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| Parrocchia di Gesù Buon Pastore | Pax Christi punto pace Bologna | 
		
		
		“SOMMERSI E SALVATI – BAMBINI 
		SOPRAVVISSUTI A MONTE SOLE”
 
CANTO INIZIALE
		Esci dalla 
		tua terra
| 
				
				Rit. Esci dalla tua terra e va, dove ti mostrerò; | 
| 
				Abramo, non andare, non partire, Rit. 
				La rete sulla spiaggia 
				abbandonata Rit. | 
				Partire non è tutto, 
				Rit. Esci dalla tua terra e va, 
				dove ti mostrerò. | 
Questa veglia è dedicata ai bambini di oggi, affinché possano capire chi erano e chi sono i bambini del ’44.
1 parte: L’ECCIDIO
I bambini del 
			’44:
			Sono i bambini che hanno 
			sperimentato lo stupore della vita nel grembo delle mamme e con loro 
			hanno vissuto lo stesso martirio.
			Sono i bambini che si sono nutriti dell’amore delle loro famiglie e 
			del profumo della nostra terra, soltanto per pochi giorni, per pochi 
			mesi.
			Sono i bambini che, appena adolescenti, sono morti guardando negli 
			occhi i loro carnefici e , impotenti, hanno subito umiliazioni e 
			violenze.
			
			Dal Vangelo secondo 
			Matteo (Mt 2, 16-18)
			Quando Erode si accorse 
			che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a 
			uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo 
			territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che 
			aveva appreso con esattezza dai Magi. Allora si compì ciò che era 
			stato detto per mezzo del profeta Geremia:
			Un grido è stato udito in 
			Rama, un pianto e un lamento 
			grande: Rachele piange i suoi 
			figli e non vuole essere consolata, perché non sono più.
			Località Creda
			
			
			Testimonianza di Valter Cardi
			
			29 settembre 1944. Era ancora buio 
			quando arrivarono le SS e ordinarono a tutti gli abitanti 
			del 
			luogo, a conoscenti e a persone rastrellate di mettersi nella 
			rimessa dei carri. Dalla località 
			Rovina di Pioppe 
			si alzò un razzo: era un segnale e le SS cominciarono a 
			mitragliare la gente 
			e poi a lanciare bombe a mano incendiarie. 
			C'erano novanta persone, 
			alcuni si salvarono riuscendo a scappare nel bosco, altri finendo 
			sotto i cadaveri. I morti furono 79, in maggior parte donne e 
			bambini, il più piccolo aveva 14 
			giorni. Si chiamava Walter e io, per volontà del padre, lo zio 
			Carlo, porto il suo nome per 
			ricordare lui e tutti i bambini che, senza colpa alcuna, sono stati 
			barbaramente trucidati. Mio zio Carlo era lì quel giorno e, 
			trascinandosi ferito, verso la porta della stalla, vide con
			lo sguardo sua moglie morta con 
			accanto Walter, mentre tutto intorno iniziavano a bruciare 
			lentamente i corpi delle persone. Alberto di 16 mesi, fratello di 
			Walter, morì in braccio alla 
			zia Elena. Della mia famiglia 
			morirono dieci persone e si salvarono mio padre Mario e lo zio 
			Carlo. 
Località 
			Maccagnano
			
			
			Testimonianza di Primo Righi
			
			Dopo giorni di rifugio, senza mangiare e con tanto dolore, appena smise 
			di piovere decisi di
			ritornare a casa. Era 
			il 2 Ottobre e dissi a mio padre: "Io vado a casa con i miei e se 
			arrivano 
			i tedeschi, che mi 
			ammazzino pure, io non posso più stare qui".
			
			Allora mio padre mi disse: "Se ci vai te, vengo anch'io". 
			Arrivati a casa ho visto che la mia
			nipotina Luisa era 
			tra la mamma e la zia. Aveva ancora le guance tirate dalle mani 
			della zia e 
			della mamma che la baciava, per coprirla dalla mitraglia. Anche gli 
			altri bambini erano
			abbracciati dalle 
			mamme e dalle nonne.
			
			Mi sono messo a sedere, in silenzio.
			Cimitero di Casaglia
			Un bimbo 
			lattante di nove mesi, Laffì Giorgio, era rimasto vivo, mentre la 
			mamma e nove persone 
			della famiglia erano morte.
			
