscitare la retorica della IIª
Guerra Mondiale, nel suo riferimento all'«asse del male», è il governo
statunitense e Bush stesso che sta seguendo le orme dei Nazisti.
Bisogna tornare indietro alle tirate di Adolf Hitler per trovare una
equivalente bellicosità nelle dichiarazioni pubbliche di una delle maggiori
potenze mondiali, e un equivalente cinismo nelle menzogne e provocazioni
impiegate per giustificare l'aggressione miliatare.
Un programma di conquista mondiale
Il paragone è adatto perché, come Hitler e i nazisti, il militarismo
americano si è avventurato in una campagna di conquista e dominazione
mondiale. Il Discorso sullo stato dell'unione è una dichiarazione degli
appetiti senza freno dei militari e della più spietata, corrotta e
criminale sezione dell'élite dominante americana, che ha trovato il suo
diretto rappresentante in George W. Bush.
Come Hitler, Bush presenta una visione del mondo capovolta in cui piccoli e
deboli stati costituiscono delle minacce mortali per il più potente e
pesantemente armato. Nel 1938-39 Hitler demonizzò prima la Cecoslovacchia e
poi la Polonia come minacce per la sicurezza nazionale della Germania, prima
di muoversi a devastare entrambe. Nel 2002 Bush prende di mira la Corea del
Nord, l'Iran e l'Iraq, dichiarando: «Gli Stati Uniti d'America non
permetteranno ai più pericolosi regimi del mondo di minacciarci con le armi
più distruttive del mondo».
In realtà, queste nazioni hanno solo due cose in comune: una disperata
povertà e una vittimizzazione di vecchia data da parte dell'imperialismo
americano. Così come dovrebbe essere ovvia l'identità del «più
pericoloso regime del mondo»: è il governo degli Stati Uniti stesso, una
nazione il cui budget militare supera quello delle nove potenze successive
agli Stati Uniti combinate, una nazione che ha, nel corso dei passati 12
anni, invaso, occupato o attaccato una sequela di
nazioni più piccole: Panama, Haiti, Yugoslavia, Iraq, Somalia, Sudan e
adesso l'Afghanistan.
Ci sono delle ragioni precise alla base della scelta dei tre regimi che Bush
ha nominato giovedì notte. La Corea del Nord è stata per lungo tempo
oggetto dell'ossessiva ostilità da parte degli elementi di estrema destra
che costituiscono la base politica di Bush, in quanto uno degli ultimi
residui della Guerra Fredda con il blocco sovietico.
L'Iraq, probabilmente il più bersagliato tra paesi arabi produttori di
petrolio, rappresenta il lavoro incompiuto del regime di Bush padre, il cui
fallimento nella conquista di Baghdad e nell'installazione di un regime
fantoccio appoggiato dagli Stati Uniti ha irritato a lungo Washington.
L'Iran è entrato in conflitto con gli Stati Uniti dalla rivoluzione del
1978-79 che ha rovesciato la dittatura dello Shah appoggiata dagli Stati
Uniti.
Ma ci sono due maggiori preoccupazioni strategiche che contribuiscono alla
presa di mira di queste tre nazioni da parte dell'azione militare americana:
il petrolio e la preparazione di una guerra statunitense contro la Cina, la
potenza che Washington vede come il suo principale concorrente per
l'influenza nelle regioni a nord e a est dell'Asia.
Il Medioriente e l'Asia Centrale posseggono, tra queste, oltre due terzi
delle riserve mondiali di petrolio e di gas naturale. Gli Usa hanno
attaccato l'Afghanistan come primo passo di una campagna per stabilire delle
posizioni militari nell'Asia Centrale. L'Iran è entrato in diretto
conflitto con questa offensiva perseguendo i propri interessi nelle regioni
di lingua persiana dell'Afghanistan occidentale. Iran e Iraq sono di per se
stessi il secondo e il terzo produttore di petrolio della regione e vengono
dopo soltanto l'Arabia Saudita.
Da un punto di vista militare, la rete di basi e transiti che gli Usa hanno
stabilito proprio dopo l'11 settembre rassomiglia sempre di più ad un
cappio stretto attorno alla Cina: Uzbekistan, Tajikistan, Kyrgyzstan,
Pakistan, India, e Filippine, e adesso la minaccia di guerra verso la
penisola coreana.