			Il bimbo era caduto a terra. C'è chi lo ha visto vagare fra i morti 
			muovendosi con le gambette e 
			le piccole braccia per 
			terra non sapendo camminare.
			
			Pioveva a dirotto, il povero piccino, strillando senza quiete, è morto 
			dopo qualche ora di fame 
			e di freddo.
			
			Un bimbo di sei anni, Tonelli della località Possatore, era 
			rimasto illeso. Uscendo dal cancello 
			vede 
			la mamma, i cinque fratellini e le sorelle morti e decise di 
			rimanere lì con loro. Una granata 
			lo ha colpito e ucciso poco dopo.
Testimonianza 
			di AnnaRosa Nannetti di 14 mesi
			La distruzione 
			della mia famiglia iniziò il 29 settembre del '44.
			
			Alle prime ore dell'alba arrivarono le SS a Salvaro, in località Creda, 
			dove furono uccisi
			uomini, donne, 
			bambini, incendiate la casa e la stalla, poi a Maccagnano, dove 
			vennero uccisi 
			donne e bambini. Contemporaneamente, altre pattuglie di SS 
			iniziarono un rastrellamento casa 
			per casa, portando via tutti gli uomini.
			
			Incolonnati e maltrattati, raggiunsero la "Scuderia" di Pioppe. 
			Senza un processo,
			
			le 
			SS decisero, in modo frettoloso e arbitrario, chi era abile e chi 
			era inabile al lavoro. Nella
			
			
			Scuderia rimasero soltanto le persone che erano già state definite 
			inabili e destinate alla
			
			
			fucilazione.
			Lì c'erano mio 
			padre, i miei nonni, i due 
			cognati del nonno.
			Furono tutti fucilati alla Botte di Pioppe di Salvaro 
			il 1° Ottobre del '44.
			
			Uno dei tre sopravvissuti, Domenico Piretti, disse a mia madre che, 
			prima della fucilazione,
			mio padre tentò di 
			avvicinarsi a suo padre Adolfo per sostenerlo e fu picchiato 
			pesantemente 
			in testa con un fucile da un soldato delle SS, lo stesso che diede 
			un pesante colpo sulle mani
			di Don Elia Comini, 
			facendogli cadere il breviario nella Botte. A tutti i prigionieri fu 
			ordinato di 
			buttare via tutto, ma Don Comini, fino all'ultimo istante, tenne il 
			breviario tra le mani e
			fu punito. 
			
			Dalla Botte, una grande cisterna d'acqua che, in quel momento, era 
			vuota, mio padre e altre
			due persone 
			riuscirono a uscire e morirono poco dopo. Mio padre si riparò nella 
			vicina cabina 
			elettrica del Canapificio e fu trovato morto, dissanguato, dal capo 
			cabina Arrigo Gabusi.
			
			Una mano affettuosa coprì il suo corpo nudo con un brandello della veste 
			di uno dei due
			sacerdoti morti insieme ai nostri cari: 
			Don Elia Comini e Padre Martino Capelli.
			
			Fu possibile, soltanto nella primavera del '45, recuperarne il corpo.
			
			I corpi di tutti gli altri, rimasero per molti giorni in quella tomba a 
			cielo aperto e, quando furono riaperte le 
			paratoie del canale che da acqua alla Botte, 
			quei corpi distrutti e putrefatti furono trascinati, attraverso un 
			canale, nel fiume Reno.
			
			Non fu mai trovato nessuno. Noi familiari ci chiediamo ancora oggi perché 
			non fu possibile 
			estrarre le salme e dare loro una degna sepoltura. È una 
			domanda dolorosa, che rimarrà 
			senza risposta.
Salmo 21
			Rit.: Mio 
			Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?
Mi scherniscono 
			quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo:
			“Si è affidato 
			al Signore, lui lo scampi; lo liberi se è suo amico”
Un branco di 
			cani mi circonda, mi assedia una banda di malvagi;
			hanno forato le 
			mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa.
Si dividono le 
			mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte.
			Ma tu, Signore, 
			non stare lontano, mia forza, accorri in mio aiuto.
Annunzierò il 
			tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea.
			Lodate il 
			Signore, voi che lo temete, 
			gli dia gloria 
			la stirpe di Giacobbe, lo tema tutta la stirpe di Israele
CANTO: In 
			manus tuas Pater
			In manus tuas Pater 
			commendo spiritum meum, in manus tuas Pater commendo spiritum meum
2 parte: LA FUGA
I bambini del 
			’44:
			Sono i 
			bambini sopravvissuti ai bombardamenti, agli eccidi e alle 
			deportazioni dei loro familiari.
			Sono i bambini che, insieme ai familiari superstiti, sono fuggiti 
			dai loro casolari, borghi e paesi, dopo che le loro case erano state 
			depredate, la stalle svuotate e i campi minati.
			Sono i bambini che hanno sopportato la fame, il freddo, le malattie, 
			i lunghi percorsi a piedi,  attraversando fiumi , boschi, montagne, 
			con la speranza di essere accolti nei Centri Profughi,nelle stalle , 
			nei fienili , in qualche casa o in qualche Chiesa.
			
			Dal libro 
			della Genesi (Gn 12,1-4)
			Il Signore disse 
			ad Abram: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di 
			tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande 
			popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una 
			benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti 
			malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie 
			della terra”. Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il 
			Signore.
Dal Vangelo 
			secondo Matteo ( Mt 2,13-14)
			I Magi erano 
			appena partiti, quando un angelo del Signore apparve insogno a 
			Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre 
			e fuggi in Egitto, e resta là finchè non ti avvertirò, perché Erode 
			sta cercando il bambino per ucciderlo”.
			Giuseppe 
			destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì 
			in Egitto.
			Dall’introduzione al libro “I bambini del ’44 di Anna Rosa Nannetti
			Dopo i giorni 
			degli eccidi e dei lutti familiari, iniziò per la maggioranza dei 
			bambini un altro lungo periodo di dolore. 
			Con le case 
			depredate e distrutte, i campi minati, le stalle svuotate, non era 
			possibile sopravvivere, dovevamo fuggire dai nostri paesi e cercare, 
			in un primo momento, di essere accolti in un Centro Profughi, in una 
			stalla, in un fienile, nella Canonica di una Chiesa, insieme ai 
			pochi familiari o all'unico familiare che la guerra non ci aveva 
			portato via. 
			Testimonianza di Anna Rosa Nannetti di 14 mesi
			
			Dopo l'eccidio della Botte e la 
			devastazione delle case e dei campi, la 
			mia famiglia, insieme a tante altre persone, 
			una notte d'inizio dicembre, decise di attraversare 
			il fiume Reno, salire sul 
			Monte Salvaro e da lì raggiungere Grizzana, dove c'erano già gli
			Alleati che ci avrebbero portato al Centro Profughi di Firenze.
			
			L'attraversamento del fiume, sempre in 
			piena, avveniva di notte per non essere visti dalle 
			SS 
			e, pur essendo coscienti che rischiavamo di annegare, come era già 
			successo ad alcune persone, dovevamo tentare, dovevamo fuggire.
			Sull'altra sponda del fiume, a Campiglio, in due case, abitava la 
			numerosa famiglia Righi, persone generose che facevano i turni per 
			tenere sempre il focolare acceso e offrirci un po'
			di conforto. Era un grande 
			conforto, anche se, in poco tempo, non riuscivamo ad asciugare i 
			nostri abiti intrisi d'acqua e, in quelle disagevoli condizioni, 
			cercavamo di raggiungere 
			presto Firenze per ricevere un po' di aiuto. Nessuno di noi aveva un 
			altro abito per cambiarsi, 
			perché tutta la nostra roba era 
			stata rubata dalle SS e caricata sui treni diretti in Germania. A 
			causa di una otite perforante e una grave infezione alla gola, 
			incurabili per mancanza di un dottore e di medicine, io urlavo 
			sempre per il dolore.
			