Come notava giovedì il quotidiano britannico Guardian: «Ogni svolta nella
guerra al terrorismo sembra assegnare un nuovo avamposto al Pentagono nella
regione del Pacifico asiatico, dall'ex Unione Sovietica alle Filippine. Una
delle più durevoli conseguenze della guerra potrebbe essere il livello di
accerchiamento militare della Cina». Il giornale citava la Pentagon's
Quadrennial Defense Review che, senza nominare la Cina, avvertiva del
pericolo che «un concorrente militare con risorse formidabili potrebbe
emergere nella regione», e domandava una politica che «mettesse al primo
posto l'assicurarsi di accessi addizionali e accordi sulle infrastrutture».
The scale of US military
ambitions is demonstrated by the gargantuan increase in the Pentagon budget
that Bush proposed, a staggering $48 billion, an increase larger than the
total military budget of any other country. And his call for every American
to sacrifice two years in public service clearly suggests the logic of this
program of unbridled
militarism-the restoration of compulsory military service for the new
generation of American youth.
Il livello delle ambizioni militari degli Usa è dimostrato dal
gigantesco incremento nel bilancio del Pentagono che Bush ha proposto, degli
sbalorditivi 48mila miliardi di dollari, un incremento più grande del
bilancio militare totale di ogni altra nazione. E il suo appello ad
ogni americano a sacrificare due anni nel servizio pubblico fa capire
chiaramente la logica di questo programma di militarismo senza freno: la
restaurazione del servizio militare obbligatorio per la nuova
generazione dei giovani americani.
La crisi interna e la spinta alla guerra
La politica di brigantaggio internazionale nella quale gli Usa si sono
avventurati è l'espressione, in ultima analisi, dei conflitti sociali
insolubili all'interno dei propri confini. Come giustificare altrimenti la
frenetica impellenza della spinta alla guerra: come Bush ha detto al
Congresso giovedì sera, «il tempo non è dalla nostra parte. Non sarò in
attesa degli eventi mentre i pericoli si accumulano. Non starò con le mani
in mano mentre i pericoli si fanno sempre più vicini».
Ci sono dei pericoli reali a cui si trova di fronte il capitalismo
americano, ma questi non provengono da una piccola banda di terroristi o dai
governi di deboli e impoverite nazioni dall'altra parte del mondo. Questi
pericoli provengono dalla sempre più profonda crisi del capitalismo
mondiale, dalle sempre più intese contraddizioni all'interno degli Stati
Uniti tra l'élite straricca e la vasta maggioranza dei lavoratori.
Bush ammette che l'economia statunitense è entrata in recessione, ma non ha
rimedi per la crescita di disoccupazione, povertà e deprivazione sociale e
propone soltanto un'estensione del suo programma di taglio delle tasse per i
ricchi e la grande impresa. Egli fa soltanto un riferimento di passaggio nel
Discorso sullo stato dell'unione a bisogni sociali come l'educazione e la
cura della salute e il suo Bilancio di previsione che sarà rilasciato la
prossima settimana incanalerà quasi tutte le nuove spese alle forze armate
e alla «sicurezza nazionale».
Il Discorso sullo stato dell'unione giunge all'ombra del collasso di Enron,
la settima società statunitense e fra quella che avevano i più stretti
legami con Bush e il partito repubblicano, così come una serie di altre
bancarotte aziendali: Kmart, Global Crossing, Sunbeam, l'intera industria
dell'acciaio. Ma Bush non può proporre nulla sulla questione del lavoro e
del livello di vita eccetto maggiori largizioni statali alle imprese.
La politica interna di Bush è centrata sulla repressione interna, basata
sulla polizia e sulle forze armate. Mentre la «guerra al terrorismo» è il
pretesto, il proposito reale è di preparsi ad affrontare massicce rivolte
sociali attraverso l'uso della forza. Un governo installato non dal voto
popolare, ma da una maggioranza 5 a 4 della Suprema Corte statunitense,
l'amministrazione Bush confida sempre di più sull'esercito e sulla polizia
e si libera dei fronzoli della
democrazia.