			Urlavo tanto anche quella notte sul monte 
			Salvaro, quando si sentì distintamente che stavano 
			
			scendendo dal monte dei soldati e la mamma Giovannina (Giannina) 
			Fava decise di allontanarsi 
			dal gruppo. Se quei 
			soldati fossero stati SS, attirati dalle mie urla, avrebbero 
			raggiunto il gruppo, ci avrebbero tutti fucilati e noi saremmo state 
			le responsabili di quell'eccidio. Per
			questo motivo la mamma, come ogni 
			persona giusta e coraggiosa, decise di allontanarsi e di avviarsi da 
			sola, con me in braccio, incontro a quei soldati. Disse soltanto: 
			«Se mi sentirete 
			urlare, capirete e scappate. Se non ci saranno pericoli, rifarò la 
			strada per avvisarvi». 
			Dopo un tratto di strada, improvvisamente, sbucò dal bosco un soldato 
			sorridente, con le 
			braccia aperte, disponibile a prendermi in braccio e alleggerire la 
			mamma dalla fatica: era un 
			giovanissimo soldato brasiliano. 
			Il mio incontro con gli Alleati avvenne lì, a metà del Monte 
			Salvaro, una notte d'inverno, abbracciata e cullata da questo mio 
			giovane fratello dalla pelle 
			nera.
			
			Con la mamma e tutti gli altri parenti e amici 
			partimmo per il Centro Profughi di Firenze dove 
			fui curata da un medico 
			bravissimo.
			Testimonianza di Maria Paselli di 8 anni.
			Lasciai la mia casa, 
			insieme alla mia famiglia, il 10 novembre, per un ordine dei 
			tedeschi. Dovevamo raggiungere 
			Bazzano, ma dopo una notte a Calvenzano,
			decidemmo di 
			attraversare  il fiume per raggiungere la Creda, dove c'erano 
			già gli 
			americani.
			
			L'attraversamento del fiume doveva essere fatto di notte e il luogo meno 
			pericoloso era
			quello davanti a Campiglio. Chi non era a 
			conoscenza di questo rischiava di annegare.
			
			Durante l'attraversamento del fiume io ero in braccio a mio padre e mia 
			madre, incinta,
			teneva in braccio mio fratellino Quinto di tre anni. 
			Arrivammo alla Creda accolti da soldati
			neri, forse brasiliani o sudafricani, poi accompagnati a 
			Grizzana e da lì, con i camion militari
			raggiungemmo Firenze.
			
			Fummo accolti prima in una Chiesa, poi al Centro Profughi Alla
			mamma incinta fu data una brandina, tutti 
			noi dormivamo invece per terra.
			
			Mio fratello Quinto fu ricoverato all'Ospedale, fu operato d'urgenza 
			alla gola e morì. Quando
			la mamma chiese a 
			una suora di poter avere un abito per il bambino, si sentì 
			rispondere che
			non ne avevano 
			neppure per i vivi. La mamma avvolse il suo bambino in un telo, 
			prima della 
			sepoltura in un cimitero di Firenze.
			
			Poche settimane dopo, la mamma fu ricoverata all'Ospedale per partorire. 
			Si trovò vicino
			ad una signora di Firenze alla quale era morta la bambina 
			appena nata e così questa signora 
			decise di dividere il corredino della sua bambina con lei, e con 
			altre donne vicine a lei, che
			avevano appena 
			partorito; così la mamma riuscì a vestire il mio fratellino Pietro.
			
			Dopo la Liberazione, nel viaggio di ritorno nei camion militari scoperti, 
			Pietro si ammalò di
			broncopolmonite. Arrivati a casa non 
			riuscimmo a trovare un medico, ad avere medicine e
			Pietro, nato sano, poco dopo morì.
			Il 21 giugno '45 morì, 
			per lo scoppio di una mina, mio fratello Mario.
			
			La paura di tutto quello che abbiamo vissuto durante la guerra è rimasta 
			sempre in noi
			bambini.
			
			Mi ricordo che, al ritorno da scuola, un giorno si sentì che stava 
			passando un aereo. Eravamo
			sette bambini, 
			sembravamo tutti impazziti e nessuno riusciva a tranquillizzarci.
Salmo 121
			
			
			Alzo gli occhi verso i monti...Da dove mi verrà l'aiuto?
			Il mio aiuto vien dal Signore,
			che ha fatto il cielo e la terra.
			
			Egli non permetterà che il tuo 
			piede vacilli; colui 
			che ti protegge non sonnecchierà.
			Ecco, colui che protegge Israele non 
			sonnecchierà né dormirà.
			
			Il Signore è colui che ti protegge; 
			il Signore è la tua ombra; 
			egli sta alla tua destra.
			
			Di giorno il sole non ti colpirà,
			né la luna di notte.
			Il Signore ti preserverà da ogni 
			male; egli proteggerà l'anima 
			tua.
			
			Il Signore ti proteggerà, quando 
			esci e quando entri, ora e 
			sempre.
CANTO: Dona 
			la pace Signore
			Dona la pace Signore a 
			chi confida in te. Dona dona la pace Signore, dona la pace
3 parte: LA RICOSTRUZIONE
Salmo 126
			
			
			Quando il Signore fece tornare i reduci di Sion,
			ci sembrava di sognare.
			Allora spuntarono sorrisi sulle 
			nostre labbra e canti di gioia 
			sulle nostre lingue.
			
			Allora si diceva tra le nazioni:
			«Il Signore ha fatto cose grandi per 
			loro». Il Signore ha fatto 
			cose grandi per noi,
			e noi siamo nella gioia.
			
			Signore, fa' tornare i nostri 
			deportati, come torrenti nel 
			deserto del Neghev.
			Quelli che seminano con lacrime,
			mieteranno con canti di gioia.
			
			Se ne va piangendo
			colui che porta il seme da spargere,
			ma tornerà con canti di gioia quando 
			porterà i suoi covoni.
I bambini del 
			’44:
			Sono i 
			bambini che, alla fine della guerra, in attesa della ricostruzione 
			delle loro case 
			e di un lavoro retribuito per  i propri familiari ,  sono stati 
			affidati a parenti, amici e a persone estranee, vivendo  la dolorosa 
			esperienza del distacco dalla propria famiglia
			Sono i bambini sopravvissuti al trionfo del Male, perché sono stati  
			accolti e amati da tante persone, con assoluta gratuità.  
			Sono i bambini che sono stati capaci di sperare in un mondo migliore 
			e di lottare, quotidianamente, per la sua realizzazione.
Dal libro 
			dell’Esodo (Es 2,1-10)
			
			Un 
			uomo della casa di Levi andò e prese in moglie una figlia di Levi.
			
			
			Questa donna concepì, partorì un figlio e, vedendo quanto era bello, 
			lo tenne nascosto tre mesi.
			
			
			Quando non potè più tenerlo nascosto, prese un canestro fatto di 
			giunchi, lo spalmò di bitume e di pece, vi pose dentro il bambino, e 
			lo mise nel canneto sulla riva del Fiume.
			
			La 
			sorella del bambino se ne stava a una certa distanza, per vedere 
			quello che gli sarebbe successo.
			La figlia del faraone scese al Fiume 
			per fare il bagno, e le sue ancelle passeggiavano lungo la riva del 
			Fiume. Vide il canestro nel canneto e mandò la sua cameriera a 
			prenderlo. 
			Lo aprì e vide il bambino: ed ecco, 
			il piccino piangeva; ne ebbe compassione e disse: «Questo è uno dei 
			figli degli Ebrei».
			Allora la sorella del bambino 
			disse alla figlia del faraone: «Devo andare a chiamarti una balia 
			tra le donne ebree che allatti questo bambino?»
			La figlia del faraone le 
			rispose: «Va'». E la fanciulla andò a chiamare la madre del bambino.
			La figlia del faraone le 
			disse: «Porta con te questo bambino, allattalo e io ti darò un 
			salario». Quella donna prese il bambino e lo allattò.
			Quando il bambino fu 
			cresciuto, lo portò dalla figlia del faraone; egli fu per lei come 
			un figlio ed ella lo chiamò Mosè; «perché», disse: «io l'ho tirato 
			fuori dalle acque».
Dalla lettera 
			di San Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,14-17)
			Infatti tutti 
			quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di 
			Dio.
			E voi non avete 
			ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete 
			ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale 
			gridiamo: "Abbà! Padre!". Lo Spirito stesso, insieme al nostro 
			spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo 
			anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo 
			parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
			Dall’introduzione al libro “I bambini del ’44 di Anna Rosa Nannetti
			Alla fine 
			della guerra, gli adulti avevano un impegno urgente da assolvere: 
			ricostruire le case e trovare un lavoro, ovunque, anche lontano dal 
			paese, e tutto ciò non si conciliava con la necessità di assistere i 
			bambini bisognosi di ogni cura: fisica, psicologica e spirituale.
			