A dispetto della glorificazione di Bush da parte di media cinici e
imtimiditi, e della prostrazione del partito democratico, questa
amministrazione è isolata e profondamente impaurita di qualsiasi autentica
opposizione. Così come i sondaggi e le pretese degli esperti che Bush sia
senza eccezione popolare tra il popolo americano sono soltanto degli
strumenti per l'intimidazione politica. Nelle fabbriche e negli uffici, o
nei quartieri operai, la reazione generale a Bush è di indifferenza ,
sospetto o disprezzo. La guerra in Afghanistan è difficilmente oggetto di
conversazione e scarsamente sentita tra le larghe masse del popolo
americano.
Non c'è spazio per la compiacenza. L'oppozione all'amministrazione Bush e
al capitalismo americano emergerà inevitabilmente, ma per essere efficace
dovrà essere basata sullo sviluppo della coscienza politica tra le masse
dei lavoratori.
BAGHDAD: PATRIARCA,"NON BOMBARDATE LA NOSTRA GENTE" (STANDARD,
CHURCH/RELIGIOUS AFFAIRS)
"Tutti gli uomini di buona volontà
devono impegnarsi contro una possibile ripresa delle ostilità nei confronti
dell'Iraq". A parlare è il patriarca di Babilonia dei Caldei
(Baghdad), Raphël I Bidawid. Il presule ha dichiarato alla MISNA, senza
mezzi termini, che un eventuale attacco contro il suo Paese si
trasformerebbe in una vera e propria catastrofe per la popolazione civile.
"Il terrore a Baghdad è forte, la gente conosce benissimo l'orrore dei
bombardamenti". Ancora ricorda bene le bombe intelligenti sbagliare
stupidamente bersaglio. Nella capitale irachena, spiega il patriarca, la
paura s'è diffusa a macchia d'olio quando oggi "l'urlo delle sirene ha
riportato tutti indietro di dieci anni. Non importa che si sia trattato di
un'esercitazione. Quelle sirene erano foriere di sventure: l'Iraq sembra
prepararsi al peggio". In effetti solo ieri il quotidiano inglese 'The
Guardian' ha scritto che Cia e Pentagono hanno iniziato a studiare
un'offensiva con lo scopo di abbattere il governo del presidente Saddam
Hussein. "Bisogna evitare che una nuova guerra scoppi, ma soprattutto
occorre scongiurare le ripercussioni non solo nella regione mediorientale ma
anche su scala planetaria", ha spiegato monsignor Bidawid. "In
questo contesto - prosegue - c'è un popolo umiliato, distrutto fisicamente
e psicologicamente da un embargo che, giusto o non giusto, doveva e poteva
avere forme diverse". Il risultato è che continua a crescere la rabbia
e l'odio verso gli Stati Uniti, anche se non si possono dimenticare le
responsabilità del regime iracheno. "Se non riusciamo ad evitare
questa guerra, se non riusciamo a sentire la voce di queste persone, le più
povere e abbandonate che all'unisono invocano la pace, allora non siamo più
degni di essere chiamati uomini.(ED IO AGGIUNGO CRISTIANI!) Dobbiamo
sforzarci di fare del nostro mondo, un mondo nuovo di amore e di benessere.
Occorre saggezza, sapienza e soprattutto dialogo per scongiurare inutili e
inumane spirali di violenza, frutto di un odio irrefrenabile", conclude
il patriarca. In Iraq vivono 22 milioni di musulmani e un milione di
cristiani di varie tradizioni e confessioni religiose, l'80 per cento dei
quali cattolici.
NO ALLA GUERRA, SENZA "SE" E SENZA "MA"
Marcia per la pace da Genova a La Spezia
Siamo di fronte ad un nuovo e più aggressivo modello di società, che vede
nella guerra una modalità di regolazione dei rapporti internazionali ed un
motore di sviluppo occupazionale ed economico.
In questo contesto, per la terza volta in dieci anni, l'Italia è coinvolta
direttamente in una guerra:
INUTILE, perchè inadeguata a colpire il terrorismo internazionale
CRIMINALE, perchè moltiplica ogni giorno le vittime innocenti
ILLEGALE, perchè esplicitamente vietata dalla nostra Costituzione.
Vogliamo far risuonare forte e chiaro il nostro NO a questa ed a tutte le
guerre, in qualunque modo vengano definite.
Per questo proponiamo una marcia di tre giorni, che parta dal palazzo
ducale di Genova e raggiunga l'arsenale di La Spezia; che tocchi le
fabbriche d'armi della regione e che comprenda contestuali iniziative in
tutte le province liguri.