			A causa di 
			questa stato di emergenza, i bambini lasciarono le loro famiglie per 
			andare a vivere con altre persone che potevano offrire loro cibo, 
			cure mediche, abiti caldi e, per i più grandi, anche la possibilità 
			di frequentare la scuola. 
			Alcuni 
			bambini trovarono ospitalità presso collegi, altri da parenti o da 
			amici. 
			Per tutti gli 
			altri, che non potevano avere queste possibilità, si attivarono la 
			Camera del Lavoro e l'Amministrazione Comunale di Bologna, che 
			fecero un appello ai contadini, braccianti e operai delle campagne 
			bolognesi risparmiate dagli orrori della guerra, chiedendo loro di 
			ospitare uno de "i bambini della montagna". 
			Tante persone 
			risposero con generosità a questo appello e per molti bambini, 
			accolti da parenti, da amici o da famiglie affidatarie, iniziò la 
			dolorosa esperienza del distacco dai propri cari. Un'esperienza 
			traumatica, ma che ha lasciato nei cuori della maggioranza di questi 
			bambini tanti ricordi belli e significativi. 
			E’ in quelle 
			case, con quelle famiglie, che ogni bambino ha scoperto il valore 
			dell'accoglienza, della generosità, soprattutto della gratuità.
			
			Dopo aver 
			sperimentato l'orrore della guerra è stato possibile sperimentare 
			l'amore nelle sue infinite sfaccettature. 
			Dopo il buio, 
			l'inumano e la bruttezza, ecco la luce, l'umanità e la bellezza.
			
			Ogni famiglia 
			affidataria ha dato il meglio di se stessa per favorire 
			l'integrazione di questi piccoli ospiti, per aiutarli a superare le 
			paure passate e a ritrovare una nuova sicurezza in se stessi e negli 
			altri. 
			E’ una storia 
			di eroine e di eroi anonimi (nessuno conoscerà i loro nomi) che 
			hanno salvato una generazione di bambini ed è una storia 
			dell'immenso amore di madri, padri che hanno saputo amare i loro 
			bambini in silenzio e in disparte, permettendo a chi li nutriva, li 
			curava, li vestiva, di avere un ruolo primario, seppur 
			momentaneamente, nella crescita umana e affettiva dei propri figli. 
			Grazie alla collaborazione tra le famiglie affidatarie e questi 
			genitori, in ogni bambino è nata la speranza di poter vivere in un 
			mondo dove, con l'impegno quotidiano e generoso di tutti, fosse 
			possibile sconfiggere la guerra. 
			Attraverso la 
			loro "sapienza del cuore" ci hanno salvaguardato dal pericolo di 
			voler cancellare la memoria dei nostri primi anni di vita, 
			aiutandoci a capire e a riconoscere tutta la bontà ricevuta da tanta 
			gente, senza mai coltivare l'odio e insegnandoci a dire grazie a 
			tutti i componenti di questa grande comunità, dove siamo stati 
			accolti e amati. Imparare a dire grazie voleva dire avere della 
			gratitudine per gli aiuti adeguati ai nostri bisogni, avere memoria 
			di chi ci aiutava, imparare a condividere la vita quotidiana di 
			queste persone secondo le nostre possibilità e a ricambiarli con 
			tutto il nostro affetto. 
			
			
			
			
			Testimonianza di Lucia Monari, di 4 anni.
			
			Il mio ricordo inizia proprio dal primo dopoguerra. 
			
			La miseria e la fame abbondavano; fu in quel periodo che il Comune di 
			Marzabotto, per
			aiutare le famiglie più disagiate, decise 
			di organizzare un affidamento temporaneo ad altre
			famiglie.
			
			Io e mia sorella Germana partimmo volentieri (avevo appena compiuto 5 
			anni).
			Fui destinata presso una 
			famiglia a San Giorgio di Piano; non era certo una famiglia ricca,
			anzi! Lui era facchino al Consorzio 
			Agrario e lei era mondina (la loro ricchezza era dentro
			di loro).
			
			Arrivata a destinazione la prima cosa che mi apparve, quando aprirono la 
			porta fu un grande
			quadro appeso con una 
			grande foto, pensai subito che fosse il nonno, visto che c'era una
			nonnina seduta in una 
			piccola sedia bassa. Soltanto dopo imparai che era una foto di 
			Stalin.
			
			La tavola poi è stata la mia gioia; dopo aver patito tanto la fame, 
			trovarmi davanti una
			scodella di 
			tortellini fu come vivere in una favola.
			Si fecero chiamare zio 
			Geppe e zia Norma, poi c'erano la nonna e il figlio Mario.
			
			Mi tennero tutto l'inverno, poi mi riportarono a casa a Rioveggio. 
			Ricordo, come fosse
			adesso quel giorno, 
			zio Geppe in bici ed io seduta sul cannone; pensarci oggi mi sembra
			impossibile (tutta 
			salita !).
			
			Si erano molto affezionati a me, come io a loro. Zia Norma, quando 
			incontrava degli amici
			per strada, diceva 
			con orgoglio: "L'è la mi putina".
			
			Tutti gli anni, d'inverno, mi venivano a prendere e ho frequentato quasi 
			tutti gli anni delle
			elementari a San 
			Giorgio di Piano. Pur non essendo credente questa famiglia, sapendo 
			della mia 
			istruzione religiosa, mi faceva frequentare la Chiesa; mi mandarono 
			infatti a Catechismo,
			facendomi fare la 
			Prima Comunione e la Cresima.
			
			Ci siamo sempre frequentati e con zia Norma (zio Geppe non c'era più) 
			abbiamo festeggiato
			con un buon pranzo i 
			50 anni del nostro primo incontro.
			Testimonianza di Carmen Spinnato, di 7 anni
			
			Squilla il telefono: «Ciao sono la Virginia, la tua mamma, come 
			stai?» Virginia non è la mia
			mamma, anch'io quando 
			le telefono le dico: «Ciao sono tua figlia» (so che le fa 
			piacere).
			Ho conosciuto Virginia, o 
			meglio, sono stata portata da Virginia, che avevo sette anni e lei
			ventuno.
			
			È l'inverno 1945, la guerra è finita da pochi mesi e i sopravvissuti 
			cercano tra le macerie un
			modo per ricominciare 
			a vivere.
			
			La nostra famiglia è fuggita dalle zone martoriate 
			per raggiungere Bologna.
			
			Non possediamo nulla, né per vestirci, né per mangiare. Ci viene 
			assegnato, come abitazione,
			un unico locale
			
			
			Mia madre va a fare dei servizi a casa dei "Signori". 
			Mio 
			padre tutte le mattine è alla ricerca di un 
			lavoro con una schiera di disoccupati ed io con il mio 
			fratellino stiamo tutta la mattina a letto per stare al caldo e sentire meno la fame.
			
			Il problema più grosso sono i bambini, che hanno bisogno di tutto, dal 
			cibo alla scuola, a una
			casa calda.
			
			Si attiva la Camera del Lavoro, che insieme all'Amministrazione Comunale 
			fa appello a
			contadini, braccianti, operai della campagna bolognese che 
			la guerra ha risparmiato e chiede
			loro di ospitare per qualche mese nelle loro case, dove 
			almeno il cibo non manca, i "bambini
			della montagna".
			
			In poche settimane tutto è organizzato.
			
			Parto con la corriera una domenica mattina per San Pietro in Casale: 
			nella sala del Comune
			sono pronti a 
			riceverci tanti uomini; le donne sono rimaste a casa a preparare 
			l'accoglienza.
			
			La mamma, che sta piangendo per la separazione, si accorge solo allora 
			che le nostre due
			famiglie vivono in paesi diversi. Viene 
			tranquillizzata dal ragazzo che ha già preso in braccio
			il mio fratellino: 
			"Stia tranquilla signora, porteremo spesso il bimbo a trovare la 
			sorella, in bicicletta non è 
			nemmeno mezz'ora".
			Fra lacrime di madri, 
			pianti di bambini piccoli e uomini commossi, finisce la consegna dei
			bambini. I genitori ripartono 
			con le corriere, dopo aver rassicurato i figli con una promessa:
			«ci vediamo 
			domenica».
			
			Una promessa che non potrà essere mantenuta, perché non avranno i soldi 
			per il viaggio, 
			soprattutto non hanno vestiti caldi né scarpe senza buchi alle suole ed è 
			pieno inverno.
			