Durante il percorso intendiamo dialogare con il maggior numero
possibile di persone, proponendo la nostra fiducia in una cultura e una
pratica di pace e nonviolenza. Intendiamo queste parole non come simboli di
accettazione dell'iniquo ordine esistente, ma come tentativo di
rendere reale, anche nei metodi di lotta, la nostra volontà di costruire
rapporti più giusti tra gli uomini e tra i popoli.
I punti di partenza e di arrivo sono luoghi simbolici del volto
aggressivo della politica internazionale. Il palazzo ducale è il luogo dove
i potenti della terra si sono riuniti nel luglio scorso: dichiarando di
voler costruire un mondo migliore, volevano in realtà solo ribadire e
rendere evidente il proprio potere, fondato sulla forza delle armi e del
denaro.
L'arsenale militare della Spezia è il principale simbolo della
presenza militare nella regione ed una delle principali installazioni
italiane e NATO del Tirreno. In questi luoghi, ed in tutti quelli toccati
dalla marcia vogliamo ribadire la nostra volontà di ricercare
un'alternativa possibile alla violenza ed alla guerra.
In questo senso, la nostra presenza fuori dalle fabbriche non deve essere
vista come contrapposizione a chi in esse lavora: nostro obiettivo è la
comune ricerca e proposta di una diversificazione produttiva che non
penalizzi occupazione e retribuzioni.
Itinerario
Mercoledì 27 febbraio-
ore 18/19 : ora in silenzio per la pace sui gradini del palazzo ducale.
L'iniziativa, che si ripete ogni settimana dal settembre scorso , sarà
dedicata all'informazione sulle motivazioni della marcia
giovedì 28 febbraio
ore 18: simbolico via alla marcia dal palazzo ducale, con musica ed
interventi politici
venerdì 1° marzo
ore 14 : Partenza dal porto di Nervi, i marciatori a piedi, ed i canoisti di
"canoa verde " via mare.
ore 15 arrivo a Bogliasco stazione FS ; discesa
sulla spiaggia ed incontro con i canoisti.
Si prosegue lungo la via Aurelia per Pieve Ligure, Sori, Mulinetti,
Recco. Sosta per un volantinaggio sul lungomare Marinai d'Italia ;
ore 17,30 prosecuzione per Via Romagneno fino alla passeggiata a mare di
Camogli; discesa al porto, volantinaggio e risalita in paese davanti
al municipio
ore 21 iniziativa politico musicale in via di definizione.
Pernottamento presso la società pesca sportiva di Camogli
sabato 2 marzo
ore 9. partenza dalla stazione ferroviaria di Camogli e risalita sulla Via
Aurelia fino alla Ruta; prosecuzione per S.Lorenzo dalla Costa
ore 12 . arrivo a Rapallo; sosta per volantinaggio e pranzo,
ore 14 risalita sulla Via Aurelia di Levante, ,Zoagli e prosecuzione
per le Grazie
ore 18 fiaccolata dalle Grazie a Chiavari ed a Lavagna
ore 21:arrivo Lavagna cena, concerto.
Ospitalità presso famiglie di Sestri Levante e Lavagna
Domenica 3 marzo
ore 9,30 Partenza da Sestri Levante e attravesamento della città
ore 11. arrivo a Riva Trigoso ed incontro con Canoa Verde sulla spiaggia.
ore 12 Catena umana intorno al cantiere di Riva Trigoso, pranzo e partenza
in treno per La Spezia.
Contemporaneamente gli spezzini percorreranno il tratto da Riomaggiore alla
Spezia
ore 17: arrivo alla Spezia e congiungimento tra i due spezzoni della
staffetta.