			L'uomo che mi è venuto a prendere si chiama Ezio, é gigantesco, ma 
			premuroso.
			Salgo sul cannone della bicicletta e mi lascio avvolgere 
			dalla sua mantella.
			
			A casa conosco tutta la famiglia, una famiglia di contadini, Virginia, suo 
			marito Dante, il
			fratello Ermes e i genitori. Per me era pronta una bella 
			tazza di latte caldo con lo zucchero;
			non lo bevevo da tanto tempo.
			
			Mancavano pochi giorni a Natale e la famiglia si preoccupa di farmi un 
			vestito nuovo e
			caldo; mi comprano anche un paio di robuste scarpe. Il 
			giorno di Natale Virginia mi fa i
			boccoli e mi fa andare davanti al Presepio per dire il Sermone, come gli 
			altri bambini.
			
			Dopo due mesi venne a trovarmi la mamma,  fu invitata anche la famiglia 
			del mio
			fratellino.
			
			Arrivò tutta la famiglia, ma mio fratellino si mise a piangere appena fu 
			abbracciato dalla
			mamma, non la riconosceva più e voleva l'altra "mamma".
			
			Piange la mia mamma, ma anche l'altra mamma, che si scusa dicendole che a 
			mio fratellino
			hanno sempre parlato della sua mamma e del suo babbo, ma 
			bisogna aver pazienza e le due
			mamme si abbracciano.
			Dopo un'abbondante 
			merenda per tutti, mio fratellino Mauro comincia a giocare con me e,
			finalmente, va in braccio alla mamma.
			
			Quando arriva il momento dei saluti io scoppio a piangere, voglio tornare 
			a casa, mi
			costringono a rimanere 
			e, dal dispiacere, per alcuni giorni ho fatto la pipì a letto. Sono
			rimasta in quella casa fino alla fine 
			dell'anno scolastico.
			
			Fino ai diciotto anni ho sempre fatto le vacanze dalla mia seconda 
			famiglia, non ci siamo
			mai lasciati, ma soprattutto ci siamo sempre voluti bene 
			e nessuno di noi ha mai dimenticato
			quella gara di solidarietà fra poveri6.
Salmo 148
			
			
			Alleluia.
			Lodate il Signore dai cieli;
			lodatelo nei luoghi altissimi.
			
			Lodatelo, voi tutti i suoi angeli;
			lodatelo, voi tutti i suoi eserciti!
			
			Lodatelo, sole e luna;
			lodatelo voi tutte, stelle lucenti!
			
			Lodatelo, cieli dei cieli, e voi 
			acque al di sopra dei cieli!
			
			Tutte queste cose lodino il nome del 
			Signore, perch'egli comandò, e 
			furono create;
			
			ed egli le ha stabilite in eterno;
			ha dato loro una legge che non sarà 
			trasgredita.
			
			Lodate il Signore dal fondo della 
			terra, voi mostri marini e 
			oceani tutti,
			
			fuoco e grandine, neve e nebbia,
			vento impetuoso che esegui i suoi 
			ordini;
			
			
			
			monti e colli tutti,
			alberi fruttiferi e cedri tutti;
			
			animali selvatici e domestici,
			rettili e uccelli;
			
			re della terra e popoli tutti,
			prìncipi e giudici della terra;
			
			giovani e fanciulle,
			vecchi e bambini!
			
			Lodino il nome del Signore perché 
			solo il suo nome è esaltato;
			la sua maestà è al di sopra della 
			terra e del cielo.
			
			Egli ha ridato forza al suo 
			popolo, è motivo di 
			lode per tutti i suoi fedeli,
			per i figli d'Israele, il popolo che 
			gli sta vicino. Alleluia.
CANTO: NADA 
			TE TURBE
			Nada te turbe nada te 
			espante;
			quiena Dios tiene nada le falta.
			Nada te turbe, nada te espante
			sòlo Dios basta 
PREGHIERE SPONTANEE
PADRE NOSTRO
CANTO FINALE: 
			SE UNO È IN CRISTO
			
			Se uno 
			è in Cristo è una creatura nuova
			Le cose di prima sono passate ne sono nate di nuove.
			Alleluia, alleluia, alleluia.
			Alleluia, alleluia, alleluia
 
			
 
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