Dibattito in un teatro cittadino sull'industria militare in Italia e le
possibilità di riconversione nel civile. Festa - concerto e
conclusione della marcia
Hanno aderito i seguenti gruppi ed associazioni:
Associazione Progetto Drim ; Attac -Genova; Berretti bianchi; Canoa verde;
Centro Ligure di documentazione per la pace; Città aperta, Genova ; Comunità
S. Benedetto al porto - Genova; Emergency Liguria; Forum ambientalista;
Forum Sociale Genovese;Forum Sociale La Spezia; Forum sociale Novi
Ligure; Forum Sociale Ponente genovese; Forum Sociale Valbisagno; Forum
Sociale Valpolcevera; Pax Christi; Rete controg8 per la globalizzazione dei
diritti ; Rete Lilliput, nodo di Genova ; Rifondazione Comunista; Sinistra
Verde; Zucchero Amaro, associazione del commercio equosolidale - Tigullio;
Andrea Agostini, legambiente Genova; Giovanni Alioti, del Centro
Ligure di documentazione per la pace; Enrico Amprimo, del Comitato per la
verità sulla Baia delle Favole; Franca Balsamo,Genova; Edoardo
Baraldi,di Attac Tigullio; Franco Barchi, Genova ; Adriana Barontini, di Pax
Christi; Mimmo Barisone, Sestri Levant; , Tom Behan, Londra, di Global
Resistence; Norma Bertullacelli, della rete controg8 per la
globalizzazione dei diritti; Pippo Bizzi, Foligno, pres. Progetto Drim;
Paola Bobbe, Genova; Gianni Borsa, del Partito Rifondazione Comunista
del Tigullio; Carlo Brizi, della CGIL FP Liguria ; Antonio Bruno, del
Forum Ambientalista ; Laura Caligaris, del Comitato per la verità sulla
baia delle favole; Elisabetta Canepa, Genova, del forum sociale della
Valpolcevera; Francesco Castracane, Roma; Livio Cresti, del forum
sociale del ponente genovese ; Edda Cicogna, Genova, di Transcultura donna
,; Giacomo Conti, consigliere comunale PRC Sestri Levante ;
Giuseppe Coscione, del movimento delle comunità cristiane di base;
Stefano Delbene, Genova ; Chiara De Poli, commercio equosolidale Tigullio;
Roberto Demontis, Città aperta; Sabina Eandi, Genova; Renato Fancello,
ambientalista; Fabio Fazio, artista; Gianni Ferretti, consigliere comunale
Genova del PRC , ; Graziella Gaggero ,della rete controg8 per la
globalizzazione dei diritti ; Angelo Gandolfi, ass. Berretti bianchi ;
Valerio Gennaro,dei medici per l'ambiente; Fabio Giunti, di Pax
Christi-Genova; Giuseppe Gonella, del forum sociale del ponente genovese ;
Fernanda La Camera, rete contrgo8 per la globalizzazione dei diritti; Monica
Lanfranco, dir. rivista "Marea"; Pietro Lazagna, rappr.del
circolo Dossetti alla Tavola per la pace-Spezia;Roberto Leone, del Forum
sociale della Valbisagno Antonio Lupo, ambientalista ; Deborah
Lucchetti, rete Lilliput Genova ,; M.Lodovica Marini, circoli Lea Arte
cinema e Lamaca Gioconda ; Paola Manduca, della rete controg8 per la
globalizzazione dei diritti;Francesco Martone, senatore Verdi;
Luca Moro,rete controg8 per la globalizzazione dei diritti; Davide
Motto,del forum sociale di Novi Ligure; Fabio Nardini, dello Spezia
Social Forum ; Pino Parisi, del Centro Italiano Aiuto all'Infanzia ;
Ornella Petrachi, portavoce Attac Tigullio; Lorenzo Podestà, del
gruppo di affinità Macondo; ,Gino Ramezzano, presid. commercio equo e
solidale del Tigullio; Attilio Ratto, del PRC e delle Rappres. Sind. di
base; Marinella Ravettino di Attac Tigullio; Gianni Russotto, del Forum
Sociale della Valpolcevera ; ,Piero Sarolli, dei Cobas scuola; Aldina
Schiaffino, , rete per la globalizzazione dei diritti ; Carlo Schenone,
Genova, Pierluigi Scotto, Legambiente; Gianluca Secco, Rete
Lilliput della Spezia; Valter Seggi, assessore PRC del Comune di Genova;
Laura Solari, ambientalista; Sergio Tedeschi, della rete controg8 per la
globalizzazione dei diritti e del CLDP; Mariella Todaro, della
Compagnia del Libro Parlante; Gianna Valsuani, Sestri Levante; Giorgio
Viale, Chiavari; Gianni Volonté,Fenegrò (CO); Alex Zanotelli, missionario
comboniano; Alberto Zoratti, rete Lilliput/roba dell'altromondo ;
Franco Zunino, del PRC Liguria
Norma - Genova adesioni: marciagespe@controg8.org
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